Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1964
Indice degli avvenimenti importanti nel 1964
Dal 13 al 19 giugno 1964 al Teatro Sistina di Roma si svolge il Festival dell'Avanspettacolo. Padrini d'eccezione saranno Totò e Sofia Loren.
1 luglio 1964 Liliana de Curtis si separa dal marito Gianni Buffardi
Agosto 1964 Esce nelle sale cinematografiche il film di montaggio "Risate all'italiana" - Totò appare in alcune sequenze dei film "La cambiale" e "Totò a Parigi"
30 dicembre 1964 Un'altra condanna penale per Marziano II di Lavarello, contendente del titolo di Imperatore di Bisanzio ad Antonio De Curtis, già condannato in precedenti gradi di giudizio, ancora recidivo.
Indice della rassegna stampa dei film per il 1964
Totò contro il pirata nero Distribuzione: 25 marzo 1964
Che fine ha fatto Totò baby? Distribuzione: 26 giugno 1964
Le belle famiglie Distribuzione: 16 dicembre 1964
Altri artisti ed altri temi
Totò
TOTO' CONTRO IL PIRATA NERO
Distribuzione: 25 marzo 1964
Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film
Roma, 13 - 21 giugno 1964, Teatro Sisitina - «Totò e Beniamino Maggio, il Festival dell'avanspettacolo al Sistina»
CHE FINE HA FATTO TOTO' BABY?
Distribuzione: 26 giugno 1964
Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film
Singolare e in un certo senso sconcertante è sempre stata la presenza di Totò nel cinema italiano. Si contano sulle dita, anche nel repertorio internazionale, attori comici che dispongano di un complesso somatico inconfondibilmente tipicizzato, tale da fissare da solo un personaggio e, per riflesso, un particolare schema di situazioni. Keaton rimane forse in questo senso l’esempio più calzante, altri grandi comici, a cominciare dallo stesso Chaplin o dai fratelli Marx, essendo stati costretti a fabbricare il loro personaggio con additivi di trucco.
Totò è Totò: è fisicamente lui e nient’altro. Quel viso lungo e tagliente a cui una bizzarra angolatura della mascella dà quasi una dimensionalità geometrica, quell’occhio vagamente a pesce dove la maligna arcuazione delle sopracciglia fa gioco e contrasto con la flaccida malinconia delle palpebre a borsa, quella figura smilza, mingherlina e puntata in cui gesti e movimenti hanno sempre una potenziale snodatura burattinesca, è già un vivente gag per se stesso. Oltre ciò un eccellente attore. Si direbbe: un tipo come questo avrebbe dovuto (se non formare addirittura oggetto di una produzione a sé) per lo meno essere adoperato solamente in cose confacenti alle sue qualità e alla sua classe. Invece, non so se per colpa sua, salvo rari casi, come quando Rossellini lo pigliò per "Dov'è la libertà", o Monicelli per "I soliti ignoti" - e mettiamoci pure se volete "Guardie e ladri" - generalmente fu destino di Totò essere sprecato nella confezione di modeste e scurrili farsette. Per cui non è da stupire se, logorato alla lunga da tanto mal uso, il personaggio Totò abbia finito alla lunga per perdere il suo originale e surreale mordente.
Per questo è dovere del cronista servizievole registrare l’ultimo suo film. "Il comandante", regista Paolo Heusch su soggetto di Sonego, smistato anch'esso nello stock della stagione bassa. E non tanto perché il film rappresenti uno sviluppo e una valorizzazione degli elementi specifici del personaggio Totò, ma perché offre all’attore la possibilità di costruire e condurre un carattere completo attraverso un’azione teatralmente coerente. [...] Siamo ancora nella onesta, casalinga commedia borghese di carattere. Però "Il comandante" è un film piacevolmente sceneggiato, Andreina Pagnani dà garbo e credibilità al tipo della signora distinta trafficante di dubbie antichità attraverso aderenze mondane. Ma soprattutto Totò delinea un personaggio amabile e godibilissimo, e lo porta con estemporanea e misurata lepidezza, perfettamente dosata tra paradosso e verità.
Il comandante, Il comandante... Voi direte: che diavolo. ma non è generale? Sicuro, nel testo del film è un generale, e tutti lo chiamano generale. Ma poi si capisce che forse per via del famoso vilipendio (non si sa mai) hanno preferito non metterlo nel titolo. Cara, inguaribile, eterna Italia della foglia di fico.
Filippo Sacchi, «Epoca», anno XV, n.720, 12 luglio 1964
«Lavoro moltissimo, debbo sfamare 207 bocche»
Il comico s'è concesso un breve soggiorno sulla Costa Azzurra
Nizza, lunedi sera
Totò ha trascorso qui alcuni giorni di riposo con la bella moglie e il suo cane prediletto, Pepe, un barboncino nero. «Monsignore» è stato oggetto delle più reverenziali cure da parte del personale del Negresco (dove ritorna frequentemente). La repubblica di De Gaulle ha grande considerazione per i veri nobili. Ora, come tutti sanno, il principe Angelo Focas Flavio Ducas Commeno de Curtis discende, direttamente dall'ultimo imperatore di Bisanzio. Ma Totò, attore comico, dalla celebre bazza, dall'occhio malinconico e dai gesti brevi non si dà arie. Il grande pubblico di Francia lo conosce per il film di Mario Monicelli «I soliti ignoti» di cui l'interprete è Gassman che non lascia mai la scena, e dove Totò fa una parte di cinque minuti, ma indimenticabile: quella, di un vecchio gangster in pensione che insegna agli aspiranti svaligiatori l'arte di aprire le casseforti. Questa lezione è un capolavoro di comicità. Ai giornalisti che l'hanno assediato Totò ha detto con quel suo sorriso un po' sbilenco: «Ho girato 104 film in ventisei anni, ma come avrei potuto immaginare nel 1938 quando ho girato il primo che sarei stato condannato a far ridere il mio prossimo fino alla fine dei miei giorni! E' un luogo comune dire che gli attori comici sono fondamentalmente malinconici, ma per me è vero».
Poi aggiunge con accento napoletano: «In realtà, io pagliaccio non sono. Ma ogni volta che ho tentato di uscire dal mio personaggio è stato un fiasco. Il pubblico non mi riconosce e mi fa il broncio. E pensare che i miei volevano diventassi ufficiale di marina. Mi vedete con questa grinta portare la uniforme bianca e il berretto gallonato d'oro». E' molto atteso qui il suo ultimo film, parodia di «Chi ha ucciso Baby Jane?». Totò fa l'imitazione di Bette Davis. Domani l'attore parte per Madrid dove parteciperà a due coproduzioni italo-spagnole: «Devo lavorare molto, dice con lieve ironia, perché devo mantenere duecentosette bocche: la mia, quelle di mia moglie e mia figlia poi, a Roma, ho creato un rifugio per i cani abbandonati, ne ho duecentoquattro e hanno buon appetito». Prima di lasciare Nizza ha comperato «Le memorie di Charlie Chaplin» e chissà che non gli venga voglia di .scrivere le site: com'è noto, Totò è compositore di poesie napoletane e la sua ultima raccolta uscirà a giorni.
Maria Rossi, «Stampa Sera», 12-13 luglio 1964 - «L'Ospizio dei trovatelli»
La figlia di Totò si separa dal marito
ROMA, giovedi sera
La figlia di Totò si è separata dal marito. L'avvocato Eugenio De Simone, per conto del signor Gianni Buffardi, ha presentato al presidente del Tribunale civile di Roma una istanza di separazione copnsensuale per incompatibilità di carattere tra i coniugi Gianni Buffardi, produttore cinematografico e Liliana de Curtis in Buffardi, figlia del noto attore comico Antonio de Curtis, in arte Totò.
«La Stampa», 2 luglio 1964 - Separazione Liliana de Curtis - Gianni Buffardi «Liliana la figlia prediletta»
«La Stampa», 5 agosto 1964 - «I film di montaggio - Risate all'italiana»
Totò a scatola chiusa
I personaggi che ci fanno ridere. Da quarant'anni il principe napoletano è il maggior «produttore» di comicità sul mercato dello spettacolo • Con il suo marchio di fabbrica qualsiasi filmetto rende milioni
Roma, settembre.
Antonio De Curtis, sessantasette anni, principe, napoletano, può considerarsi il maggior produttore di comicità sul mercato. dello spettacolo italiano. Vende a scatola chiusa. Il fatto si è che la comicità è diventata un bene di largo consumo popolare, sempre più prezioso e ghiotto, da assimilare con avidità, come una droga per uccidere l'angoscia contemporanea. Si tratta di una qualità di merce di cui il principe De Curtis è raffinato intenditore e imbattibile spacciatore. La sua invenzione-capolavoro si chiama Totò. Sono quarantanni che la maschera di Totò fabbrica ilarità e milioni: ilarità per milioni di italiani, milioni a palate per Antonio De Curtis. Si può affermare che la macchina ha raggiunto un grado di rendimento perfetto. Non fallisce colpo. Totò è un affare sicuro, un investimento ad altissimo reddito, una fonte inesauribile di ricchezza e di divertimento. Totò a colori, brutto film senza ambizioni, guadagnò un miliardo di dieci anni fa. Cambiano i gusti degli spettatori, i modelli della comicità, gli idoli della moda: non cambia Totò e fa successo. In questi giorni sta lavorando al suo centocinque-simo film. E' un primato che non potrà essere battuto facilmente, conveniamone.
L'orgoglio del principe
Si capisce che Totò costituisce l'orgoglio, la ragione di vita, la costante preoccupazione del principe De Curtis. Totò è un miscuglio di virtù e di difetti nel quale l'italiano di media cultura e di media età riconosce, le proprie virtù e i propri difetti. Totò conosce gli impulsi e gli scatti comuni all'italiano che si sente soffocare dalla regola, che vorrebbe concedersi una pazza evasione, spezzare il cerchio ferreo delle abitudini, delle mortificazioni, delle convenzioni. Totò interpreta un’idea anarchica, folle e impossibile della vita. Totò reagisce alla meccanicità degli atti quotidiani con una esasperazione grottesca, assurda della meccanicità
«Gesù, quante cose significa 'sto benedetto Totò»: serrandosi la vestaglia, il principe Antonio De Curtis sorride con persuasione. Ecco, la battuta gli è servita ad alleggerire l’imbarazzo della conversazione. Accende una sigaretta. La vestaglia è rossa e fa contrasto col pallore del viso, attento ed arguto. Porta gli occhiali neri, soffre alla vista. E’ un omino scarno, nervoso, cortesissimo. Dietro la cortesia si maschera una timidezza di natura. La timidezza è frutto d'una melanconia senza fondo. «Lo sa che in privato non sono capace nemmeno di raccontare una barzelletta?». Sono le tre del pomeriggio. Le abitudini del principe-attore sono rigide e immutabili da decenni: lo aiutano, cosi, a sopportare un ritmo di lavoro assai sostenuto. Pochi attori, anche fra i più anziani, sanno risparmiarsi come Totò. Una vita di disciplina, veramente. Appartata, casalinga, normale: la giornata di un funzionario di banca.
Sul tavolo spicca la copertina colorata di un volumetto di poesie: 'A livella. Poesie in dialetto napoletano. Già, perchè Antonio De Curtis è poeta nei ritagli di tempo che riesce a rubare a Totò. Il volumetto comparirà nelle librerie fra poche settimane. La poesia di apertura parla di morte e di fantasmi, di differenze sociali e di rassegnazione nell’eternità. In fondo al salotto, troneggia un pianoforte. La musica è l’altra evasione del principe-attore. Le sue canzoni sono sentimentali, genere melodico, di ispirazione romantica. «Le compongo col fischio» dice e sorride, ancora. Dopo che il maestro ha tradotto il motivo in note, lui si dedica al testo. La sera, in genere, quando Totò è andato a dormire.
Antonio De Curtis abita un appartamento ai piedi dei Parioli, che nulla vieterebbe di definire principesco: una fuga di stanze sontuose, di specchi, di quadri d’autore, di mobili raffinati. Qui. Antonio De Curtis vive un’esistenza di squisito tenore borghese e matura le trovate, gli sberleffi di Totò contro la regola, la disciplina, la mortificazione quotidiana.
Una chiave per spiegare il successo di Totò attraverso i decenni e le guerre e i capovolgimenti sociali potrebbe essere questo rapporto singolare fra la maschera comica e il principe-inventore. Un rapporto nel quale Totò ruba a De Curtis gli stimoli e le ribellioni dell'uomo comune e nel quale De Curtis risolve, affrancandosene, i complessi e le frustrazioni della società a cui appartiene. C’è nella identificazione fra Totò e il principe De Curtis una sorgente vitale, misteriosa, di umori beffardi e di presupposti comici: è possibile che da questo nodo scaturisca la carica che alimenta la maschera più popolare in Italia, la fabbrica di ilarità e di ricchezza.
Solo una maschera
Si è scritto che a Totò è mancato un regista che sapesse utilizzarne l’esperienza e l’ispirazione per un’opera d’arte e si è scomodato il nome di Federico Fellini, si è sottolineato il merito di Totò nel rifiutare le furberie, i trucchi fregoliani con i quali gli altri attori comici si ingegnano di divertire il pubblico, si è rimpianto che Totò abbia un po’ dissipato le sue straordinarie risorse: il principe Antonio De Curtis accetta il discorso con appena un’ombra di risentimento.
Dice cose sacrosante, che Totò è una maschera e non un attore-personaggio: ciò significa che Totò non può che interpretare se stesso, mentre qualsiasi regista di nome pretenderebbe di rivestirlo dei panni di personaggi immaginari, pretenderebbe di piegarlo a una diversa dimensione umana. Un regista con intenzioni artistiche si sforzerebbe di impossessarsi di Totò e Totò non vuole perchè non ci crede più, ormai. «D'altronde, è ancora da scoprire se esiste in Italia un regista che sappia raccontare storie comiche» conclude Antonio De Curtis.
Una soluzione ci sarebbe e sarebbe che Totò dirigesse se stesso: Totò regista di Totò in un film rispettoso della maschera comica. Certo, sarebbe l'unica soluzione ragionevole. Charlot non s’è fidato sempre di Charlie Chaplin e soltanto di Charlie Chaplin? «Sì, ma io non saprei accettare responsabilità così pesanti» dice Antonio De Curtis. Onesto fino all’autolesionismo, dal momento che sarebbe in grado di trovare credito per qualsiasi avventura che recasse il marchio dì fabbrica Totò.
Il quale, come regista, un'idea tecnica l’avrebbe per migliorare il prodotto: «Vorrei far imparare le parti a memoria, come si usa in teatro. E pretenderei che il film fosse recitato come una commedia. Anticiperei il lavoro tutto nella fase delle prove. Quando lo spettacolo fosse stato messo a punto in ogni dettaglio, comincerei a girare: dopo averlo scomposto in teatro di posa, lo ricomporrei in montaggio». L.’idea gli è sorta sulla scorta delle esperienze personali, dovendo sempre interpretare film che lo costringono a inventare le battute davanti alla macchina da presa, «al caldo dei riflettori, già recitando», sul filo di uno scarno canovaccio scritto in poche cartelle e da Totò accettato magari con mesi e mesi di anticipo.
«Sul canovaccio — racconta — io ricamo, improvvisandole giorno per giorno, le mie battute. Sul palcoscenico questo è reso più facile dalla presenza stimolante del pubblico e dopo un certo rodaggio si impara quale è la intonazione che ha maggiore effetto, quale dev'essere la durata di una pausa. In cinema tutto avviene a freddo, non c’è la possibilità di verificare la validità di una frase. Con il mio sistema, il giorno che mi decidessi a fare il regista, l’attore, prova e riprova, riuscirebbe a mettere a fuoco la comicità improvvisata». Siamo andati lontano: cinema artigianale, cinema-industria, preventivi, preparazione tecnica, lavoro di tavolino: tutto un discorso che sollecita il principe De Curtis alla polemica. «I produttori sono semplici appaltatori di film, i capitali non sai mai'come arrivano sul set: questo è il guaio del cinema italiano» conclude.
Quando Totò apparve per la prima volta sullo schermo, era il '37. Il film si intitolava Fermo con le mani. Totò era già una maschera nazionale della comicità. Aveva mosso i primi passi a Napoli in spettacoli dialettali all'aperto: «Dove si recitava a soggetto, rinnovando sera dietro sera il mito della commedia dell’arte». Quarant’anni, insomma, che Totò è costretto all'improvvisazione, cinema o non cinema: una carriera ben faticata, bisogna riconoscerlo.
Alfonso Madeo, «Corriere della Sera», 20 settembre 1964
LE BELLE FAMIGLIE
Distribuzione: 16 dicembre 1964
Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film
Condannato a Roma - Si era attribuito il titolo che spetta all'attore Totò
Roma 29 dicembre, notte.
Il pretore dottor Scutari, della prima sezione penale, ha condannato a tre mesi di reclusione. senza i benefìci di legge perchè recidivo, Marziano Lavarello. ritenuto colpevole di falsa identità personale. Secondo l’accusa. Lavarello, in un documento, si era attribuito, tra l'altro, il nome di Lascaris, che spetta al principe Antonio De Curtis, in arte Totò, e che dimostra la discendenza dell'artista da un imperatore di Bisanzio.
Nell'aprile del 1959, Lavarello si presentò alla signora Anna Milano, vedova di Nicola Memagna Paleologo, discendente da un’antica dinastia bizantina e imparentata col ramo degli Obranovich. che regnarono in Grecia e che al momento della loro esautorazione si videro confiscare il loro ingente patrimonio: Lavarello. dicendosi cugino del defunto, si fece consegnare dalla signora alcuni documenti per intraprendere una causa dinanzi alla corte internazionale di giustizia dell’Aja al fine di rientrare in possesso dei beni degli Obranovich.
Per intraprendere l’azione, Lavarello nominò un ministro plenipotenziario che lo doveva rappresentare all'Aja, e firmò la ratifica della nomina col nome di Marziano II Lavarello Lascaris Paleologo Basileo di Costantinopoli.
«La Stampa», 30 dicembre 1964 - «Marziano II Imperatore di Bisanzio (?)»
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