Totò e... Isa Barzizza

Isa_Barzizza

Diventava un altro


Isa Barzizza: tra Totò, Shakespeare e raso nero con spacco

C’era una volta una signora del palcoscenico che, tra risate e tragedie, passò dalla spalla di Totò alla colonna portante della commedia italiana. Isa Barzizza, la musa con gli occhi svegli e la battuta pronta, attraversò il Novecento a braccetto con la risata… ma sempre con un paio di tacchi eleganti e una spruzzata di Shakespeare per bilanciare.

Cominciamo dal principio — anzi, da undici principi. Perché tanti furono i film che la videro accanto al “Principe della risata”, alias Totò, signore dei calembour e padrino di ogni comicità surreale che si rispetti. Undici pellicole in cui la Barzizza, con l’aplomb di una duchessa e il tempismo comico di una metronoma svizzera, riuscì a ritagliarsi spazi nonostante il ciclone Totò le girasse costantemente attorno. Tuttavia, non illudetevi: la sua filmografia non pullula di ruoli da protagonista, bensì di “spallate d’autore” al fianco dei mattatori maschili della scena italiana. Ma come ogni regina senza corona sa, c’è più gloria nell’equilibrio del circo che nell’applauso solitario.

Eccezione alla regola? Gran Varietà, 1954. Una pellicola che non passerà forse alla storia del cinema, ma resterà nell’immaginario erotico di molti per il celebre blues intonato dalla Barzizza in un abito nero di raso con spacco strategico: un momento sospeso tra la seduzione e la liberazione femminile ante-litteram, degno di un manifesto femminista… se non fosse che ai tempi lo si guardava per ben altri motivi.

Poi vennero Garinei e Giovannini, due nomi che suonavano come un’azienda di elettrodomestici ma sfornavano riviste brillanti con la stessa frequenza con cui oggi escono i podcast. E Isa ci mise bellezza, verve e quel tono da “non prendiamoci troppo sul serio” che conquistava il pubblico e faceva rima con incasso. Gran baldoria, uno dei titoli di punta della stagione 1951-52, fece proprio questo: baldoria. E gliene fu grati il botteghino.

Ma attenzione: non pensiate che fosse solo piume e paillettes. La nostra eroina calcò anche il terreno minato del teatro di prosa, e mica roba leggera. Shakespeare, signori. La dodicesima notte, diretta da Renato Castellani. Un salto quadruplo carpiato da Rivista a Elisabetta inglese, riuscito con una grazia tale da far applaudire perfino i critici dal braccino corto.

Il 3 gennaio 1954, giorno in cui la RAI decise che era ora di accendere il tubo catodico e spegnere il grammofono, ecco che chi ti mandano in onda? Proprio lei, Isa Barzizza, in Osteria della posta di Goldoni. Inizio col botto, degno di un’inaugurazione olimpica. Seguì una sfilza di commedie televisive che la fecero diventare uno dei volti familiari della nuova Italia televisiva, ancora intenta a capire come sintonizzare l’antenna.

Poi arriva il 1957. E qui la narrazione prende una piega tragica, come un’opera lirica nel terzo atto. Il marito muore in un incidente stradale, Isa ha 28 anni e una figlia da crescere. Chiude il sipario sulla carriera teatrale e si dedica, come una novella Penelope, all’unico affetto rimasto. Ma invece di filare la tela, fonda una società di doppiaggio. Voce su voce, diventa imprenditrice e direttrice artistica: altro che “angelo del focolare”, qui si parla di manager con occhio e orecchio.

Negli anni Novanta, quando molti colleghi erano già in modalità “poltrona e termosifone”, lei rientra sulle scene come se nulla fosse: La pulce nell’orecchio con Gigi Proietti (che non si dirigeva da solo solo per non sembrare narcisista) e Arsenico e vecchi merletti con Mario Monicelli, regista che a sua volta non scherzava quanto a cinismo elegante. Al Festival di Spoleto del 1995 interpreta L’ultimo yankee di Arthur Miller, e nel 1999 si prende pure la briga di entrare in casa Palazzeschi con una riduzione teatrale di Sorelle Materassi. Perché fermarsi quando puoi continuare a stupire?

E già che ci siamo, nel frattempo che ti butti un occhio alla TV: la vedi pure lì. Conduce Mai dire mai su Raitre (ironia del titolo, visto che tornava sempre), insieme a un giovane Fabio Fazio e a un Giampiero Mughini in versione ancora-pensatore-ma-non-ancora-sovversivo-da-salotto. Poi fiction per Raiuno: Non lasciamoci più (1999 e 2001), che suona un po’ come il motto della carriera di Isa col pubblico italiano.

Conclusione (a effetto, come merita)

In un’Italia che cambiava volto, accento e mezzi di comunicazione, Isa Barzizza ha attraversato ogni trasformazione senza mai snaturarsi. Spalla? Protagonista? Doppiatrice? Madre? Regina senza regno? Tutto e niente, perché l’ha fatto sempre con ironia, intelligenza e un invidiabile senso della misura. E quando non c’era più palco, si costruiva uno studio. Quando non c’era più ruolo, se lo scriveva da sola. Isa non ha mai detto “basta”. Al massimo ha detto “ora faccio altro”. Ma sempre, rigorosamente, col sorriso di chi sa che la vera commedia — quella umana — non si spegne mai.


Con Totò ho lavorato la prima volta nell'estate del '47 in "I due orfanelli" di Mattoli. Quell'anno facevo teatro con Macario e Mattoli venne a offrirmi di fare questo film che per me era il primo. Nell'inverno successivo Totò mi volle nella rivista "C'era una volta il mondo" e poi in "Bada che ti mangio": abbiamo lavorato insieme per due anni di seguito. Il famoso sketch del vagone letto, che poi è staato ripreso anche in Totò a colori, l'ho fatto per la prima volta in "C'era una volta il mondo": era uno sketch per modo di dire perché alla fine era diventato lungo quasi come un atto di una commedia, durava quarantacinque minuti, mentre al momento del debutto, durava sì e no dieci minuti: ogni sera Totò aggiungeva qualche cosa.
Nella stagione successiva feci "Fifa e arena", un film che ha incassato moltissimo, avevo la parte che in "Sangue e arena" era stata di Rita Hayworth, la miliardaria americana che si innamora del solito mistificatore. Totò al giro d'Italia è stato faticosissimo. Andammo veramente tutto il periodo in giro per l'Italia con questi ciclisti, anche se facemmo una serie di tappe che non erano quelle ufficiali. "Totò a colori" puntava tutto sul colore, nel vestito o nel trucco ci voleva sempre qualcosa di rosso o di verde. Non ho più avuto occasione di rivedere "Figaro qua ... Figaro là", "Le sei mogli di Barbablù", "Sette ore di guai": i titoli me li ricordo, ma i film molto meno. Spesso erano film tirati via, fatti in fretta. In quel periodo facevo quattro, cinque film durante un'estate, uno dopo l'altro, senza neppure il tempo per ricordarmi le storie, del resto abbastanza idiote. Quando ho rivisto molti dei film di Totò, quasi tutti abbastanza brutti, tirati via, fatti senza cura, mi sono accorta che Totò era sempre di una bravura eccezionale, sia che il film fosse bello o che fosse brutto, lui era Totò, quasi al di fuori della storia, era straordinario, riusciva a salvarsi sempre.
Totò era come due persone in una. Quando era al di fuori del palcoscenico, a casa sua o per la strada, era un tipo di persona, sul palcoscenico diventava un altro. Nella vita privata era molto gentile ma molto schivo, non dava confidenza neppure a quelli che lavoravano con lui da molto tempo. Prima dello spettacolo non parlava con nessuno, stava chiuso in camerino, poi nel momento in cui metteva piede sul palcoscenico si accendeva, sembrava che esplodesse, con tutto il suo umorismo, con la sua forza mimica, con le sue battute surreali.

Isa Barzizza

È la più giovane « soubrette assoluta » della Rivista italiana. Scoperta da Macario nell'immediato dopoguerra, Isa — figlia del « re del jazz » Pippo Barzizza — era non solo emozionatissima, ma ultraminorenne, la sera in cui appariva in palcoscenico per la « prima » delle Educande di San Babila. Quando sfilava in passerella, il volto le si imporporava lievemente; il suo magnifico sorriso non sapeva dissimulare completamente un’ombra di disagio. Ma la cosiddetta « stoffa » della soubrette c’era : spirito, garbo, malizia, freschezza, erano le sue doti più invidiabili. Isa con Macario, Isa con Totò, e poco dopo Isa in una quantità di film, vittoriosa sullo schermo come alla ribalta. L’attività cinematografica, anzi, le impediva più d’una volta di ripresentarsi in teatro; finché un giorno, quasi senza avvedersene, ella si trovò impegnata tanto con Cinecittà che con gli Spettacoli Errepì. Come fare? Ad un certo momento parve senz’altro che Isa dimenticasse l’impegno teatrale per non mandare a vuoto quello cinematografico: ma « Errepì », forte del contratto che aveva in mano, si mostrò inflessibile: i suoi avvocati ottenevano il sequestro dei beni della leggiadra traditrice « fino alla concorrenza di cinquantaquattro milioni»: cifra approssimativa del danno che egli avrebbe senza dubbio subito. Nel dare tale notizia, un giornale di Roma stampava : « Il sequestro dei seni di Isa Barzizza per un valore di cinquantaquattro milioni ». Era un banalissimo errore di stampa, si capisce: ma un errore che avrebbe inorgoglito qualsiasi attrice. (Si dice poi che quel giorno Gina Lollobrigida e Silvana Pampanini passassero ore ed ore a fare, matita alla mano, complicatissimi calcoli aritmetici).

Dino Falconi e Angelo Frattini


Pur essendo un appassionato estimatore del gentil sesso, guidato dalla massima popolare che “ogni lasciata è persa”, per una delle sue infinite contraddizioni, Totò, per certi versi, poteva considerarsi un moralista. Quando era capocomico, infatti, imponeva alle ballerine una rigida disciplina, tanto che una di loro un giorno, dopo un rimprovero a suo avviso ingiusto, gli fece notare con stizza che in fondo lei e le sue colleghe non erano delle educande. “Lo so”, replicò lui con piglio severo. “Ma, carina mia, i gusti sono gusti e io preferisco trovarmi in un collegio piuttosto che in un bordello. Se ti sta bene resta altrimenti parti pure per altri lidi.”

Non è un caso, quindi, che tra le soubrette la sua prediletta fosse Isa Barzizza, la quale, pur alimentando i sogni proibiti degli spettatori esibendosi in un ridotto bikini, era serissima e arrivava in teatro accompagnata da una governante, incaricata dal padre di sorvegliarla. Totò, se mai avesse permesso alla figlia di recitare, si sarebbe comportato allo stesso modo e non perdeva occasione per lodare la bellezza e l’educazione di Isa. Fu sua la trovata rimasta famosa nella storia della rivista, di infilarle prima della passerella una rosa nelle mutandine di paillettes, spiegando: “Un portafiori migliore non si può trovare in nessuna parte del mondo”.

Liliana de Curtis


Galleria fotografica e rassegna stampa


A teatro Totò arrivava con un certo anticipo, alle sei e mezzo - sette per andare in scena alle nove. Teneva molto spesso una chaise-longue in camerino: si metteva lì e riposava, probabilmente pensava alle gag che avrebbe fatto o a modificare qualcosa. Era sempre vestito con grande cura, quasi ricercatezza, colletto duro, spilla sotto la cravatta, sempre doppio petto, bei vestiti ben tagliati; quando usciva dal camerino era un'altra persona, si faceva due pomelli rossi, un po' di riga agli occhi per segnarli di più, una bombettina, un fracchettino strambo, sdrucito, ed era di una vitalità... non si poteva immaginare che un signore mezz'ora prima così riservato potesse trasformarsi in quel modo.

Isa Barzizza, intervista di Alberto Anile


Totò era come due persone in una. Quando era al di fuori del palcoscenico, a casa sua o per la strada, era un tipo di persona, sul palcoscenico diventava un altro. Nella vita privata era molto gentile ma schivo, non dava confidenza neppure a quelli che lavoravano con lui da molto tempo. Prima dello spettacolo non parlava con nessuno, stava chiuso in camerino, poi nel momento in cui metteva piede sul palcoscenico si accendeva, sembrava che esplodesse con tutto il suo umorismo, con la sua forza mimica, con le sue battute surreali. Anche nei film è spesso un personaggio surreale, nel contesto di una scena viene fuori con dei gesti, con una battuta al di sopra delle righe, una rottura totale con la situazione che si voleva rappresentare. Nei rapporti d’ogni giorno era sempre abbastanza formale, anche con quelli che lavoravano con lui, addirittura un po’ carente dal punto di vista umano, anche se sempre molto corretto, privo di tutte le rivalse, le ripicche, che ci sono spesso tra colleghi. Si raccontavano storie di gelosie folli, patologiche. Quando lavorava a teatro non faceva niente durante tutta la giornata, se non dormire a lungo. Dormiva sempre molto, mangiava, andava in teatro prima dello spettacolo. Arrivava con un certo anticipo, alle sei e mezza, sette per andare in scena alle nove. Si metteva sulla chaise-longue che aveva in camerino e riposava, probabilmente pensava alle gag che avrebbe fatto o a modificare qualcosa. Era sempre vestito con grande cura, quasi con ricercatezza: colletto duro, spilla sotto la cravatta, sempre doppio petto, bei vestiti, ben tagliati. Quando usciva dal camerino era un’altra persona, si faceva due pomelli rossi sulle guance, un po’ di riga agli occhi per segnarli di più, indossava una bombettina, un fracchettino strambo, sdrucito, era pieno di incontestabile vitalità. Solo sul palcoscenico si scatenava, non si poteva immaginare che un signore, mezz’ora prima così riservato, potesse trasformarsi in quel modo. Altri comici nella vita privata sono uguali a come li vedi sul palcoscenico. Totò invece era un’altra cosa.

Isa Barzizza

Con Totò ho lavorato la prima volta nell’estate del 1947 in I due orfanelli di Mario Mattoli. Nell’inverno successivo Totò mi volle nella rivista C’era una volta il mondo e poi in Bada che ti mangio!: abbiamo lavorato insieme per due anni di seguito. Il famoso sketch del vagone-letto, che poi è stato ripreso in Totò a colori, l’ho fatto per la prima volta in C’era una volta il mondo. Era uno sketch per modo di dire perché alla fine era diventato lungo quasi come un atto di una commedia, durava quarantacinque minuti, mentre al momento del debutto durava sì e no dieci minuti. Ogni sera Totò aggiungeva qualche cosa. Per quanto riguarda lo starnuto, aveva cominciato con un accenno, vedeva che il pubblico ci stava e allora la seconda sera lo allungava, ma continuava a fare anche tutto quello che aveva fatto la sera prima. Una cosa si agganciava all’altra, con un rigore assoluto: inventava molto e, se riteneva che funzionasse, una volta che la metteva a punto non cambiava più una virgola. Lo sketch nasce da un canovaccio di Michele Galdieri, ma è una variante ferroviaria dell’antica farsa napoletana La camera fittata a tre. Qui i letti sono due, prenotati da Totò e dall’onorevole Trombetta, la terza persona è una bionda affascinante che chiede asilo nel loro scompartimento. Già prima che l’intrusa entri in scena, i due si guardano in cagnesco con la recondita speranza di cacciarsi l’un l’altro e occupare tutto lo scompartimento. Nel film la scena è affidata agli attori che l’avevano interpretata a teatro e cioè a Totò, Mario Castellani e a me. Totò ci ha messo le cose più carine, però a teatro era un’altra cosa. Totò a colori puntava tutto sul colore: nel vestito o nel trucco ci voleva sempre qualcosa di rosso o di verde. Tutto era coloratissimo, come nei film americani. Spesso i film fatti con Totò erano tirati via, fatti in fretta. In quel periodo facevo quattro, cinque film durante un’estate, uno dopo l’altro, senza neppure il tempo per ricordarmi le storie, del resto abbastanza idiote. Quando ho rivisto alcuni di questi film, mi sono accorta che Totò era di una bravura eccezionale. Sia che il film fosse bello o che fosse brutto, Totò era straordinario, riusciva a salvarsi sempre.

Isa Barzizza

Con Totò ho fatto undici film e due spettacoli; perciò posso permettermi di dire che chi non lo ha visto sulla scena non ha visto nulla della sua grandezza. Quello dello schermo è un Totò al sessanta per cento perché le esigenze della regia, i movimenti della cinepresa, le costrizioni del set, lo impastoiavano, sebbene qualche suo passaggio surreale riveli come, sporadicamente e di straforo, certe libertà se le sia prese lo stesso. Tanto per fare un esempio, lo sketch del vagone letto che nasceva da una variante ideata da Michele Galdieri della farsa La camera fittata a tre, nella versione cinematografica di Totò a colori è poco o nulla rispetto a quello teatrale, benché anche lì, a farlo accanto a lui come a teatro, fummo io e Mario Castellani. la sua spalla ineguagliabile, che in palcoscenico lo intuiva al volo. Il che era un compito arduo perché Totò era imprevedibile, partiva a razzo su quanto gli frullava nella mente in quel momento e Castellani doveva tenere conto della sua mimica, delle improvvise pause, deg scatenamenti a fuoco d’artificio e dei subitanei tormentoni. Eppure, per come lo rammento io, ci riusciva sempre, quasi avesse delle antenne, ma senza ma darsi delle arie da unico attore in grado di farlo. Ricordo che al debutto in teatro, il vagone letto era nor sketch della durata di una decina di minuti; poi, via via si trasformò in una specie di atto unico, tre quarti d'ora di limpidissima comicità, perché Totò, secondo il suo costume, vi infilava ogni sera una gag diversa, lo saggiava con il pubblico e se funzionava ce la includeva. Mai più ho sentito in un teatro i boati di risate che suscitava Totò.

Isa Barzizza

Una curiosità del film "I due orfanelli"

Nel film "I due orfanelli", vennero girate due sequenze diverse della stessa scena: una per il mercato italiano, l'altra per l'estero. Isa Barzizza, nel ruolo di collegiale innamorata dell'ufficiale Galeazzo Benti, a un certo punto, accompagnata dalla musica, doveva esibirsi con le sue compagne in una danza sensuale insieme ad altre collegiali, riparata da una tenda.


La scena delle collegiali che fanno la doccia per allora era molto osé, si vedevano queste ragazze nude in silhouette dietro una tenda o qualcosa del genere. Ricordo che Mattoli mi chiese: «Oltre a questa scena qui, ne facciamo anche una che ti si vede un pezzo...? Non nuda completamente, ma un po' di seno... In Italia non va, è fatta per l'estero». Dico: «Va bene, però io mi vergogno un po' davanti a queste persone». Allora ha fatto uscire tutti, è rimasto solamente lui e il suo aiuto, Leo Catozzo. Mi ripresero con delle luci con un effetto per cui si vedeva e non si vedeva. Era una cosa molto osé per allora.

Isa Barzizza, intervista di Alberto Anile, 2003.


In “C’era una volta il mondo” vi erano gli sketch del vagone-letto e quello di Capri, ma non vi abbiamo mai fatto quello del manichino. Lo sketch del manichino faceva parte del repertorio comico napoletano e lo girammo appositamente per “I pompieri di Viggiù”, senza pubblico. Non ricordo chi fosse la controfigura di Totò nel 1950. Ne “Le sei mogli di Barbablù”, oltre alla Loren ed alla Ralli, non so chi fossero le altre quattro. No, contratti o diari non ne ho conservati.
Per “Un turco napoletano” gli abiti erano predisposti per lo strappo delle maniche. Ai bagni di mare, con noi, fra le ragazze c’era anche Valeria Moriconi. Il titolo “Alla fermata del 66” non mi dice nulla, non ricordo.

Isa Barzizza, intervista di Simone Riberto, 22 dicembre 1999



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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005
  • Testimonianza di Isa Barzizza raccolta da Chiara Supplizi.
  • "Guida alla rivista e all'operetta" (Dino Falconi - Angelo Frattini), Casa Editrice Accademia, 1953
  • F.M., «Tempo», anno XVII, n.26, 30 giugno 1955
  • "Totò, femmene e malafemmene", Liliana de Curtis e Matilde Amorosi, RCS Libri, Milano, 2003