Totò e... Anna Magnani
Totò avrebbe voluto fare un film muto. Una volta ne parlammo assieme. Era un grandissimo mimo, lo avrebbe potuto interpretare straordinariamente. Quando però accennammo la proposta ai produttori, ai noleggiatori, ai distributori, trovammo grande perplessità da parte loro e la loro reazione si manifestò con una esclamazione: “Ma come, un passo indietro!”. Non capirono che una cosa vecchia sarebbe potuta diventare estremamente nuova, age Dopo morto, tutti dell’ambiente hanno parlato bene di Totò, tutti si sono accorti di quello che avevano perso, perché Totò era veramente un grandissimo artista. Penso però che avrebbero dovuto rendersene conto prima, che quando era vivo si sarebbe dovuto fare qualcosa di più per lui. Totò ha fatto tanti film che non si dimenticano solo e proprio per lui, ma se qualche grossa produzione lo avesse messo sul piedistallo che meritava sarebbe stata una cosa bella, giusta. Totò avrebbe potuto fare film e personaggi immensi. Aveva un sogno, poverino, ma non lo ha potuto realizzare: quello di fare Don Chisciotte. Sarebbe stato perfetto...
Mi diceva sempre «Tu sei il mio grande amore artistico», e questa frase è sempre stata per me molto importante. Quante risate di gioia ho fatto con lui!
Anna Magnani, detta “Nannarella” era una donna vulcanica dagli occhi profondi e dai capelli ribelli, attrice simbolo del dopoguerra e del cinema neorealistico italiano, che ci ha donato una serie di personaggi femminili struggenti in lotta contro le ingiustizie e le delusioni della vita, colme di dignità e di orgoglio. Interpretò il ruolo di Assunta Spina, nell’omonima commedia del 1948 di Eduardo De Filippo, una bella popolana partenopea protagonista di una storia fatta di amore e di gelosia. Ma fu con Totò che istaurò un solido rapporto artistico e soprattutto umano, quando debuttarono entrambi al teatro Quattro Fontane di Roma, per poi tornare a recitare insieme al Valle, nella nuova rivista Con un palmo di naso, in cui Totò diede libero sfogo alla sua satira impersonando il Duce. La Magnani, fu definita l’unica interprete femminile in grado di misurarsi con la recitazione del grande attore partenopeo.
Della Magnani, Antonio aveva una stima smisurata, affermava che era una donna "di cappa e spada" vera signora, generosa, coraggiosa. Mai la aveva sentita ribattere con una volgarità, neppure quando sarebbe scappata la pazienza a un santo. In camerino se ne stava riservata, si esprimeva in italiano perfetto, era pudica delle gioie e dei dolori suoi che nascondeva dentro come un patrimonio personale. L’Annarella sanguigna e popolana si materializzava solo sul proscenio. Spesso era anche spassosa come poche, "con quella esuberanza che ti scaraventava in una situazione da farsa, anche se magari riuscivi a riderci sopra solo dopo un po’, come la volta in cui, per salvare un gatto tormentato dai ragazzini, li prese a schiaffi e calci eppoi, al loro pianto, spuntarono fuori i genitori che volevano linciare me. O quell’altra, quando a piazza di Siena mi fece diventare un campione di scappa-scappa per la fifa. C’era l’oscuramento, il coprifuoco e la Pai che sventagliava i mitra pure sui sorci, e noi della Compagnia circolavamo muniti di un permesso speciale. Io raggiungevo il teatro in bicicletta, Anna su un calessino tirato da Banana, il pony, e scortato da Micia, un pastore tedesco carogna con chiunque e ubbidiente solo a lei, che se ne stava perennemente accucciato in sua adorazione. Una sera, al termine dello spettacolo, mi offri un passaggio. Vieni, disse, cosi vediamo di sostituire le battute censurate. Io abitavo ai Parioli, e prendemmo per Villa Borghese. Stavamo discutendo la scena, mi pare fosse quella del gagà in "Volumineide", eravamo giunti nei pressi di Piazza di Siena, quando lei fa scherzando: 'Micia, piglialo questo capoccione che non vuole sentire ragioni!’ Non lo avesse mai detto. Micia mi si avventò addosso con un ringhio sordo, io zompai a terra, eppoi fu come un film di Ridolini, mi toccò fare piazza di Siena al gran galoppo quanto un partecipante al concorso ippico. Quando Anna riuscì a riacchiappare la cagna, ci piegammo in due su un muricciolo, prima per il fiatone, poi per le risa!"
Claudia Ausilio, vesuviolive.it
Nella coppia Totò-Magnani si incontrarono due creatori, due improvvisatori, due artisti autentici che portavano sul palcoscenico quello che il teatro vuole che si porti. Agli spettacoli di Totò e Anna io ho visto cose davvero straordinarie, il pubblico delirava veramente. Insieme avrebbero potuto, tanto erano trascinanti, creare un partito, accendere una sommossa. Quando la vidi con Totò mi accorsi anch’io dell'immensità di Anna Magnani. Una sera Totò mi confessò: «Come dice questa donna, a me mi va a pelle».
Elsa De Giorgi
Anna Magnani aveva una tale personalità da dominare la scena, nella vita come in teatro. Totò, pur riconoscendo il suo fascino, non ne fu mai attratto. Il loro rapporto fu, per iperbole, da uomo a uomo, nel senso che si dipanò sul filo dell’assoluta parità, pur tra inevitabili screzi. Lo si capì benissimo in palcoscenico quando recitarono insieme in teatro in un clima di accesa competitività. Un sentimento dimostrato platealmente dalla Magnani e mascherato da un eccesso di cortesia da Totò, il quale, per difendersi in qualche modo pretese sempre che lui e l’attrice si dessero del lei, spiegando: “Con un tale ciclone di donna è meglio mantenere le distanze”. Nannarella, a sua volta, tese sempre a ribadire la sua assoluta supremazia. Come raccontava l’impresario Elio Gigante, durante le repliche della rivista Volumineide, in pieno periodo bellico, Anna, oltre a protestare perché in cartellone il suo nome veniva dopo quello del partner, pretendeva di avere a disposizione una macchina per recarsi in teatro, mentre Totò si arrangiava a piedi e in bicicletta, senza lamentarsi. Non faceva commenti, ma sognava una rivalsa e infatti una sera, mentre la Magnani, decisa a eclissarlo, cantava illuminata da un abbagliante fascio di luce, incominciò a muoversi impercettibilmente dal buio in cui era stato relegato, suscitando la curiosità del pubblico che smise di osservare la primadonna per scrutare in fondo al palcoscenico.
Apriti cielo! Anna si infuriò e a fine spettacolo si sfogò sostenendo che Totò si comportava da guitto e che la sua era concorrenza sleale. Quindi, con la sua proverbiale aggressività affrontò direttamente il rivale insultandolo. “Sei un gran figlio di una mignotta”, gli gridò. “Non sono scema e quindi da domani in poi farò rimettere le luci come stavano prima, così tu la smetti di fare il furbo!” L’attrice non tollerava di essere surclassata e si vendicò anni dopo, nel 1960, quando rivide Totò sul set di Risate di gioia diretto da Mario Monicelli. Infatti lo costrinse a ripetere ogni scena una ventina di volte, nonostante per il regista, come si dice in gergo, fosse quasi sempre buona la prima, allungando la lavorazione in modo irritante per uno come Totò abituato a girare un film in quattro settimane. Eppure anche con Nannarella trovò il modo di essere galante e una sera, sotto gli occhi dei fotografi, le baciò delicatamente un piede. La Magnani scoppiò a ridere lusingata da un omaggio così singolare e lui le spiegò: “Il baciamano sarebbe inadeguato a una donna come lei, più unica che rara e così mi sono inventato il baciapiede”. Salvo poi sussurrare ai presenti: “E meno male! Se di Magnani ce ne fossero due mi potrei pure sparare”.
In privato confessava che in Nannarella, per tanti versi affascinante, non aveva mai trovato la classe di cui invece era ampiamente dotata Milly, un’artista che gli piaceva molto per il suo stile misurato e per l’eleganza impeccabile, sul modello delle donne vestite da Coco Chanel. “Se fosse nata in Francia ne avrebbero fatta un’altra Mistinguette”, osservava, incantato dalla sua straordinaria presenza scenica. L’avrebbe certamente corteggiata se una sera a Napoli, andando a salutarla in camerino dopo un suo spettacolo, non avesse incontrato Umberto di Savoia. Raccontava di essersi reso subito conto che il loro chiacchieratissimo legame era importante e si rammaricò che la ragion di stato ne impedisse il lieto fine.
Liliana de Curtis
Anna detestava le interviste e odiava la televisione, accettò di commemorarlo con Lello Bersani al telegiornale del 15 aprile 1967, il giorno della sua morte. Era vestita di nero, il colore del lutto e dell’anarchia che era solita portare, il viso abbrunato da un paio d’occhiali scurissimi che le mangiavano le gote, la voce calma, quieta, straordinariamente dolorosa. Come sempre fu laconica, quasi lapidaria. Ma offrì alla telecamera la sua bella testa da Medusa segnata dall’inesorabilità di quella perdita che tanto l’aveva colpita. Era morto il compagno di tante riviste, il signore profumato e gentile, il pupazzo sgambettante, con la mascella sgangherata, gli occhi a palla che nuotavano a casaccio in quel viso da pierrot triste e famelico, Sua Altezza Imperiale Antonio Porfirogenito della stirpe costantiniana dei Focas Angelo Flavio Ducas Comneno di Bisanzio, principe di Cilicia, eccetera eccetera eccetera. In arte: Totò. Due sillabe sole, che arrivavano come due schioppettate, che potevano essere scomposte e ricomposte in interminabili tiritere e scilinguagnoli.
Con Totò, durante la guerra, amava passare le notti del dopoteatro girovagando grazie ai loro lasciapassare per artisti in una Roma svuotata dal coprifuoco, annerata, luttuosa, silente. Ricordava ancora quando uscendo dal Valle aveva preso a ceffoni un gruppo di ragazzetti che si divertivano a martoriare un gatto, tenera bestiola spaurita che non riusciva a fuggire dai loro gesti violenti. Li aveva investiti con la forza d’una iena, li aveva anche presi a calci. Ma al loro pianto erano usciti da un caffè poco lontano i genitori furenti che se l’erano presa con lui, reo d’accompagnarsi a una matta del genere.
[...] Giannetti si riaffacciava a chiederle di lavorare in Tv: come invocare l’acqua santa a casa del diavolo. «No, non riuscirei mai a recitar alla televisione. Mi sentirei tutta legata, costretta, impedita» diceva. «Anche l’unica volta in cui accettai di comparire alla televisione qui in Italia... Era morto Totò, un artista così immenso, un amico così grande, potevo rifiutare di ricordarlo al suo pubblico?... Persino quella volta, sconvolta dal dolore com’ero dovetti nascondermi dietro gli occhiali neri per vincere lo spavento, l’idiosincrasia, questo complesso che non posso superare».
Patrizia Carrano
Anna Magnani, sotto le bombe, nel 1944, tornava al teatro. La guerra andava avanti con una lunga coda di svolte e di atrocità. Il cinema non c’era più e le poche produzioni in corso andavano a singhiozzo, compresa quella del film Quartieri alti in cui recitava Serato. Anna allora riprese la strada dello spettacolo di rivista, sempre con Michele Galdieri e Totò.
Il 4 febbraio del ’44 ebbe luogo la prima di Che ti sei messo in testa?. Il titolo originario, Che si son messi in testa, era stato cambiato. La censura aveva colto l’allusione ai tedeschi che occupavano la capitale e aveva anche purgato il copione di altri riferimenti alla politica e al momento bellico. Ciò nonostante, i romani non fecero mancare il loro consenso ad Anna e al grande Totò.
Il successo fu tale che Anna e il principe Antonio De Curtis, venti giorni dopo l’arrivo degli Alleati e la libertà tornata a Roma, proposero la nuova rivista "Con un palmo di naso", in cui Totò faceva una caricatura di Hitler e poi, insieme alla Magnani, ma questa volta nei panni di un Pinocchio-Mussolini, cantava a una Salomè-Anna la canzoncina che faceva:
Se mi volevi bene veramente / dovevi agire un po’ più seriamente / dovevi fare meno profezie / dovevi dire meno fesserie / dovevi smascherare quei pagliacci / pensare più ai fagioli che ai Petacci
I pagliacci, per la coppia Anna e Totò, erano i nazisti, pagliacci tragici. In platea, in mezzo al pubblico sempre numeroso, sedeva quasi ogni sera Massimo Serato che, rimasto disoccupato, guardava la sua donna accolta da un tripudio di applausi e s’interrogava sul da farsi. La sua donna, che non se l’era tolto dal cuore, aveva già dei progetti per lui, da realizzare insieme, allontanandosi persino dal grande principe della scena Totò che, ancora una volta, la considerò generosa e, non potendo certo opporsi, la lasciò fare, sia pure con dispiacere.
Anna mise su una compagnia per rappresentare un’altra rivista, scritta da due giovanissimi giornalisti che dovevano fare molta strada. Si chiamavano Pietro Garinei e Sandro Giovannini, i cui nomi nel cartellone del Teatro delle Quattro Fontane erano stampati insieme a quelli di Italo De Tuddo e di Franco Monicelli.
Il titolo della rivista era Cantachiaro ed ebbe due edizioni, entrambe molto gradite. Vi presero parte grossi calibri come Carlo Ninchi, Marisa Merlini (che sarà la levatrice in Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini), Lea Padovani, Enrico Viarisio, Raimondo Vianello, il meglio del teatro leggero. In fondo al cartellone, il nome di Massimo Serato, che aveva dovuto lasciare il passo a questi illustri colleghi.
Era l’avvio di una collaborazione sulla scena che Anna e Massimo proseguirono per alcuni mesi e che li coinvolse nella messa in scena di Carmen, il testo di Prosper Mérimée che aveva ispirato l’opera di Bizet, e Jegor Bulycov di Maksim Gorkij, un autore russo, amico di Lenin, di cui un anno prima non era neppure il caso di pronunciare il nome. Ma l’unione sulla ribalta non rese più solida l’unione d’amore. Anzi... [...] Nel momento dei bilanci, Anna confermava la sua tempra. I dispiaceri venivano da altre parti. Venivano dalla scomparsa di compagni di lavoro che erano stati per lei straordinari amici. Uno di questi dispiaceri fu la morte di Totò avvenuta nel 1967. Avevano lavorato a lungo insieme, in spettacoli di rivista che sono entrati nella storia del teatro leggero e nel costume del nostro Paese, per i graffianti accenti satirici e soprattutto per il gusto di giocare con la comicità.
L’attrice fu chiamata in televisione per pronunciare un ricordo. Disse poche cose, molto secche ed essenziali. Rammentò a tutti che Totò non aveva avuto vita facile, non era stato accettato, e che avrebbe avuto da morto gli elogi che gli erano stati spesso negati in vita. Rivelò nell’occasione che Totò aveva un sogno, quello di interpretare Don Chisciotte, ma nessuno voleva saperne di fornirgliene l’opportunità. La nuova padrona dello spettacolo: la televisione.
Totò e... Anna Magnani - Le opere
Risate di gioia (1960)
Riferimenti e bibliografie:
- "Anna Magnani", Matilde Hochkofler, Gremese Editore, 2001
- "La Magnani", Patrizia Carrano, BUR, 1986
- "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fori) - Feltrinelli, 1977
- Claudia Ausilio, vesuviolive.it
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese, 1983
- Italo Moscati, "Anna Magnani: Un urlo senza fine", Lindau, 2015
- Elsa De Giorgi, "I coetanei"
- "Totò, femmene e malafemmene", Liliana de Curtis e Matilde Amorosi, RCS Libri, Milano, 2003