Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1947
Indice della rassegna stampa dei film per l'anno 1947
I due orfanelli (Distribuzione 26 novembre 1947)
Totò
Articoli d'epoca, anno 1947
La vergine di Tripoli, Totò doppiatore
Totò al Lirico - Gli occhi più disillusi del mondo
Tutti bravi, se ci fanno ridere
Totò dorme come Adamo
Totò racconta: a Barcellona non dormono mai
I due orfanelli (1947)
Milano, marzo 1947
Il pubblico che gremiva ieri sera Il teatro Lirico ha tributato festose accoglienze al comico Totò che riappariva nella nuova divertente rivista di Nelli e Mangini «Ma se ci toccano nel nostro debole». In essa si alternano satirette politiche a quadri coreografici di grazioso effetto multicolore. Parecchi sono assai belli a vedersi, grazie alla vivacità della Compagnia e alla intelligente finezza delle scene e del costumi ideati da Vera. «Le fanciulle del West » e « Addio del passato » sono tra i quadri migliori. Ad essi vanno aggiunti i due finali, di sfarzoso risalto. Anche tutto il resto dello spettacolo ha avuto buon incontro. Totò è stato comicissimo e applaudissimo e ha suscitato ilarità con i suoi vorticosi finali delle parti. Vera Worth ha cantato e danzato brillantemente ed è stata molto applaudita. La Matania ha pure cantato e ballato con garbo ed eleganza. Il Gainottl, il Castellani e gli altri si sono prodigati senza risparmio. Stasera replica.
«Corriere della Sera», 7 marzo 1947
Totò al Lirico - Gli occhi più disillusi del mondo
Il tubino e la redingote sono quelli di Charlot, certe intonazioni sono ancora di Ettore Petrolini, il naso e il mento sono quelli di Pulcinella. Da questo incrocio è nato Totò. Totò il buono come lo ha chiamato Zavattini un po' uomo, un po' angelo, un po’ marionetta, e un po’ clown come del resto, al suoi tempi, è state Charile Chaplin. Un comico che fa ridere con le ossa, muovendo gli angoli più imprevisti dello scheletro. Si muove, nei momenti di parossismo, come si muovono sulla lavagna i quadrati costruiti sui lati del triangolo del teorema di Pitagora. Data sua origine napoletana, non è forse ingiusto ricordare, a suo proponilo la geometria di certi gesti dei mimi greci, tramandati nella pittura del vasi ellenici. A questa violentissima capacità di pantomima — tra tante donne belle Totò sembrava ieri sera, con indosso la sua redingote color vecchio ombrello, veramente il pantin, il burattino di La femme et le pantin di Pierre Louys — si accompagna, per contrasto, l’alta mestizia degli occhi più disillusi del mondo. La bocca sorride e si illude, bonaria, gli occhi non credono alla favola gaia entro la quale vivono, il corpo balla e si scompone come nel grottesco di una danza macabra. Un personaggio che sarebbe piaciuto al Goncourt, per il suo verismo, e, per la sua fantasia, a Gautier. Nelle cronache del teatro francese del Secondo Impero c’è la storia di qualche comico spettrale, che piacque anche a Victor Hugo. Non è, del resto Zavattini, profeta letterario di Totò, il romantico degli angeli e dei poveri?
Totò ci ha mandato a casa all'una passata, attraverso una Milano mortalmente buia e piovosa. Finiti gli applausi dell'ultima «passerella» la gente si è dimenticata dei grigi camerini, delle ragazze che, levato il bianco di zinco non solo dalla faccia, ma da tutto il corpo con ruvide salviette, si sarebbero disperse freddolose verso le due di notte nella nebbia. La gente si riportava via, entro i baveri alzati, senza speranza di tranvai, il ricordo di quella bonaria faccia allampanata e di quelle sgambettanti ragazze. Domani ricomincia Il lavoro, e gli aficionados discuteranno fra di loro, fra una pratica e l’altra, di chi è meglio: se Macario o Totò, se Wanda Osiris o Taranto. Il Lirico sta diventando una specie di Scala minore, una Scala del music-hall. Queste prime prendono proporzioni wagneriane.
Gira e rigira nella memoria, scopriremo che le riviste si assomigliano tutte, perchè le gambe nude son sempre gambe nude, e le canzoni sono tutte cugine fra loro, maliziose cugine. La memoria sarà tutta, un giorno, rappresentata da un nome, dal ricordo di un accento e di un'occhiata. Questa rivista, per noi, si chiama Totò, anche se attorno a lui abbiamo visto donne non facilmente dimenticabili, come Vera Worth, Adriana Serra, la Giusti e la Marino. Totò si fa perdonare le lungaggini, la mediocrità di certi dialoghi che in principio avevano inquietato qualcuno del pubblico. Il finale del primo tempo, finale senza parole, una sarabanda frenetica di pura comicità clownesca, è un bel pezzo di arte dello spettacolo. Molti applausi. Titolo: «Ma se ci toccano nel nostro debole...». che non ha. naturalmente, niente a che vedere con il testo.
Orio Vergani, «Corriere della Sera», 7 marzo 1947
Totò è grande, incommensurabile. Una marionetta, forse, ma i fili glieli sorregge l’Arte.
Mario Casàlbore, Non toccateli nel copione, «Film», n. 11, 15 marzo 1947
Magico, metafisico, misterioso Totò, [...] un astrattismo fatto materia da uno dei più solitari miracoli della nostra rivista. Ogni sua azione, ogni parola, appartengono ad un genere di vivere che se fosse tradotto in pratica quotidiana produrrebbe il risultato, forse ideale, di tramutare il mondo in un grandioso manicomio.
Giordano Pitt, Totò, «Film», n. 25, 1947
Ciò che Totò riesce a fare a questo punto è inaudito: si tratta forse della più completa e perfetta pagina della sua carriera e nemmeno Einstein potrebbe definire le dimensioni della sua comicità: quello sternuto mancato, quelle valigie che volano, quell'infallibile meccanica. Bisogna vederlo: egli fracassa tutti gli schemi dei nostri pensieri quotidiani, della nostra logica, delle nostre convenzioni, come altrettanti cerchi di foglio. Formidabile. La platea squassata dalle risa; urla di giubilo.
Angelo Frattini, critico teatrale, 1947
Milano, marzo 1947
Le cinque parti mancate della «soubrette» di Totò
Tutta colpa della raucedine? Clelia Matania, nota attrice del varietà, avrebbe debuttato nella compagnia Totò, al Lirico, se una seria forma di tracheite con forte mal di gola e conseguenze e raucedine, non avesse cambiato le vie del suo destino artistico? Clelia è sicura di no: si protesta vittima di soprusi e di ostracismi, impugna il proprio contratto e a mezzo del suo legale, avv. Renato Tardivo, chiama in giudizio l'impresario teatrale comm. Luigi Romagnoli per il risarcimento dei danni: la cifra non è iperbolica, ma tuttavia rispettabile: un milione e 100 mila lire. Clelia Matania, già appartenente alla compagnia Rascel e favorevolmente conosciuta soprattutto nell'Italia centro-meridionale, desiderava di buttare in un grande teatro milanese era in rapporti con il Romagnoli il quale la scrittura per la compagnia Totò, in qualità di prima attrice assoluta, con un contratto di 4 mesi è la paga di 9 mila lire al giorno. Le fu dato da leggere un copione di rivista per la scelta delle parti a lei più gradite e della manifestò la sua preferenza per 5 quadri. Poi intervenne quella noiosa tracheite, constatata dai medici prof. La Cava e prof. Della Vedova e la soubrette si trovò nell'impossibilità di debuttare per la serata inaugurale, fissata per il 5 marzo, e ne diede avviso l'impresario. ma l'esordio della compagnia Subì poi un rinvio e la Matania, guarita prima del previsto, si presentò in teatro per la recita. ma, ormai, le parti erano già state assegnate a 3 attrici la Wars da Giusti e la casa grande.
Nell'esposto presentato all'autorità giudiziaria la Matania fa la storia della propria Odissea, praticamente conclusasi a suo danno punto donde da richiesta di risarcimento in seguito a violazione di contratto per colpa dell' impresario.
«Corriere della Sera», 27 marzo 1947
Totò al Valle. E' ritornato dalla Spagna Totò, il prodigioso burattino, cariatide, centro motore, saltellante nella rivista "Ma se ci toccano nel nostro debole" di Nelli e Mangini, un copione povero di globuli rossi ma che il grande mimo ha portato ugualmente al successo, non esitando a ricorrere all'ennesima edizione della «girandola» e della «corsetta» per galvanizzare le sorti di un finalissimo non proprio tiepido, ma nemmeno giunto all'ebollizione. Nessuna subretta di primo piano: Elena Giusti, Vera Worth, Irene D'Astrea, festose tutte di differenti bravure, eleganze e leggiadrie, ma ad ognuna delle quali mancano ancora i novantanove centesimi per far la lira di Wanda Osiris, che - certo inconsciamente - più o meno imitano. Degli altri, ottimi Castellani, Vilma Casagrande e Dalbuono. Deliziosa Gilda Martino e Ginger Stuart [...]. Nel complesso uno spettacolo che merita il lodevole, non le palme accademiche.
Nino Capriati, «Il Tempo», 16 aprile 1947
Mentre Totò raccontava barzellette schiaffi e pugni al Politeama di Napoli
Da qualche sera il pubblico del Politeama si sta esilarando alle barzellette del comico Totò. Ma ieri sera un piccolo dramma si è svolto nella sala aumentando il buon umore della platea e Totò ha dovuto per qualche minuto interrompere il suo spettacolo per lasciare terminare il « fuori programma ». Una donna entrata in sala come una furia, si avventò contro uno spettatore sferrandogli una serie di schiaffi e di pugni. Immediatamente interveniva la forza pubblica che provvedeva ad allentare i due anzi i tre, poiché a fianco dell'uomo era seduta una piacente signorina che non era estranea alla faccenda. E così mentre Totò iniziava la seconda parte della sua rivista, in questura aveva luogo l’epilogo del rapido dramma. La bella furia, tale Giuseppina De Paoli, era l'amante del signore, un ricco commerciante tale Gabriele Marignoni, il quale, stanco di lei si era dato al bel tempo con la nuova conquista.
«Gazzetta di Parma», 25 maggio 1947
Il pubblico che affollava il Carignano ha cordialmente festeggiato Totò nella nuova rivista: «Ma se ci toccano nel nostro debole». Il testo non è granchè, lo spettacolo ristagna in molte parti, ma il noto mimo ha sempre la trovata, la mossetta che fa ridere.
«La Stampa», 5 giugno 1947
Milano, giugno 1947
LIRICO. — Alla Compagnia «Teatro delle Quattro fontane», che da lunedi prossimo si trasferirà al Puccini, è succeduta ieri sera quella di Totò, che ha ripreso con successo la rivista «Ma se ci toccano nel nostro debole» di Nelli e Mangini. Con il sempre spassoso Totò, vivi applausi sono toccati a Vera Worth e a tutti gli altri esecutori, non escluso il balletto Karise.
«Corriere della Sera», 13 giugno 1947
Distribuzione: 26 novembre 1947
Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film
Roma, dicembre 1947
Michele Galdieri, che è figlio di un grande poeta, ha avuto riempire questa sua nuova rivista di parole di rime, sconcertando forse, per la lunghezza dei dialoghi, quella parte del pubblico che desidera solo quadri fastosi, procaci donne, voluttuose danze ricche coreografie. Ma nel Galdieri è ancora vivo il senso del colore, egli è un acquarellista pieno di grazia e delicatezza. Cosicchè nei quadri nei quali a questo suo gusto ha dato sfogo, come in quello, leggiadramente marionettistico, della Stazione, egli ha ottenuto effetti e applausi molto caldi.
Anche molto suggestivo è parso, verso la fine, il quadro delle donne che escono dalle campane. L’ubertosa Isa Barzizza, assai piccata nella scena del vagone letto, l’efebica Gilda Marino, la solare Elena Giusti, insieme alla salda Irene D’Astrea, a tutte le soubrettine e tutte le ballerine.
Alcune delle “spalle” di Totò non erano abbastanza efficaci. E’ importante, per un grande comico, il problema delle “spalle” ma questo sarebbe un lungo discorso. Infine si può osservare che Totò, che è certamente il più intelligente, istintivo e metafisico dei nostri attori del teatro leggero, si vede troppo tirato nel lungo e denso spettacolo. Le riviste sono come le mandorle, dolci e salate. Questa di Galdieri appartiene alla prima specie, tutta zuccherata di malinconie didattiche, di sentimentalismi, di appelli alla bontà. Ma se è priva della ferocia ha tuttavia tanti abili congegni che la barca va felicemente alla riva.
D.C., «Il Tempo», 22 dicembre 1947
Il tandem Galdieri-Totò è ormai da molti anni uno dei più felici del nostro teatro di rivista. E' quindi con un certo dispiacere che abbiamo dovuto constatare in esso evidenti sintomi di stanchezza. C'era una volta il mondo [...] soffre innanzitutto di una eccessiva lunghezza, difetti facilmente eliminabili, ma soprattutto di povertà inventiva e di insufficiente forza comica. Ce ne dispiace per un rispettabile uomo di teatro come Galdieri, che vediamo ancora irretito in schemi vecchi di dieci anni o indulgente a battute dichiaratamente fasciste per strappare un applauso, sia pur contrastato, ad alcuni nostalgici delle poltrone. Eppure proprio noi siamo convinti che egli può fare di più e di meglio, mettendosi alla testa con coraggio di un movimento di rinnovamento morale e tecnico in questo campo così suscettibile di sviluppi. Ormai in Italia cominciamo ad avere un buon numero di elementi di valore. Si tratta solo di dare a quelli già apprezzati ed a quelli in via di maturazione, le possibilità pratiche di fare e dire qualcosa di nuovo. E' il caso di Totò, uno dei più genuini eredi della grande tradizione comica italiana, capace ancora di tenere il pubblico (per quattro ore) con gli stessi mezzi di dieci anni fa [...].
«L'Unità», Roma, 23 dicembre 1947
Questa povera terra, dove i suoi abitanti credevano di aver riacquistato la serenità al termine della guerra, è ancora in fermento. Le ragioni e quanto può ancora unirci per rendere felice l’umanità ha cercato, con la sua bonaria, talvolta amara, filosofia di presentarcele Galdieri, in una rivista cui il pubblico ha tributato calorosa accoglienza. La rivista, pur lunga - circa quattro ore di spettacolo - e meno vivace nel primo tempo, contiene qualche buona gag e delle originali trovate (esempio il finale delle campane): qualche taglio e una migliore distribuzione dei quadri giovassero molto.
Totò - che ha ritrovato il suo pubblico e con esso gli applausi e le risate (anche se queste di più delle volte sono andate a battute non spiritose) - la brava Isa Barzizza, Elena Giusti, Castellani e Rondinella, hanno diviso con Galdieri successo.
Vice, «Il Popolo», 24 dicembre 1947
Ciò che Totò riesce a fare a questo punto è inaudito: si tratta forse della più completa e perfetta pagina della sua carriera e nemmeno Einstein potrebbe definire le dimensioni della sua comicità: quello sternuto mancato, quelle valigie che volano, quell'infallibile meccanica. Bisogna vederlo: egli fracassa tutti gli schemi dei nostri pensieri quotidiani, della nostra logica, delle nostre convenzioni, come altrettanti cerchi di foglio. Formidabile. La platea squassata dalle risa; urla di giubilo.
Angelo Frattini, critico teatrale, 1947
L'arrivo degli americani a Roma nel giugno del '44 segnò anche il ritorno dei loro film che la legge-catenaccio del Ministro Alfieri aveva fin dal 1939 messo al bando. Il nostro pubblico si riversò nelle sale cinematografiche con l'ebbrezza di chi, dopo cinque anni di digiuno, può finalmente prendere parte a una fiera gastronomica. I cinema non erano pieni, anzi erano vuoti, solo quando venivano programmate pellicole italiane. Da qualche tempo fortunatamente si sono ristabiliti i contatti tra il pubblico e la cinematografia «di casa»: ma non tanto per merito dei film truculenti come «Tombolo» o «Senza pietà», oppure di quelli socialpsicologici del tipo di «Sciuscià», «Paisà» e cosi via, quanto invece per merito dei lavori interpretati da Totò, Macario, Taranto. Sul metro degli incassi, Macario con il suo «Eroe della strada» ha gareggiato con Tyrone Power. «Accidenti alla guerra» con Nino Taranto, dato al «Rivoli» in visione privata alla vigilia di Natale, ha raccolto le ovazioni di un pubblico esilarato. Anche Totò ha riempito le sale in cui si sono proiettati i suoi ultimi film.
Dati questi precedenti la pellicola comica avrà la parie del leone nella programmazione avvenire di molte Case cinematografiche, fra cui la stessa «Lux-Film» che è per la sua compostezza organizzativa, chiamata la «Metro-Goldwin» italiana.
«Film», dicembre 1947
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