Renzo Arbore: io e Totò
Fra quisquilie e pinzillacchere, l’inventore di tante trasmissioni di successo sta ultimando un programma dedicato al nostro più grande maestro della risata. «Sarà uno spettacolo — anticipa Arbore — sciuè sciuè, leggero leggero, un omaggio, una commemorazione festosa». Il conduttore rivela com’è nata la sua passione per Totò, quando l’ha visto per la prima volta e come ha reagito il giorno della sua scomparsa, a avvenuta 25 anni fa.
Mi scuso con Totò per essermi vestito come lui perché non sono degno neanche di indossare un suo calzino. L'ho fatto perché la gente mi crede importante... oppure per sfuggire al rischio di sentirmi importante!». Così Renzo Arbore, affaccendato per la preparazione di un programma dedicato al grande attore napoletano, a 25 anni dalla sua scomparsa, in onda da mercoledì 16 per 4 puntate su Raiuno, giustifica il travestimento giocoso che vedete in questo servizio. Che l'indimenticato principe De Curtis, insieme con Louis Armstrong, per Arbore sia un idolo è fuori discussione; basta entrare nel suo colorato appartamento per scoprire — dietro una miriade di pacchetti e pacchettini, fra i tomi della grande libreria, in mezzo a carte, cassette e gadget — fotografie, pupazzi, busti e chi sa che altro ancora che mostrano Totò. Un'ammirazione esagerata che nasce da lontano...
Renzo, tu e Totò. Ti ricordi il primo film da lui interpretato che hai visto?
«Certamente. Era “Fifa e arena”, al cinema Cicolella di Foggia. Avevo 11 anni e mi ci portò mio padre. Mi rammento che il film era, a quei tempi, considerato un po’ osé e che papà si prese una sgridata da mia madre perché mi aveva fatto vedere delle donnine scollacciate. Mi scioccò moltissimo e m'innamorai di Totò, del suo talento».
E così ne seguisti la carriera...
«Noi liceali degli Anni 50 non avevamo snobismi e ridevamo con Totò, le sue battute entravano nel lessico comune. Frasi tipo “E io pago, pago" o “La serva... serve” e queste cose qui entravano nel nostro linguaggio. E poi, contrariamente a quelli che dopo la sua morte l’hanno dimenticato, io l'ho sempre ricordato».
15 aprile 1967: che cosa ricordi di quel giorno?
«La sua scomparsa mi lasciò dentro un grande vuoto, fu come perdere un riferimento... Il giorno della sua morte girai intorno alla sua casa ai Parioli, a Roma, ma non ebbi il coraggio di salire. Non me lo sono mai perdonato. Pensavo che il dolore fosse appannaggio della sua famiglia».
L’hai mai incontrato?
«Una sola volta, nottetempo, a Saint Tropez, in Francia, dov’ero andato a fare una gita goliardica con gli amici di Foggia. Lui era abbracciato a Franca Faldini e si godeva il silenzio e la quiete della notte. Non mi avvicinai... Era una grande dolcezza».
Quando hai iniziato a coltivare questa passione?
«Negli anni seguenti cominciai ad ascoltare i dischi di Totò, i pochi rimasti, e me li gustavo come un disco dei Pink Floyd. Ce n’è uno, con i suoi sketch, che conosco a memoria. Poi ho cominciato ad avvicinare i suoi amici, le persone che lavoravano con lui, i familiari e ad appassionarmi sempre di più!».
Che idea ti sei fatto di Totò?
«Dì un grande uomo del Sud, con alcuni difetti tipici degli uomini del Sud. Posso permettermi di dirlo poiché anch’io ho questa provenienza. Per esempio la grande possessività, la gelosia e il sentimentalismo; non avrebbe mai potuto essere così grande se non avesse parlato d’amore con malinconia e romanticismo. Un uomo non può scrivere "si tu peggio ’e na vipera... Però sta faccia d’angelo te serve pe ’ngannà’’ se non ha una ferita. E ancora, una certa diffidenza verso il moderno e un grande rispetto per la tradizione, ma anche un’immensa generosità d’artista, anche pratica; infatti andava distribuendo denaro alle persone povere, alcune ci hanno pure speculato...».
E nel lavoro, com’era Totò?
«Faceva il suo mestiere con grande serenità e un senso critico esagerato. Pensava di scrivere sulla sabbia, di fare dei filmettini senza importanza, di essere un guitto, un buffone. Nel suo sguardo non c’era traccia di supponenza».
Qual è il segreto del suo successo?
«Gli occhi sul grande schermo sono quelli che trasmettono vibrazioni e arrivano al cuore e al cervello. I suoi hanno un fascino particolarissimo, sono occhi di una persona per bene, sincera. Dietro la maschera di Totò c’è un mistero che io non mi sono spiegato. È il segreto che cela il grandissimo artista, laddove l’istinto e il cuore sono superiori alle ragioni dell’intelligenza».
Parliamo del programma...
«È uno spettacolo di prima serata, quindi non vuol essere una trasmissione antologica, non vuole dire tutto di Totò. Al contrario sarà una commemorazione festosa, un omaggio a un grande artista. Un varietà “sciuè sciuè”, per dirlo alla napoletana, leggero, leggero, un’occasione per rivedere alcuni protagonisti dei suoi film. Ho scelto una chiave per raccontare Totò, però nun t’a posso di'! Non voglio rovinare l’effetto sorpresa».
Allora dimmi che cosa non ci sarà!
«Non ci saranno le donnine vestite da malefemmine, non ci saranno gli ingredienti che fanno un programma di successo, niente risse, niente quiz con i telespettatori. Continuerò con la linea che ho già sperimentalo ultimamente con “Canta Napoli, Napoli internazionale” e il programma su Roberto Murolo: cioè far sorridere, ma dare anche dei contenuti».
Chi ci sarà con te?
«In video non avrò collaboratori o collaboratrici. Ci saranno solo i 16 elementi dell’Orchestra Italiana, con la quale ho fatto il disco “Napoli punto e a capo”, che mi sta dando enormi soddisfazioni.
A proposito di Napoli. C’è qualcuno che ti accusa di volerla sfruttare...
«È stato scambiato un atto di amore per Napoli e per il Sud con un atto di sfruttamento. Fa parte di una certa tipica diffidenza, vedere sempre qualche cosa di brutto, dietro! Ma, come direbbe Totò, “Nun ci sta ’a magagna’’».
Hai spesso dichiarato che Napoli è la tua seconda città...
«Scusa, ti interrompo... Quello che non riportano spesso i giornali è che, dopo questa mia reale dichiarazione, aggiungo sempre anche che mi sento un cittadino d’Italia. Arbore è un uomo del Nord, del Centro, del Sud e delle Isole. Questo a prescindere dal mio amore per Napoli e per Totò».
I film di Totò, così come quelli di Bud Spencer e Terence Hill, vengono usati dalle Tv per contrastare i prodotti più forti della concorrenza...
«Mi fa molto piacere, perché Totò, Stanlio e Ollio e Charlie Chaplin sono i grandi maestri della risata di tutti i tempi. Quella di Totò, di Bud e Terence, di alcuni film di Franco e Ciccio e di Alberto Sordi è la vera arte popolare, che si differenzia mollissimo da quella finta, nazionalpopolare, di cui si parla oggi. E, per questo, fanno parte del nostro patrimonio culturale. Saranno proprio loro che, nel 2050, sopravviveranno. Eternamente».
Patrizia Ricci, «Sorrisi e Canzoni TV», numero 50, 13-19- dicembre 1992
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Patrizia Ricci, «Sorrisi e Canzoni TV», numero 50, 13-19- dicembre 1992 |