Totò e... Eduardo Passarelli
L’ultimo dei De Filippo: cronache semiserie di un Passarelli senza palcoscenico
Nel gran teatro della vita – e che teatro! – spunta dalla trappola del sipario un tale Eduardo Passarelli, nato da un connubio complicato degno di una sceneggiatura di famiglia napoletana post-borbonica: suo padre? Nientemeno che Eduardo Scarpetta, superstar assoluta della commedia napoletana, e sua madre Anna De Filippo, sorellastra della legittima consorte di Scarpetta. Insomma, un intreccio da soap opera ottocentesca, ma con più talento, più figli illegittimi e molti più baffi.
Eduardo – quello che poi diventerà Passarelli, mica il fratello più famoso – cresce, da bastardo sì, ma in un palazzo: via Vittoria Colonna, mica nei vicoli. Però la nobiltà edilizia non basta a risparmiargli la solita trafila del povero attorucolo: la gavetta, ovviamente, che all'epoca non si limitava a portare il caffè al capocomico ma prevedeva un bel tour tra teatrini, calci nel sedere e scampoli di battute rubate qua e là tra un Totò e un Peppino.
Nel frattempo, il nostro eroe si trova ad avere fratelli e sorelle come Titina, Eduardo, Peppino De Filippo – roba che già a cena non riuscivi a dire una battuta senza che qualcuno ti rubasse l'applauso. C'è anche Pasquale, attore caratterista di mestiere, che si limitava a non farsi notare troppo, ma almeno lasciava il nome di famiglia libero: così il nostro Eduardo, per evitare confusioni da elenco telefonico artistico, si inventa l’alias Passarelli. Un colpo di genio? No, una necessità.
E quando la scena teatrale comincia a dargli del tu, lui si trova catapultato nelle riviste con Totò, in cui fa la spalla, lo zoccolo comico, il punto e virgola del genio. E che spalla! Anzi, quasi un'ascella: sempre lì, mai in primo piano. Ma fondamentale, come il basilico sulla pizza.
Dal teatro al cinema, il salto è breve. Eduardo Passarelli entra in pellicole che oggi chiamiamo capolavori, un po’ perché lo sono davvero, un po’ per rispetto ai mostri sacri che vi recitavano: Roma città aperta, Le quattro giornate di Napoli, Carosello napoletano, e ovviamente le millemila pellicole con Totò, dove Passarelli fa tutto tranne che l’eroe romantico. Lui è il giudice, l’esaminatore, il passante, ma mai – mai! – il protagonista.
E quando prova a farsi notare con la penna, ci riesce eccome: scrive con Totò scene leggendarie come quella del tribunale ne “La cambiale”, e contribuisce a quella meraviglia che è Totò e i re di Roma. Ma, ahimè, non basta a regalargli la gloria immortale che invece tocca a Totò, Sordi, ai De Filippo, a Taranto e persino a tutti i fratelli Maggio, che nel frattempo occupano teatro, cinema e forse anche i sogni degli italiani.
Così Passarelli rimane lì, sempre un passo dietro, la spalla del genio, l'ombra dell'artista. Eppure... ironico destino! Lo si ricorda oggi anche per aver messo nero su bianco, insieme ad Alessandro Ferraù, uno dei volumi più citati su Totò: “Siamo uomini o caporali?” – frase che, chissà, forse si riferiva un po’ anche a lui, eterno caporale nella commedia della vita.
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