Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1935
Totò
Articoli d'epoca, anno 1935
Antonio e Diana, un amore difficile
50 milioni... C'è da impazzire! (1935)
Una terribile notte (1935)
Belle o brutte mi piaccion tutte! (1935)
Don Chisciotte (1935)
E' fissata per gli spettacoli di oggi dalle 16, la prima rappresentazione in Italia della novità «La mummia vivente», rivista in due parti e 16 quadri di Bel Ami e Tramonti che è di vivo Interesso per gli argomenti d'attualità e per la tipica comica figura che interpreterà Totò. Il lavoro è stato allestito con ricchezza di scenari e di costumi. Della novità saranno interpreti principali, oltre Totò, la Clely Fiamma, il Sinaz, Panchetti, Inglese con i due corpi di ballo.
«Il Messaggero», 8 gennaio 1935
All'ELISEO, La compagnia Totò il cui successo si è rinnovato ieri calorosissimo a teatri gremiti di pubblico plaudente, annuncia per gli spettacoli di oggi dalle 16:00 in poi le prime rappresentazioni della comicissima rivista due parti e 16 quadri di Tramonti La Vergine indiana allestita con grande sfarzo di scenari e di costumi. Fervono le prove dell'attesa novità di Tramonti e Inglese Belle o brutte mi piacciono tutte alla quale attende lo stesso Totò con amorevole cura.
«Il Messaggero», 13 gennaio 1935
Ieri sera all'Eliseo la compagnia Totò ha riportato un vivissimo successo con la nuova rivista di Tramonti e Inglese Belle o brutte mi piacciono tutte. E' stato un continuo scroscio di risate da parte del pubblico che gremiva l'elegante teatro. Bisogna convenire che Paolo Tramonti e Italo Inglese hanno saputo consegnare una rivista nella quale ci sono tutti i numeri per piacere e divertire. Totò si è presentato nelle vesti di un innamorato che ne combina di ogni colore pur di avvicinare le donne del suo cuore.
Ed è così che per amore devi improvvisarsi manichino nella casa di un sarto la cui moglie è oggetto delle sue brame e dalla pericolosa situazione riesce a liberarsi con un tratto di paradossale comicità che ha assai divertito il pubblico, così di seguito di disavventura in disavventura, fino a che, sempre per amore, è costretto ad improvvisarsi odontoiatra ai danni di un malcapitato che nottetempo ha bussato alla casa di un dentista assente. Il pubblico s'è spassato un mondo ed ha rimeritato degli applausi più calorosi l'eccellente Totò ed i suoi bravi compagni. La rivista è stata presentata con un bel contorno di quadri coreografici suggestivi ed eleganti e con numerose danze vivaci. Applausi a non finire e da oggi le repliche.
«Il Messaggero», 19 gennaio 1935
A teatri affollatissimi, la compagnia Totò ha rappresentata la divertente rivista di Paolo Tramonti, La banda delle gialle, ricca di quadri gustosissimi e di coreografie indovinate. Totò vi ha signoreggiato dalla prima all'ultima scena con la sua comicità paradossale ed è stato ripetutamente applaudito unitamente ai principali suoi collaboratori tra cui vanno ricordati la Clely Fiamma, Dora Barsi,. Memo Sinaz, Italo Inglese, Cantalamessa. Panchetti, non escluso il corpo di bailo. Oggi delle 16 In poi altre repliche.
«Il Messaggero», 29 gennaio 1935
La compagnia Totò ha inscenata ieri la terza novità della stagione: la rivista di Mario Mangini Una terribile notte. Il lavoro vuol essere una garbata satira del genere giallo e l’inizio, infatti, ha tutte le caratteristiche del classico dramma giallo vale a dire una seduta spiritica nel corso della quale, profittando del buio, qualcuno uccide la moglie del padrone di casa: a rendere ancor più misteriosa la faccenda il cadavere non si trova. Ed ecco che ad accingersi a dissipare l'imbrogliata mutala si offrono due Improvvisati poliziotti. Va da se che, essendo uno dei due Totò, lo svolgimento assume subito un andamento paradossale e grottesco con un susseguirsi di scene comiche divertentissime, di qui pro quo. di misteriosi trabocchetti che inghiottono persone per restituire cadaveri, danze di scheletri, spettri vaganti e via dicendo.
La compagnia Totò ha presentata la interessante e piacevole novità in una ricca e suggestiva cornice scenica, con il bel complemento di numerose e riuscite danze. Attorno a Totò esilarante come sempre si sono fatti vivamente applaudire Clely Fiamma, il bravo Sinaz, Italo Inglese la Bersi e tutti gli altri. Il pubblico ha rivolto calorosi applausi a tutti decretando al lavoro il più cordiale successo. Da oggi le repliche.
«Il Messaggero», 2 febbraio 1935
All'ELISEO, con gli spettacoli di oggi alle 15 in poi, la compagnia Totò darà le ultime definitive repliche della parodia gialla di Mangini Una terribile notte che anche ieri ha riportato un vivo successo. Per domani lunedi è annunciata la gaia rivista di Tramonti Fra dive stelle e un pazzo, una delle più divertenti riviste di Totò. Fervono alacremente le prove dell'attesissima novità di Bel Ami Don Chisciotte, parodia in molti quadri, che sarà allestita con ricchezza di scenari e di costumi.
«Il Messaggero», 10 febbraio 1935
Come ultima novità della stagione Totò ha presentato ieri una piacevole e fantasiosa parodia tratta dall'immortale lavoro di Cervantes: Don Chisciotte della Mancia dovuta alla collaborazione di Bel Ami e di Paolo Tramonti, ch'è poi lo stesso Totò.
Naturalmente i due autori hanno tratto dal romanzo cavalleresco quegli episodi che meglio si prestavano alla realizzazione scenica e offrivano maggiori possibilità comiche. Totò era naturalmente Don Chisciotte e mai parte si era fino ad oggi adattata allo spassoso comico come quella del Cavaliere della triste figura sempre in cerca di avventure atte a far rifulgere il suo valore agli occhi dell'amata Dulcinea. Tra i molti episodi sceneggiati con spigliato umorismo dai due autori rammentiamo quello dei Mulini a vento, quello molto comico dell'Osteria dei briganti ed infine quello del Cavadenti i quali, meglio degli altri, hanno esilarato il pubblico foltissimo. Lo spettacolo è stato posto in scena con una ricchezza di scenari e di costumi dell'epoca veramente encomiabile. [...]
«Il Messaggero», 16 febbraio 1935
Totò darà il suo addio con gli spettacoli festivi dalle 15 in poi replicando «I tre moschettieri», la divertente fantasia parodistica che ieri a teatri gremiti, in occasione della serata in suo onore, ha riportato il consueto successo d'ilarità.
Particolarmente festeggiato è stato Totò al quale il pubblico ha tributato applausi affettuosi. [...]
«Il Messaggero», 5 marzo 1935
AL PRINCIPE la compagnia di riviste Totò annuncia per gli spettacoli di oggi dalle 16 le prime rappresentazioni della seconda novità della stagione «Questo non è sonoro», rivista comicissima in 16 quadri di Tramonti e Bel Amy.
«Il Messaggero», 1 maggio 1935
AL TEATRO FERRARIO - Maria Melato ha dato la sua serata d’onore ieri sera rappresentando « La donna nuda » di Bataille in una magnifica interpretazione die le ha procurato applausi calorosissimi a scena aperta e alla fine di ogni atto. Questa sera la Compagnia Melato-Mari ha dato « Fedora » di Sardou e domani sera si congederà dal nostro pubblico avendo terminata la sua fortunata stagione a Salsomaggiore. A richiesta verrà nuovamente rappresentato' « Canada »> di- Cesare Giulio Viola.
Lunedì sera si avrà il debutto della Compagnia di riviste diretta da Totò.
«Gazzetta di Parma», 22 settembre 1935
AL TEATRO FERRARIO - Ha felicemente debuttato l'altra sera la Compagnia di Riviste diretta da Totò e della quale fa parte Clely Fiamma. E' stata, rappresentata con successo la rivista « Se quell’evaso io fossi » alla quale hanno seguito ieri sera la super- rivinta « Belle o brutte, mi piaccion tutte» e questa sera « I tre moschettieri ». Si sono fatti assai applaudire Totò, la graziosa ed elegante Clely Fiamma, Guglielmo Sinaz, Ugo Ranzato, Lena Bellocchio, Fedora Marsali, Emma Sinaz, Bianca Mandez, Giugliemo Inglese. Mario Panchesti e B. Cantalamela. Assai, ammirati i buonissimi numeri che fanno parte dello spettacolo e cioè; la ballerina solista Anny Wilson, la ballerina contorsionista acrobata Iris Wagner, il duo Hilde, il trio Saba e il duo Inmas. Ottimo ed elegante ii corpo di ballo composto da 18 ballerine italo-tedestehe dirette dalla coreografa Wiky Meran. Bene l'orchestra sotto la direzione del maestro Carlo Ferrari e con l'eccellente batterista Tresacco. Successo quindi completo con applausi calorosissimi e molti bis.
«Gazzetta di Parma», 26 settembre 1935
AL TEATRO FERRARIO - La simpaticissima Clely Fiamma ha data la sua serata d’onore con la rivista «Questo non è sonoro» facendosi assai ammirare per la sua vivacità, il suo brio indiavolato e la sua eleganza. Tra il primo e il secondo atto la bionda e graziosa soubrette ha eseguito alcuni numeri di canto e danze del suo repertorio raccogliendo altri applausi calorosissimi e copiosi omaggi di fiori. Questa sera ha data la propria serata d’onore, Totò il brillantissimo comico che in queste sue recide si è accattivato tutte le simpatie del nostro pubblico.
E' stata rappresentata con molto successo la rivista «La vergine indiana». Totò e Clely Fiamma vi sono applauditissimi. Martedì 1o ottobre debutterà al Ferrario la Compagnia Veneta di Gigi Micheluzzl della quale fanno parte Pina Bertoncello e Margherita Seguin. Verrà rappresentata la nota commedia «Zente refada» di Giacinto Gallina.
«Gazzetta di Parma», 29 settembre 1935
LA SERATA DELLA MODA - Per iniziativa del Dopolavoro locale ieri sera al Teatro Ferrario ha avuto luogo una interessante manifestazione di alta moda italiana con presentazione di nuovissimi modelli autunno-inverno 1935-36, di creazione di una nota Casa torinese. Allo spettacolo ha assistito un pubblico numeroso che ha ammirato le magnifiche toilettes presentate e la grazia... delle gentili presentatrici, applaudendole ad ogni loro comparsa. La serata della moda che ha avuto piena riuscita è stata completata da esecuzioni musicali dell’orchestra delle Regie Terme, gentilmente concessa, e dalla rappresentazione di una brillante farsa eseguita da elementi della compagnia di riviste diretta da Totò.
«Gazzetta di Parma», 2 ottobre 1935
TRIANON — La Compagnia di riviste Totò ha iniziato ieri un corso di recite con «Se quell'evaso io fossi», di Bel Ami. Molto pubblico e festosissime accoglienze alle allegre trovate di Totò e all’affiatamento di tutti i suoi compagni.
«Corriere della Sera», 22 ottobre 1935
TRIANON — Cinquanta milioni, c'è da impazzire, la nuova rivista di Inglese e Tramonti rappresentata ieri sera con successo dalla Compagnia di Totò è una bizzarria che attraverso divertenti parodie di drammi gialli e di truculento banditismo offre il destro a una sequenza di quadri, di cui la danza è quasi sempre protagonista. La comicità di Totò e le brillanti agilità di Clely Fiamma ebbero festosissime accoglienze, e la rivista si replica.
«Corriere della Sera», 25 ottobre 1935
TRIANON — Quante risate ha suscitato ieri il comico Totò con la sua dinoccolata buffoneria e con le sue divertenti burle musicali! La rivista di Inglese e Tramonti «Belle e brutte mi piaccion tutte» che gli ha dato i pretesti per i suoi scherzi ha diviso con lui e col suol volonterosi attori gli applausi calorosi del pubblico. Lo spettacolo si replica.
«Corriere della Sera», 29 ottobre 1935
TRIANON — Domani la Compagnia del comico Totò darà una nuova rivista: «I tre moschettieri», di Mangini e Tramonti.
«Corriere della Sera», 3 novembre 1935
TRIANON — Un’altra rivista «La vergine indiana» di Tramonti che cuce e fonde abilmente motivi di altre riviste ha fatto applaudire ieri sera la Compagnia di Totò il quale s'è prodigato in svariate e indiavolate lepidezze.
«Corriere della Sera», 9 novembre 1935
TRIANON — Un’altra rivista La banda delle Gialle di B. Tramonti, vicenda di buffonerie tradizionali, rinfrescate con disinvolta briosità, ha fatto applaudire ieri sera la Compagnia di Totò per merito soprattutto di questo comico e della elegante vivacità di Clely Fiamma. Oggi la rivista si replica nel due spettacoli.
«Corriere della Sera», 12 novembre 1935
TRIANON — Oggi, con «Se quell'evaso io fossi» di Tramonti e Bel Ami, terminerà le sue reclte la Compagnia di Totò; le succederà domani la Compagnia di Riviste Imperiale con una novità: Passaporto rosa, di Ripp.
«Corriere della Sera», 17 novembre 1935
Altri artisti
Quando Harpagon scopre che gli sono stati rubati i diecimila scudi che teneva sotterrati in giardino grida: « Al ladro! al ladro! all’assassino! all'omicida! giustizia! giusto ciclo! sono perduto, sono assassinato; ini hanno sgozzato; mi hanno rubato il mio denaro. Chi può essere? Chi è venuto? Dov’è? Dove si nasconde? Che farò per trovarlo? Dove correre? Non è forse là? Non è forse qui? Chi è questo? Ferma. (A se stesso, prendendosi per il braccio:) Rendimi il mio denaro, mascalzone... Ah, sono io! la mia mente è turbata c non so più dove sono, chi sono c quel che faccio... ». È questo, probabilmente, il caso più evidente fra i tanti in cui Molière sforza la verità della vita, scavalca imperturbabile i limiti di ogni umana verisimiglianza e s’affida coti tutta sicurezza alla finzione. Lo straordinario di questo procedimento è che il pubblico che assiste alla scena, la scena madre dell’avaro, recitata da un grande attore, e lo stesso Molière fu appunto l’attore che interpretò Harpagon nella prima rappresentazione della commedia il 9 settembre 1668 a Parigi, il pubblico, dico, non avverte la più piccola incongnienza che urti con lo svolgimento logico di tutta la trama, deformandone la realtà, E' in ciò che si manifesta la tecnica esemplare del commediografo che consiste in primo luogo a calcolare la misura giusta per la quale la prospettiva scenica differisce dalla prospettiva reale.
Nell’opera di Molière esempi di questo genere, se pure non tanto scoperti, se ne potrebbero elencare un numero infinito. Cosi l’ingresso in scena di nuovi personaggi ha luogo spessissimo mediante espedienti poco verosimili o, almeno, poco comuni; quando c’è bisogno di far entrare in azione una data persona, ecco che quella capita sempre come per caso nel momento buono: George Dandin vuole andare a lamentarsi col padre e colla madre della propria moglie, e a farli testimoni dei dispiaceri che gli procura la loro figlia, « ma eccoli tutti e due molto a proposito ». E così via. Non parliamo poi degli equivoci clic sorgono durante alcuni dialoghi centrali, i fatali qui prò quo incredibili nella vita di tutti i giorni, sui quali invece s’impernia l’intero intreccio di molte delle sue più belle e più famose commedie.
Si tratta, del resto, di risorse tecniche comuni a tutta l’arte scenica, da Plauto in poi, che Molière adotta utilizzando talvolta di sana pianta espedienti e situazioni già sfruttate in modo pressoché identico da altri, c in lui, caso mai, la più consumata maestria risiede nella perfetta giustapposizione per cui l’alterazione artistica torna a coincidere coti la realtà nel giuoco della ribalta. Egli, d’altronde, ne è pienamente consapevole quando, lamentandosi di esser stato costretto da un contratto firmato inconsideratamente a dare alle stampe Le smorfiose ridicole-, scrive: « Non è ch’io voglia fare qui l’autore modesto c ripudiare la mia commedia. Offenderei inopportunamente tutta Parigi se l’accusassi di aver potuto applaudire una sciocchezza; poiché il pubblico è il giudice assoluto di questa specie d’opere, sarebbe un’impertinenza da parte mia smentirlo; e quand’anche avessi avuto la peggior opinione del mondo sulle mie Smorfiose ridicole prima della loro rappresentazione, devo credere ora che esse valgono qualcosa, posto che tanta gente insieme ne ha detto bene. Ma poiché una gran parte dei meriti che vi sono stati trovati dipende dall’azione e dal tono della voce, m’importava che non venissero spogliate di questi ornamenti. Avevo deciso, voglio dire, di non farle vedere che al lume delle candele ». E in queste parole è espressa come più chiara non potrebbe essere la convinzione di Molière che l’opera teatrale, composta con la tecnica che particolarmente le si conviene, deve essere destinata soltanto alla rappresentazione alla luce delle ribalte, mediante l’interpretazione degli attori, ed è un errore credere che esso possa resistere alla pubblicazione come un’altra opera letteraria qualsiasi.
Per Molière, insomma, il « tono della voce » e il «lume delle candele» sono i due elementi, la collaborazione dei quali è indispensabile al commediografo; ed è quanto dire che egli metteva su uno stesso piano, addirittura quello su cui si trova l’autore, tanto il contributo dell’attore quanto quello della regìa, che altro non significano le due espressioni da noi riportate. Altre ed ancor più importanti considerazioni ci potrebbe suggerire l’opera esemplare di Molière, la sua inflessibile morale, e tutte assai profìcue a chi voglia ragionare sulle diseredate sorti del meschino teatro borghese contemporanco. Ma per ora vogliamo limitare l’esame a questi pochi particolari di ordine strettamente tecnico, i quali, tuttavia, non sono meno propizi allo stesso fine.
Perchè, appunto, il teatro borghese dei nostri giorni, anche quando porta sulle scene i giuochi di bussolotti delle paradossali psicologie, s’affida ad una tecnica veristica che non regge alla deformazione della ribalta. È un teatro in cui non c’è posto per le grandi interpretazioni che fanno apparir reali le situazioni inverosimili, ma che anzi esige una recitazione ricalcata sulla conversazione della vita spicciola. È, peggio ancora, un teatro per esser pubblicato in volume e letto a casa propria. È un teatro che non tien conto delle alterazioni d’angolo prospettico proprie dello spettacolo, ossia non è più teatro.
Non per nulla Punico grande attore vivente oggi in Italia, il solo clic possiede un autentico temperamento teatrale, istrione e artista consumatissimo ad un tempo, ha raggiunto il suo capolavoro interpretando Molière: intendo dire di Petrolini.
Sandro Volta, «Il Dramma», 1935
Era lui che parlava, Petrolini, e mi diceva : « Quando ero ragazzo, che mi imbattevo in un mortorio, mi ficcavo senz'altro dietro il feretro tra i piedi dei parenti in lacrime e seguivo la cassa per un buon tratto. Il mio volto si faceva subito funereo, il mio atteggiamento affranto e piangevo, piangevo... da far invidia alle grondaie. Sentivo la gente dietro che sospirava: ,"Ma guardalo, poverino... Chissà chi è... Forse il figlio... Eh, certo, non può essere che il figlio a soffrire così... Povera creatura!..." E io giù a singhiozzare, a stralunare gli occhi, a camminar e gobbo. Poi, quando ero stanco di far la commedia, me n’andavo con una scrollatina di spalle, magari ridendo, magari facendo gli sberleffi a coloro che mi avevano compianto... Ero amianto di me, contento di aver recitalo bene... Perchè io ho incominciato a recitare allora, e la gente dei funerali è stato il mio primo pubblico... E tutti ho mai preso neanche una pedata, come pia tardi, a me, Petrolini, nessuno mi ha fischiato mai... ».
Ritratti « quasi veri », ma questo che il nostro Ettore si è fatto da se allo specchio della memoria è quanto di più parlante e rivelatore si possa immaginare. Chi l’ha visto recitare sotto il trucco di parrucca baffi barba naso ceroni e ha sottolineato la gioia monellesca con cui alla fine dell’atto egli si strappa di dosso ogni cosa per sgranare in faccia al pubblico che batte le mani la sua risata vera, ne sa qualcosa. Quel ragazzo è diventato celebre, si è fatto applaudire in tutto il mondo, non segue più i funerali, ha messo gli aiuti in un salvadanaio infrangibile ermetico, in modo che nessuno li possa contare, e, neanche lui, ha imparato a conoscere per se quel dolore che gli era statu facile copiare negli altri per burla, ma non è mutato. Se non fosse per quel salvadanaio maledetto che gli ha rubato un po’ di freschezza al volto donandogli in cambio qualche filo bianco nel mogano dei capelli e qualche stretta sghignazzante alle coronarie, egli sarebbe tuttavia quello di allora, tale e quale, contento ogni sera di aver recitato bene, di aver sentito il pubblico cadere nel cappio della sua finzione e di essersi licenziato con uno sberleffo, con un molto clamoroso in cui è bruscamente distrutta l'illusione.
Petrolini usa affermare: « Sissignore, io vengo dal caffè concerto! » e questo, che per certi stomaci delicati è una colpa, per lui e per le persone intelligenti è un titolo d’onore. Potrebbe scriverlo nel proprio stemma il giorno che, sull’esempio di Shakespeare, se ne fabbricasse uno. Dovrebbe inquartarlo col cilindro e i guanti di Gastone, colla parrucca di Amleto, la maschera di Nerone e la chitarra di a Cortile ». I fondi saranno cangianti e incipriati come l’alone del riflettore.
Il camerino di Petrolini è la proiezione fuori di lui del suo mondo intcriore, che è sempre teatro, polveroso colorato zingaresco — caro teatro. Tre quattro nasacci di cartapesta appesi a un chiodo fanno da punto esclamativo a una teoria di parrucche stanche; diecine di baffi di ogni colore e dimensione virgolano il muro nudo presso alla fusciacca di Mustafà; una bautta nera penzola sul sedere liso di un paio di calzoni bigi ai quali è legato un mazzo di palloncini colorali; il frac sonnecchia vicino ai tubi flosci di due calze bianche; il barattolo della vaselina bisogna andarlo a pescare sotto il mucchio delle barbe; la filza dei salamini fa all’amore col manto sgargiante di Nerone ; la scatola dei lapis colorati è aperta sopra una scarpa tra una lanterna da camposanto e un burattino; appoggiata all’armonica c'è la chitarra, sulla chitarra il gibus acciambellato, sul gibus un paio di finti occhiali, una vecchia tromba d’automobile, un vecchio libro, magari le commedie dell’Aretino. E tutto questo si moltiplica nel lampeggiare crudo dello specchio di là del quale un secondo Petrolini, con un asciugamano che pare una tavolozza, si strofina la fronte gli occhi le gote il collo, suda grida ride, taglia i panni addosso al prossimo, si prova a cantare. Scrive le battute delle sue commedie sulle scatole dei cerini, sui margini del giornale, sul primo pezzo di carta che gli capita in mano. Persino sui biglietti di banca. Poi le scatole dei cerini le butta, il giornale lo perde, i quattrini li spende; ma in commedia viene alla luce lo stesso. Mistero!
Non dice mai quanto gli mette in bocca il suggeritore, non c’è verso che risponda agli attori con le parole o col gesto consacrati dalle prove, adora il « suggello » il lazzo il colloquio col pubblico, inventa le scene lì per lì, improvvisa le controscene, semina nei suoi compagni lo sgomento, li spinge alla papera, li frastorna, gli comunica il riso degli spettatori; non di meno le sue commedie vincono sempre. Mistero!
Attacca briga con lutti, fustiga i ritardatari e gli sbafatori, maltratta chi si distrae, rampogna lo sciagurato che — Dio non voglia — s’addormenta, polemizza col critico in poltrona, lui dalla ribalta. E nessuno gli ha mai torto un capello. Mistero dei misteri!
Le sue case sono piene di quadri, di cose belle e raffinale, ma le sue scene non sono mutate gran che da quelle che penso adoperasse Molière: due catinelle, un po’ di carta dipinta. Il teatro è l’attore. Petrolini romano lo sapeva già e non ali dava importanza quando il russo Dancenko ne faceva una teoria da portare nei congressi internazionali. I suoi personaggi classici sono studiati sui documenti del tempo. In Gastone è invece il Tempo, il nostro Tempo, che può studiarsi in lui...
* * *
Nella sua villa a Castel Gandolfo c’è un camino vasto. Certe notti fredde d’autunno qualcuno l’ha sentito cantare sulla chitarra al lume del solo focolare. E più d'uno l’ha visto piangere.
Eugenio Bertuetti, «Il Dramma», 1935
«Il Dramma», 1935