Totò & Peppino, italiani si nasce
I due furono paritetici, non uno spalla dell’altro, e mescolarono i rispettivi ruoli. Nei loro sketch c’è veramente tutta la storia popolare d’Italia
Nella vita privata non furono amici. Ma riuscirono a far convivere sul set due facce della stessa medaglia contesiti straordinari
Un libro e un video celebrano la coppia comica più celebre del dopoguerra, erede della Commedia dell'arte
Il mondo si divide in Totò e Peppino De Filippo. Cioè: nel suo piccolo, l'Italia si divide in Totò e Peppino, due categorie che mescolano (ad arte) stupidità e furbizia. È caratteristico della storia italiana pensare che ci sia dell’altro nelle nostre radici; e qualcosa d'altro c'è. Ma, a intervalli di tempo ricorrenti, la dittatura dei servi ora scemi ora furbi prende il sopravvento: non serve rifarsi a concreti esempi correnti per suffragare quest'opinione, si pensi genericamente alla caratura internazionale del governo italiano presente e alla sua politica del richiamo al «gigante buono».
Ebbene, il filo rosso dell'identità italiana attraversa perfettamente Totò e Peppino cui Einaudi dedica una monografia per testimonianze e immagini intitolata Totò, Peppino e... (ho detto tutto) nella collana Stile Libero (Vhs + libro a 35.000 lire). Totò faceva il furbo e Peppino faceva lo scemo: con le loro facce, le loro smorfie, le loro sgrammaticature e le loro improvvisazioni ritraevano la gran massa degli italiani compressi non da invisibili poteri ma dalla realtà ingrata: nel Novecento la loro è stata chiamata arte di arrangiarsi, ma affondava le radici nel Cinquecento, quando i diavoli dell'immaginazione popolare si sostanziarono nelle maschere nere di Arlecchino (lo scemo) e Pulcinella (il furbo). Entrambi, tuttavia, servi. Arlecchino servo scemo per forza, perché tale è il ruolo che la sorte gli ha riservato, ed egli l'assolve con estro e tenacia; servo scemo per necessità, ossia furbo, Pulcinella, al quale la sorte ha analogamente riservato un destino avaro di benessere, ma è un destino che egli si ingegna di sovvertire.
La comicità popolare italiana, che è quanto di meglio prodotto dalla nostra cultura in modo continuativo e organico nel corso dei secoli della modernità, sfrutta due canoni classici dell'arte millenaria di far ridere: la complicità di classe e il realismo. Nel senso che si ride della realtà fin tanto che comici e spettatori si sanno parte della medesima classe sociale. E si ride contro qualcuno, che è un altro elemento strutturale altrettanto significativo. Nel senso che la cattiveria dei comici ha sempre anticipato e accompagnato le rivolte sociali più importanti, in Italia: da quella contro gli spagnoli nel Cinquecento a quella contro i nazifascisti nel Novecento. Non è satira politica (per quella serve consapevolezza intellettuale o ideologica, e i comici italiani non avevano luna né l'altra), ma capacità di guardare e rappresentare la realtà popolare. Avete presente Gassman e Sordi ne La grande guerra? Ecco, è la stessa faccenda: siamo sempre ad Arlecchino e Pulcinella. Gli inglesi hanno la poesia drammatica di Shakespeare, i francesi hanno i ritratti mostruosi di Molière, i tedeschi hanno l'ascensione morale di Goethe: noi abbiamo le maschere. Alias Totò e Peppino.
Di coppie comiche, alla maniera dei nostri due ma fuori dal palcoscenico, se ne contano a migliaia e si possono pescare alla rinfusa. Nel solo Novecento, si va da Salandra e Sonnino a Martelli e Craxi. da Balbo e Mussolini a Fini e Berlusconi; oppure da Rivera e Mazzola a Pruzzo e Conti, da Mazzinghi e Benvenuti a Saronni e Moser (Coppi e Bartali no: appartengono a un'altra categoria che riguarda l'epica e non la comicità). Non si tratta di coppie tradizionali, tipo «mattatore e spalla», per intenderci; ma di veri e propri duettisti omologhi per rilievo scenico e die spesso hanno dovuto servirsi di figure terze per avere appoggio diretto alle proprie battute (si pensi a Giacomo Furia, quando non a Mario Castellani o Luigi Pavese, per restare a Totò e Peppino dai quali siamo partiti). Ecco, se c’è qualcosa di bello in questa videocassetta di Einaudi, è l'attenzione all'atipicità, tutta italiana, della coppia comica. Totò e Peppino furono paritetici, non uno spalla dell'altro. E mescolarono tra loro i ruoli che la Commedia dell'arte diluiva in contesti molto più allarga ti: sicché negli sketch di Totò e Peppino c'è davvero tutta la storia popolare d'Italia, l’occhio clinico dei comici sulla realtà, la sua capacità di reinventarsi sulla scena e soprattutto la sua forza autocommiserativa. Nel senso che per quattro secoli la comicità è servita pure a deglutire guai e tragedie, fame e sottomissioni, in Italia: lo Stato Pontificio, negli anni più conflittuali dell'Ottocento risorgimentale, pagava profumatamente i comici che organizzavano gai carnevali per le vie di Roma; salvo arrestarli tutti, al mercoledì delle ceneri.
Prendiamo a mo di esempio i due film forse più popolari della coppia in questione: La banda degli onesti e Totò, Peppino e ...la malafemmina. In entrambi, i due comici ricorrono a una spalla comune (nel primo Giacomo Furia, nel secondo Mario Castellani) ma se ne servono per vessarla, cioè per dar libero sfogo alla cattiveria insita nel loro ruolo: si ride e si fa ridere «contro» qualcuno, come è noto. In più, in entrambi i film i nostri due eroi finiscono sconfitti: la banda degli onesti non riesce a spendere le banconote false prodotte per far fronte alle pressioni economiche di una società fatta di profittatori e aguzzini; mentre i fratelli Caponi dilapidano inutilmente il loro capitale, senza ottenere piaceri e soprattutto senza sconfiggere le «malafemmine». E in queste sconfitte c'è la metafora di un popolo vinto (quello italiano) al di là delle voglie e della capacità di arrangiarsi: non furono i lazzi dei comici dell'arte a rispedire a casa i Matamoros del Seicento; malgrado i servizi particolari di Arlecchino e Pulcinella, nel Settecento la borghesia veneziana non riuscì a sovvertire il potere dell'aristocrazia; non bastarono i carnevali a disarmare il Papato. nell'Ottocento; e non è stato grazie alle cattiverie del Varietà e dell'Avanspettacolo se è caduto il fascismo, nel Novecento. Analogamente, non saranno gli eventuali otto Tornado e qualche centinaio soldati italiani a stanare Bin Laden. Ma d'altra parte la conicità della coppia Fini/Berlusconi è affatto tragica per scaturire sane risate.
Sicché, torniamo a Totò e Peppino. Malgrado tutto, nella vita privata non furono amici e sulla scena furono moderatamente invidiosi l'uno dell'altro. Salvo che intuirono la necessità di poter far convivere sul set con esiti straordinari due facce della stessa medaglia E in questo sta la loro grandezza poiché, si sa, a teatro vanità e invidia sono difficilissimi da superare. Ma il loro compendio d'identità italiana durò poco, in termini di tempo: ha vita breve l'idillio del furbo che s'allea con lo scemo pensando di garantire così l'interesse comune, per il semplice fatto che la storia, a prescindere, fa il suo corso «sopra» il popolo. Ad Arlecchino e a Pulcinella resta giusto la possibilità ai riciclarsi, di studiare la nuova realtà e fame nuove caricature, trovarvi nuovi antidoti Dopo Totò e Peppino vennero Gassman e Sordi, s’è detto, e poi Benigni e Troisi: stesso meccanismo, stesso successo, stessa storia, stessa Italia. Ricorderete di certo che la scena (straordinaria) della lettera concepita da Totò e Peppino in Totò, Peppino e ...la malafemmina è stata oggetto di un omaggio (altrettanto straordinario) di Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere.
Mentre il libretto accluso offre qualche testimonianza sfusa sui due comici, la videocassetta Einaudi propone gustosi spezzoni dai due film suddetti, poi da Totò, Peppino e le fanatiche, Totò e Peppino divisi a Berlino, Totò, Peppino e ...la dolce vita, Signori si nasce, Totò, Peppino e i fuorilegge, Totò e le donne e da La cambiale. Ma di quest 'ultimo omette una scena che ha quasi il dono della preveggenza: quella in cui un imprenditore di dubbia moralità (Arnoldo Tieri) spiega a Totò come e perché vantare fama e fortuna (soprattutto se non le si ha) è il modo migliore per far sì che gli altri ti assicurino davvero fama e fortuna. Solo che questo leader politico nostrano ante litteram nel film finisce in galera: a differenza della comicità, la realtà non ha bisogno di mostrarsi verosimile.
Nicola Fano, «L'Unità», 26 ottobre 2001
Nicola Fano, «L'Unità», 26 ottobre 2001 |
Riferimenti e bibliografie:
Curatore: Lello Arena e Alberto Anile
Editore: Einaudi
Collana: Einaudi - Stile libero Video
Codice EAN: 9788806159443
Anno edizione: 2001
Anno pubblicazione: 2001
Dati: IX-126 p.