Totò e... Vittorio De Sica
Uno ogni cento anni
Parlare di Totò mi è molto caro, perché purtroppo non ho avuto il tempo e la possibilità materiale di dirgli tutto quello che pensavo di lui e quanto io l’ammirassi. Totò era un grande, grandissimo artista, servito male, a volte, perché certi film avrebbero dovuto farglieli fare, anche se lui con la sua grande arte nobilitava persino le cose più brutte. Bastano però i pochi film buoni che ha fatto, tra i quali per esempio « Guardie e ladri » e il piccolo episodio ne « L’oro di Napoli », a metterne in risalto tutta la straordinaria bravura.
Ma a parte l’artista ricordare l’uomo che era Totò mi riempie di commozione: era veramente un gran signore, generoso, anzi, generosissimo. Arrivava al punto di uscire di casa con un bel po’ di soldi in tasca per darli a chi ne aveva bisogno e comunque, a chi glieli chiedeva. Aveva la mania della nobiltà: il primo giorno che lavorai con lui gli domandai: « Devo chiamarla principe o Totò? ». Ci pensò un attimo, poi mi rispose: « Mi chiami Totò ». Ma tutti gli altri dovevano chiamarlo principe, e lui da principe, quei principi di cui leggiamo nelle favole, si comportava con tutti e in ogni suo pur minimo gesto, pensiero, atteggiamento.
Totò è senz’altro una delle figure italiane più importanti che abbia conosciuto nella mia carriera e nella mia vita. Parlare della sua arte? Basta vedere il successo che ha avuto con i giovani di oggi, i ragazzi di quindici, diciotto anni che non lo conoscevano. Lui era veramente un clown, un grande clown, nel senso più nobile della parola, come oggi non ne esistono più: certe sue folli improvvisazioni durante la recitazione erano geniali e insostituibili. Clown come lui ne nasce uno ogni cento anni.
Io avrei voluto Totò con me anche in un altro mio film dopo « L’oro di Napoli »: avrei voluto affidargli la parte che poi fece Fernandel nel « Giudizio universale ». Questo anche per un senso di giustizia nei suoi confronti, perché ho sempre pensato che avrebbe avuto bisogno di uno sfogo internazionale che non aveva mai avuto. Quando « L’oro di Napoli » uscì in America il critico del « New York Times » intitolò il suo articolo sul film « Perle di recitazione d’Italia » e il « pazza-riello » Totò fu per tutti una rivelazione. Proprio ne « L’oro di Napoli » il personaggio di Totò aveva un risvolto drammatico che lui rese benissimo, perché era un attore completo, il più grande a mio parere, che il teatro musicale e il cinema italiano abbiano mai avuto.
E poi, ripeto, era un uomo straordinario, con una sua umanità tutta particolare. Una volta ero a Napoli per fare dei sopralluoghi per un film e dovevo anche trovare un cimitero per alcune scene. Mi andai a documentare nel cimitero dove oggi è sepolto Totò, che allora non era ancora morto. A un certo punto mi dissero: « Guardi, quella è la cappella del principe De Curtis ». Mi voltai e vidi una cappella dove c’era già la sua lapide con tutti i suoi titoli nobiliari, e in alto due piccole lapidi: quella della mamma e quella di Zara Prima, la famosa cantante che lui aveva amato per un lungo periodo della sua vita.
Vittorio De Sica
Così la stampa dell'epoca
Si cerca una ragazza bellissima e stupida
Ne ha bisogno De Sica, per il suo nuovo film.
Roma, marzo
Fra un paio di mesi Vittorio De Sica comincerà a girare un nuovo film. I suoi collaboratori stanno attualmente lavorando alla sceneggiatura. Sono press'a poco gli stessi che hanno sceneggiato - Ladri di biciclette ». De Sica è fedele come pochi altri registi alla propria « équipe », dalla quale si è staccato Sergio Amidei per passare al rango di produttore. La compongono ora Cesare Zavattini, Suso D'Amico, Adolfo Frane! e Mario Chiari. Il film s’intitolerà « Totò il buono », il cui soggetto, com’è noto, è di Zavattini. Benché in origine questo soggetto sia stato scritto proprio per il comico Totò, egli però non sarà il protagonista del film, perchè De Sica e Zavattini non intendono fare nè una farsa nè una satira, dove l’attore potrebbe avere buon gioco, ma una favola moderna in cui tutto quello che appare comico sfuma con tratti più o meno lievi nell’allegoria.
Il personaggio principale del film, come si presenta nel nuovo soggettò, non ha nullo di simile alla personalità comica di Antonio De Curtis, creata per far ridere fin dal primo affacciarsi dell’attore sulla ribalta o sullo schermo, e non gli somiglia neppure fisicamente. Il Totò di De Sica sarà invece un giovane di diciott’anni, un tipo quasi angelico di ragazzo, che crede il mondo fatto di gente come lui.
Il film si svolgerà a Milano, in un quartiere simile a quello dell’Ortica; naturalmente si tratterà di una Milano che sta fra il cielo e la terra, o meglio, fra la realtà e l’immaginazione, ohe in questo caso è la candida immaginazione di Totò.
La voce di De Sica dirà:
« C’era una volta, nella città di Milano, una vecchia chiamata Lolotta che viveva sola in una casetta vicino al Naviglio e tutte le mattine all’alba scendeva nel suo orticello ad inaffiare i fiori... ». E una mattina la vecchia trova un bambino sotto una foglia di cavolo. Cosi al buon Totò è piaciuto di venire al mondo e di scegliersi la propria madre. Ma, dopo pochi anni di vita felice, la vecchia si ammala e muore. Totò è già un ragazzo, che rimasto solo al mondo entra in un collegio di orfani. Qui impara un mestiere e a diciotto anni uscirà marmista, con un impiego che lo a-spetta. Sembra che la vita gli si presenti attraverso una prospettiva abbastanza agevole; senonchè il giovane commette subito gli errori cui è spinto dal suo carattere ingenuo e ottimistico, e viene licenziato. Senza lavoro, Totò si fa i propri amici fra altri come lui, gente che assalta i passanti dicendo; « O la borsa o la vita mia», puntando l’arma verso il proprio cuore. « Come sarebbe a dire? » chiedono gli assaliti, E l’assalitore: « O il portafoglio o mi uccido ».
Con questi amici Totò è andato a costruirsi la baracca in un prato abbandonato, vicino alia scarpata della ferrovia. Li, in poco tempo, nasce uno di quei villaggi fatti con vecchie lamiere, che appunto dal finestrino del treno si vedono talvolta entrando in una grande città. Ciascuno vive come può, di elemosina o facendo qualche lavoretto. Totò continua, in proprio, il suo mestiere di marmista, e rivela perfino qualche velleità di scultore, tanto da mettersi a fare statue di gesso, ammirato soprattutto da una ragazza muta che si è innamorata di lui. Nella piccola comunità nessuno sospetta di vivere su un terreno ricchissimo; basterebbe che qualcuno facesse un buco un po’ più profondo atri normale per vedere scaturire una colonna di petrolio. E difatti così avviene. Ma i poveracci devono fare i conti con i potenti. C’è un ricco industriale che acquista subito il terreno e che vuol mandar via quelli delle baracche, i quali invece non si muovono, non sapendo dove andare. Vengono usati stratagemmi, però senza risultato. Entra allora in azione la forza pubblica con lancio di gas lacrimogeni.
A questo punto Totò si sente chiamare dalla voce materna. Lolotta gli consegna una colomba, rubata ai prati del cielo, perchè egli possa sconfiggere i suoi nemici. Con quella colomba, qualunque desiderio di chi la possiede si trasforma in realtà. Totò farà quindi molti miracoli: il primo, di far tornare i gas lacrimogeni sul viso di chi li ha lanciati, poi di dar vita ad una statua di gesso, che si trasforma subito in una bella fanciulla senz’anima, che tresca con tutti; infine di accontentare i desideri innocenti dei suoi amici. Ma proprio quando i poliziotti, con grande spiegamento di forze, attaccano il villaggio, accolti dalle risa degli abitanti che si sentono sicuri del fatto loro, proprio allora gli angeli portano via la portentosa colomba a Totò. Così tutti vengono arrestati, caricati nei cellulari e condotti verso le carceri di San Vittore. Ma Lolotta, con un secondo atto d’indisciplina che preoccupa seriamente gli angeli, riesce a consegnare ancora una volta la colomba a Totò, che ne approfitta per liberare sè e i suoi compagni dalla prigione. Essi verranno inseguiti fino a piazza del Duomo, nel momento in cui una squadra di spezzini sta pulendo il lastricato. I fuggiaschi, sull’esempio di Totò e della ragazza muta, che in quegli istanti ha improvvisamente acquistato la parola, strappano le scope di mano agli spazzini, vi montano a cavallo e come le streghe dell’antica leggenda si involano da questa terra per non farvi più ritorno.
Questa, per linee assai sommarie, la favola che De Sica racconterà sullo schermo. Ne uscirà un film notevolmente diverso da quelli che avevano ispirato finora questo regista, ma non poi del tutto diverso. Anche attraverso il racconto schematico e inadeguato che ne abbiamo fatto ora. risulta abbastanza chiaro che il mondo e i personaggi del nuovo film sono sempre quelli da lui prediletti, nè cambia di molto la conclusione morale. Evidentemente De Sica vuol dire le stesse cose di prima, ma con altro umore e con la voglia di far divertire il suo pubblico. Intanto sta cercando un giovane di diciotto o vent’anni, cui affidare la parte di Totò, e una ragazza altrettanto giovane, ma bellissima e disposta a dare alla sua bellezza la stupidità di una statua concepita da un innocente scalpellino come Totò.
G. Visentini, «L'Europeo», anno V, n.11, 13 marzo 1949
Totò e... Vittorio De Sica - Le opere
L'oro di Napoli (1954)
Racconti romani (1955)
Totò, Vittorio e la dottoressa (1957)
I due marescialli (1961)
Riferimenti e bibliografie:
- G. Visentini, «L'Europeo», anno V, n.11, 13 marzo 1949
- "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fori) - Feltrinelli, 1977