Totò e... Carlo Ludovico Bragaglia
Totò era un istintivo
Gustavo Lombardo, napoletano, era diventato amico di Totò e gli riuscì di cavar fuori dall'avanspettacolo questo grande attore. Insieme con Achille Campanile avevamo pensato a un soggetto di grande fantasia, ma il film non si poté realizzare come era stato concepito da me e da Campanile, perché ci volevano dei mezzi finanziari enormi, in quell'epoca il cinema era limitato a un circuito esclusivamente nazionale, e poi per le difficoltà del produttore che era uno che si arrangiava e quindi mancavano i mezzi per fare tutte le enormi trovate fantasiose che avevamo escogitato con Campanile per fare veramente degli animali pazzi. Nel film è rimasta soltanto una traccia, che funziona abbastanza, ma è venuto meno il pepe, che erano le pazzie degli animali. Ce n'è soltanto qualcuna appena accennata, ma le più facili e le meno costose perché le più costose avrebbero avuto bisogno di tempo e di danaro, che non avevamo.
La rassegna stampa
«Le mie dive, il mio Totò»
Carlo Ludovico Bragaglia festeggia i 97 anni e racconta il suo cinema. «Mi colpì Lyda Borelli, come in un sogno il bel corpo nudo sotto la veste trasparente» «Quante litigate col principe, se mi avesse ascoltato sarebbe stato più grande di Charlot»
«Totò? Era un ignorante, nel senso che ignorava le sue grandi capacità espressive e quindi non le sfruttava al meglio», dice Carlo Ludovico Bragaglia, il berretto blu calcato sulla fronte e gli occhiali neri inforcati su di un naso imponente. Il regista di tanto cinema e teatro tra gli anni Trenta e Cinquanta qualche settimana fa ha raccontato la sua avventura agli studenti dell’Università di Roma «La Sapienza».
La voce è ferma e la memoria non è vaga, nonostante i 97 anni ben portati. «il guaio è che sto sempre bene», scherza l'anziano uomo di spettacolo, fratello del celebre Anton Giulio Bragaglia fondatore del Teatro degli Indipendenti.
«Era il più intelligente e il più colto di tutti noi — dice subito Carlo Ludovico di Anton Giulio, riferendosi anche agli altri due fratelli, Arturo e Alberto, rispettivamente attore e pittore. Eravamo una famiglia di artisti, di creativi. Abbiamo spaziato nell’avanguardia e nella sperimentazione. promuovendo nuove idee e spesso anticipando i tempi. Abbiamo tracciato un percorso di ricerca, dove la fondazione della Casa d’Arte Bragaglia, nel 1918 a via Condotti, è stata solo una tappa importante, ma non definitiva».
Orgoglioso del suo passato ed energico anche nel presente, Carlo Ludovico Bragaglia ripercorre a ritroso il suo lungo itinerario artistico. Da quando cominciò come fotografo ad avvicinare alcune grandi dive dei «telefoni bianchi». Ricorda il regista: «Quella che mi colpì più di tutte fu Lyda Borelli. Mi chiese di andarla a fotografare a casa sua, in un piccolo appartamento a piazza del Popolo. Io, che pur essendo giovanissimo avevo già una certa esperienza, ero emozionatissimo. Avevo portato con me tutta l'attrezzatura, tra cui anche delle lampade elettriche che, a quell’epoca, erano una novità. All’improvviso mi apparve la Borelli come in un sogno, avvolta in una veste trasparente che lasciava intravedere il bel corpo nudo. Rimasi abbagliato, ma riuscii comunque a realizzare un bel servizio fotografico».
Una sessantina di film, tra i quali alcuni indimenticabili con Totò: «Totò le Mokò», «47 morto che parla», «Animali pazzi», «Totò cerca moglie». Ma nonostante il lungo sodalizio artistico, il rapporto con il principe de Curtis non fu semplice. «Tante volte abbiamo litigato, perché Totò non si degnava nemmeno di leggere i copioni che doveva interpretare — racconta Bragaglia —. Si affidava completamente all’improvvisazione, secondo la scuola del vecchio avanspettacolo, e pure essendo bravissimo, irresistibile, finiva inevitabilmente per ripetersi. Totò non era semplicemente un attore e non era neppure una maschera: era una marionetta. In lui giocavano due fattori, la tradizione della «guitteria» napoletana e la naturale capacità di incredibile articolazione, che gli consentiva di muoversi proprio come un burattino. Se avesse compreso le sue potenzialità e se qualche volta mi avesse dato retta, sarebbe diventato più grande di Charlot».
Con lo spirito del pioniere, Bragaglia rammenta i tempi difficili del regime fascista. Tempi di «autarchia» anche nel campo dello spettacolo, quando neanche per fare un film si potevano usare nomi o materiali stranieri. Racconta il regista: «All’inizio non c’era nemmeno la pellicola e bisognava farsi tutto da soli. Per questo mi sono sempre definito un artigiano del cinema». Quella di Bragaglia è modestia o aristocratico distacco dall'industria dello spettacolo fatto in serie? «No, è solo la consapevolezza — conclude il regista — di appartenere a una generazione di artisti di cui si è perso lo stampo. Ma ancora oggi, ciò che mi tiene in vita è proprio la voglia di continuare a lavorare».
Emilia Costantini, «Corriere della Sera», 16 giugno 1991
Totò e... Carlo Ludovico Bragaglia - Le opere
Animali pazzi (1939)
Totò le Mokò (1949)
47 morto che parla (1950)
Figaro qua, figaro là (1950)
Le sei mogli di Barbablù (1950)
Totò cerca moglie (1950)
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- Carlo Ludovico Bragaglia in “L’Araldo dello Spettacolo”, n. 19, 10 febbraio 1950
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- Emilia Costantini, «Corriere della Sera», 16 giugno 1991