Totò e... Eduardo De Filippo
Egli deve aprire e chiudere più volte le palpebre e sbatterle per liberarle dalle gocce di sudore che gli scorrono giù dalla fronte per potermi vedere e riconoscere, e finalmente dirmi: «Edua', stai ccà! » E un abbraccio fraterno che nel tenerci per un attimo avvinti ci dava la certezza di sentire reciprocamente un contatto di razza. E le quattro chiacchiere, quelle riguardavano noi due, le abbiamo fatte ancora per anni, fino a pochi giorni fa.
Totò e Eduardo De Filippo sono stati molto più che colleghi, hanno condiviso una amicizia profonda. I carteggi esistenti dismostrano la profonda stima che avevano l'uno dell'altro, avendo condiviso fame e difficoltà nei loro primi anni di lavoro, in giro per i teatri di tutta Italia. In comune avevano un infanzia difficile, erano infatti figli illegittimi entrambi: figlio del drammaturgo Eduardo Scarpetta della nipote della moglie, Luisa De Filippo il primo e di Anna Clemente, e del Marchese Giuseppe De Curtis, il secondo. Eduardo volle Totò al suo fianco, nella realizzazione cinematografica della sua fortunata commedia "Napoli milionaria" e gli cucì addosso il personaggio di Pasqualino Miele, un povero disgraziato che per denaro sostituiva chi avendo commesso un reato rischiava il carcere. Totò nel film fa il "finto morto" per evitare l'arresto. Il personaggio nel soggetto della commedia non esisteva, fu creato appositamente per la trasposizione cinematografica.
Per questa sua partecipazione al film Totò non volle essere pagato poiché si riteneva ricompensato dall'aver lavorato insieme al commediografo napoletano. Eduardo comunque volle sdebitarsi con Totò regalandogli un prezioso gioiello, accompagnato dalla seguente missiva:
Caro Antonio,
A parte qualunque interesse, questa collaborazione che io ti ho chiesto, ci riporterà, sia pur pochi giorni, ai tempi felici e squallidi della nostra giovinezza.
Ogni qualvolta penso a te, Amico, te l’ho detto a voce, e voglio ripeterlo per iscritto, ho l’impressione di non essere più solo nella vita.
Questa benefica certezza mi viene senza dubbio dalle infinite dimostrazioni pratiche di affetto che tu, in qualsiasi momento, mi dai.
I documenti
La valutazione soggettiva di certi ambienti e soloni intellettuali non può minimamente scalfire la testimonianza di vita e d’Arte che questi due grandi Napoletani hanno lasciato a noi delle generazioni successive: dalla miseria può nascere l’Arte; «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior». De Andrè aveva ragione...
Galleria fotografica e stampa dell'epoca
Ci scambiavamo cappotto e pelliccia
di Eduardo
Eravamo coetanei, ci conoscevamo sin da ragazzi. Totò aveva appena due anni più di me, ci stimavamo e ci volevamo bene. Lo chiamai a «Napoli milionaria» il film col quale si affermò definitivamente: avevo spezzato in due la mia parte, la parte che ho nella commedia omonima, per dargli un ruolo adatto. Era cosi felice di venire a lavorare con me, che venne per niente, gratis (i film allora, nel 1950, noi potevamo farli soltanto in grande economia).
Una volta che mi ammalai, mi sostituì, permettendo alla nostra compagnia di mantenere gli impegni. Eravamo a Palermo, nel '21-'22 io recitavo al Teatro Olimpia, un teatro in legno, che ora non c’è più, sulla via Roma, allora abbastanza importante e frequentato; Totò lavorava in un Varietà al Kursaal; stavamo ad abitare in una stessa pensione, in via Camperio, mi ricordo ancora. A quell’epoca mi ero comprato per duemila lire una pelliccia di castoro, col grande bavero lungo e l’interno di castorino, l'avevo acquistata dalla padrona di una pensione, che se l'era tenuta come pegno di un cliente che non si era fatto più vivo dagli anni della guerra. Ce l'avevano anche Ruggero Ruggeri, Antonio Gandusio e i più famosi attori del varietà. La voleva anche Totò, una pelliccia del genere, ma non ce l'aveva. Se la voleva comperare da me e mi propose di darmi in cambio mille lire e il suo cappotto, un bel cappotto di vigogna blu con le maniche a forchetta, come usava.
Io allora, che non avevo cappotto, presi il suo, me lo misurai, stava bene, e gli proposi di scambiarci gli indumenti: quando gli prestavo la mia pelliccia lui mi dava in cambio il suo cappotto, e facevamo enetrambi bella flgura.
Proprio in quel periodo mi ammalai di reumatismi, e Totò che aveva finito il suo ingaggio al Kursaal, mi sostituì al Teatro Olimpia nella commedia napoletana che stavamo recitando. E quando la notte ritornava in pensione dopo lo spettacolo, mi faceva le pezze calde col ferro da stiro, e poi con quelle mi fasciava le braccia colpite dal reumatismo. Poi recitava e cantava le «macchiette» solo per me, me ne ricordo una in particolare. «Il portavoce»: allungava il collo, si dimenava nella mossa del cavallo: io ero veramente un suo ammiratore e distinguevo bene, oltre lo straordinario allucinante personaggio, la precisa intensa satira mimica muta.
Eduardo De Filippo, «Paese Sera», 17 aprile 1977
Eduardo: «Quella volta che Totò mi tolse il saluto»
L'attore ha consegnato i Globi d'oro a Comencini, Sordi e Ornella Muti.
ROMA
Invitato a presiedere alla consegna del Globi d'oro e ad assistere alla proiezione di Napoli milionaria (film di recente ristampato dalla Cineteca Nazionale), Eduardo De Filippo è stato il mattatore dell'annuale appuntamento promosso dall'Associazione Stampa Estera.
Nell'introduzione del suo film Eduardo ha ricordato che per Napoli milionaria i bassi e i vicoli di Napoli vennero ricostruiti negli stabilimenti romani della Farnesina. Per le riprese — sottolinea — avevamo utilizzato 130 abitanti dei vecchi vicoli di Napoli che avevamo scritturato come comparse. Allora il cinema era libero e il regista non era assillato, come accade adesso, dai produttori. Io mi accostai al cinema perché mi dava fastidio vedere come gli attori in teatro aggiungessero ogni sera qualche battuta non prevista dal copione. Io pretendo che il testo venga rispettato: gli attori non vanno sempre d'accordo con il copione. Nel cinema invece una volta girata una scena come voglio io, l'attore non ha più la possibilità d'intervenire».
«Totò — aggiunge Eduardo — dopo aver visto Napoli milionaria mi tolse il saluto perché nel montaggio gli avevo tagliato tutte le mossette che lui era abituato a fare in palcoscenico. Ma quando si accorse del successo, volle che gli fosse regalata una copia del film che ogni sera proiettava agli amici». [...]
e. b., «La Stampa», 18 febbraio 1983
Eduardo: «Totò l'ho frenato, Welles è il mio maestro»
Così ha confidato il grande attore-autore atta cerimonia dei «Globi d'oro» a Roma
ROMA
La consegna dei Globi d'oro, i premi dati dalla Associazione della Stampa estera in Italia per il nostro cinema della stagione 1981/1982, è avvenuta a Roma nell’Aula Magna del Centro Sperimentale di Cinematografia. La cerimonia sotto gli auspici del Ministero del Turismo e dello Spettacolo e con la collaborazione dell’A.N.I.CA. e dell’Ente Autonomo di Gestione per il Cinema, si è svolta in un clima sereno.
Introducendo la cerimonia e sottolineando la forzata assenza del Ministro dello Spettacolo Nicola Signorello, che dal capoluogo piemontese ha inviato un telegramma, il presidente del Centro Sperimentale Giovanni Grazzini ha ricordato gli spettatori giovani e inconsapevoli che credevano nel cinema e che la morie ha colpito mentre, con la scelta di un pomeriggio di svago, testimoniavano «quella sfida contro la morte che è il cinema». Dennis Redmon, il presidente della Stampa Estera, ha poi spiegato che a votare per i Globi d'Oro sono giornalisti di Paesi diversi, corrispondenti da Roma per testate disseminate in tutto il mondo. [...] Il momento più atteso della manifestazione è stato il discorso fatto con accenti partecipi e prodigiosamente memori da Eduardo De Filippo al quale è stata consegnata una pergamena speciale e di cui si è vista, promossa dalla Cineteca Nazionale, la proiezione del film «Napoli milionaria» (1950) tratto dalla sua omonima commedia e interpretato da Leda Glori, Totò, Titina De Filippo.
Abbiamo avvicinato il senatore Eduardo subito attorniato dai giovani allievi del Centro che intendevano sottoporlo a un fuoco di fila di domande, e gli abbiamo chiesto di ricordare la lavorazione come regista del film di cui l’allora direttore di produzione Luigi De Laurentiis aveva in precedenza narrato numerosi aneddoti.
— Qual è stato, Eduardo, il suo rapporto come regista e autore con la cinepresa?
«Desideravo — ha risposto De Filippo con l'arguzia di sempre — fermare sulla pellicola le parole delle mie commedie, che i teatranti mutavano spesso nel corso delle recite. Pensavo: 'Con il cinema nessuno mi potrà gabellare: fisserò per sempre i miei dialoghi'. Per 'Napoli milionaria' lavorai con lo sceneggiatore Pietro Tellini e con Arduino Maturi e i produttori, proprio perche non ero affermato come regista, mi concessero fiducia. In seguito le cose cambiarono e io mi allontanai dalla trappola del cinema»,
— Come si svolse il suo rapporto con Totò attore?
Eduardo, intorno al quale si era nuovamente formato un capannello di studenti, ha imitato i versi e la mimica di Totò e ha detto: «Cercai di frenare i vezzi espressivi del comico e girai sempre due scene: una come la voleva Totò e una come la volevo io. In fase di montaggio eliminai le sue sequenze e scelsi quelle che io gli avevo ordinato. Dopò la proiezione, Totò se ne andò senza salutarmi e me ne volle a lungo, ma in seguito al grande successo della nostra pellicola il suo atteggiamento mutò e forse anche la sua recitazione divenne più controllata. Insieme abbiamo portato Napoli prima a Roma e poi nel mondo. Ricordo i 'si gira’ e i teatri della Farnesina dove avevamo ricostruito i bassi partenopei cosi bene che i 100 napoletani scritturati, vedendoli, decisero che avrebbero voluto abitare tra i fondali e non nelle camere d'affitto».[...].
Giovanna Grassi, «Corriere della Sera», 18 febbraio 1983
Il saluto di Eduardo a Totò, in occasione della sua morte, attraverso le colonne del quotidiano "Paese Sera", aprile 1967
«Erano più colorate le strade di Napoli, più ricche di bancarelle improvvisate di chioschi di acquaioli, più affollate di gente aperta al sorriso allora, quando alle dieci di mattina le attraversavo a passo lesto - avevo quattordici anni - per trovarmi puntuale al teatro Orfeo, un piccolo, tetro, e lurido locale periferico, dove, in un bugigattolo di camerino dalle pareti gonfie di umidità, per fare quattro chiacchiere tra uno spettacolo e l'altro, mi aspettava un mio compagno sedicenne che lavorava là.
Oggi è morto Totò. E io, quattordicenne di nuovo, a passo lento risalgo la via Chiaia, e giù per il Rettifilo, attraverso piazza Ferrovia... Entro per la porta del palcoscenico di quello sporco locale che a me pare bello e sontuoso, raggiungo il camerino, mi siedo e mentre aspetto ascolto a distanza la sua voce, le note della misera orchestrina che lo accompagna e l'uragano di applausi che parte da quella platea esigente e implacabile a ogni gesto, ogni salto, ogni contorsione, ogni ammiccamento del « guitto ». Do un'occhiata attorno; il fracchettino verde, striminzito, è lì appeso a un chiodo: accanto c'è quello nero. Quello rosso, glielo vedrò indosso tra poco, quando avrà terminato il suo numero. I ridicoli cappellini... A bacchetta, a tondino... e nero, marrone, e grigio... sono tutti allineati sulla parete di fronte... Manca il tubino: lo vedrò tra poco. Il bastoncino di bambù non c'è: lo avrà portato in scena. E lì, sulla tavoletta del trucco? Cosa c'è in quel pacchetto fatto con la carta di giornale? È la merenda, pane e frittata.
E la miserabile musica continua, e la sua voce diventa via via ansiosa di trasportare altrove quella orchestrina di moltiplicarla. Dal bugigattolo dove mi trovo non mi è dato vederlo lavorare, ma di sentirlo e immaginarlo com'è, come io lo vedo come vorrei che lo vedessero gli altri. Non come una curiosità da teatro, ma come una luce che miracolosamente assume le fattezze di una creatura irreale che ha facoltà di rompere, spezzettare e far cadere a terra i suoi gesti e raccoglierli poi per ricomporli di nuovo, e assomigliare a tutti noi, e che va e viene, viene e va, e poi torna sulla Luna da dove è disceso.»
Ora sono travolgenti gli applausi e le grida di entusiasmo di quel pubblico: il numero è finito. Un rumore di passi lenti e stanchi si avvicina, la porticina del bugigattolo viene spinta dall'esterno.
Egli deve aprire e chiudere più volte le palpebre e sbatterle per liberarle dalle gocce di sudore che gli scorrono giù dalla fronte per potermi vedere e riconoscere, e finalmente dirmi: «Edua', stai cca'! » E un abbraccio fraterno che nel tenerci per un attimo avvinti ci dava la certezza di sentire reciprocamente un contatto di razza. E le quattro chiacchiere, quelle riguardavano noi due, le abbiamo fatte ancora per anni, fino a pochi giorni fa.»
Eduardo De Filippo
E il principe disse: «Eduardo, con te lavoro gratis»
Liliana de Curtis svela i retroscena dell'amicizia fra i deu attori in «Napoli milionaria»
Se due amici fraterni, come Totò ed Eduardo, s’incontrarono sul set nel 1949, fu grazie a un complice di lusso: il produttore Dino De Laurentiis. Fu lui che, prima di allestire il cast di «Napoli milionaria», film tratto dal capolavoro teatrale di De Filippo sulle miserie morali di una famiglia napoletana durante la guerra, parlò chiaro a Eduardo: «Chiama Totò. Convincilo ad accettare una parte». Il principe della risata non ebbe esitazioni: «Accetto, ma per te lo faccio gratis!». In segno di riconoscenza, De Filippo gli scrisse una delle più toccanti lettere della storia dello spettacolo italiano: «Caro Antonio, ogni qual volta penso a te, Amico, te l’ho detto a voce e voglio ripeterlo per iscritto, ho l’impressione di non essere più solo nella vita!». E accompagnò quelle righe con un regalo per Diana, la moglie del principe: una collana d’oro, tempestata di brillanti. Nacque un film con Eduardo e Totò nei panni di due tranvieri. Quest’ultimo, con moglie e figli a carico, costretto a fingersi morto pur di sbarcare il lunario.
Liliana De Curtis, lei è l’unica figlia di Totò. Come reagì suo padre al gesto di Eduardo?
«Papà rimase commosso dalle sue parole. Nel suo cuore pesava più la lettera che la collana di Bulgari. Ma non c’è da meravigliarsi Erano due sopravvissuti alla guerra. Due specchi, che quando si incontravano, riflettevano le difficoltà vissute insieme. Conoscevano il vero significato della parola fame, quando pane e frittata era un pranzo extralusso».
Eduardo, però, ricordava anche quando, negli anni ’20, Totò lo aveva curato come un fratello...
«Beh, come poteva dimenticare che papà, dopo i suoi spettacoli, con infinita dolcezza gli stirava le pezze calde e gliele poggiava sul petto. Per distrarlo, poi, cantava "Il portavoce", una "macchietta" napoletana. Eduardo si divertiva così tanto che una notte gli disse: "Totò, vattene! Mi fai troppo ridere, mi sento male!"».
La generosità del principe è proverbiale. Al punto che, raccontando i suoi gesti, la realtà stupisce così tanto da sembrare finzione.
«Lo pensavano anche tanti capifamiglia napoletani del quartiere Sanità, dov’era nato. Soprattutto quando al mattino trovavano sotto l’uscio una busta piena di diecimila lire. All’inizio erano pazzi di gelosia, ma poi scoprirono che era Totò, accompagnato di notte in Cadillac dall’autista Cafiero, a donare soldi ai più bisognosi. Lui faceva tutto in silenzio. Anche la sua auto non doveva far rumore: andava a 40 all’ora, anche per evitare incidenti».
Ma a volte, però, c’è chi in pubblico dispensa generosità e in privato lesina aiuto. Chi era il principe De Curtis?
«Un uomo che amava il silenzio, la notte e parlava a voce bassa. Con la famiglia, poi, è sempre stato sorprendente. Soprattutto con i nipoti. Pensate che a mio figlio Antonello donò la prima Ferrari elettrica e a mia figlia Diana il primo pupazzo parlante. Aveva un sesto senso. Percepiva subito i nostri desideri. Si preoccupava persino di comprare personalmente pigiami e maglie di lana per i nipoti. Un nonno ideale».
È vero che era innamorato del mare?
«Per lui era fonte di tranquillità e ispirazione. Appena poteva, passeggiava sul lungomare napoletano. O a Nizza. Ma davanti a un problema, fermava il mondo! Una volta, in vacanza a Rapallo, scoprì che il marinaio della sua barca aveva la moglie prossima al parto. Gli disse: "Corri da lei e falla partorire. Ti aspettiamo". Tornato da papà, il marinaio non credette ai suoi occhi. Totò aveva già acquistato una carrozzina e un set per la prima infanzia».
Michele Avitabile, «Corriere della Sera», 25 ottobre 2008
Totò e... Eduardo De Filippo - Le opere
Yvonne la nuit (1949)
Napoli milionaria (1950)
L'oro di Napoli (1954)
Il giorno più corto (1963)
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- Vito Pandolfi in "Cinema Nuovo" n.136, novembre-dicembre 1958, pagg.226-228
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- La Stampa
- La Nuova Stampa
- Stampa Sera
- Nuova Stampa Sera
- Corriere della Sera
- Corriere d'Informazione
- Paese Sera