Il cuore generoso del principe, in arte Totò
Dopo Alberto Sordi, desidero occuparmi questa settimana del Principe Antonio de Curtis, in arte Totò. Ogni volta che finiva un film distribuiva soldi alle maestranza. Con Pasolini però...
È stata e rimane una mia grande passione. Dico subito che ho comprato tutte le cassette dei suoi film. “Guardie e ladri”, con Aldo Fabrizi, credo di averlo visto al cinema, quando uscì, almeno cinque volte. Era talmente forte la mia passione per Totò, che su “Tv Sorrisi e Canzoni” del 13 agosto 1959 scrissi un lungo articolo sul Principe, raccontando che stava migliorando dopo la malattia che lo aveva colpito agli occhi e che pensava a un festival di “canzoni in salotto”.
Questo articolo nacque anche dal fatto che, da un po’ di tempo, ero entrato nelle sue simpatie, dopo che gli avevo fatto una intervista per un settimanale femminile, quindi mi invitava spesso a casa sua, ai Parioli. Mi dimostrava simpatia, mi raccontava i suoi inizi, quando nel quartiere lo chiamavano “o spione”, dato che guardava sempre dalla finestra quello che facevano gli altri.
Sempre durante quegli incontri, però, non sono riuscito a estorcergli una confidenza: per chi aveva scritto la sua magnifica canzone “Malafemmena”. Se ne son dette di tutti i colori: dedicata a Silvana Pampanini, a Franca Marzi, un’altra attrice degli anni di Totò, alla sua prima moglie o a sua figlia Liliana de Curtis. Non lo ha mai confessato.
A proposito di quelle mie “visite” nella sua abitazione, ricordo che quando ebbe problemi alla vista, la moglie, Franca Faldini, gli leggeva il quotidiano dalla prima all’ultima parola. In quella casa Totò mi raccontò poi che erano venuti Pier Paolo Pasolini e Ninetto Davoli per proporgli “Uccellacci e uccellini”. Sorridendo, ma non tanto, mi confidò che quando erano andati via aveva spolverato il divano.
Era soltanto una battuta, perché Totò capì subito che, con “Uccellacci e uccellini”, stava interpretando un capolavoro firmato da un grande regista come Pasolini. Però manteneva il punto e, chiamandolo durante la lavorazione del film, gli chiesi: «Scusi, Principe, ma come vanno le riprese di “Uccellacci e uccellini”?». E lui mi rispose: «Sa, noi attori siamo come i taxisti, andiamo dove il cliente vuole». Lo chiamai “Principe”, perché capii che ci teneva in qualche modo ad essere chiamato così. Forse soltanto Mario Castellani e Carlo Croccolo (il primo di più, il secondo di meno), che sono state due storiche “spalle” davanti alla macchina da presa, lo chiamavano “Totò”. Se la memoria non mi inganna, lo chiamava “Totò” anche un regista che lo ha diretto molte volte, Camillo Mastrocinque. D’altra parte era già Totò quando si venne a sapere che era un principe. Si ironizzò in quegli anni e si disse che era un principe, sì, ma della risata. In realtà lui aveva in qualche modo riscattato il titolo nobiliare, che perciò gli spettava.
Ho parlato prima di Mario Castellani, che è stato una sua storica “spalla”. Ricordate la famosa scenetta dove Totò, in vagone letto, butta le valigie di un altro passeggero (per l’appunto Castellani) dal finestrino? Castellani vestiva il ruolo dell’onorevole Trombetta, e Totò si rifiutava di dargli la mano e gli offriva solo il mignolo? Ecco, oltre a fargli da spalla, Castellani aveva un compito importante: prima di girare ogni scena, si sedeva accanto a Totò e, con dolcezza, gli faceva ripassare la scena da interpretare.
A proposito di Totò e del set cinematografico, più persone mi hanno parlato della sua generosità. Mi hanno raccontato che, a ogni fine film, regalava soldi alle maestranze. Non solo: se durante la lavorazione veniva a sapere che un tecnico aveva, per esempio, problemi con un figlio malato, lui lo chiamava e cercava di aiutarlo economicamente. Sì, grande generosità insieme a grande malinconia. L’ho scritto molte volte che i grandi comici che ho avuto la fortuna di incontrare, diventando loro amico, mi hanno sempre mostrato la faccia malinconica.
Sempre a casa sua, quando erano gli anni musicalmente “fracassoni”, mi confidò: «La canzone in altri tempi serviva per fare le serenate, per conquistare il cuore delle ragazze. Adesso le serenate si fanno solo per innamorate sorde». Era evidente l’allusione alla musica rumorosa di quegli anni. Mi disse anche che lui le canzoni, spesso parole e musica, amava scriverle di notte.
In conclusione devo dire che mi dispiace che Totò non abbia mai potuto partecipare ad alcuno dei miei programmi televisivi o radiofonici, perché quando l’ho conosciuto ero un giornalista della carta stampata. Penso che si debba essere orgogliosi, in Italia, per aver avuto un attore come Antonio de Curtis, in arte Totò.
P.S. Dimenticavo: a casa e in ufficio ho due fotografie incorniciate (quelle di questo servizio, ndr) che mi ritraggono con Totò, tanti anni fa.
Maurizio Costanzo, «Sorrisi e Canzoni TV», 20 giugno 2019
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Maurizio Costanzo, «Sorrisi e Canzoni TV», 20 giugno 2019 |