Totò e... Mario Mattoli
Quasi un contorsionista
Mi avvicinavo e gli dicevo sottovooce: "Per favore, Totò, non strusciare i piedi per terra". Allora si inalberava, diventava cattivo: "Perché, non fa ridere?"."Si, fa ridere, ma l'hai già fatto tremila volte, a un certo punto la gente si può stufare". Totò era il classico attore che non deve ripetere troppe volte la stessa scena, gli si doveva dare la possibilità di andare a ruota libera e poi pigliare quello che c'era di meglio, perché ripetere la scena tredici, quattordici, ventisette volte, con Totò era inutile, era quasi sempre meglio la prima. In Totò al giro d'Italia, il soggetto di Metz era abbastanza difficile perché era tutta una storia surrrealista di diavoli. Nel film Totò era una specie di "suiveur" dei ciclisti, che c'erano tutti, da Coppi a Bartali, a Bobet, a Magni, stava assieme a questa troupe di ciclisti veri. Ma mentre i ciclisti erano abbbastanza disciplinati (a loro piaceva correre presto la mattina), Totò non si alzava perché aveva cercato di stabilire come suo diritto quello di alzarsi tardi. Diceva che l'attore è abituato ad andare tardi a cena, tardi a letto, e la mattina non può alzarsi presto. Durante tutto il film mi sono trovato più volte su una strada, sotto il sole, con tutta questa gente importante, che guadagnava, che era celebre, con lui che non veniva mai. Facevo chiamare Totò alle nove e mezzo, ma fino a mezzogiorno non scendeva. Mi sono trovato in montagna con questi che bestemmiavano perché dovevano correre, e ancora Totò non arrivava, non capiva che per correre in bicicletta non si può aspettare, non ci si può innervosire.
Io non ho avuto maestri. Forse è per questo che ho fatto tanti film brutti. L’unico regista che mi ha insegnato qualcosa è stato Amleto Palermi. Che mi diceva: "Vedi, Mattoli, quando tu scegli i posti, gira sempre vicino a casa, perché così quando è ora di mangiare urli: buttate giù i maccheroni, che vengo a casa"
I film di Mattoli con Totò protagonista, possiamo considerarli trasposizioni cinematografiche delle riviste teatrali, delle quali mantengono le caratteristiche principali: battute comiche basate sull'attualità, provocanti presenze femminili, un numero musicale orecchiabile, la trama (poca) affidata alla parodia inserita in quadri. In questo contesto viene creato un nuovo genere di cinema, il film-teatro o film-rivista.
Questa idea sarà vincente (grazie soprattutto all'estro di Totò) e sarà seguita, anche se con minori successi, da Bragaglia e Comencini.
Io sono uno di quei registi trattati male dalla critica. Io non ho inventato Totò, come non ho inventato mai nessuno; ho lavorato tanto ma non ho inventato mai nessuno. Ho diretto sedici film di Totò. Era un formidabile attore, discendente dalla famosa scuola del teatro dell'arte, come dicono tutti quelli che se ne intendono. Noi, in quel periodo, nel periodo del grande boom di Totò subito dopo la guerra, non facevamo altro che regolamentare un po’ questo torrente di comicità che entusiasmava il pubblico dei nostri film. Film che avevano, modestia a parte, una caratteristica: che incassavano molto di più di quello che costavano. Ed erano film che facevano ridere, che sapevano utilizzare Totò. Le altre caratteristiche? Prima di tutto, avevano uno scopo industriale, erano fatti con pochi mezzi, in pochissimi giorni, girando poche ore nel pomeriggio secondo gli usi di Totò. Naturalmente il risultato non era sempre perfetto. Quando la spalla era buona, quando il testo, pur nella sua ignominia, era meno ignominioso, il risultato era migliore. Quello che però era interessante era questo: la comicità di Totò, alla quale noi registi commerciali "spregevoli” non davamo che un apporto di collaborazione tecnica, era sempre molto onesta, molto buona. La rapidità della realizzazione era aiutata anche da una delle forme assolutamente miracolose di Totò, come del resto di molti grandi attori dialettali, e cioè la sua enorme prontezza nei risultati, perché Totò era bravo immediatamente, alla prima ripresa. Le riprese si ripetevano una volta o due, raramente tre. Mi fanno ridere quelli che fanno quaranta volte la stessa inquadratura... Realizzare un film in venticinque giorni soltanto, dal primo ciak alla proiezione privata dopo il montaggio, sonoro compreso, non è da tutti. Io ero noto per le capacità, diciamo “sportive” nelle realizzazioni, ma con Totò sceicco superai me stesso. È chiaro che la cosa mi fu possibile perché il protagonista era Totò, cioè un attore che non aveva bisogno di particolari condizioni per rendere valida una interpretazione, un attore sempre pieno di trovate, di talento puro, di inventiva. Con lui tutto diventava facile e divertente. Dire oggi queste cose, proprio quando la critica cerca di addossare ai registi la colpa della tardiva valorizzazione di Totò, potrebbe essere controproducente. Eppure io sono tutt'altro che dispiaciuto dei risultati che Totò e io raggiungemmo insieme.
Totò era un grande attore e molti oggi si rammaricano che egli abbia avuto soltanto nell’ultima parte della carriera l’opportunità di interpretare ruoli di impegno artistico. Eppure io sono convinto di una cosa: Totò ha anche potuto fare film di impegno solo perché prima si era costruita una solida fama con pellicole di tipo "sportivo,” prima maniera.
Ormai ho smesso di lavorare nel cinema da molti anni. Non mi ricordano più, la gente non mi chiama più nemmeno Mattoli, ma avvocato Mattoli... Ebbene, a giugno sono stato a New York, e in un cinema di Brooklyn dove fanno i film italiani più recenti, nel doppio programma c’era un film di Totò e Mattoli, Totò sceicco, che credo sia proprio del periodo del massimo successo di Totò, tra il ’45 e il '50.
Mattoli ha sprecato un grande talento, era un uomo di prim’ordine, sia culturalmente che come gusto, non era uno qualsiasi, aveva un grande senso dello spettacolo, un occhio preciso nel capire le cose che potevano piacere al pubblico, ma aveva messo il suo talento al servizio del cinema commerciale. Non nel senso di “fare film commerciali”, perché quelli vanno benissimo, ma nel senso di far spendere poco: fino a un certo punto erano abbastanza curati, poi era necessario chiudere perché bisognava finire entro trentacinque giorni.
Isa Barzizza
Mattoli veniva da casa con le idee molto chiare, anche perché partecipava quasi sempre alla sceneggiatura. Era un uomo di teatro, conosceva tutto l’ambiente, andava a vedere gli spettacoli teatrali, anche l’avanspettacolo, perché voleva vedere se c’era gente nuova da lanciare, da provare. Riempiva i suoi film di un sacco di attori, caratteristi, comici, drammatici, di teatro o d’avanspettacolo, l’importante è che fossero attori. Totò, che aveva un sesto senso particolare, si rendeva immediatamente conto se una persona era all’altezza della situazione oppure no; e Mattoli lo accontentava dandogli sempre « dei buoni professionisti.
Enzo Garinei
Tanto per dire come si lavorava allora, nel Medico dei pazzi giravamo davanti a un bar, la macchina stava davanti e un piccolo carrello e si spostava in avanti o indietro a seconda se doveva inquadrare due o più personaggi. Facevamo una scena lunghissima, perché prima eravamo io e Giuffrè che parlavamo, poi arrivava una signora con la figlia e parlavamo con loro, poi la signora entrava nel bar e noi ci stringevamo un’altra volta e continuavamo il discorso. Venivano delle battutine in più, “a soggetto”, e allora ricordo che Mattoli diceva: “Signori stringete, perché sennò finisce la pizza”, la pizza era di trecento metri, “quindi mi raccomando, cerchiamo di finire prima”.
Enzo Garinei
Galleria fotografica e rassegna stampa
ROMA — E' morto a Roma il regista cinematografico e teatrale, c sceneggiatore, Mario Mattòli. Aveva 82 anni. Mattòli sarà sepolto a Bevagna, in Umbria. L'ha comunicato il sindaco del paese.
E' stato uno dei registi più prolifici del cinema italiano, forse il più popolare e il meno famoso. Era in pace con se stesso e con i miti del mestiere, una villa discreta e lussuosa, un amore nato nel mondo dello spettacolo: da qualche tempo era in pace anche con la critica. Mario Mattòli è morto a 82 anni circondato dalla rispettosa attenzione con cui si guarda una mostruosa e divertente macchina da cinema, un regista senza qualità che tuttavia ha segnato il costume italiano dagli Anni Trenta agli Anni Sessanta.
Non ha risparmiato nessun genere cinematografico, dal comico al sentimentale, al drammatico: ha diretto gli attori italiani più noti, i comici più amati, s'è fatto scrivere i soggetti dagli sceneggiatori clie ancora adesso imperversano: soprattutto ha fatto ridere. Non è una colpa da poco, per un regista che cominciò a dirigere film nel 1934 (Tempo massimo con De Sica e Milly) e che nel 1936. anno dell'impero fascista, aveva confezionato con imperturbabile fretta e onesto eclettismo Musica in piazza. Sette giorni all'altro mondo e La damigella di Bard. Aveva con sé il pubblico, ma non fu amato dai fascisti e detestalo dagli antifascisti. Sulla rivista Cinema che raccoglieva sotto la protezione di Vittorio Mussolini, figlio del duce, la fronda cinematografica, il suo nome era pronunciato come simbolo del peggio.
Nell'anno cruciale 1943 Giuseppe De Santis affermò che il cinema italiano minacciava ormai di essere rappresentato da Mattòli insieme con Bragaglia e Gallone: «Difficile dire il senso di desolazione, di raccapriccio e tristezza che sanno comunicare film come questi, fabbricati invece con l'evidente scopo di divertire e non far pensare. Tuttavia, quanto non divertono e come fanno pensare! Pensare, intendiamoci, alla sorte di un diffuso costume piccolo borghese con le sue futili e meschine ambizioni». E Carlo Lizzani, che oggi dirige la «Biennale-cinema», al la data precisa del 25 luglio scrisse: «I film di Mattòli non sono veramente molto più tristi dei film di Carnè e di Renoir? Questa gente imbastisce gelidi giochi di società per distrarsi...». A quel punto, forse, non c'era altro da fare: la distrazione continuava ad essere un modo per non partecipare Metodico e sereno. Mattòli nel cruciale 1943 diresse quattro film dai titoli molto di straenti: Ho tanta voglia di cantare, La Vispa Teresa, La valle del diavolo, L'ultima carrozzella.
Nel '41 e nel '42 non era stato da meno, poiché aveva inventato la commedia e il dramma per Alida Vali (Ore 9, lezione di chimica, Catene invisibili) e dato persino la patente di soggettista al contraddittorio figlio di Mussolini (I tre aquilotti). La forza di Mattòli era il suo eclettismo commerciale, la disponibilità che non diventava complicità perchè sempre scivolava nello spettacolo e nel gusto comune, non solo piccolo borghese ma popolaresco e dialettale. Si capisce che per Mattòli il luogo di maggior libertà fosse il genere comico. Gli capitò, nel 1939. quasi senza accorgersene, di dirigere un piccolo capolavoro. Imputato, aìsatevi con Macario, dentro una vena surrealista e irridente che brilla ancora. Ma di solito si affidava all'attore comico, al suo senso della tradizione o del mestiere, dell'improvvisazione: si trattasse di De Sica o di Viarisio, di Macario o di Sordi, di Ciliari odi Totò.
Al nome di Totò è legato in gran parte il lavoro di Mattòli dopo la guerra, fino agli Anni Sessanta, in quel regno traballante tra corrività e sublime che fu lo scialo di Totò in decine di film fatti per essere consumali e subito dimenticali. (E invece sono ancora studiati per la loro qualità spontaneamente eversiva). Nel 1947 Mattòli diresse per la prima volta il comico nei Due orfanelli e lo accompagnò in tappe che i totologi giudicano memorabili: Totò al Giro d'Italia, Totò Tarzan, soprattutto Un turco napoletano e Miseria e nobiltà, che tradussero in modo eccellente i testi di Scarpetta. Totò metteva la sua maschera implacabile, i suoi tic teatrali. Mattòli lo controllava, ci metteva di suo il buon senso. E' stato come un lungo fiume sotterraneo, Mattòli, e ha coinvolto tanta gente nel gioco della distrazione, della vera commedia. I suoi sceneggiatori, come Castellano e Pipolo, Age e Scarpelli, perseguono adesso nuove variazioni per afferrare il gusto popolare. Non è finita l'epoca di Mattòli, se ne è andato l'inconsapevole maestro, il «regista senso qualità».
Stefano Reggiani, «La Stampa», 27 febbraio 1980
Totò e... Mario Mattòli - Le opere
I due orfanelli (1947)
Fifa e arena (1948)
I pompieri di Viggiù (1949)
Totò al Giro d'Italia (1948)
Totò sceicco (1950)
Totò Tarzan (1950)
Totò terzo uomo (1951)
Il più comico spettacolo del mondo (1953)
Un turco napoletano (1953)
Il medico dei pazzi (1954)
Miseria e nobiltà (1954)
Totò cerca pace (1954)
Totò, Peppino e le fanatiche (1958)
Signori si nasce (1960)
Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi (1960)
Sua Eccellenza si fermò a mangiare (1961)
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fori) - Feltrinelli, 1977
- Enzo Garinei, Isa Barzizza, interviste di Alberto Anile, "I film di Totò" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998, p. 179.
- Clara Maffei, Associazione culturale - Mario Mattoli