Diana, la nipote ribelle
Diana Buffardi de Curtis era la figlia di Liliana de Curtis e Gianni Buffardi. Nacque a Roma nel 1955 e morì nella stessa città, prematuramente per un male incurabile, il 6 dicembre 2011. A nove anni di età vede i genitori separarsi e prendere strade lontane: la madre si trasferisce in Sud Africa mentre lei resta a Roma per tentare l’avventura nel cinema. Carattere molto forte e indipendente, già a 14 anni scappa di casa guadagnandosi il "titolo" di ragazza ribelle. Entrò nel mondo dello spettacolo, partecipando ad alcune trasmissioni della RAI e fu protagonista di alcune produzioni cinematografiche minori: Yes, Giorgio (1980), Augh! Augh! (1979), I giochi del diavolo (TV Mini-Series), Maria - La Venere d'Ille (1979) - Faustina (1968). Giovanissima, gestì un ristorante a Roma. Alcune spiacevoli vicissitudini la portarono ad avere seri problemi con la giustizia e fu presente nelle cronache giudiziarie per alcuni anni. Fu molto attiva nel ricordare la memoria del nonno Antonio de Curtis con mostre e manifestazioni.
Diana Buffardi de Curtis
Settimanale «Oggi», anno XI, n.31, 4 agosto 1955. Roma. Il giorno 20 luglio, alla clinica Quisisana, Liliana Buffardi, figlia del principe Antonio De Curtis, in arte Totò, ha dato alla luce una bambina. Qui la neonata è fra le braccia della nonna, la signora Diana De Curtis, moglie dell'attore dal quale vive separata da alcuni anni. Qualche tempo fa si disse che Totò avesse intenzione di iniziare le pratiche per annullare il matrimonio e per potersi unire a Franca Faldini.
Settimanale «Oggi», anno XI, n.31, 4 agosto 1955. Roma. Liliana Buffardi, unica figlia del principe De Curtis, nel letto della clinica con la bambina natale il 20 luglio. La signora Liliana, moglie di un noto professionista, ha ventun anni ed è già madre di un bambino. Nonno Totò sta ora girando un nuovo film: egli sostiene che la nipotina gli assomiglia molto. L’attore è profondamente affezionato alla figlia Liliana che egli ospita con il marito nel suo bellissimo appartamento.
Rassegna stampa
Quel maledetto 13! Ma io me la rido...
La vita privata di Totò nel racconto della nipote Diana - 1
La vita privata di Totò nel racconto della nipote Diana - 2
Diana de Curtis: ho nel sangue la comicità del nonno
C'è poco da ridere: la nipotina di Totò è sparita nella droga
«La Stampa», 21 gennaio 1980
Mi ero già occupato della figura di Totò per questa rubrica alcuni mesi or sono, nel presentare ai lettori di «Gazzetta d’Alba» un ciclo televisivo interamente dedicato alla sua grande figura di comico. Già dal tono di quell’articolo era probabilmente parso evidente il mio spassionato affetto per l’arte dello snodatissimo principe De Curtis; ma poiché sono certo che tale peccatuccio mi accomuna a moltissimi altri italiani, mi permetto di ritornare sull’argomento Totò — che io personalmente ritengo l’unico comico italiano di tutti in tempi in grado di competere con «mostri sacri» quali Chaplin, Keaton, i Marx Bros, ecc. — per segnalare un libro da poco pubblicato e dedicato a quella parte della sua attività che forse è meno nota al grosso pubblico: il varietà.
Il libro in questione si intitola: «Quisquilie e pizzillacchere» (un titolo davvero alla Totò), per i tipi della casa editrice Savelli, curato dal critico cinematografico Goffredo Fofi. Si tratta di una raccolta di testi dei migliori brani comici interpretati da Totò nei teatri di varietà di tutta Italia. Un volume certamente divertente, dunque, ma anche estremamente interessante; utilissimo per farci capire i meccanismi comici che l’attore napoletano doveva poi portare a rara perfezione nel cinema, questo «Quisquilie e pizzillacchere» costituisce un documento quasi storico della versione moderna di un filone teatrale — quello della commedia dell’arte — che è sempre stato tra i più vivi nella tradizione del nostro Paese. E potrà forse rievocare i fasti di un genere di spettacolo leggero, il varietà, che ha vissuto lunghi anni di declino, ma che pare essere ultimamente tornato abbastanza in voga.
Scaglione Fulvio, «Gazzetta d'Alba» 20 febbraio 1980
«Il Piccolo di Trieste», 28 febbraio 1980
TV1, ore 20,40 - Debutta la nipote di Totò
Dovrebbe essere lo show delle vacanze: comincia infatti stasera (Rete 1, ore 20,40) e finisce giusto in tempo per permettere a «Fantastico 2» di decollare. Lo ha ideato e realizzato Gianni Boncompagni, l'onnipresente videoscout, insieme ad Arbore, attualmente impegnato in «Radio anghe noi».
Il programma, che ha un titolo tipicamente estivo, «Sotto le stelle», sarà diviso in dodici puntate, presenterà sessanta cantanti, un balletto classico e uno moderno, un cast fisso di grande rilievo, di cui la grande vedette è Sgarambona, altrimenti noto come Aristogitone, vale a dire lattore-architetto Mario Marenco.
Quattro ragazze costituiranno il filo conduttore della trasmissione: Isabella Ferrari, diciassettenne, miss teen-ager, Alessandra Story, ventiduenne, Francesca Antoniacci e Diana De Curtis, 23 anni: quest’ultima, attrice, è in un certo senso «figlia d’arte», essendo nipote, per parte di madre, del celebre comico Totò.
«Corriere d'Informazione», 6 agosto 1981
Comincia alle 20,40 sulla rete 1 il varietà «Sotto le stelle»
Dodici sera da Boncompagni
Dovrebbe essere lo show delle vacanze: comincia infatti stasera (Rete 1, ore 20,40) e finisce giusto in tempo per permettere a «Fantastico 2» di decollare. Lo ha ideato e realizzato Gianni Boncompagni, l'onnipresente videoscout, insieme ad Arbore, attualmente impegnato in «Radio anghe noi». Il programma, che ha un titolo tipicamente estivo, «Sotto le stelle», sarà diviso in dodici puntate, presenterà sessanta cantanti, un balletto classico e uno moderno, un cast fisso di grande rilievo, di cui la grande vedette è Sgarambona, altrimenti noto come Aristogitone, vale a dire lattore-architetto Mario Marenco. Quattro ragazze costituiranno il filo conduttore della trasmissione: Isabella Ferrari, diciassettenne, miss teen-ager, Alessandra Story, ventiduenne, Francesca Antoniacci e Diana De Curtis, 23 anni: quest’ultima, attrice, è in un certo senso «figlia d’arte», essendo nipote, per parte di madre, del celebre comico Totò.
«Corriere della Sera», 6 agosto 1981
False accuse alla nonna una nipote di Totò condannata a due anni
GENOVA
Una nipote di Totò, Diana Buffardi de Curtis, 34 anni, é stata condannata ieri dai tribunale di Genova a due anni di reclusione per calunnia nei confronti della nonna in seguito ad una vicenda legala alla girata di un assegno di 50 milioni di lire risultato scoperto. In concorso con la de Curtis è stato condannato Giorgio Santineri, 37 anni, di Genova. Ad entrambi, che non erano presenti in aula, i giudici hanno concesso i benefici di legge. Santineri nell'agosto del 1984 aveva consegnato l'assegno a Diana de Curtis che, dopo averlo avallato con la sua firma, lo aveva consegnato alla nonna Diana Rogliani che si era presentata in banca per l'incasso. La coppia aveva poi querelato l'anziana donna incolpandola, «sapendola innocente» dice l'accusa, di aver falsificato la flrma per la relativa girata di Diana de Curtis.
«L'Unità», 26 gennaio 1989
La nipote Diana: «in famiglia parliamo ancora come il nonno»
A 36 anni dalla morte si continua a ridere con Totò, a parlare di Totò, il pubblico di tutto il mondo rivede i suoi film e si diverte ancora col principe De Curtis Gagliardi Griffo Focas Comneno di Bisanzio. Lo zoccolo duro degli ammiratori resta in famiglia: la moglie Diana, 86 anni, capoclasse; la figlia Liliana e i tre figli Antonello, Diana, Elena con i 4 bisnipoti, tutti fan. «Che nonno straordinario era, il genio resiste al tempo», dice con entusiasmo la nipote Diana de Curtis. «L'ho conosciuto a 11 anni. Molto tradizionale, tenero, bonariamente severo, attentissimo alla famiglia: anche se faceva cinque film all’anno, non dimenticava una ricorrenza, un compleanno».
Raccontava il cinema a voi?
«Mai. Erano mondi separati. In casa era solo il Nonno all’italiana: parlava di famiglia, ci chiedeva dei compiti, ci insegnava le regole di comportamento, ci accompagnava alle feste e noi gli facevamo trovare la poesia di Natale sotto l’albero, tutto secondo programma».
E voi nipotini vedevate i suoi film?
«Quasi mai, talvolta nella saletta privata del papà produttore. La tv non avevamo il permesso di vederla: siamo stati educati in modo molto severo, neanche Carosello».
Quando avete scoperto i film del nonno?
«Crescendo. Ci sono piaciuti subito molto e ogni volta che li rivedo scopro particolari inediti, sorprese. Amo in particolare Miseria e nobiltà, Guardie e ladri. Arrangiatevi e gli straordinari episodi di Pasolini».
Cosa vi racconta la nonna?
«E’ sempre innamorata del suo Totò. Parla del controllo che lui aveva sul pubblico: sapeva come, quanto, a che punto farlo ridere in ogni situazione. Sono stata in America con una sua rassegna e ho sentito ridere gli americani purosangue come fossero napoletani».
E’ lei oggi che, a nome della nuova generazione, racconta l’avventura del personaggio: come?
«La bellissima iniziativa delle cassette del Corriere cade in un momento in cui i festeggiamenti in suo onore si moltiplicano. A Roma c’è una mostra che occupa 450 metri all’Università della Sapienza, con fotografie, oggetti, abiti di scena».
Oggetti che andranno per il mondo?
«Siamo stati in America, in Turchia, in Inghilterra, ora giriamo l'Italia e facciamo una crociera nel nome di Totò che partirà da Napoli il 10 novembre, dove si farà animazione alla sua maniera e si proietteranno i suoi film; dopo aver toccato da Barcellona a Marsiglia, arriverà a Genova dove il busto di Totò sarà sistemato al Politeama Genovese e la mostra a Palazzo Ducale: un teatro e una città che egli amava molto, ci andava anche per le vacanze».
Ci sono ancora inediti di suo nonno?
«Abbiamo ancora alcune canzoni e poesie ma le daremo a suo tempo, per ora no».
Come si ricorda Totò oggi in famiglia?
«Parliamo tutti e sempre come lui. Mamma dice di essere la sua controfigura e noi i suoi cloni, ripetiamo ogni giorno le sue battute guardandoci negli occhi recitando "cuoco, che bella parola" ».
E poi c’è una curiosa notizia: il 18 ottobre, alla chiusura delle Giornate del cinema Muto di Pordenone, una poesia d’amore di Totò sarà musicata da Giuni Russo, inedita combinazione. Commenterà con altre musiche napoletane le immagini di un’inedita e fortunosamente ritrovata opera di Roberto Roberti, padre di Sergio Leone. Il film è Napoli che canta, le cui tre vecchie bobine sono state regalate da una signora americana che le aveva ricevute in custodia dopo l’allontanamento dall’Italia, trafugate da un parente. Pare che Mussolini non amasse l’opera che mostrava la Napoli della miseria».
Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 3 ottobre 2003
Vi racconto mio nonno Totò
Diana de Curtis: «Era severo, melanconico, spendaccione. Ma faceva anche beneficenza. E piaceva molto alle donne»
Cara signora Diana de Curtis, lei se lo ricorda quel sabato 15 aprile del ’67?
«Poco, ero piccola. Il nonno Totò era morto la notte. In casa, a Roma, c’era un clima irreale. Angosciante».
Il lunedì 17 a Napoli quanta gente c’era ai funerali?
«Prima c’era stato il funerale a Roma nella chiesa per così dire di casa. Poi ci fu il trasferimento a Napoli, una processione infinita. In città c’erano centinaia di migliaia di persone a rendergli omaggio. Fu la prima volta che una bara veniva applaudita».
Perché il popolo amava tanto suo nonno?
«Lo ritenevano un parente, uno di famiglia. Nelle case italiane ancora oggi si trovano foto di Totò appese alle pareti e non soltanto a Napoli. Uno dei più fedeli fan club è a Pordenone».
Al contrario, la critica l’ha sempre bastonato...
«L’intellettuale era contro ciò che è nazionalpopolare. Far ridere non era considerata un’arte. Anche se poi, di nascosto, nel buio, magari i critici, che spesso erano i vice, si sbellicavano. Pubblicamente no, era obbligatorio stroncarlo».
Che cosa ha poi spinto gli stessi critici a rivalutarlo?
«Il pubblico. È stato riabilitato a furor di popolo».
A quarant’anni dalla morte, Totò è ancora popolarissimo. Basta pensare che i suoi film sono tra i pochissimi in bianco e nero trasmessi in tv in prima serata...
«La sua è una comicità pura, universale, senza tempo, non legata alla satira del momento».
Totò è anche l’unico attore italiano il cui nome figura nel titolo del film...
«Certo, ma lui è come Topolino, un cartone animato».
Come è nato il nomignolo Totò?
«Nel modo più semplice. A Napoli Antonio si dice Totonno oppure Totò. Quindi non è stato fatto su misura».
Su Totò circolano molte leggende. È vero che di notte girava in macchina con l’autista e lasciava una busta con i soldi sotto il portone dei più poveri?
«Vero. Cercava, scegliendo a caso, le case più fatiscenti, quelle dei bassi, quasi sempre nel suo quartiere, la Sanità. Lui la povertà l’aveva conosciuta bene».
Pur prendendo in giro i potenti, però esibiva con una certa ostentazione i suoi titoli nobiliari...
«Sì, ne era fiero. Per tanti anni era stato figlio di enne enne. Da militare ne aveva sofferto molto».
Furono lunghe e costose le ricerche araldiche?
«Altroché. E quante cause ha fatto a salvaguardia dei suoi titoli nobiliari: tutte vinte, nessuna esclusa».
Lei lo sa a memoria quel cognome interminabile?
«Sì, anche se effettivamente è un po’ lungo...»
Il suicidio di Liliana Castagnola fu proprio per amore di Totò?
«Certo. Era una donna bellissima. Che aveva provocato suicidi e duelli. Senza contare i duelli. Lei si era innamorata di Totò, per lui era una storia come tante. Quando le disse: “Vado a fare compagnia con Cabiria”, lei si uccise. Da allora, per volere del nonno, riposa nella nostra tomba di famiglia a Napoli».
Sua mamma Liliana fu chiamata così in memoria di quella soubrette degli anni Trenta?
«Sì, il nonno volle ricordare quella poveretta».
Com’era fuori dal set, triste come i veri comici?
«Direi melanconico... Era molto serio, senza però essere serioso. La famiglia per lui era la cosa più importante. La teneva al di fuori di tutto. Era rigido, soprattutto nell’educazione. Mio fratello Antonello ed io eravamo in soggezione, anche per via delle governanti tedesche, che sceglieva il nonno...».
Del tipo «la serva serve, soprattutto se è bona, serve»?
«No, contava soltanto la serietà».
I produttori lo sfruttavano. Nel ’58, per esempio, girò otto film.
«Indubbiamente, anche se era lui che voleva lavorare. Doveva lavorare, anzi. Era un grande spendaccione, gli piaceva vivere bene e faceva tanta beneficenza».
Eppure nel ’58 era quasi cieco da due anni...
«Ne soffriva, ma sul set non se ne curava. Come i balbuzienti ritrovano la voce, lui si muoveva come se ci vedesse perfettamente. A Palermo aveva appena fatto la sua ultima recita teatrale in A prescindere quando gli capitò quel guaio all’occhio destro. Il sinistro era già fuori uso da vent’anni. Riusciva solo a distinguere le sagome delle persone».
Al botteghino faceva sempre sfracelli. I suoi cachet erano adeguati a quegli incassi strabilianti?
«Direi di no. Ma ne girava tanti, che di soldi gliene entravano in tasca in continuazione».
Si è mai lamentato della scarsa qualità di certi film?
«No. Li ha amati tutti. Lavorare per lui era un piacere, purché gli orari fossero alla francese: mai prima di mezzogiorno. Aveva la pressione bassa, non dormiva fino a tardi, ma ci metteva un po’ a carburare. Quando era stanco fischiava: era il segnale di stop. In sei ore sul set girava quello che gli altri giravano in sei giorni».
Un film che Totò aveva nel cuore?
«Guardie e ladri».
E il suo preferito, signora?
«Miseria e nobiltà. Il cappotto di Napoleone è un mito».
Li rivede i film di suo nonno quando li fanno in tv?
«Sì, noi della famiglia siamo i primi fan. Quando uno è giù di corda, venti minuti di Totò mettono di buon umore».
Senta, come mai suo nonno piaceva tanto alle donne. Non era Rodolfo Valentino...
«Spogliato dagli abiti di Totò, in cui siamo abituati a vederlo, aveva proprio un bel fisico, con le spalle larghe, gli piaceva remare. Era un uomo affascinante, con le donne ci sapeva fare. Molto galante, sapeva ascoltare, le faceva sentire importanti».
Qualità e difetti...
«Era gelosissimo. Anche dei figli. L’attenzione a tutti i piccoli problemi rischiava a volte di diventare un’ossessione. Però ci faceva sentire protetti. Le qualità più grandi, bontà e generosità».
I grandi amori della sua vita?
«Prima di tutte, sua moglie, mia nonna Diana, che si chiama come me, in famiglia non abbiamo molta fantasia. Lei aveva sedici anni e studiava in collegio a Firenze. Una sera andò a teatro all’aperto, lo spettacolo era Follie estive, in cui recitava Totò. Scoccò la scintilla, reciproca, la nonna scappò e lo raggiunse a Roma. Poi Franca Faldini, l’altra donna della sua vita».
È vero che improvvisava quasi sempre? Lo diceva lui stesso per un vero comico il copione non deve contare...
«Sì, improvvisava molto. In teatro coglieva al volo gli umori del pubblico. Se la novità funzionava, andava avanti, altrimenti cambiava registro, senza che nessuno se ne accorgesse».
E i registi subivano o capitava che qualcuno s’impuntasse?
«Lo lasciavano fare, magari se ne andavano a prendere un caffè, lasciandolo solo sul set».
Con i partner andava d’accordo?
«In scena sempre».
Malafemmena fu scritta per la Pampanini o per chi?
«Ma no, fu scritta per mia nonna Diana. Tanto è vero che quando lei gli rimproverava scherzosamente di averle regalato una casa, lui rispondeva: “L’hai guadagnata tu con i diritti d’autore di Malafemmena”».
Quarant’anni dopo, chi era Totò?
«Un angelo, un nonno, un padre, un amico, un fratello. Noi oggi parliamo tutti con le sue battute. Fa parte della nostra quotidianità».
Lo ricorderete pubblicamente?
«Sì, in ottobre alla festa del Cinema di Roma. Con Un Principe chiamato Totò, una docufiction che sto girando con Barbara Calabresi, prodotta da Sergio Valzania».
Massimo Bertarelli, «Il Giornale», 15 aprile 2007
Vi racconto quel trombone di mio nonno
«Era un uomo dolce e severo, generoso e molto melanconico»
Sulla caffettiera? C’è la faccia di Totò. Sul quadrante della sveglia? C’è Totò che ti sorride. Sul fermalibri? C’è la scucchia deragliata di Totò. Trasuda amore la casa di Diana de Curtis, la nipote di Antonio, in arte Totò. Un amore sano e consapevole che però fa dire a sua madre Liliana: «Figlia mia tu sei una pazza. Non ti sopporto più. Tu parli solo con le frasi di papà!». Ma è una fissazione che la fa sorridere di tenerezza. Diana somiglia al celebre nonno, in salotto ha eretto altarini di ricordo, foto che la ritraggono con lui, che le raccontano una storia. Oggi, nell’anniversario della morte, a pochi giorni dall’inaugurazione al Maschio Angioino di una mostra che si vedrà anche a Roma nel corso della Festa del Cinema, lei fa i conti con la sua infanzia: «Nonno ha scelto la mia scuola, sceglieva i miei vestiti, supervisionava i miei amici. Mi veniva a prendere e mi accompagnava alle feste con l’autista, Carlo Cafiero, che era anche il suo migliore amico». A lui fece testare la canzone Malafemmena: «Principe, mi pare una schifezza», disse lo sciagurato, invece fu un trionfo. «La canzone era dedicata a mia nonna e ai patimenti d’amore. Perché nonno aveva un animo delicato, nella sua cassaforte ho trovato le mie pagelle e le mie letterine tutte conservate. E poi aveva un’adorazione per Antonello, mio fratello. Capirà, lui era il maschio e per un napoletano tanto conta».
Otto film l’anno ma questo non gli impediva di rispettare orari metodici: «Aveva i tempi francesi. Prima di mezzogiorno, neanche a parlarne. Poi sul set fino alle 6 del pomeriggio. All’incirca a quell’ora arrivava il suo fischio; significava, per oggi tutti a casa. Una volta varcato il portone era un nonno come gli altri, niente cinema, poteva essere notaio, avvocato».
Un grande artista così tanto borghese? «Era un anarchico-monarchico. Dentro di lui albergavano due personalità distinte. Il principe de Curtis odiava Totò, così almeno lui diceva. Io credo invece che Antonio usasse quella maschera, come un qualsiasi mortale usa la parte di sè che più piace alla gente. Una strategia che gli aveva insegnato il rione Sanità, il suo basso di Napoli».
Geloso e anche un po’ possessivo, come quando dalla villa di Capri guardava con il cannocchiale la figlia Liliana che, al suo primo romantico bacio sulla guancia, ricevette sulla stessa guancia il sonoro schiaffo del padre. Il giorno dopo Liliana, figlia di Totò, si ritrovava fidanzata in casa con il ragazzo che tanto aveva osato.
Elegantissimo e melanconico, fissato per i titoli nobiliari che si era conquistato a suon di cause tutte vinte, Totò aveva maturato una speciale simpatia per Pier Paolo Pasolini: «Era nata d’istinto, due poeti che si capivano nella loro incredibile diversità. La prima volta che Pasolini andò a trovare nonno con Ninetto Davoli fu una scena esilarante. Ninetto in jeans sdruciti, nonno con la veste da camera. Quando uscirono spruzzò il disinfettante ovunque». Ascoltare Diana, per chi ama Totò, è una delizia. Scopri anche con Mario Digilio, compagno nell’ultima tournée di Totò, che il 3 maggio di 50 anni fa il grande artista abbandonò le scene perché quasi cieco. In quell’occasione avrebbe detto: «Nessuno si ricorderà di me». Per la prima volta non aveva capito il suo pubblico.
Michela Tamburrino, «La Stampa», 15 aprile 2007
Ad onor di cronaca e da quello che si evince dalle più autorevoli biografie di Totò, ci sono da registrare alcune inesattezze nella testimonianza di Diana, in particolare:
- - Il padre di Totò viene citato come Pasquale de Curtis, ma il vero nome è Giuseppe de Curtis.
- - Gianni Buffardi non ha prodotto una cinquantina dei film di Totò, soltanto una decina.
- - La moglie di Totò, Diana, non si è sposata nel 1949 con l'avvocato Michele Tufaroli (e non Mario come citato) ma il 12 luglio 1951.
- - Totò non è stato riconosciuto da suo padre in punto di morte poichè morì il 29 settembre 1944, ma nel 1928 quando Totò aveva circa 30 anni.
- - «Una bellissima ragazza napoletana si era innamorata di lui ma il nonno non aveva voluto sposarla. La ragazza, allora, si uccise. Si chiamava Liliana Castagnola.» In realtà la ragazza napoletana si chiamava Angelina, mentre Liliana Castagnola era nata a Genova.
- - «Neppure Totò una famiglia ce l’ha mai avuta: né da bambino, né da adulto, né da vecchio. Il suo sogno, infatti, era di comprare un circo». L'affermazione è assolutamente priva di fondamento, Totò non ha mai affermato ciò.
- - «La nonna partorì all’albergo Trevi a Roma». In realtà Liliana è nata alle ore 21 presso l'Hotel Ginevra in Via della Vite.
- - Totò e Diana Bandini Rogliani si incontrarono per la prima volta nel foyer del Teatro Varietà "Follie Estive" e non del Teatro Gambrinus di Firenze.
La canzone appositamente creata e interpretata da Lucio Dalla "Principessa"
Riferimenti e bibliografie:
- Angelo De Robertis in "Gente", anno XXI, n.46 e 47, 19 e 26 novembre 1977
- G.D. in "Stop", 1977
- Scaglione Fulvio, «Gazzetta d'Alba» 20 febbraio 1980
- «Il Piccolo di Trieste», 28 febbraio 1980
- Marco Tedesco in "Eva Express", 1990
- Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 3 ottobre 2003
- Massimo Bertarelli in giornale.it, 2007
- Michela Tamburrino, "La Stampa", 15 aprile 2007
- Collaborazione di Federico Clemente
- Foto: Archivio Getty Images