Totò, il genio irresistibile della comicità italiana
Per i lettori del «Corriere della Sera» in offerta una serie di cassette con il meglio del principe della risata. Riscoperto negli ami 70, ma in verità mai sottovalutato: in 15 film la più grande maschera del nostro cinema
Forse sarebbe ora di finirla con la storia di Totò genio incompreso e sottovalutato, costretto per tutta la vita a recitare in «filmetti dozzinali» dove la sua arte non poteva esprimersi appieno. Ma mi faccia il piacere... ci suggerirebbe di dire lui, «sua Altezza Imperiale Antonio Porfirogenito della stirpe Costantiniana dei Focas Angelo Flavio Ducas Comneno di Bisanzio, principe di Officia, di Macedonia, di Dardania, di Tessaglia, del Ponto, di Moldava, di Illiria, del Peloponneso, duca di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo, eccetera eccetera».
IL RILANCIO — E’ dal 1971, dai tempi di una casuale e felice ripresa di Totò a colori al cinema La Fenice di Milano (il gestore aveva lavorato in gioventù nel mondo della rivista, anche con Totò) che l'ammirazione e il rispetto per il più grande comico italiano del secolo scorso vanno di pari passo con la sua esaltazione critica. E anche lui vivo, gli estimatori non mancavano di certo: rileggere Giuseppe Marotta, rileggere Vittorio Spinazzola, Sandro De Feo (che lo definì «il Picasso della risata»), Robert Benayoun, Cesare Zavattinì, Umberto Barbaro (che aveva cominciato ad apprezzarlo nel 1933, quando calcava ancora solo i palcoscenici della rivista). Per non parlare di Tullio De Mauro che, Totò ancora vivo e vegeto, gli riconosceva un ruolo non secondario nella sua Storia linguistica dell'Italia unita.
LA CONTROPROVA — Qualcuno non l’aveva amato? Qualcuno non l’aveva capito? Verrebbe da dire: peggio per lui. La grandezza di Totò è impossibile da mettere in discussione e le 15 cassette che il Corriere della Sera offrirà ogni lunedì ai lettori (si comincia lunedì con l'inarrivabile Totò, Peppino e la... malafemmina, in regalo a tutti gli acquirenti del quotidiano) serviranno per l’ennesima controprova. Per chi, troppo giovane, non lo conosce ancora e per chi, invece, vuole tornare a ridere sentendo «eschiusmi! Nu vulevon savoir...» oppure «Punto? Due punti! Ma sì, fai vedere che abbondiamo! Abbondantis in abbondandum! ».
Diversamente da tanti comici anche importanti che hanno piegato i canovacci, o le sceneggiature, per adattarli ai propri personaggi (lo sbruffone, il qualunquista, l’arrogante, il pavido), Totò si è identificato totalmente con la maschera che si era scelto, quella del popolano costretto a fare i conti con i bisogni primari dell’Uomo, la lotta per soddisfare la fame (di cibo, ma anche di sesso),l’aspirazione al benessere piccolo-borghese, la furbizia come spontanea «arte di arrangiarsi», la coscienza dei propri limiti (anche fisici: che altro significava, altrimenti, la sua «riduzione» a marionetta?). In una parola, Totò era l’Italia sconfitta eppur vitale che cercava di uscire dal Fascismo e dimenticare la guerra sognando di un irraggiungibile Boom. Totò era la nostra Storia, il nostro specchio dei desideri...
Per questo qualcuno finì per non capire i suoi film. Perché guardava alla trama (risibile) e non alla maschera (grandissima), perché privilegiava l’ideologia e non l’arte. Ma per questo Visconti voleva fare con Totò una storia di Petito, il più grande Pulcinella dell’Ottocento napoletano. Per questo Totò accettò le offerte di Pasolini, da cui tutto poteva dividerlo (anche l’eleganza e la raffinatezza: dopo la prima visita a casa sua, Totò irrorò di profumo le poltrone su cui si erano seduti il regista e Ninetto Davoli). E per questo non andarono mai in porto le speranze di fare un film con Fellini: il regista riminese aveva capito che avrebbe dovuto stravolgere troppo la maschera per farla entrare in uno dei suoi personaggi...
Totò aveva bisogno di mano libera, di non dover seguire le virgole della sceneggiatura, aveva bisogno di essere se stesso (non per niente si era formato all’avanspettacolo, dove c’era solo un canovaccio e la comicità nasceva dall’affiatamento con la «spalla»),
LEGGENDA — Forse è vero, forse no, ma la leggenda che racconta dei suoi interminabili duetti con Fabrizi, ognuno cercando di inventarsi una controreplica per avere l’ultima battuta, mentre la macchina da presa continua a girare (e la troupe, regista in testa, cercava di soffocare le risate) la dice lunga sulla sua natura di attore totale, assoluto, che si dava senza risparmiarsi anche in quelli che venivano definiti «filmetti dozzinali» dai Catoni con la puzza sotto il naso.
La sua irripetibile comicità nasce dall’incontro tra una tradizione grandissima (la scuola napoletana dei De Marco, dei Viviani, degli Eduardo trapiantata nella palestra del Tria-non e dell’Eden di Napoli, del Salone Elena e dello Jovinelli di Roma, e dei mille palcoscenici d’avanspettacolo in giro per l’Italia) e la capacità di interpretare i bisogni più nascosti di un popolo intero, la sua voglia di rispetto e la sua carica di ironia. E insieme la capacità di stravolgerli, metterli in burla. Anche con crudezza, anche con cattiveria. Mai con condiscendenza o indulgenza.
Paolo Mereghetti
La nipote Diana: «in famiglia parliamo ancora come il nonno»
A 36 anni dalla morte si continua a ridere con Totò, a parlare di Totò, il pubblico di tutto il mondo rivede i suoi film e si diverte ancora col principe De Curtis Gagliardi Griffo Focas Comneno di Bisanzio. Lo zoccolo duro degli ammiratori resta in famiglia: la moglie Diana, 86 anni, capoclasse; la figlia Liliana e i tre figli Antonello, Diana, Elena con i 4 bisnipoti, tutti fan. «Che nonno straordinario era, il genio resiste al tempo», dice con entusiasmo la nipote Diana de Curtis. «L'ho conosciuto a 11 anni. Molto tradizionale, tenero, bonariamente severo, attentissimo alla famiglia: anche se faceva cinque film all’anno, non dimenticava una ricorrenza, un compleanno».
Raccontava il cinema a voi?
«Mai. Erano mondi separati. In casa era solo il Nonno all’italiana: parlava di famiglia, ci chiedeva dei compiti, ci insegnava le regole di comportamento, ci accompagnava alle feste e noi gli facevamo trovare la poesia di Natale sotto l’albero, tutto secondo programma».
E voi nipotini vedevate i suoi film?
«Quasi mai, talvolta nella saletta privata del papà produttore. La tv non avevamo il permesso di vederla: siamo stati educati in modo molto severo, neanche Carosello».
Quando avete scoperto i film del nonno?
«Crescendo. Ci sono piaciuti subito molto e ogni volta che li rivedo scopro particolari inediti, sorprese. Amo in particolare Miseria e nobiltà, Guardie e ladri. Arrangiatevi e gli straordinari episodi di Pasolini».
Cosa vi racconta la nonna?
«E’ sempre innamorata del suo Totò. Parla del controllo che lui aveva sul pubblico: sapeva come, quanto, a che punto farlo ridere in ogni situazione. Sono stata in America con una sua rassegna e ho sentito ridere gli americani purosangue come fossero napoletani».
E’ lei oggi che, a nome della nuova generazione, racconta l’avventura del personaggio: come?
«La bellissima iniziativa delle cassette del Corriere cade in un momento in cui i festeggiamenti in suo onore si moltiplicano. A Roma c’è una mostra che occupa 450 metri all’Università della Sapienza, con fotografie, oggetti, abiti di scena».
Oggetti che andranno per il mondo?
«Siamo stati in America, in Turchia, in Inghilterra, ora giriamo l'Italia e facciamo una crociera nel nome di Totò che partirà da Napoli il 10 novembre, dove si farà animazione alla sua maniera e si proietteranno i suoi film; dopo aver toccato da Barcellona a Marsiglia, arriverà a Genova dove il busto di Totò sarà sistemato al Politeama Genovese e la mostra a Palazzo Ducale: un teatro e una città che egli amava molto, ci andava anche per le vacanze».
Ci sono ancora inediti di suo nonno?
«Abbiamo ancora alcune canzoni e poesie ma le daremo a suo tempo, per ora no».
Come si ricorda Totò oggi in famiglia?
«Parliamo tutti e sempre come lui. Mamma dice di essere la sua controfigura e noi i suoi cloni, ripetiamo ogni giorno le sue battute guardandoci negli occhi recitando "cuoco, che bella parola" ».
E poi c’è una curiosa notizia: il 18 ottobre, alla chiusura delle Giornate del cinema Muto di Pordenone, una poesia d’amore di Totò sarà musicata da Giuni Russo, inedita combinazione. Commenterà con altre musiche napoletane le immagini di un’inedita e fortunosamente ritrovata opera di Roberto Roberti, padre di Sergio Leone. Il film è Napoli che canta, le cui tre vecchie bobine sono state regalate da una signora americana che le aveva ricevute in custodia dopo l’allontanamento dall’Italia, trafugate da un parente. Pare che Mussolini non amasse l’opera che mostrava la Napoli della miseria».
Maurizio Porro
Paolo Mereghetti e Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 3 ottobre 2003 |