Franca Faldini: «Totò è sempre nel mio cuore però da vent'anni ho ritrovato la felicità accanto a un principe»
Mentre la TV ripropone i film più belli del comico, parla Franca Faldini, che fu la sua compagna. «Con lui ho trascorso 15 anni meravigliosi», dice la Faldini, che ha amato fino alla fine il principe Antonio De Curtis, in arte Totò • «Lui mi chiese tante volte di sposarlo, ma io non volli» • «Ero spaventata dalla differenza d'età» • «Dopo la sua scomparsa ho dovuto lottare per ricostruirmi una vita» • «Poi ho ceduto al matrimonio per sposare il principe Nicolò Borghese»
Lucignano (Arezzo), luglio
È facile, nelle sere d‘estate, imbattersi in un film di Totò cambiando canale della TV. Le reti Rai, quelle Fininvest, Telemontecarlo e le TV locali fanno a gara infatti nel riproporre i film più belli del principe della risata. Il principe Antonie De Curtis. in arte Totò, scomparso 25 anni fa ma rivive nei suoi film, capolavori della comicità, entrati nella storia del cinema. Recentemente abbiamo visto Miseria e nobiltà, Totò a colori, Totò e le donne, Capriccio all'italiana, Fifa e arena e Il coraggio. E altri ne vedremo.
In Miseria e nobiltà, trasmesso da Raitre, proprio la settimana scorsa, accanto a Totò abbiamo rivisto anche Franca Faldini la donna che è stata a fianco dell'attore negli ultimi quindici anni della sua vita. Quando Totò mori, improvvisamente, il 15 aprile 1967, stroncato da una crisi cardiaca, la Faldini si rimboccò le maniche per ricostruirsi uni vita. E c'è riuscita brillantemente. Siamo andati a trovarla per farci raccontare, proprio nei giorni il cui continuiamo a rivedere Totò in TV, la sua grande storia d'amore con il comico e come è riuscita a ricominciare daccapo dopo la sua scomparsa.
«Quando è mono Totò», comincia subito a raccontare Franca Faldini mi sono data da fare. Mica potevo rimanere a piangere. La casa dove abitavamo era dei miei genitori, ho dovuto venderla. Non c'era testamento, perciò non mi spettava niente.
«Chi mi ha aiutato all'inizio è stato l'attore Vittorio Caprioli. Prima di fare la giornalista, di passare due estati canicolari a Roma per poter mettere insieme gli articoli che servivano per iscriversi all'albo come pubblicista, fu proprio il caro Vittorio, scomparso cinque anni fa, a consigliarmi: "Ma tu potresti tradurre i libri dall'inglese, no?". Mi fece un biglietto di presentazione per Mario Monti, che allora dirigeva la Longanesi. Superai la prova di esame. Feci delle traduzioni per Longanesi e per Sansoni. Un lavoro massacrante e malpagato, certamente non creativo. Ma forse proprio lì, dovendo
rispettare uno stile, mi sono fatta le ossa. Ho collaborato poi a tanti quotidiani e a periodici. Ho pubblicato cinque libri, scritti a quattro mani con Goffredo Fofi, Totò, l'uomo e la maschera, Le avventurose storie del cinema italiano, primo e secondo volume, Cinema italiano di oggi, Insieme nel buio».
Gli stessi grandi occhi verdi. La figura slanciata, elegante. I modi signorili. Franca Faldini passa alla storia come la donna che ha stregato col suo fascino l'attore, rimasto legato a lei fino all'ultimo giorno per quindici anni. L'ultima donna vissuta accanto al principe Antonio De Curtis, in arte Totò. Il tempo l'ha appena scalfita: «C’è una bellissima frase, nel film Viale del tramonto, di Billy Wilder; che mi è rimasta dentro: “Non c'è niente di male nell'avere 50 anni, purché non se ne vogliano dimostrare 20”. Io i miei 63 li vivo con questo rapporto, non voglio dimostrarne 33. Mi lascio crescere i capelli grigi, non li tingo, rifuggo da questa schiavitù», dichiara. «Tanto se un uomo vuole il capello nero se lo va a trovare dove c'è veramente. Né mi è mai balenata per la mente l’idea di un lifting. Del resto i segni che noi poniamo sulla nostra faccia fanno parte della nostra vita. Senza alcun dubbio mi avvio verso una stagione non cosi sfolgorante come quelle passale. Spero di viverla con molta saggezza e serenità».
Franca Faldini ieri, prima ancora di incontrare, a 21 anni appena compiuti, Totò: «La mia memoria parte da lontano, ho attraversato la guerra, ho avuto un'infanzia piena di vicissitudini, perche come figlia di padre ebreo e di mamma ariana ero considerata dal governo di allora sangue misto. E quindi ho conosciuto la discriminazione razziale, le persecuzioni. Papà perse il lavoro. Aveva alcune grosse rappresentanze di tessuti, che passarono a mamma quando lui non poteva più figurare. Dovettero alienare delle proprietà che avevano a Montereggi, in Toscana. Papà, nascosto, badava a me. Io ho avuto una buona educazione perchè i miei genitori volevano da me il meglio del meglio, come tutti i genitori che amano i propri figli. Però ho perduto l'infanzia. Quando chiedevo: "Perchè non posso giocare con le altre bambine?" o “Perché, non posso andare a scuola?" mi veniva spiegato. Mi veniva detta la verità» quando domandavo: "Perché papà sta nascosto in casa?" E allora sono diventata matura in fretta».
IL SECONDO NOBILE DELLA SUA VITA Franca Faldini e il principe Borghese si sono sposati il 2 aprile 1975, otto anni dopo la scomparsa di Totò, che era anche lui principe. «Totò». dice la Faldini «era il classico signore napoletano Nicolò è il classico signore romanesco. Come Totò è dotato di un grande senso dell'umorismo. Dopo la scomparsa di Totò ho passato momenti molto diffìcili, perché non c’era testamento e non mi spettava niente. Cosi mi rimboccai le maniche: feci delle traduzioni, poi cominciai a collaborare come giornalista a vari giornali. Poi ho scritto libri. Sono stati momenti duri. Ma poi ho trovato Nicolò, l'uomo che mi ha ridato il sorriso. Insieme siamo felici».
I ricordi si affastellano: «Tutte quelle ore trascorse in un mezzanino messoci a disposizione da Letizia Marta Signorini, una delle proprietarie dell'albergo Flora e dello stesso palazzo dove abitavamo. Aveva fatto murare questa stanza, aprendo una botola sul pavimento. La finestra sprangata. Chiusa nel buio tremando per ogni rumore. Un'unica stanza dove vivevamo in quattro: mio padre e io, un ufficiale che si era dato alla macchia, il nipote di Letizia Marta che era di leva. Loro giocavano a carte, io ritagliavo giornali e giornaletti, sognavo a occhi aperti sulle immagini. All epoca c'era una gran fame: quindi magari vedendo la pubblicità di un brodo ci fantasticavo su. Leggevo per esempio: "II cucciolo di Rollings", dove trovavo la descrizione di quello che la mamma preparava al bambino, che poi correva per i boschi con il capriolo e io mi immedesimavo tanto che mangiando regolarmente lo castagne secche e sforzando l’immaginazione, riuscivo a sentire il sapore dell'arrosto. Dopodiché con la fantasia camminavo sull'erba, tra gli alberi, nel verde «lo allora mi sentivo una bambina qualsiasi, non sono mai stata soddisfatta del mio aspetto. Ero una ragazza sicuramente appariscente. Da piccola portavo le trecce, ma appena sono cresciuta un po’ ho preso a modello Veronica Lake, che mi piaceva tanto. Mi sono raccolta tutti i capelli da una parte, "a schiaffo", con un’onda su un occhio. Me li rovinai anche, passandoci sopra per schiarirli l'acqua ossigenata, lasciandoli asciugare senza neppure sciacquarli. Ripresi a frequentare la scuola, le magistrali. E poi mi diplomai al British Institute, per cui imparai l'inglese».
Segue il salto oltre Oceano. Sono i primi anni Cinquanta. I genitori la mandano, perché reagisca a una delusione amorosa, negli Stati Uniti. Aveva il soggiorno per tre mesi, c'è rimasta due anni, rompendo un contratto con la Paramount di sette. «Perché a me del cinema non me ne importava e non me ne è importato mai assolutamente niente. Siccome io adoro viaggiare, il mio grande sogno, allora, era di poter fare la hostess di volo».
E invece da un giorno all'altro, quasi per caso, Franca Faldini in America diventò una "stellina". Bruna con gli occhi verdi, era considerata "un tipo esotico". Aveva fatto solo un film Al largo con la Marina, con Dean Martin e Jerry Lewis, che già gli americani stravedevano per lei. I soldati di stanza in Corea impazzivano davanti alle sue foto. Cosi la proclamarono "Miss Cheesecake", vale a dire "miss torta di formaggio", che è un dolce nazionale come il panettone in Italia, un titolo ambitissimo, che avevano avuto soltanto Rita Hayworth e Marlene Dietrich prima di lei.
L’incontro con Totò cambiò il corso della sua vita, anche se aveva già deciso di non tornare più a Hollywood. Racconta: «Antonio mi vide in copertina su un settimanale italiano, mi mandò un’infinità di rose rosse, proprio un'esagerazione, a casa non sapevano più dove metterle. E un invito a cena che io borghesemente rifiutai, rispondendogli: "Trovi il sistema di farsi presentare". Cosa che lui fece, senza perdersi d'animo. Di lì a pochi giorni un'amica comune organizzò una cena in mio onore».
Per lei fu una rivelazione: «Venivo dall’America dove gli attori continuano a essere nella vita quello che sono sullo schermo, portano avanti il loro personaggio, recitano sempre. Mi ero preparala a incontrare un comico che mi piaceva tanto, specialmente in teatro, a passare una serata di grande divertimento. E invece mi sono trovata di fronte un grandissimo signore di modi, di tatto, di pacatezza. Questa é stata la mia prima impressione su Totò. E poi ho visto una persona come me, una persona con cui ho potuto subito incominciare un dialogo basato su cose vere, reali. Quello che ci ha unito di più all'inizio è stata proprio questa infanzia emarginata che avevamo avuto entrambi, lo per le ragioni che ho spiegato. E lui per la sua nascita illegittima che aveva inciso spaventosamente, a 34 anni ne portava ancora le ferite. Perché, se non è facile neppure adesso, forse, nascere illegittimi, figurarsi quello che doveva essere al primi del secolo. Aveva sofferto le pene dell'inferno. E non era stato capace di dimenticare neppure quando, superati i trent'anni, potè recuperare il cognome. Tutto questo confidarsi reciproco, questo reciproco capirci, ci ha legali profondamente».
Trentatré anni di differenza. Il segreto tutto sommato della buona riuscita: «Io ero più matura della mia età, e lui era più giovane della sua. Ma non negli atteggiamenti. Lo era proprio di spirito, di mentalità. Non era l'anziano signore, cosi come io non ero la ragazzina».
I primi passi insieme sono stati difficili. Erano tempi in cui si gridava al "peccato". La decisione di diventare ufficialmente la compagna di Totò, Franca Faldini la prese durame la lavorazione del film Dove la libertà, un titolo stranamente allusivo, nel '52. Fu su quel set che stabilirono di andare a vivere insieme. «Ci tengo a chiarire questo», precisa. «Antonio era liberissimo. E mi chiese tante volte di sposarci. Non ci siamo sposati perché c'era troppa differenza di età. Era più logico e più leale per me coltivare un amore che poteva finire da un momento all'altro. Lui mi apprezzava per come sono fatta, gli stavo bene cosi».
Franca rievoca il primo periodo di vita in comune: «In casa ho trovato, a parte il personale di servizio che era bello e numeroso, il cugino di Totò, Edoardo Clemente, che è stato per Antonio sublime e insostituibile. Arrivava la mattina e andava via la sera. Venne da Napoli proprio nel momento in cui la ex moglie di Totò se ne andò via per sposare un altro. E da quel l'istante non si è più mosso, facendo per lui da amministratore, da segretario, da factotum, da infermiere, proprio da persona di fiducia che gli é stata accanto fino all'ultimo».
Dietro alle rose ogni tanto pungeva qualche spina. La Faldini lo ammette: «Ma poi sai, come in qualsiasi unione, esiste il venirsi incontro. Tu dai, e l'altro rinuncia un po' a qualcosa».
Ma é vero, sì o no. che Totò era tanto geloso? Lei nicchia: «Era un uomo che teneva alla sua donna. Un uomo che voleva determinate prove per poter avere fiducia di una persona. Non è che lui mi ha visto e ha avuto immediatamente fiducia in me. Questa fiducia io l'ho conquistata. E le tragedie di gelosia che dicono, non le ha mai fatte. Cosi come sono quasi certa che nel corso degli anni non mi sia rimasto fedele. Ma non misurerei l'amore dalla fedeltà».
Tuttavia bisbigliano le cronache rosa dell’epoca che qualche screzio tra loro c'è stato... «Come in tutte le coppie, come in tutti i ménage di questo mondo», ribadisce Franca. «Ci sono stati momenti belli e momenti meno belli. Abbiamo avuto dei battibecchi. Non è che stavamo a fare "ciricì e ciricì" tutto il giorno. Eravamo una coppia normale, anche se lui é stato un grandissimo artista. Conducevamo una vita borghese. Se c'era un dissapore lo chiarivamo. Svisceravamo tutto. Ed evidentemente non erano screzi tali da mettere in pericolo il nostro rapporto».
Affiorano episodi che il tempo ha sommerso: «Mi ricordo una volta che ci trovavamo con la barca a Saint-Tropez, e a pochi metri da noi approdò Charlie Chaplin. Si formò una gran ressa sul porto per vedere Charlot che si faceva fare la barba, in coperta, da un barbiere. E Totò rimase tra la gente, senza osare di andare su a presentarsi: «Sono Antonio De Curtis». Non si dava arie, come tutti i veri artisti, io amavo la sua grande modestia. La sua filosofia della vita spicciola, sicuramente non colta».
Una giornata tipica di Totò raccontata da Franca Faldini: «Finché è stato bene andava a lavorare alle due del pomeriggio, perché aveva degli orari speciali. Antonio la mattina proprio non connetteva, non esisteva. Aveva mantenuto i suoi tempi teatrali. Per contratto lavorava dalle due alle otto di sera e in quelle ore rendeva molto di più di quelli che si trovavano 11 dalla mattina. Cosi tutti i nostri orari erano spostati. Lui si svegliava tardi, faceva una piccolissima colazione e poi saliva sulla macchina con l'autista. Di norma quando rientrava non uscivamo, rimanevamo in casa. Venivano a trovarci gli amici, in maniera informale. E si faceva molto, mollo tardi. Parlavamo tanto, parlavamo per ore. E lo abbiamo potuto fare dal giorno che ci siamo incontrati fino al 15 aprile del '67, quando Antonio è morto».
Un bambino ha cementato il loro amore. Lo desideravano tanto. E' nato e poi è scomparso. Il tempo di chiamarlo Massenzio. E un ricordo di dolore.
Voltiamo pagina: cerchiamo qualcosa che non rattristi. Prendiamo le vacanze: «Le facevamo regolarmente in Francia. Dove continuo ad andare ancora, ogni anno. Prima in albergo. dalle parti di Montecarlo, poi, quando lui comprò la barca, un po' più su verso Saint-Tropez. Antonio era felice perché i francesi, pur riconoscendolo, non invadevano la sua privacy. Gli orari cambiavano. Uscivamo la mattina presto per fare la spesa, poi ritornavamo in barca, mettevamo in moto e andavamo ad ancorare in qualche insenatura, dove passavamo la maggior parte della giornata, La sera ritornavamo sempre in porto, non abbiamo mai dormito in rada, se non un paio di volte, quando c’era maltempo. Facevamo la vita dei villeggianti. Andavamo a prendere una bibita o un gelato sul porto, passeggiavamo, salutavamo gli amici. I primi dieci, quindici giorni per Totò erano entusiasmami perché li aspettava tutto l'anno. Ma dopo incominciava a smaniare per il lavoro. Noi ci divertivamo tantissimo quando arrivavamo a Parigi. Ci piaceva curiosare dappertutto. Era sempre una grossa ubriacatura. Una volta stanchi morti alle tre del mattino per la strada ci siamo tolti le scarpe. Siamo arrivati in albergo cosi, con i piedi fumanti».
Poi, quasi di colpo, la cecità: «E‘ accaduto durante la rappresentazione della rivista "A prescindere". Per quei casi strani del destino io mi trovavo in scena insieme con lui perché sostituivo Franca Mai, che si era rotta una gamba. Siccome avevo seguito la compagnia per tutto il tempo, sapevo la parte di chiunque a memoria. Perciò venni buttata in scena da un giorno all'altro. Totò aveva già avuto qualche avvisaglia del male a Sanremo. Prima una polmonite virale curata in fretta con dosi massicce di antibiotici. E a Sanremo aveva incominciato a vedere i palazzi storti. La tragedia scoppiò a Palermo mentre eravamo in scena tutti e due. E lui sottolingua, come avviene quando un attore recita e poi voltando le spalle al pubblico parla dei fatti suoi, a un dato momento mi disse: "Non vedo più niente". E invece di brancolare per lar calare in fretta e furia il sipario, si lanciò in una di quelle pantomime meravigliose, per cui la gente si divertiva e applaudiva fino alla line. Ecco, noi vivemmo questo dramma mentre gli altri ridevano».
Che cosa le ha trasmesso Totò? Franca Faldini non ha esitazioni: «La forza di capire che malgrado tutto la vita continua. E che della vita bisogna amare tutto, i giorni di sole, i giorni di pioggia e i temporali. Bisogna andare avanti. Un grosso insegnamento che mi ha dato la volontà di riprendere a vivere dopo la sua scomparsa».
Franca Faldini si è sposata otto anni dopo la morte di Totò con don Nicolò Borghese dei principi Borghese, 20 anni fa. Un altro principe della sua vita, dunque, dopo Totò, «L’ho conosciuto "in società", casualmente nel 1972», racconta. «Durante i primi tempi non ci siamo frequentati perché lui stava a Milano e poi a Torino per lavoro. Era alla Fiat. Ogni tanto mi telefonava. E' stato trasferito a Roma, una sera mi ha invitato a cena. Sarei dovuta uscire con un'altra persona e invece, non so perché, dissi: "Si, va bene". E da lì è incominciala questa storia. Che sarebbe potuta durare un mese, un giorno. un anno: l'ho presa subito con lo spirito di provvisorietà che per me à sempre stato molto necessario. Forse con me la chiave che funziona è il non avere l'assillo di una sona di condanna. Non ho mai creduto alla parola sempre ».
Con Nicolò si è unita in matrimonio, ha avuto questo improvviso cedimento, si è arresa. Era il 2 aprile del 1975. Ricorda: «Ci siamo sposati in campagna, nella cappellina di quello che allora era il castello della madre di Nicolò, a Castelpugliese, in provincia di Arezzo. Alle nozze c'erano solo una trentina di invitati, tutti parenti e amici. Cerimonia in casa, pranzo in casa preparato dai contadini. Già vivevamo insieme, dopo ce ne siamo andati a fare un giretto».
Franca è contenta di parlare anche di questo marito. Mi chiede: «Potresti dargli lo stesso spazio?». Come si fa. Totò è stato unico al mondo. Le si riempiono gli occhioni verdi di luce: «Sai. mi è piaciuto subito come uomo. Antonio era il classico signore napoletano. Nicolò il classico signore romanesco. E non tanto per la parlata, non tanto per il cognome che porta, che già dice tutto, quanto per la sua sensibilità d'animo. Ha un grande senso dell'umorismo. E' una persona molto semplice. Estremamente sportivo. Ha praticato equitazione, abbiamo avuto anche un cavallo. Ama gli spazi liberi, la natura. La mattina si alza presto. Non abbiamo avuto figli, abbiamo adottato a distanza un bambino eritreo. Questo lo dico perché può servire a chi vuole fare del bene. E‘ bello, come è anche bello fare del bene agli animali. Altra cosa che faccio. In casa ho un cane trovatello. Felix, e un coniglio bianco con il nasino nero, Stopper. L'ho preso perché era rinchiuso in una gabbia di canarini. E ho scoperto tra l'altro che i conigli sono come i gatti: sporcano solo nella loro cassettina».
Franca si anima sempre di più nel parlare dell'oasi che ha creato: «Facciamo una vita tranquilla, normalissima tra Roma, dove abbiamo una piccola casa in affitto al quartiere Flaminio, composta da un soggiorno e due camere da letto, e un piccolissimo casale a Lucignano, in Toscana, che abbiamo comprato. In questo minuscolo casale del '600 di duecento metri quadrati, su due piani, passiamo i nostri fine settimana e regolarmente i mesi d'estate quando dovunque c’è tanta confusione. Se dobbiamo fare qualche viaggio lo facciamo in stagioni morte. Di solito cucino io in un quarto d'ora, perché non sono dedita ai fornelli, lo faccio per buona volontà. Andiamo abbastanza spesso a cena fuori o a trovare qualche amico, o i miei tre cognati, i due fratelli e la sorella di Nicolò, con le rispettive famiglie. Ma da Roma un po’ alla volta ci stiamo allontanando. Roma è diventata caotica. Non c'è più niente di interessante, di culturale».
Una coppia affiatata. Che cos’altro dire di Nicolò? «Mi piace il suo grande entusiasmo per la vita, la maniera con cui prende di petto qualsiasi situazione. In più è un uomo che ha sempre rispettato i miei spazi di libertà. Non mi ha mai chiesto nessuna rinuncia. E di questo gli sono grata. Lui con me condivide l'idea che l’amore non è una condanna all’ergastolo. Dormiamo in camere separate, una maniera per i conservare quel minimo di mistero intatto, un modo per ritrovarsi quando se ne ha voglia, per mantenere tanta poesia in più».
Mita Murzi, «Gente», anno XXXIX, n.31, 7 agosto 1995
Mita Murzi, «Gente», anno XXXIX, n.31, 7 agosto 1995 |