Liliana de Curtis: «Totò cerca film»

Liliana De Curtis

Superstizioso, igienista, generoso all’eccesso. La figlia unica e amatissima del grande comico napoletano racconta la sua vita accanto al padre. E fra ricordi, battute e gratificazioni, un'amarezza: la pellicola che nessuno vuole realizzare.

«Mamma mia quant’è brutta», esclamò Totò davanti alla figlia appena nata. Poi la guardò meglio e aggiunse: «Ma no, è bellissima, ha il naso storto come il mio». Comincia così, in una camera d'albergo, nel centro di Roma, il legame d'amore fortissimo, sincero e irripetibile fra l’attore napoletano e la sua prima ed unica figlia Liliana.

Sono passati 62 anni da quella notte di primavera (era il 10 maggio del ‘33), Totò principe, padre, attore, burattino, amante, poeta, nato a Napoli, rione Sanità. quasi un secolo fa (il 15 febbraio 1898), è scomparso da molti anni, ma per quella bambina scura di capelli, gli occhi chiari e il naso storto. Totò non è uscito mai di casa. Oggi, Liliana De Curtis è una distinta signora con i capelli grigi, senza trucco, che si emoziona ancora quando parla di suo padre (al quale assomiglia in modo innegabile). Ha due matrimoni alle spalle, tre figli, tre cani, vent’anni vissuti in Sudafrica (dove ha aperto tre ristoranti di cucina italiana), un bell'appartamento a Roma, che sembra piuttosto un museo dedicato all’attore (targhe, foto, sculture, quadri. caricature ovunque, e perfino una specie di altarino in camera da letto, con una candela sempre accesa e fiori rossi, il colore preferito da Totò) e un fortissimo desiderio irrealizzato: un film sull'uomo, l’artista, il principe che solo lei ha chiamato papà.

Liliana De Curtis, 62 anni, ha pubblicato libri, organizzato mostre, convegni e premi in nome di Totò. Ma non è ancora riuscita a trovare i finanziamenti per un film sulla vita dell'attore.

«L’idea c’è, è pronta da un anno, ma mancano i finanziamenti necessari per realizzarla. Ho contattato tanti produttori, perfino la Rai, ma al di là di un grande entusiasmo nessuno finora ha avanzato una proposta concreta. Un lungometraggio, oppure una serie televisiva a puntate sarebbe il modo migliore per far sapere al mondo chi era veramente Antonio De Curtis. più straordinario ancora dell’attore. E stata la persona migliore che abbia mai incontrato».

1935 Antonio de Curtis Liliana de Curtis 000

Lei parla di suo padre come di un principe azzurro. Ne era innamorata?

«Sì. non ho vergogna a dirlo. Il nostro è stato un rapporto immenso. Un amore vero. Per stare con lui, sacrificavo le vacanze con i miei figli, cambiavo programmi. Per molto tempo mi sono sentita in colpa per essermi sposata a diciott’anni contro la sua volontà. Come sempre, aveva ragione, era troppo presto, ma l’ho capito soltanto dopo. Il giorno delle nozze pianse e non venne in chiesa. Fu un dolore che dovevo risparmiargli».

Oggi, quei sensi di colpa sembrano quasi del tutto sbiaditi. In trent’anni dalla scomparsa di Totò (il 15 aprile 1967), Liliana ha pubblicato cinque libri, ha fondato un’associazione, ha collaborato all’allestimento di mostre (l'ultima organizzata da Maurizio Scaparro sta girando per l’Italia), ha presieduto a premi, inaugurazioni, ha organizzato convegni, rilasciato interviste, tutto in nome del principe-padre: un'attività frenetica che l’ha aiutata a riscattarsi, a placare le sue ansie di figlia disobbediente. Tranne una: quel sogno ancora nel cassetto.

Ha già immaginato un interprete, un regista per il suo film?

«Robert De Niro, sarebbe il massimo. E il più bravo di tutti. Ho scoperto che la sua famiglia è di Ferrazzano, un paesino tra Napoli e Salerno, dove i miei nonni avevano un feudo. Non è una strana coincidenza? Per la regia avrei pensato alla Wertmuller, oppure a Scorsese. Ma è inutile, come diceva papà che era un uomo assai prudente, preparare la carrozza senza il cavallo. Speriamo che qualche produttore più sensibile si faccia avanti».

Totò era un uomo prudente perché temeva la morte?

«Anche. Non ha mai preso un aereo in vita sua. Era igienista all'eccesso, quando prendeva un caffè al bar girava la tazzina per bere dal bordo meno usato. Aveva la patente, ma non guidava. L'unica volta che si mise al volante andò a finire dentro una farmacia, da allora decise di assumere un autista. Sì, papà temeva la morte, ma aveva imparato a conviverci. Basta leggere 'A livella, per capirlo. Odiava gli ospedali, i medici, non è un caso se sono nata in una camera d'albergo. A soli trent'anni, aveva già la sua tomba, una specie di cattedrale nel cimitero del Pianto di Napoli, con ben 47 posti, la sua data di nascita incisa e quella di morte lasciata in bianco. Andremo tutti lì, cani compresi, vista la disponibilità».

1932 Antonio de Curtis Diana Rogliani 000Totò a 38 anni con la moglie Diana Rogliani, madre di Liliana che oggi vive con la figlia a Roma.

Prudente nella vita, eccessivo nella morte. Perché 47 posti per la tomba di una sola famiglia?

«Per superstizione, ovviamente: "47, morto che parla". Papà da buon napoletano e uomo di teatro in queste cose era quasi maniacale. Detestava il 13, il 17 e i gatti neri. E soprattutto temeva gli iettatori. Persone dal fluido malefico, riconoscibili, secondo lui. per il naso all’ingiù, li chiamava "naso pisciambocca". Contro di loro usava i santini. Li teneva dappertutto: nei cassetti, nelle tasche, attaccati al muro. Con Sant’Antonio, poi, aveva un rapporto incredibile: ci parlava, ci litigava, girava la statuetta quando non esaudiva i suoi desideri».

Eccessivo anche in famiglia?

«Geloso, soprattutto. E protettivo. Mi ha sempre considerato solo una figlia, mai una donna. Da bambina non mi ha mandato a scuola, diceva che c’era troppa gente e si imparavano brutte cose, ho studiato a casa. Guai a sedermi sulle ginocchia di un uomo. A Capri, durante le vacanze, papà prendeva in affitto una casa vicino al mare dalla quale poteva vedermi col binocolo. Quando rimasi incinta, era felice, ma l’idea di come ciò fosse avvenuto lo disturbava».

Una convivenza difficile. Non ha mai provato rabbia verso un padre così morboso?

«Neanche un minuto. Perché nelle sue esagerazioni era un uomo straordinario, generoso, presente, stava sempre dalla parte degli indifesi. Della miseria aveva sentito il bruciore addosso, fin da bambino e questo si coglie anche nei suoi film. Quando iniziò a guadagnare, mandava il suo autista al rione Sanità, a distribuire assegni bancari sotto le porte dei “bassi” napoletani, raccoglieva cani randagi, (a Roma mantenne un canile per anni), mi ha insegnato a rispettare il prossimo, ad essere corretta e discreta con tutti. Non penso gradirebbe vivere oggi. Papà odiava la violenza, detestava gli eccessi. I bambini in provetta o l’intimità della gente sbattuta in prima pagina, lo avrebbero fatto intristire. Succede anche a me».

Perché non ha fatto l’attrice?

«Era un mio grande desiderio, ma papà non ha voluto. Sono cresciuta fra camerini, palcoscenici e artisti. Mi bastano quei ricordi, vedere Guardie e ladri per la ventesima volta e scoprire ancora qualcosa di nuovo, cantare in bagno Malafemmena, la canzone che papà scrisse a mia madre quando si lasciarono, mettermi la sua bombetta che, tra l’altro, mi porta fortuna. Riscoprire ogni giorno la profondità e l’attualità delle sue battute».

Una per tutte?

«Siamo uomini o caporali, per esempio. Papà diceva che nella vita, di caporali, tutti ne abbiamo uno: un capuffìcio, qualcuno che si diverte a umiliarci, che spesso è una persona più mediocre di noi che cerca di ristabilire un equilibrio di valori umani, mortificando gli altri».

Il suo caporale è stato Totò?

«Papà non mi ha umiliato mai, mi ha solo dato e amato, a prescindere, (Liliana scoppia a ridere, ndr). Quando andavo a trovarlo mi baciava sulla fronte e aspettava l’ultimo momento, in ascensore, per darmi i soldi. Non voleva essere ringraziato. Ancora oggi imparo da lui, dai suoi film, dalle lettere che mi ha scritto».

Che cosa desiderava suo padre per lei?

«Un matrimonio da favola con chissà quale principe, un uomo illustre, un signore d’altri tempi. Eppure sulla carta sono già principessa: secondo l’araldica sono l’unico cavaliere donna del Sacro Romano Impero. Se andassi a corte dovrebbero farmi l’inchino. Mi viene da ridere solo all’idea. “Signori si nasce”, diceva Totò, “ed io lo nacqui”, in quanto sua figlia. Oggi, gli inchini più gratificanti li ricevo in altro modo: quando incontro bambini di sei, sette anni che conoscono a memoria le battute di Totò; quando trovo sulla sua tomba babà napoletani e fiori freschi; quando vengo a sapere che le poste italiane hanno emesso un francobollo in suo ricordo. Come posso non sperare che un giorno la sua vita giri il mondo in videocassetta?».

Magari interpretata da Robert De Niro da Ferrazzano?

«Magari. Anche se bello come papà non lo sarà mai».

Francesca Alliata Bronner, «Il Venerdì di Repubblica», n. 393, 8 settembre 1995


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Francesca Alliata Bronner, «Il Venerdì di Repubblica», n. 393, 8 settembre 1995