Il primo provino per il cinema
Fui chiamato alla Cines di Pittaluga ed eseguii il regolamentare ‘provino’. Soltanto, un regista ebbe la brillante idea di dirmi che sarebbe stato bene che, con la faccia che Iddio mi aveva data, facessi tutto il possibile per imitare... Buster Keaton. Presi cappello in senso proprio ed in senso figurato, dichiarando che mi sentivo soltanto di fare... il Totò. Così ripresi il mio fardello di pellegrino e tornai al ‘mio’ varietà.
Il Principe e la macchina da presa: quando Totò disse no a Pittaluga
Padova è invasa da manifesti: “TOTÒ, il comico irresistibile!”. L’irresistibile, nel frattempo, è vestito di frac e bombetta, col pubblico in delirio e la coscienza colpita a morte da un nome solo: Liliana Castagnola. Il nome di lei – la femme fatale, la sciantosa tragica, la musa suicida – lo inseguirà come un’ombra elegante e dolente. Tant'è che oggi Liliana giace con lui, al Cimitero del Pianto, come una moderna coppia tragica, con tanto di figlia postuma che ne porta il nome (perché il dolore si può anche tramandare per anagrafe). E non è un caso isolato: anche Luciana Gora, abbandonata anni prima come un fazzoletto di scena, Totò la incontra e, tra un rimorso e un gesto regale, le regala soldi per ricominciare.
Morale: Totò lasciava, sì, ma con bonifico. Uomo da palco e da pentimento.
🐾 Cani, gatti, caldarroste e generosità
Oltre a donne innamorate e illuse, Totò raccoglieva anche cani randagi e gatti spelacchiati, allevandoli a sue spese come un San Francesco col monocolo. Fu buono e disperatamente attaccato a ogni creatura fragile: umana o pelosa.
Totò era un “Signore della scena”, ma anche del cuore, perfino con le caldarrostaie in piazza Cavour: un benefattore in frac, insomma, con un’anima da Santa Maria Francesca delle Quattro Giornate.
🎬 Totò vs. Cinema: Round 1
Nel 1930, Totò fa un tentativo cinematografico. Ecco il provino con Stefano Pittaluga, magnate del neonato cinema sonoro: quattro minuti davanti a una macchina da presa fissa, senza pubblico. Totò è spaesato, quasi grottesco, si arrabatta con mossette e imitazioni di galline, e chiude con una battuta tragicomica che suona come un’autopsia al talento teatrale sotto sedazione da cinepresa:
«Io da bambino ho avuto la meningite. Con la meningite o si muore o si rimane stupidi. Io non so’ morto».
Fu una débâcle comica, sì, ma con stile.
📉 Pittaluga, il colosso cadente
Ma chi era questo Stefano Pittaluga, che voleva Totò sul grande schermo? Un uomo visionario che fiutò il potenziale del sonoro e lo importò dagli USA come se fosse mozzarella per la pizza della settima arte. Comprò i brevetti RCA e Photophone, rilanciò la CINES, fondò la Cines Pittaluga e finì per morire a 44 anni, con una filmografia in fasce e una crisi mondiale alle calcagna.
Nel frattempo l’Italia tremava: la borsa americana crollata, l’U.C.I. fallita, attori di teatro che fuggivano verso il cinema come scarafaggi verso la luce (in cerca di cachet e non di arte, ovviamente).
🎙️ L'attore teatrale contro la macchina infernale
Il cinema chiedeva facce da Keaton, occhi immobili e bocche cucite. Totò, invece, era un guitto, un figlio della polvere di palcoscenico, uno scugnizzo dei camerini. E lo capì subito: davanti alla cinepresa si sentiva “una larva di se stesso”. Quando un regista Cines gli suggerì di “stare fermo, come Buster Keaton”, Totò capì che era il caso di tornare al teatro. Dove si poteva sudare, improvvisare, sentire il pubblico, e magari prendersi anche un fischio.
Nel 1931, tornò a teatro a mille lire a sera. Un sogno, in un’Italia che ancora sognava di avere “mille lire al mese”.
🎟️ Totò, il resistentissimo
Totò fu resistente al cinema come un broccolo lesso alla carbonara. E dire che c’erano tutte le pressioni: lo Stato fascista vedeva nel cinema un’arma, Mussolini in persona lo dichiarava «l’arma più forte». Pittaluga dominava la produzione come un boss mafioso della pellicola. Ma Totò rifiutava. Forse perché sapeva che un artista non si presta al primo ciak, né si vende al primo proiettore.
Nel frattempo, il teatro si svuotava e il cinema cresceva: tra il 1930 e il 1943, l’80% dei film erano tratti da testi teatrali, e lo Stato ostacolava i dialetti, come quello napoletano di Totò, per una presunta “purezza linguistica” da fascismo fonetico.
Persino Eduardo De Filippo scriveva a Luigi Antonelli lamentando la sparizione del dialetto, prevedendo (ahinoi!) l'estinzione dei suoi stessi fratelli da palcoscenico.
🎞️ Chi passava (e chi no)
Tutti gli attori passavano al cinema: da Petrolini a De Sica, da Anna Magnani a Macario, chiunque avesse una battuta pronta e una faccia simpatica si trasformava in attore da pellicola. Anche sceneggiatori come De Benedetti, Biancoli, Manzari, Ugo Betti migravano dalle tavole del palcoscenico allo script della settima arte.
Il teatro, insomma, stava al cinema come l’Opera al jingle pubblicitario. Ma Totò resisteva.
E il risultato? Un provino fallito, un rifiuto cocciuto, ma anche una coerenza d’artista che oggi definiremmo “integrità”. O almeno cocciutaggine colta.
📺 Il futuro (spoiler: c'è il cinema)
Certo, sei anni dopo il cinema abbraccerà Totò come un figlio prodigo, e da quel momento nascerà la leggenda. Ma nel 1930, il Principe de Curtis scelse la via meno lucida, quella con la polvere, il pubblico dal vivo e le battute dette tra i denti. Scegliendo il teatro, scelse se stesso.
📌 Conclusione: l’uomo che disse «no» al cinema (per ora)
In un’epoca in cui il teatro crollava sotto il peso del fonografo e dei piani quinquennali del Duce, Totò fu un antimoderno. Un funambolo che preferiva lo scalcinato retroscena di una rivista a una pellicola ben lucidata. Il suo “no” a Pittaluga, a Keaton, al cinema muto che diventava sonoro, fu un inno alla libertà comica.
E chi l’avrebbe detto che quell’uomo, goffo davanti alla cinepresa nel 1930, sarebbe diventato il più grande attore comico italiano della storia?
Solo uno con la meningite, appunto. Ma uno che non è morto.
Il provino per la Cines
Il comico Totò che, come abbiamo annunciato inizierà tra breve il suo primo film, soggetto e, pare, direzione di Umberto Barbaro, all'epoca della ripresa della ripresa della ripresa cinematografica italiana con la messa in efficienza degli Stabilimenti Cines, fu da Stefano Pittaluga designato come protagonista di un film comico Il ladro disgraziato. Ma a Totò fu avanzata l'intelligentissima proposta di rifare Buster Keaton. Totò disse che egli era Totò e non Buster Keaton. E non se ne fece più di niente.
«Il Messaggero», 21 gennaio 1932
Il primo ciak dell'attore al Convegno di Studi Cinematografici di Udine
Quando Totò ci provava
Il 23 maggio 1930 furono inaugurati ufficialmente a Roma i nuovi stabilimenti cinematografici «Cines-Pittaluga», alla presenza del ministro fasciata delle corporazioni Giuseppe Bottai e di Stefano Pittaluga, che aveva rilevato la vecchia Cines e si apprestava a diventare l'unico grande produttore del cinema italiano di allora, se non fosse morto a soli 58 anni il 5 aprile 1931. In quel brevissimo lasso di tempo egli seppe impostare un programma in larga misura nuovo, adatto al pubblico italiano e aggiornato sulle novità che giungevano dagli Stati Uniti, in primo luogo il sonoro ed ebbe l'idea di affiancare la produzione di film con la Rivista Cines, un cinegiornale mensile, che uscì dal settembre 1930 alla primavera 1932, con lo scopo di mostrare le novità delia casa ma anche servizi di attualità cinematografica, soprattutto da Hollywood. Alcuni numeri della rivista saranno presentati a Udine, nel corso del XII Convegno Internazionale di Studi sui Cinema, che si inaugura oggi, organizzato dal Dams dell'Università di Udine.
È un’occasione ghiotta perché si vedranno scenette interpretale da Sergio Tofano, il primo provino di Totò, poco più che trentenne, [...]
Gianni Rondolino, «La Stampa», 8 marzo 2005
E il signor Bonaventura ritorna in un convegno
GORIZIA Le immagini del primo provino di Totò, gli sketch di Sergio Tofano nelle vesti del Signor Bonaventura, le anteprime dell'edizione 2005 del Festival Internazionale di Bologna «Il Cinema Ritrovato», una ricca carrellata dei trailer che hanno fatto la storia del cinema dal muto agli anni ’60-70. E ancora: mostre, retrospettive, premi letterari e, soprattutto, incontri e proiezioni. C'è tutto questo e molto di più nel programma del XII Convegno internazionale di Studi sul cinema, organizzato anche quest'anno dall'Università degli Studi di Udine - Dams Cinema di Gorizia. [...] Martedì 8 marzo, si comincerà dalla proiezione di alcuni numeri della Rivista Cines (prodotta dalla Cines-Pittaluga), sui grandi schermi italiani, dal settembre del 1930 alla primavera del 1932. Ogni numero della Rivista, della durata di circa dieci minuti, conteneva episodi di attualità e reportage dall'America e serviva soprattutto come veicolo di promozione della produzione e delle attività della Cines. Tra gli altri, in particolare, il Convegno roporrà alcuni sketch di Sergio Tofano nelle vesti del Signor Bonaventura, un ancora giovane e imbarazzato Totò, alle prese con quello che pare essere stato il suo primo provino [...]
«Il Piccolo di Trieste,» 30 marzo 2005
Quando Totò incontrò il cinema sonoro: storia di un provino che avrebbe meritato l’Oscar per la miglior gallina
Corre l'anno 1930, quello in cui si scopre che oltre all'inflazione galoppante e alle canzoni stonate, esiste anche Totò. Antonio Clerment è già Totò da circa 15 anni, è già una leggenda vivente nei teatri. Tutti ridono grazie a lui, tutti lo adorano, tutti si spellano le mani applaudendo. Tutti tranne il cinema, che ancora lo ignora con la snobberia tipica di chi non ha capito niente della vita. Per vedere Totò sul grande schermo bisognerà infatti aspettare altri 7 (sette) lunghissimi anni.
Intanto, però, Stefano Pittaluga – che all’epoca era il Jeff Bezos del cinema italiano (solo con più brillantina) – decide di dare un'occhiata al fenomeno con un provino. Non uno qualunque: sarà per il film "Il ladro disgraziato" (già il titolo fa presagire grandi drammi comici).
Inizia la magia... o almeno ci si prova
La rivista Cines n.4 apre con una cosa che fa molto "2001 Odissea nello Spazio" ante-litteram: un globo terrestre che gira, circondato dalla scritta «Rivista Cines», manco fosse una pubblicità del dentifricio più blasonato del secolo.
Poi compare lui, l’eroe della giornata:
- Cappello in testa (grande come una cuffia da piscina mal calibrata),
- Bastone in mano (perché fa scena, mica per camminare),
- Guanti stretti (perché l’eleganza non è mai troppa).
Sorridente, s'infila su una passatoia, pronto a sfondare il cuore della settima arte.
Solo che... PUFF!: immagine che svanisce come il primo stipendio dopo la pensione.
Al suo posto, un cartello nero e la voce fuori campo che dice, più o meno:
- "Ecco uno dei tanti giovani che vuole essere il nuovo Rodolfo Valentino".
Tradotto:
- "Ecco un altro poveraccio che ci proverà invano".
Totò, tra galline, meningiti e pernacchie
Cambio scena: ci troviamo in un teatro di posa con una scenografia degna di un sogno post-pranzo domenicale: balconata, colonna, viottolo dipinto, colline alla rinfusa con una casetta che sembra disegnata da un geometra ubriaco.
Ed ecco Totò, versione ancora più scarna del solito:
- Camicia chiara,
- Giacchetta che pare rubata al fratello minore,
- Cappello ("lobbia") incastrato sulla testa a forza.
Avanza ciondolando, come se avesse le molle rotte nelle ginocchia, e attacca con entusiasmo da festa di paese:
«Oh, che bella festa! Oh, che bella festa!»
Sembra un incrocio tra una marionetta, uno spaventapasseri, e uno che ha appena scoperto che i cannoli sono finiti.
Nel frattempo, la voce fuori campo rincara la dose:
"Guardatelo, sembra voglia fare concorrenza all'uomo serpente!"
Totò, sportivamente, raccoglie la sfida:
Si contorce, si piega, assume la posa della gallina (non quella sexy: proprio l'imitazione seria dell’animale da cortile).
Torna poi di fronte alla macchina da presa, si toglie il cappello, si sistema i capelli (cioè quel che resta), rimette il cappello, fa facce, smorfie, sberleffi da antologia.
E poi, come se niente fosse, con la naturalezza di chi ha appena visto l'apocalisse climatica e ha deciso di farsene una ragione, dice:
«Ah, birichino, birichino... Ebbe'... E vabbe'... Quando c’è la salute... Ch’aggia fa’, mo’?... Eh, eh, eh...»
E qui – giuro – avviene il miracolo: Totò svela il suo segreto medico, il suo personale superpotere:
«Io da bambino ho avuto la meningite. Con la meningite o si muore o si rimane stupidi. Io non so’ morto!»
Segue pernacchietta liberatoria, risata isterica, occhi storti e, finalmente, il sipario si chiude. (O meglio: torna il cartello nero che lampeggia come un semaforo impazzito in una notte di tempesta.)
Considerazioni Finali (non richieste, ma inevitabili)
Questo provino è un documento storico fondamentale perché:
- È uno dei primi esperimenti di cinema sonoro in Italia.
- È la dimostrazione che il talento di Totò era già tutto lì, anche senza copioni, registi ispirati o effetti speciali.
- È la prova definitiva che non c’è nulla di più eterno della comicità surreale, soprattutto quando la vita ti dà la meningite e tu rispondi con una pernacchia al mondo intero.
Totò non doveva diventare il nuovo Valentino o il nuovo Buster Keaton. Totò era destinato a diventare Totò: un pianeta a parte, con le sue leggi gravitazionali, il suo modo di intendere il corpo e la voce, la sua gallina personale come emblema della resistenza umana all’assurdo, surreale quotidiano.
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Non principe, ma imperatore" (Valentina Pattavina), Einaudi, 2008
- "Vita di Totò", Ennio Bìspuri - Gremese, 2000