1967, IL PADRE DI FAMIGLIA. L'ULTIMO FILM, COME COMPARSA
Inizio riprese (solo Totò): 13 aprile 1967
Autorizzazione censura e distribuzione: 14 settembre 1967
Titolo originale Il padre di famiglia - Paese di produzione Italia, Francia - Anno 1967 - Durata 110 min - Genere commedia - Regia Nanni Loy Soggetto Nanni Loy, Giorgio Arlorio, Ruggero Maccari - Sceneggiatura Nanni Loy, Ruggero Maccari Scenografia Carlo Egidi
Nino Manfredi: Marco - Leslie Caron: Paola - Claudine Auger: collega Adriana - Totò/Ugo Tognazzi: anarchico Romeo - Mario Carotenuto: padre fascista di Paola - Rina Franchetti, Sergio Tofano: Amedeo, padre di Marco - Adriana Facchetti: amica della madre di Paola - Gino Pernice: collega di Marco - Raoul Grassilli: neurologo - Giampiero Albertini: muratore Natalino - Marcella Aleardi, Nietta Zocchi, Elsa Vazzoler: Carla, madre di Paola - Antonella Della Porta, Marisa Solinas: domestica Angela - Paolo Bonacelli: geometra - Luca Sportelli: geometra collega di Marco - Evi Maltagliati: Luisa
Soggetto
Due giovani urbanisti, Marco e Paola, si incontrano a Roma nei primi anni del dopoguerra. Si sposano con l'impegno di dedicarsi alla difesa della città dagli scempi architettonici. Benché gli accordi in partenza non fossero questi, i due mettono al mondo quattro figli. I problemi legati all'educazione moderna costringono Paola ad abbandonare il lavoro e a fare così una prima rinuncia. Col passare degli anni Marco, estenuato dagli obblighi familiari, cerca l'evasione con un'altra donna. Loy e lo sceneggiatore Maccari cercano di raccontare la trasformazione e la crisi della famiglia, proprio nell'anno in cui scoppiò la contestazione. Ma il film resta una facile commedia, seppure intelligente e ben scritta. Il ruolo di Tognazzi era stato offerto a Totò, che morì dopo aver girato le prime scene (quelle di un funerale).
Critica e curiosità
Il ruolo dell'anziano anarchico Romeo era stato assegnato originariamente a Totò, il quale però morì poco dopo l'inizio delle riprese. L'unica scena che riuscì a registrare fu quella del funerale del padre di Marco, girata a Roma il 13 aprile 1967 (Totò sarebbe morto due giorni dopo, il 15 aprile), presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci.
Per colmarne il ruolo vacante, la produzione scritturò dunque Ugo Tognazzi. Come si evince da alcune foto di scena, alcune riprese e primi piani del funerale (quali quello del "saluto" alla bara), poi rifatte con Tognazzi, vedevano all'origine Totò, anche se è impossibile appurarne quantità e completezza. Il materiale infatti - dopo il taglio effettuato in fase di montaggio - risulta ad oggi ormai perduto. Tuttavia, a causa degli elevati costi impiegati per le comparse e per rendere omaggio alla memoria di Totò, la sua presenza è rimasta immortalata in due brevi fotogrammi delle scene di gruppo del funerale.
Il film, insieme a Capriccio all'italiana, costituisce l'ultima pellicola cinematografica in cui appare Totò anche se non accreditato.
La stampa dell'epoca
Anne Bancroft (premio Oscar) con Manfredi «padre di famiglia»
Insieme faranno a novembre il nuovo film di Nanni Loy
Roma, 14 settembre.
[...] Al posto del tesoro, oggi, nel sotterraneo, c'erano sfogliatelle e pastiere, maccheroni fumanti, vini della campagna napoletana. E c’era radunata una piccola folla di invitati, insieme con la «troupe» del film. Non completa, in verità. Mancava Totò, che si trova a Napoli. Mancava Claudine Auger che è in Austria, c'era invece — bellissima — Senta Berger, pronta a partire, appena terminate le riprese, verso Parigi dove interpreterà un giallo con Louis Jourdan e Bernard Blier per la regia di Eduard Molinaro.
Abbiamo, naturalmente, incontrato anche Nino Manfredi, protagonista del film nel ruolo di Dudù «Girasole». Non potrà fare teatro quest'anno, e gli dispiace perchè De Lullo gli aveva offerto un ruolo nella «Calandra». Ma a novembre dovrà invece cominciare le riprese del nuovo film di Nanni Loy, «Il padre di famiglia», in cui avrà come partner, Anne Bancroft, la grande attrice, Oscar di due anni fa. La storia ideata da Loy e da lui sceneggiata con Ruggero Maccari esamina nell’arco di vent'anni la vita di un uomo che, uscito dall'università alla fine della guerra, pensa di guidare la famiglia che si crea con criteri nuovi e nuova visione e nuova impronta tutta personale, ma deve avvedersi dopo vent'anni che in realtà il vero pilastro silenzioso e prezioso della famiglia è stata la moglie. Un film omaggio alla donna.
Dino Risi, il regista, prepara invece «Il tigre» un film in cui Gassman tornerà a un ruolo severo: infatti la storia investe il momento critico di un uomo di 45 anni nel rapporti con la moglie, con i due figli, con il lavoro, con l'amore. La fanciulla del suo turbamento sarà Catherine Spaak.
Al. Cer., «Corriere della Sera», 14 settembre 1966
L'amico delle mogli
Nanni Loy, regista delle “Quattro giornate di Napoli", e di “Specchio segreto" sta preparando un film sulla storia di una famiglia di oggi, tutto centrato su una straordinaria figura femminile
Soltanto a Nanni Loy poteva venire in mente di fare un film cosi, tutto imperniato su una coppia, marito e moglie, regolarmente sposati, che si amano, non si tradiscono, hanno una caterva di figli tutti legittimi, che vivono sotto lo stesso tetto d'amore e d'accordo da quasi vent'anni. Un film senza corna, senza spogliarelli, senza volgarità e doppisensi, senza sparatorie e senza suspense, in un momento in cui si producono soltanto western, finti 007, e commedie all'italiana nel senso più deleterio della parola.
Il fatto è che nel mondo frivolo, fatuo, instabile, volubile del cinema lui è uno dei pochi felicemente sposato da quasi vent'anni, che è ancora innamorato della moglie, una donna bella, alta, opulenta, una specie di Sofia Loren un po’ appesantita da parecchie maternità.
Il film che Loy inizierà a girare in questi giorni si chiama «Il padre di famiglia» ed è un poco la storia del regista, ma, nonostante il titolo, il centro dell'azione si sposterà sulla figura della moglie, una donna colta e intelligente che, sposandosi, ha deciso di lasciare la propria attività (è architetto) per dedicarsi interamente alla famiglia e ai figli, ricavandone — con il trascorrere degli anni — molte soddisfazioni ma anche inevitabili frustrazioni. Una donna vera, con dei problemi reali e non una sciocchina preoccupata solo di piacere ai maschi, come sono, da un po' di tempo a questa parte, le figure femminili del cinema italiano, le «fate», le «streghe», le «bambole», le «dolci signore» che imperversano sui nostri schermi. Per fare un film simile ci vuole un bel coraggio!
«Non ho pensato a questo film in funzione polemica con i contenuti degli altri — precisa subito Loy —. Uno ha degli interessi e si muove in quella direzione: io avevo in mente da tempo di fare un film su una famiglia, che fosse la vicenda tradizionale di un incontro fra un uomo e una donna che si innamorano, si sposano, hanno dei figli. Di un uomo e una donna che si conoscono nel dopoguerra e si propongono di trasferire gli ardori, gli slanci, i fervori della stagione splendida della conquista della libertà in una dimensione concreta: famiglia e lavoro. Soltanto che, sottoposti all'usura, alle fatiche insite sui vari fronti: quello professionale, quello politico, i figli, gli amici, il denaro, gli ideali di questa coppia subiscono delle scosse. Tutto si svolge in un ambiente, in un contesto sociale sbagliato nei riguardi della donna che la porta ad una stanchezza finale. Le conclusioni del film sono positive rispetto alla donna e polemiche nei riguardi della società in cui si batte».
«E l'uomo, il padre di famiglia, come ne esce? Spesso l’uomo è abbastanza insensibile alle difficoltà in cui la donna oggi si muove». «Le conclusioni sono critiche anche nei riguardi dell'uomo, un capofamiglia inteso nel senso tradizionale della parola, un uomo cioè che, preso dalle difficoltà quotidiane, finisce per trasferire sulla moglie le responsabilità più pesanti. La constatazione finale è che la moglie è migliore di lui, ha più coraggio, più coerenza. Non sarà tuttavia un film musone, ma abbastanza ilare, vivace: è la vita di una famiglia con tanti piccoli problemi, con momenti critici.- momenti patetici, momenti allegri. E' una storia d'amore non intesa nel senso tradizionale del film romantico, non si riferisce cioè ad un momento di passione, ma è la storia di un rapporto con tutto quello che comporta: momenti lieti, dissapori, felicità e infelicità».
Un omaggio alle donne
E' la storia d'una famiglia, d’un rapporto, ma è soprattutto la storia di una donna dei nostri giorni, una donna che era adolescente durante la guerra, ha conosciuto il fascismo e la Resistenza, si è formata nel clima stimolante del dopoguerra, che ha saputo mantenere intatti nel tempo i propri ideali, sempre coerente con se stessa, nonostante inevitabili momenti di dubbi, di stanchezza. E' un omaggio alle donne — come dice Loy, — ma soprattutto — lo si intuisce — alla moglie, Bianca, un architetto che ha rinunciato alla carriera per stare vicino ai figli: Caterina. Francesco, Tommaso e Guglielmo. nati uno appresso all'altro, e che hanno ora quindici, quattordici, dodici e undici anni. Quattro ragazzi che lei ha voluto seguire giorno per giorno, educare secondo il metodo montessoriano applicato alla lettera, sorvegliarne quotidianamente lo sviluppo fisico e psichico, seguirli nei compiti e negli svaghi. In questo impegno, che dura da quindici anni, ha profuso le sue qualità migliori; per concretizzarlo ha rinunciato ad avere una propria attività che si preannunciava interessante e densa di soddisfazioni. Una donna di casa ma moderna che ha compiuto una scelta conoscendone tutte le difficoltà, che ha svolto il suo ruolo di madre e di moglie non in modo vecchio, tradizionale, passivo. di vittima, ma da vera protagonista delle vicende familiari.
«Bene, d'accordo Loy. tutto questo vedremo nel suo film. Ma lei trarrà le conclusioni di questo discorso sulla donna di oggi?», gli chiedo.
Non vittima ma protagonista
«Certo. La conclusione è che una donna deve assolutamente lavorare. deve avere una sua ragione di esistere diversa da quella del marito e dei figli, soprattutto quando è un'intellettuale. Il reinserimento, quando i figli sono già grandi, dopo tante esperienze di madre, è difficile. Il lavoro è il solo che può dare alla donna la vera parità, la vera emancipazione. Il lavoro la rende autonoma, dimensiona tutti i suoi rapporti in un equilibrio giusto, altrimenti si trova nella posizione sfavorevole di cercare il perno della propria vita in qualcosa di estraneo a lei. Una donna che ama i figli, che non se la sente di rinunciare al lavoro ma ai tempo stesso non vuole che i figli abbiano a soffrire della sua lontananza, deve trovare nella società il sostegno, il conforto, gli strumenti che possano conciliare le sue esigenze di donna e di madre. Il film vuole dire questo: lo assetto psicofisico della donna ad una certa età si scalfisce se è costretta a rinunciare ad una propria attività. Non penso di proporre soluzioni definitive, voglio solo mostrare che la stanchezza, lo sfinimento, il logoramento della madre di famiglia si possono riassorbire in parte, tamponare, ma non eliminare.
E' il solito nodo che torna al pettine: quello della donna di oggi. divisa fra famiglia e lavoro, costretta a compiere scelte ardue in un assetto sociale che le è ostile. Questo nodo Loy si propone di mettere a fuoco nel «Padre di famiglia», perchè è un femminista convinto, come lui stesso afferma, e in tutti i suoi film, anche se non erano centrati su figure femminili, vedeva la donna nel suo complesso di qualità e difetti e in una luce di viva simpatia.
«Il fatto è che la donna è migliore dell’uomo. Secondo me i difetti tradizionali della società italiana si coagulano soprattutto sugli uomini; certi tabù, certi falsi miti sono soprattutto coagulati negli uomini, le donne sono più aperte, più disponibili, hanno una maggiore, capacità di dialogo. Forse gli uomini sono più facilmente corruttibili dalle condizioni generali del Paese, l'opportunismo generale li colpisce prima».
Uomo coerente e poco disposto a piegarsi alle mode. Loy è uno dei pochi fra i giovani registi che non si sìa cimentato in un western, che non abbia ceduto alla tentazione dell'episodio erotico. Il tema che gli sta più a cuore, che maggiormente l'appassiona è la Resistenza che ha affrontato in due film. «Un giorno da leoni» e «Le quattro giornate di Napoli» che gli guadagnò due Nastri d'argento e lo portò alla soglia dell'Oscar. Il suo ultimo film» Made in Italy» pur essendo da annoverare fra le pellicole disimpegnate e allegre, non era privo di frecciate amare verso il nostro costume.
Nemico dei clan, della mondanità, della frivolezza. Loy non ha mai fatto il press-agent di se stesso. non è avido di guadagni, ad un brutto film preferisce una buona inchiesta come «Specchio segreto» che nel 1965 gli valse il premio Salsomaggiore per la migliore regia televisiva. La formula risultò tanto indovinata che ora la TV ce la ripropone, anche se a piccole dosi, inserendola nello spettacolo di varietà del sabato sera, in cui Loy appare, oltre che nelle vesti di regista, anche in quelle di attore. Del resto il fisico, la maschera dell’attore ce l’ha (lo stesso Gregoretti lo volle per interpretare una parte nel film «Le belle famiglie» con quel suo volto mobile, corrucciato, lo sguardo annoiato.
Lesile, l'antidiva
Ma fare l'attore è solo una parentesi. un diversivo, un divertimento. Appena può si trasferisce dietro alla macchina da presa come si appresta a fare ora, avendo trovato un produttore fresco fresco di Nastro d'Argento che crede in lui e gli dà la possibilità di girare questa storia familiare.
Prima di salutarci gli chiedo perchè ha scelto Leslie Caron per la parte della moglie. «E' una delle poche attrici che non è "attrice", è una donna di un certo valore umano, privato; è coerente, non si è corrotta, non è un manichino, non è malata di narcisismo», risponde.
Chissà perchè le nostre bellone si sono lasciate sfuggire un ruolo tanto interessante? Forse sono tutte occupate, di qua e di là dall’Oceano, a interpretare film-spogliarello in cui quasi regolarmente interpretano parti di sciocchine ma che rendono molti milioni.
Maria Maffei, «Noi donne», anno XXII, 1967
«Il padre di famiglia» con Manfredi e Leslie Caron
Roma, 17 gennaio.
La storia di una famiglia, la storia di un amore coniugate che si nutre quotidianamente di gioie c di dolori, di momenti meravigliosi e di equivoci amari. di speranze e di ansie, narrata nell’arco di vent’anni di una generazione, dalla Resistenza a oggi. In altre parole, la vicenda di questa famiglia (adombrando la continuazione di un discorso cinematografico già sviluppato da Nanni Loy) rispecchia la vita di ima generazione partila alla conquista della libertà, colma di slanci ideologici, e che oggi tenta di capire se stessa guardandosi con occhio distaccato. Naturalmente la conclusione del film è aperta, senza precise indicazioni per la confusione Ideologica In cui oggi un po’ tutti si trovano.
Ma questo riferimento, nel film Il padre di famiglia che Nanni Loy convincerà a «girare» In febbraio a Roma, è visto attraverso i rapporti fra Marco e Paola, entrambi architetti, che si sono sposati ed hanno avuto quattro figli. Lei ha abbandonato la professione per dedicarsi alla famiglia; lui ha lasciato la professione libera per occuparsi attivamente dei problemi urbanistici a Roma e per difendere la città nel suo sviluppo. La battaglia che conduce gli consente di vedere gli altrui cedimenti, gli fa affrontare delusioni e sconforti, lo porta ad una crisi che Investe lavoro, famiglia, sentimenti. Sarà Paola, costantemente al suo fianco, a fargli superare la crisi, a ridargli fiducia, a spingerlo verso il successo, che effettivamente egli conquista.
[...]
Nino Manfredi afferma che il personaggio di Marco (il quale passa nel film da 25 a 45 anni) lo affascina, pur nella sua estrema difficoltà, perchè rispecchia in qualche modo la sua storia come di tutti coloro che negli ultimi vent’anni hanno attraversato, press’a poco, quella età. Paola sarà Lesile Caron, L'attrice francese che vive in Inghilterra, l'indimenticabile «Lilì», la ex-danzatrice divenuta attrice dello schermo e anche di prosa. Loy incontrando l giornalisti a Roma insieme con Manfredi e la Caron dice di aver scelto lei, perchè è una donna intelligente, madre di due figli, che vede i problemi raccontati nel film con piena comprensione, perchè non è una donna alterata dal mestiere e dalia fama che la circonda.
Lesile Caron ha confidato, a sua volta, che da tempo desiderava lavorare con un regista italiano ed è stata lietissima, quindi, di accogliere l'invito rivoltole da Loy. Giudica molto bello il personaggio di Paola, cosi umano e generoso (forse anche troppo generoso, nota in tono sorridente). E ancora osserva che si tratta di una donna italiana, di un Paese cioè diverso dal suo; pertanto pur essendo Paola una creatura istintiva. ella dovrà impegnarsi a fondo per darle vita cinematografica.
Al. Cer., «Corriere della Sera», 18 gennaio 1967
Nel «Padre di famiglia» difficile riconoscere Loy
Presentare in così scialbo film non ha giovato né al Festival né al regista delle «Quattro giornate di Napoli»
«Il Messaggero», 31 agosto 1967
I nostri a Venezia
Quest'anno l'Italia è presente in gran forza al festival di Venezia: cinque film scelti dal professor Chiarini e dalla commissione selezionatrice sono un record forse mai raggiunto, se la memoria non ci inganna. È evidente che una partecipazione così nutrita comporta il rischio di togliere spazio a film di altri paesi e a trasformare sempre più Venezia in una pedana di lancio per i migliori prodotti nazionali, ma si comprendono al contempo quelle che sono state le intensioni degli organizzatori: in un periodo di crisi, conferire risalto agli sforzi creativi più nobili, interessanti e generosi
«Il padre di famiglia» rientra, invece, nella categoria della commedia di costume, ma a differenza di tanti intrattenimenti che vanno per la maggiore si annuncia costellato di annotazioni pungenti, uno specchio in cui si rifletteranno virtù e vizi dell'italiano medio. C'è un «ma» da non tralasciare in questa anticipazione della selezione italiana a Venezia. Tirando le somme basta un nonnulla, un eccesso di ottimismo ingiustificato, a falsare le proporzioni del fenomeno. Cinque film italiani in gara sono un bel primato, tuttavia guai a dimenticare che, omissioni a parte e pellicole non ancora ultimate, poche rondini non fanno primavera. Lo stato di salute di una cinematografia non lo si accerta e verifica su un numero cosi ristretto e limitato di componimenti, ma deve essere rapportato al tessuto, al tono, al livello qualitativo generale, alla pluralità degli apporti e alla loro connotazione.
Ne consegue pertanto che se è lecito rallegrarci perché una decina di registi nel '68 solleveranno un po' le sorti del cinema italiano, non siamo affatto autorizzati a ignorare che esistono e continuano a esistere oltre duecento film mediocri e modesti i quali confermano la sopravvivenza di una grave crisi, insomma, a prescindere dal probabile successo veneziano, i problemi del cinema italiano restano sul tappeto.
Mino Argentieri, «Noi donne», anno XXII, n.34, 2 settembre 1967
Nei film presentati alla XXVIII Mostra di Venezia
Un nuovo modo di guardare le donne
Madri e mogli sono state all’ordine del giorno nel cartellone della ventottesima Mostra internazionale d'arte cinematografica. Mai come quest'anno, a Venezia, gli schermi sono stati solcati da immagini che riguardavano la donna, la sua posizione nel mondo, i suoi rapporti con l’altro sesso. Sociologi e studiosi del costume avrebbero potuto trarne spunti e materiali di meditazione in grande quantità. Noi, più modestamente, ci accontentiamo di prendere atto di un fenomeno recente: il cinema, dopo avere innalzato la donna sugli altari del romanticismo e dell’erotismo, si appresta ad analizzarla con occhio disincantato se non addirittura qualche volta indulgendo alla misoginia. Questo non è il caso della Mostra veneziana, dove su cinque film imperniati su figure femminili uno solo, e a nostro avviso a torto, ha autorizzato il sospetto di una ostilità preconcetta. Tanto per arrivare subito al sodo, vediamo « Il padre di famiglia » dì Nanni Loy: ha un titolo curioso per essere un film che esalta l'abnegazione, la dirittura morale, la laboriosità di una giovane madre. Tuttavia, vi si tratta di un caso niente affatto sporadico. Uno studente e una studentessa s'incontrano durante una manifestazione politica: lei è monarchica, lui è socialista. Sono i giorni del referendum istituzionale e corrono parole grosse fra monarchici e repubblicani: nonostante le divergenze in fatto di politica, i due si innamorano e si sposano. Di stoffa moderna, l’architetto in gonnella lavora in uno studio, poi rimane incinta e allora dovrà decidere se dedicarsi alla famiglia oppure proseguire l'attività professionale. Prevarrà la prima soluzione e i figli si succederanno uno appresso all'altro. D'ora innanzi qualcosa muterà nelle relazioni coniugali: subentra una certa stanchezza, il marito andrà a caccia di piacevoli evasioni e, per sostenere l'economia familiare, sarà disposto a transigere con i suoi ideali di integrità. In extremis, lo salva la mogliettina, ormai sfiorita e al limite del collasso nervoso, la quale gli ricorda che se lo ha sposato è stato soltanto perchè aveva alcune idee sane e chiare in testa. Malgrado la fiducia che nutriamo nella nobiltà e generosità degli animi, si stenta a credere alla esemplarità di questo comportamento, che forse sarà anche diffuso ma che temiamo rappresenti più una eccezione che una regola. Tuttavia non è su questo punto che si accavallano grossi e insormontabili dubbi, bensì sulla positività di un personaggio che, in fondo, risponde a una concezione tradizionale del ruolo serbato alla donna. Si dirà che, alla fine, l'eroina di Loy esce psichicamente distrutta dall'esperienza che attraversa ed è vero che ella non costituisce un esempio invitante. Ma è anche vero che, alla resa dei conti, Loy simpatizza e coglie valori costruttivi in una madre di stampo antiquato, che rinuncia a realizzare una parte importante della sua personalità per chiudersi entro le pareti domestiche e votarsi alla maternità. E ai rimproveri bisognerebbe aggiungere l'ironia con la quale il regista e gli sceneggiatori considerano il metodo pedagogico Montéssori presentato, per provocare l'ilarità del pubblico, come una scuola di anarchia e di irrequietezza infantile. Accade insomma a questo film, che pure offriva qualche appiglio interessante, quel che succede ormai a tre quarti di cinema italiano: di fingere un atteggiamento critico per ripiegare immediatamente nell'ambito di un epilogo accomodante. Per questo motivo piacerà e incasserà un mare di soldi, poiché molti vi si identificheranno, saranno punti dalla vespa di un'autocritica timidissima per essere assolti e tornare a casa col cuore in pace. [...]
Uno specchio sincero
« Ape regina » è stata catalogata la protagonista di « L'insaziabile » di Edgar Reitz. un altro film congedato in Germania occidentale e di cui abbiamo già parlato. Ma la rubricazione non è esatta e semmai motiva soltanto una faccia del personaggio. L'insaziabile, di cui si fa cenno nel titolo, è una allieva fotografa che s'innamora di uno studente di medicina. Anche « Il padre di famiglia » muoveva pressappoco dagli stessi dati di partenza, ma quale divario fra il film tedesco e l'italiano: tanto conciliante il nostro, quanto lucida e impietosa la narrazione di Edgar Reitz! Elizabeth e Rolf sono travolti da una meravigliosa primavera amorosa: hanno un bambino, si installano in un piccolo appartamento, frequentano amici e amiche insieme con i quali trascorrono lieti pomeriggi fra chiacchiere simpatiche, letture di versi e confidenze. Elizabeth si rivela una stupenda macchina per fabbricare e sfornare figli, sempre più bella, solare, una creatura nata per assolvere alle funzioni naturali e che sensualmente sente la natura. L’idillio si increspa, spuntano conflitti, contrasti. I figli che Elizabeth adora, uccidono l'intesa con Rolf, il quale abbandona gli studi di medicina, è infelice, inquieto e diserta il tetto familiare per riordinare i suoi pensieri. Il terzo bambino di Elizabeth riconduce all'ovile Rolf che ora presta servizio in un cantiere di Rotterdam, ma non guadagna abbastanza ed è costretto a rivolgersi al padre della moglie per quadrare il bilancio. Altri figli frigneranno nell'abitazione di Rolf che. persuaso di essere un fallito (lo hanno degradato, in una ditta di prodotti farmaceutici, perchè non sa trattare i clienti), salta sulla sua automobile, se ne va in campagna e si suicida con il gas. Elizabeth sarà una vedova presto consolabile: diventata mormone, sposa un correligionario americano ed emigra negli Stati Uniti. Alcune fotografie, alla conclusione del film, ce la mostrano sorridente e beata in mezzo a una folta schiera di familiari e a una fila di adolescenti. Un mostro? No, piuttosto una donna che, contrariamente al proprio compagno, assolutizza un versetto della Bibbia: « Dio' vuole che noi siamo felici su questa terra » e che nella maternità realizza il mandato divino. Rolf al suo cospetto è un debole, che ancora si affida alle risorse della volontà, intriso di razionalità e pertanto più di lei esposto alle staffilate della sorte. La forza di Elizabeth invece è arcana, le deriva dal ventre, dall'accontentarsi della sua condizione di riproduttrice. Una madre teutonica sin nelle radici, condannabile. Il film di Reitz freddamente la demistifica con l'aria di registrarne gli atti e con l'obiettività nuda di una diagnosi clinica.
Forse è difficile estrarre un discorso unitario dai cinque film incentrati prevalentemente su personaggi femminili: ciascuno è una isola a sè. Ma tutti insieme confermano un cambiamento di attitudine: nonostante il Lelouch di « Un uomo, una donna », il cinema non si accosta pretestuosamente ai problemi della donna moderna. I fumetti patetici, le favole mielate per educande, l’edulcorazione dei buoni sentimenti, il romanzo d'appendice popolato di femmine fatali o di esangui perseguitate hanno ceduto il passo a una spregiudicatezza critica che è salutare. Dalla cassapanca delle cianfrusaglie e dei trucchi cinematografici è saltato uno specchio: la donna vi si incomincia a riflettere, pronta a non dissimulare, sotto uno strato di cipria, le rughe del mestiere di vivere.
Mino Argentieri, «Noi Donne», anno XXII, n.37, 23 settembre 1967
Un quadro brioso della famiglia italiana, ma con un retrogusto agro e malinconico, ci dà l'ultimo film di Nanni Loy, che celebra nella donna di casa la valorosa massaia e il sostegno morale del mariti delusi. [...] Il film piacerà soprattutto alle spose e alle madri, cui è idealmente dedicato, oscure eroine delle scope e delle pappette in una società che irride ai valori della famiglia ma pretende i calzini rammendati. E i signori uomini avranno di che riflettere sui meriti delle mogli, tanto spesso costrette a veder soffocati dalle faccende di casa i sogni della loro giovinezza. Messosi su questa linea moraleggiante, Nanni Loy riesce tuttavia a impastare con garbo elementi comici e malinconici, sia descrivendo il trambusto portato dai ragazzini, l'intrusione dei parenti, le ubbie pedagogiche di Marco e di Paola, sia rievocando la parte che, nella crisi dei quarantenni, è dovuta alle delusioni politiche.
Interpretato con verità di accenti da un misurato Nino Manfredi e dalla simpatica, generosa Lesile Caron (in una parte di fianco Tognazzi dipinge una patetica figura di anarchico), Il padre di famiglia è uno specchio in cui molti mogli e mariti potranno riconoscersi: per capirsi meglio e volersi più bene.
G.Gr., «Corriere della Sera», 30 settembre 1967
Padre di famiglia con moglie idealista nell'Italia degli anni sessanta
Il padre di famiglia. Regia di Nanni Loy, con Leslie Caron, Nino Manfredi e Ugo Tognazzi. Domenica ore 10.00 al cinema Mignon.
I film natalizi hanno invaso tutti gli schermi della città e «l'Unità», riprendendo dopo le feste la sua iniziativa domenicale, propone un titolo del '67 ormai dimenticato. Il padre di famiglia venne presentato alla Mostra di Venezia e fu accolto calorosamente dal pubblico. La critica, invece, lo considerò un buon prodotto incapace però di sviluppare tutte le sue premesse. [...] La parte di Ugo Tognazzi doveva essere interpretata da Totò, ma l’attore mori dopo aver girato una sola scena.
«L'Unità», 7 gennaio 1994
È raro realizzare un film su una istituzione. Figuriamoci quando l’istituzione in questione è quella più importante, il nucleo primigenio di organizzazione umana (come mi hanno insegnato nelle inutili lezioni di Geografia nel mio corso di laurea in Lettere). Il padre di famiglia, prima di essere la storia del rapporto matrimoniale tra gli architetti di sinistra Marco e Paola, genitori di quattro pargoli venuti un po’ per caso e un po’ per desiderio, è la storia della famiglia nei primi vent’anni di repubblica, un’attenta e ficcante analisi sulle relazioni tra il gruppo e il resto del mondo e su ciò che avviene all’interno di essa, tra gioie effimere e frustrazioni nascoste. Film militante, commedia estremamente malinconica sulle trasformazioni dell’amore (senza essere un film d’amore puro o convenzionale), è probabilmente il miglior risultato della carriera di Nanni Loy, che l’ha scritto assieme a Ruggero Maccari (che faceva parte di quella famiglia di sceneggiatori di cui abbiamo perso lo stampino) basandosi sul sempreverde principio dell’osservazione del reale contemporaneo, con un’amarezza che non si piange mai addosso e una serena libertà civile. A caratterizzare il carattere fortemente politico di questo film assolutamente importante, c’è anche una fotografia sullo stato dell’urbanistica del dopoguerra e del boom, completamente in pasto alla speculazione edilizia. E non vanno dimenticate le stoccate all’efficacia del metodo Montessori, a cui Marco e Paola si adeguano in maniera quasi succube, ricredendosi poi nel corso degli anni. Nino Manfredi è semplicemente strepitoso, e non gli è da meno un’insolita e bravissima Leslie Caron; oltre al macchiettone di Ugo Tognazzi in un ruolo pensato per Totò (il quale morì dopo i primi giorni di riprese), affianco a loro c’è uno stuolo di grandi caratteristi, dall’apparizione affettuosa ed evanescente di Mario Carotenuto alla dinamica Elsa Vazzoler, fino ad un mesto Sergio Tofano nei panni di un vecchio monarchico: il suo ritorno dal viaggio in Portogallo è struggente.
Oggi è quasi un film dimenticato, ma è un peccato. Commedia amara su ideali e compromessi, "Il padre di famiglia" vede una coppia incontrarsi durante una carica della polizia in pieni anni Sessanta (ed essendo girato nel 1968, il lungometraggio aveva una certa qualità anticipatoria...), comunicarsi le aspettative reciproche di entrambi ed unirle, e lasciarle spegnere per sovraccarichi esterni: bravissimi Nino Manfredi, che sapeva dare un plus di umanità ai caratteri che rappresentava, e l'americana Leslie Caron, che dimostra una volta di più di non avere solo splendide gambe, e notevole Ugo Tognazzi nel ruolo laterale dell'anarchico un pò fuori di testa ma capace di avere una visione delle cose nitida (al posto suo avrebbe dovuto essere Totò, che cominciò a girare il film, ma morì quasi subito). Loy non realizza un'opera della forza di "C'eravamo tanto amati", ma si può dire che ne precorra il disegno, con un disincanto maggiore, perchè nel film di Scola alla fine se ne esce con la sensazione che il personaggio rimasto idealista di Manfredi sia quello a cui è andata meglio. La Famiglia, le intrusioni della Vecchia nella Nuova, le responsabilità cui si è chiamati, l'Amore che cambia forma e a volte può non bastare nell'ordinaria amministrazione dei fatti che verranno: la simpatia di sceneggiatori e regista vanno alla Donna che si sobbarca il peso di tutto, ed alla quale sfugge il controllo delle cose. E' una commedia drammatica ricca di sequenze che si ricordano: valga quel bambino che ad un catastrofico pranzo con le due famiglie degli sposi riunite canta a squarciagola "Bandiera rossa" mentre il nonno militare a riposo sparisce nell'indifferenza di tutti.
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo |
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La chiesa dove si celebra il matrimonio dei due protagonisti e il funerale del padre di Paola è S. Maria delle Grazie alle Fornaci in Via di Santa Maria alle Fornaci, 30 a Roma. | |
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Dettaglio della scalinata laterale nel corso del matrimonio |
Riferimenti e bibliografie:
- (EN) Il padre di famiglia, su Internet Movie Database, IMDb.com
- (EN) Il padre di famiglia, su AllMovie, All Media Network
- (EN) Il padre di famiglia, su Rotten Tomatoes, Flixster Inc
- (EN, ES) Il padre di famiglia, su FilmAffinity
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Al. Cer., «Corriere della Sera», 14 settembre 1966
- Maria Maffei, «Noi donne», anno XXII, 1967
- Al. Cer., «Corriere della Sera», 18 gennaio 1967
- «L'Avanti», 31 agosto 1967
- «Il Tempo», 31 agosto 1967
- «Il Popolo», 31 agosto 1967
- «Il Messaggero», 31 agosto 1967
- Mino Argentieri, «Noi donne», anno XXII, n.34, 2 settembre 1967
- Mino Argentieri, «Noi Donne», anno XXII, n.37, 23 settembre 1967
- G.Gr., «Corriere della Sera», 30 settembre 1967
- «L'Unità», 7 gennaio 1994