Totò, il principe e la sciantosa
Dopo quarant'anni ritorna il diario del grande comico con pagine inedite, tratte dalla ristampa della prima autobiografia di Totò «Siamo uomini o caporali» edita da Capriotti nel 1952.
Era una bella della notte, sciantosa e attricetta. Per lei, Liliana Castagnola, genovese di origini, gli uomini perdevano la testa e si uccidevano. Poi, un giorno, incontrò Totò e se ne innamorò capricciosamente e perdutamente. Fu una passione tragica. Quell'episodio degli anni '30 conclusosi con il suicidio della sciantosa, si legge oggi in «Totò. Siamo uomini a caporali?». (Newton Compton, pp. 140, L. 25.000), un diario che narra gli esordi dell'attore. Pubblicato nel '52 e passato quasi inosservato. In anteprima ne pubblichiamo alcune pagine.
Il 3 marzo del 1930, l'anno che avrebbe dovuto essere felicissimo, Liliana Castagnola si sentiva più malinconica del solito. La separazione da Totò era ormai vicina [...]. A tavola si chiuse in se stessa, rimanendo muta ai complimenti degli uomini e alle provocazioni delle donne. Carmela, come raccontò in seguito, la vide stringersi le tempie con le mani tremanti, per poi tirar fuori dalla borsetta il fazzolettino e tergersi il sudore sulla fronte. «Signora, fa ancora freddo e voi sudate. Non vi sentite bene?», chiese.
«Mi sento bruciare dentro», rispose la Castagnola sorseggiando una coppa di champagne. «Alla fine, tutto questo fuoco mi distruggerà».
Qualcuno rise equivocando il significato della frase, ma non la proprietaria della pensione che ebbe conferma dei suoi timori: la signora sarebbe finita male per colpa del giovane De Curtis. Intanto Liliana già aveva voglia di ritirarsi, seccata dalla confusione, si alzò di scatto, avvisando Carmela che la mattina seguente voleva essere svegliata alle undici. Ma non si coricò subito, perché, spiegò, aveva una commissione urgente da sbrigare.
«A quest'ora?», chiese Carmela guardando l'orologio che segnava dieci minuti prima della mezzanotte. «Sì, a quest'ora», replicò Liliana e avvolgendosi in una mantella di velluto nero, uscì per raggiungere una farmacia notturna a pochi metri dalla pensione. Comprò un potente sonnifero, il Dinal, che il medico le aveva prescritto negli ultimi tempi quando per lei l'insonnia era diventata un nemico invincibile, e tornò frettolosamente nella sua stanza. Quando fu sola, si spogliò lentamente senza nemmeno accendere la luce e, nel buio, fu presa dal desiderio di sentire la voce di Totò. Formò il numero del Teatro Nuovo e a Don Vicienzo che le rispondeva chiese di parlargli: «Pronto, sono io. Forse non riconosci più la mia voce? Eh già, ormai sono quasi un'estranea».
«Ma no, Lilia, ti ho riconosciuto. Solo mi meraviglia che a quest'ora tu sia ancora alzata», disse Totò con una punta di irritazione. «Che desideri?».
«E' l'una di notte e io non dormo più da almeno un mese. Stasera poi ho partecipato a una cena e allora...». «Già, una di quelle cene che io odio e che non riuscirò mai a sopportare».
«Parli così perché ascolti le chiacchiere di chi gode a ricoprirmi di fango. Tu preferisci credere a quella gentaglia piuttosto che a me», mormorò Liliana mettendosi a piangere.
Il suono dei suoi singhiozzi esasperò Totò, che ormai sfinito dalle continue scenate ebbe un moto di stizza e spietatamente esclamò: «Comunque i pettegolezzi finiranno presto dal momento che domani parto». «Parti domani?», quasi gridò la Castagnola. «Vai a Padova con Cabiria, lo so. Ma anch'io ho in progetto un viaggio».
«Davvero? E dove vai?», chiese Totò con un tono di impercettibile scherno. «Non vado certo a cercarmi un amante, né a divertirmi come tu sospetti. Dove vuoi che vada? Tra un paio di giorni ti raggiungerò, appena avrò sistemato le mie cose alla pensione». «La pensione, la schifosa pensione! Sempre di quella parli, perché là stanno i tuoi affari. E non farmi dire di quali affari si tratta». A quell'ultimo insulto Liliana perse ogni energia: tutto si era spento nel suo animo tranne l'amore. E lo confessò a Totò, trattenendo le lacrime per non innervosirlo: ((Antonio tu non sai e non saprai mai quanto ti ho amato. Mandami un bacio, ti prego». «Non posso, c'è gente e non voglio rendermi ridicolo. Ti aspetto a Padova». «Un bacio, ti supplico». «No, a presto, dormi bene».
Al suono che segnava la fine della comunicazione, Liliana rimase pensierosa qualche minuto, con la certezza che ormai Totò avesse perso ogni interesse per lei. Il suo tono distaccato parlava chiaro e così pure il suo malcelato disappunto all'idea di averla accanto mentre era in tournée. Il giorno seguente di certo le avrebbe telefonato trovando una scusa perché non si allontanasse da Napoli. Liliana conosceva troppo bene gli uomini per farsi delle illusioni: era rimasta sola. Carmela bussò alla porta per chiederle se avesse bisogno di qualcosa e lei rispose di no, che tutto era a posto. Quindi prese dalla borsetta il tubetto di Dinal e rovesciò le pillole bianche nella mano, guardandole con sollievo perché, pensò, sarebbero state loro a darle finalmente la serenità. Si sorprese a chiedersi quale sarebbe stata la reazione di Totò alla notizia del suo suicidio, ma non seppe rispondersi. E poi, ormai la sua mente era lontana, offuscata dalla tensione. Sì, il suo gesto così estremo forse sarebbe servito a dimostrare che lei lo aveva amato veramente. E, animata da questa speranza, Liliana pensò alla morte quasi con gioia, considerandola l'ultimo, definitivo passo verso il possesso eterno di Totò. Si avvicinò alla finestra, scrutando le ombre della notte e rabbrividì nel sentire un fruscio che la spinse ad aprire i vetri. In strada c'era soltanto un gatto nero, magro e affamato, che la fissò con i suoi occhi gialli, miagolando lamentoso.
«Vattene, bestiaccia di malaugurio!», gridò Liliana sbattendo le imposte, ma il miagolio proseguì, al punto che, per non udirlo, fu costretta a coprirsi le orecchie con le mani. Si gettò sul letto tormentata dai ricordi. Erano tanti. Come dimenticare il volto di Totò nei momenti di passione trascorsi in quella stanza? Gli sguardi teneri, le risate, i baci, tutto era ancora presente nella sua memoria. Ma non poteva ignorare nemmeno le sofferenze che quell'amore le aveva procurato, soprattutto negli ultimi tempi. Le tornò alla mente la voce dell'amante che diceva inesorabile: «Lilia, ormai ho firmato il contratto con Cabiria e devo partire. E' inutile che mi supplichi di restare. Non c'è niente che possa farmi cambiare idea. Niente. Hai capito bene? Niente».
Durante uno dei loro colloqui più recenti, è vero, le aveva assicurato che una volta giunto a Padova avrebbe cercato una casa per loro due. Ma lei non gli aveva creduto. Negli occhi di Totò aveva riconosciuto lo sguardo dell'uomo deciso a fuggire, su questo non c'erano dubbi. «Non ce la faccio, meglio morire», disse a voce alta Liliana. Poi, presa da una ridda di emozioni contrastanti, per un attimo sorrise, ricordando un momento di dolcezza in cui Totò, asciugandole le lacrime, le aveva mormorato: «Cara, non fare così. Le bambine piangono e tu sei una donna». Ma subito fu ripresa dallo sconforto. Non aveva scampo perché la vita senza Totò le appariva inutile. Se non si fosse tolta dal mondo, lui l'avrebbe dimenticata, ma da morta, forse, l'avrebbe portata sempre nel cuore: non potendo avere il suo amore, si sarebbe preso il suo rimorso. Il suicidio a quel punto le appariva come l'unico legame ancora possibile tra loro e per questo si sentiva pronta ad affrontarlo. Prima, però decise di redigere un inventario di tutto quello che possedeva, col proposito che niente di suo restasse nella Pensione degli Artisti avversata da Totò. La sua erede, decise, sarebbe stata la sua unica sorella, Gina, che abitava a Genova. Liliana aprì l'armadio guardando per l'ultima volta il suo ricchissimo guardaroba composto da abiti per ogni occasione, cappelli, borse, scarpe intonate alle varie toilette e numerose pellicce impregnate del suo profumo. Insieme al cofanetto dei gioielli, sistemò tutto in un grande baule che chiuse con cura, mettendo la chiave nell'armadio, sotto un mucchio di biancheria di seta, un nascondiglio sicuro che avrebbe rivelato solo a Gina in una lettera.
Passando davanti allo specchio sussultò alla vista della sua immagine: in poche ore le sembrò di essere invecchiata di vent'anni, ma non se ne rammaricò. Anzi provò una specie di sollievo perché la sua bellezza sfiorita la riportava alla normalità a cui in fondo aveva sempre aspirato. Libera dagli orpelli della seduzione vissuta come un faticoso lavoro, era finalmente una donna qualsiasi, in una nuova dimensione umana, permeata di umiltà, la dimensione giusta, pensò con amarezza, per andare incontro alla morte. Ormai placata, Liliana sedette quindi allo scrittoio per scrivere a Totò la sua ultima lettera: Antonio, Potrai dare a mia sorella Gina tutta la roba che lascio in questa Pensione. Meglio che se la goda lei, anziché chi mai mi ha voluto bene. Perché non sei voluto venire a salutarmi per l'ultima volta? Scortese, omaccio! Mi hai fatto felice o infelice? Non so. In questo momento mi trema la mano... Ah, so mi fossi vicino! Mi salveresti, è vero? Antonio, sono calma come non mai. Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e disgraziata. Non guarderò più nessuno. Te l'ho giurato e mantengo. Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è passato dinanzi. E, ora, mentre scrivo, un altro gatto nero, giù nella strada, miagola in continuazione. Che stupida coincidenza, è vero?...
Addio. Lilia tua
Totò
«La Stampa», 30 ottobre 1993
Un esordio duro, senza un quattrino
Liliana De Curtis: la figlia del comico ha collaborato alla nuova edizione del Diario
Quante lacrime in casa De Curtis! «C'erano nuvole nere su piazza Risorgimento e Totò tutto infangato tornava a piedi verso la casa vicino alla stazione Termini dove viveva con il padre e la madre. Ma non era pioggia quella che gli bagnava le guance, era pianto». Il principe Antonio De Curtis in arte Totò era molto incline alla commozione: se lo ricorda anche così il suo grande amico Alessandro Ferraù. Insieme a Liliana De Curtis, figlia dell'attore e Matilde Amorosi, Ferraù, che ha alle spalle una lunga carriera come direttore dell'Annuario del cinema italiano, ora ripubblica un suo libro di memorie Siamo uomini o caporali?
«Quest'episodio che mi è venuto in mente è molto significativo sull'approccio di Totò al mondo del varietà - dice Ferraù -. Oggi sembra incredibile, ma piangeva per essere stato licenziato in tronco dalla compagnia Capece. Lavorava gratis. Ed era stato cacciato via a male parole per avere chiesto il rimborso del biglietto dell'autobus. Fece una vita durissima nei primi anni. Soffriva molto per le umiliazioni e per la mancanza di quattrini e pensava sempre di cercare un'altra strada e un altro lavoro ma non vedeva alternative». Come mai si è deciso a pubblicare questa seconda versione? E perché l'ha riscritta? «Il libro era introvabile. L'editore che lo aveva stampato fallì dopo un mese. E poi ci sono molti cambiamenti dovuti anche al contributo della De Curtis. Mi ha fatto conoscere il Totò più famigliare, quello della vita di tutti i giorni, nei suoi rapporti con gli amici e con i parenti. E così ho inserito anche la storia del suicidio della bellissima Liliana Castagnola».
[m. s.], «La Stampa», 30 ottobre 1993
«La Stampa», 30 ottobre 1993 |
Riferimenti e bibliografie:
Autore: Totò
Curatore: L. De Curtis, M. Amorosi, A. Ferraù
Editore: Newton Compton Editori
Collana: I nuovi best seller
Anno edizione: 1993
Pagine: 256 p.
EAN: 9788881833061