Francesco Caravita principe di Sirignano, l'Imperatore di Capri
Indice
La macchia rossa di Pupetto di Sirignano
La straordinaria esistenza del principe di Caravita tra donne e motori, ultimo protagonista della bella vita caprese. Il record di un matrimonio e di un divorzio fulminei. Il tavolino fisso in Piazzetta e l’amore duraturo per Anna Grazioli.
Si proclama a gran voce discendente diretto di San Gennaro, esibendone perfino una sorta di documentazione corporea, ma a differenza del patrono di Napoli, scapolo e casto, lui sì che si sposò, e almeno un paio di volte. Anzi Francesco Caravita principe di Sirignano, detto Pupetto, di donne ne conquistò a più non posso. Sul finire degli anni Cinquanta, il suo tavolino nella pizza di Capri, sua patria estiva, era una calamita per ragazze e ragazzine, signore e signorine: “Ciao Pupetto, che fai stasera?”. E lui, per dare a intendere che già aveva un impegno con un’altra donna: “Eh, purtroppo stasera mi tocca rimanere al Castello”. Si denominava “il Castello” la splendida villa che il principe possedeva a Capri.
Ricchissimo, proprietario di vaste tenute in provincia di Avellino, il principe di Sirignano, nato a Napoli nel 1908, trascorse un’adolescenza e una giovinezza brillantissime, sempre in giro per il mondo, ospite di famiglie patrizie e di club elitari. Nel 1929 detenne il primato mondiale per il numero delle corse automobilistiche da lui vinte. Nel 1933, però, l’aristocrazia napoletana individuò in lui il detentore di un altro tipo di primato: quello relativo al più veloce matrimonio e al più rapido divorzio.
Infatti, trovandosi a bordo di un transatlantico diretto in America, conobbe una diciottenne miliardaria che si innamorò di lui. Allo sbarco a New York, il principe di Sirignano riuscì, nel giro di ventiquattr’ore, ad ottenere la cittadinanza americana e a sposare la ragazza. Ma quattro giorni dopo entrambi gli sposi chiedevano, a un tribunale della stessa New York, il divorzio per incompatibilità di carattere.
Più ponderato fu, invece, il matrimonio che Pupetto contrasse nel 1940 anche perché la nuova moglie, Anna Grazioli, condivideva a pieno la sua passione per Capri.
Autore, in età matura, di un libro di memorie che fu un autentico bestseller e in cui ironicamente si definiva “un uomo inutile”, il principe di Sirignano non perdeva occasione per rivendicare la sua presunta discendenza da San Gennaro. Sosteneva, peraltro, di possedere sul suo corpo le prove di quella parentela: una macchia rossa, lunga quattro o cinque centimetri e alta un centimetro, che compariva sulla sua nuca il 19 settembre di ogni anno, nel momento stesso in cui, nella Cattedrale di Napoli, si ripeteva il miracolo della liquefazione del sangue attribuito al santo patrono. Quella macchia rossa, a detta di Pupetto, indicava il posto preciso della nuca ove, nel 305 dopo Cristo, si abbatté la spada del legionario romano che decapitò San Gennaro.
Ma come si sarebbe articolata questa presunta nipotanza?
Secondo quanto Pupetto asseriva, tre secoli fa un suo avo e precisamente quel Tommaso Caravita, vissuto tra il 1670 e il 1744 che fu prima giudice della Vicaria e poi illustre autore di testi giuridici, sposò una certa signorina De Gennaro, napoletana benestante, che era considerata, da tutti, l’ultima discendente della “gens Juanuaria”. “Che io sappia”, mi raccontò il principe, “da allora, da quando cioè i Caravita di Sirignano si imparentarono con i De Gennaro, iniziò a verificarsi un evento prodigioso. Sulla nuca dei maschi della nostra casata, nel giorno del miracolo di settembre compare una macchia rossa la quale, evidentemente, vuol rievocare la decapitazione del santo patrono di Napoli”.
Francesco Caravita principe di Sirignano con Alberto Moravia
Francesco Caravita principe di Sirignano
Il padre di Francesco, Giuseppe, ebbe anche lui la macchia sulla nuca nel giorno del miracolo, e di questo fatto furono testimoni i più celebri fra i suoi contemporanei. Presidente della Banca d’Italia, deputato liberale e successivamente senatore del Regno, amico personale di Gabriele D’Annunzio, il principe Giuseppe sbalordì tutti per quella macchiolina rossa che gli si rivelava sulla nuca; e benché evitasse il più possibile di metterne al corrente i conoscenti, era costretto spesso a dover mostrare il collo a qualche ministro o a qualche principe di Casa reale.
Tutto questo mi fu personalmente detto da Francesco Caravita. Il quale aggiunse: “A me, la macchiolina comparve per la prima volta quando avevo dodici anni, e cioè esattamente il 19 settembre 1920. Nel momento stesso in cui i miei genitori, che già da anni aspettavano ansiosi quel segno, mi porsero uno specchietto e me lo fecero osservare. Quasi quasi svenni per la paura”.
Negli ultimi anni della sua vita, il principe di Sirignano spese e sperperò a Capri, in fiabeschi ricevimenti, molti dei soldi che guadagnava con una pollicoltura che aveva impiantato nell’Avellinese. Morì mentre rileggeva, come si disse, un’ingiallita lettera d’amore. Capri perse, con lui, un altro dei suoi incredibili connotati.
Vittorio Paliotti, aprile 2004
Totò e una bella donna: così se n'è andato Caravita, l'«imperatore» di Capri
Era conosciuto nel jet-set internazionale
NAPOLI
Fedele all'antica leggerezza, si descriveva da tempo come «un vecchio signore distinto, in lista d'attesa per l’Aldilà». E sperava che in tal modo, allo scoccare del suo turno, la morte gli avrebbe fatto cenno di seguirla senza troppo clamore, sussurrandogli in un orecchio il roboante nome: Francesco Caravita principe di Sirignano. O forse solo Pupetto, come lo chiamavano da sempre gli amici più cari. Ed è così che poi è andata. Al limitare dei novantanni, l'ultimo imperatore di Capri ha detto addio alla vita in compagnia d'una risata.
Aveva appena finito di vedere in tv «Fifa e Arena», un vecchio film di Totò (che in un'altra pellicola aveva imitato la «camminata caprese- del principe), quando il respiro gli è volato via dal petto. Di là, nella stanza accanto, erano già pronte le valigie per l'immancabile weekend nell'isola azzurra.
«Aveva 32 anni più di me — racconta Mario D'Urso, senatore di Capri e Sorrento, che con Pupetto ha condiviso mille avventure —, ma quando entravamo in un locale sembrava lui il più giovane. Pareva quasi che il suo avo, San Gennaro, gli avesse regalato l'elisir di lunga vita. E poi, via, chi non vorrebbe morire in quel modo? A 90 anni, sazio di vita, con a fianco una donna giovane e affascinante, e per di più dopo essersi goduto un bel film di Totò...».
Quale fosse il segreto del principe di Sirignano, capace di calamitare la simpatia del jet-set internazionale attraversando soavemente la storia di un secolo, è difficile scoprirlo. Molti indizi, comunque, sono nascosti nel suo libro di ricordi «Memorie di un uomo inutile», pubblicato dall'editore napoletano Fausto Fiorentino: scorrendo quelle pagine, infatti, si attraversa una galleria di personaggi che, fra gli anni Trenta e i Sessanta, un qualunque «uomo utile»* mai avrebbe incontrato, neppure vivendo dieci volte. Qualche nome: Liz Taylor, Yul Brinner, Brigitte Bardot, la regina Elisabetta, la principessa Margaret, Alberto Moravia, la stravagante miliardaria americana Barbara Hutton... e si potrebbe andare avanti, ancora a lungo.
«Era un uomo pieno di talento, ma soprattutto spiritosissimo — ricorda D'Urso —. Se non fosse nato principe, sarebbe stato un grande 'entertainer" sul modello di Frank Sinatra».
Enzo d'Errico, «Il Mattino», 19 giugno 1998
La dolce ed eccentrica vita di Capri vista da Totò
nel film "L'imperatore di Capri" (1949)
Totò s’isipirò a lui quando girò il film “L’imperatore di Capri“. E tutte quelle bizzarie, dal serpente sul cappello al gallo sulla spalla, furono tutte storie attribuite a Pupetto, dai paparazzi di mezzo pianeta. Comprese quelle strane feste, popolate da artisti improbabili.
L'epopea inutile (e gloriosa) di un principe napoletano
Francesco Caravita di Sirignano
Francesco Caravita di Sirignano, detto "Pupetto" (nomignolo che suona più da barzelletta che da principe), è stato uno degli ultimi veri nobili napoletani autentici, un mix esplosivo di fantasia, aristocrazia spensierata e allergia cronica al lavoro. In un’epoca in cui il mondo si prendeva maledettamente sul serio, Pupetto ha scelto la via opposta: quella del "vivere per divertirsi e basta". E lo ha fatto con uno stile che manco Gatsby, col sorriso di chi sa che tanto, alla fine, le preoccupazioni le può lasciare agli altri.
Il principe del "dolce far tutto"
Pupetto non era solo un nobile col pedigree da pedigree: era la reincarnazione partenopea dell'arte di vivere alla giornata, evitando come la peste qualsiasi sistematicità lavorativa. Però possedeva, in quantità industriali, tutto il meglio del DNA napoletano: genialità, arguzia, amore per il bello, spirito libero e l’insana capacità di annoiarsi mortalmente davanti alla monotonia.
Mentre gli altri costruivano imperi o finivano sul lastrico, lui si dedicava con uguale dedizione ad attività fondamentali come: pescare, fare l'amore, pilotare automobili da corsa, comporre canzoni, vincere a poker, e – soprattutto – divertirsi come un pazzo.
Il matrimonio sprint: record mondiale di velocità con annullamento incorporato
Nel 1933, Pupetto supera se stesso: incontra su un transatlantico una miliardaria americana diciottenne che si invaghisce di lui (che strano, eh?). Sbarcati a New York, in 24 ore diventa cittadino americano e sposo, e in altre 96 ore divorzia.
Motivazione ufficiale: "incompatibilità di carattere".
Motivazione ufficiosa: la carta dell'impotenza, usata come strategia difensiva da manuale, che però gli costa il disprezzo di tutti gli Italo-americani, scandalizzati dal flop della prima notte nuziale.
Lui? In fondo, non gliene fregava niente.
Pupetto e il suo harem: mogli, amanti e altri disastri
Amante instancabile delle donne, dal Medioevo in poi non si è visto un principe tanto prolifico in corteggiamenti (se non in figli: solo tre ufficiali, Giuseppe, Alvaro e Mila). Pupetto era un esteta, più affezionato al concetto di amore che alle singole amanti.
Le americane erano il suo debole: fresche, libere, disponibili e – dettaglio non trascurabile – ben meno sorvegliate delle coetanee italiane.
La sua prima esperienza? Ovviamente precoce e "casalinga": a svezzarlo ci pensò una cameriera di oltre quarant'anni. Risultato: mamma inorridita, zio paterno orgoglioso, confessore molto comprensivo. Napoli, sempre Napoli.
Una gioventù di carte, motori e... fughe dal collegio
L’educazione di Pupetto è stata un disastro glorioso: espulso e riammesso a ripetizione tra l'Umberto I e gli Scolopi, sempre in fuga verso nuove avventure, tanto che la licenza liceale fu un miracolo più grande della liquefazione del sangue di San Gennaro.
Poi? Doveva diventare un brillante diplomatico. Ovviamente no: diventò invece un nobile globe-trotter, in viaggio tra New York, Londra, Parigi e Roma, dilapidando fortune con un sorriso smagliante.
La leggenda della "nuca miracolosa": Pupetto e San Gennaro parenti alla lontana
Ogni 19 settembre, giorno del miracolo di San Gennaro, sulla nuca di Pupetto compariva una macchiolina rossa: la "prova" della sua discendenza da San Gennaro tramite i De Gennaro, famiglia nobile napoletana.
Secondo lui, era il segno mistico della decapitazione del Santo. Secondo il resto del mondo... beh, una coincidenza un po' folkloristica e molto pupettiana.
Capri: Pupetto incoronato Re dell'isola azzurra
Negli anni '50 e '60 Capri non era solo un’isola: era il regno indiscusso di Pupetto.
La sua villa era soprannominata "Il Castello", il suo tavolino in piazzetta era il centro gravitazionale di ragazze di mezzo mondo, e la sua presidenza dell'Azienda Turistica trasformò Capri nella Disneyland della Dolce Vita mediterranea.
Creò idrovolanti tra Southampton e Capri, concorsi di bellezza europei, serate per cuori solitari.
Incontri? Tutti: da Onassis a Churchill, da Joan Crawford a Guglielmo Marconi (ma con più interesse per la figlia di quest'ultimo). Totò, nemmeno a dirlo, gli dedicò una parodia nel film "Totò a colori".
Pupetto, gli investimenti disastrosi e la filosofia della dissipazione allegra
Se il patrimonio di famiglia è evaporato, non fu per errore, ma per una scelta filosofica ben precisa: meglio godersi il denaro che lasciarlo agli avvoltoi della burocrazia, delle tasse e dell'inflazione. Un pensiero da vero illuminista partenopeo.
Tra investimenti folli e serate leggendarie, Pupetto riuscì a distruggere una fortuna senza rimpianti, anzi con quel certo orgoglio napoletano che trasforma anche un fallimento in un'opera d'arte.
Epilogo: il sorriso finale
Da vecchio, Pupetto si stabilì a Roma con una giovane americana, Diana Schlyer, e pubblicò le sue memorie.
Desiderava un epitaffio semplice, sincero, spietatamente onesto:
"Non fece mai niente di importante nella vita, ma si divertì."
Missione compiuta, direi.
La dolce ed eccentrica vita di Capri
vista da Totò nel film "Totò a colori" (1954)
Breve storia di una Capri che oggi esiste solo nelle fotografie
C’era una volta — come in tutte le favole che si rispettino — una Capri da sogno, dove le bellezze naturali, il sole mediterraneo e un’irresistibile vena di follia collettiva si mischiavano al profumo degli spaghetti con le zucchine, invenzione culinaria di tale Pupetto, principe di Sirignano, che probabilmente cucinava tra una festa mondana e l’altra, perché se non fai un piatto iconico almeno una volta nella vita, che principe sei?
In questa Capri da cartolina e champagne, i VIP scendevano dalle barche a vela come se piovesse, e i comuni mortali si arrangiavano come potevano per assaggiare un frammento di quella vita da sogno. In questo contesto da "Dolce Vita versione isolana", il narratore — giovane, squattrinato e con più faccia tosta che soldi — entra in scena come protagonista involontario di un capolavoro tragicomico.
Il piano diabolico: come entrare gratis in un mondo che non ti appartiene
A diciott’anni e con le tasche vuote, la strategia di sopravvivenza era chiara: arrampicarsi sugli scogli per infiltrarsi nelle piscine dei ricchi. Così il nostro eroe e il suo sodale Carlo Spagna — futuro giudice penale, ma all’epoca pirata da piscina — si ritrovano a bordo vasca della celebre Canzone del Mare, in piena sessione di caccia alle bellezze locali.
Due prede bionde e aristocratiche (Anna Maria Sernicola e Manuela Coja) cadono nel loro radar, discorrendo incantate di una megafesta mascherata organizzata nientepopodimeno che dal principe Pupetto. Gli occhi luccicano, il sangue ribolle: bisogna infiltrarsi.
Il colpo di genio: nobili si nasce... o ci si inventa
Con la naturalezza di un truffatore di razza, il narratore si autoproclama "conte" (tanto chi controlla?) e millanta amicizie principesche. Le ragazze, entusiaste, si fidano ciecamente: mai sottovalutare il potere di un titolo nobiliare, specie se pronunciato con sufficiente convinzione.
Ora però si pone un problema: non c'è il vestito da sera. Ma ehi, per fortuna è una festa in maschera! Detto, fatto: i nostri eroi si trasformano in antichi romani da discount, con lenzuola rubate alla pensioncina e tralci di vite strappati dal giardino. Io Bacco, tu ancella: una scelta sobria e di grande finezza.
Non contenti, si armano anche di un bidet di plastica come accessorio fashion: nessuno può dire che mancassero di originalità.
L’assalto alla villa (e la ritirata strategica)
Così travestiti — uno come il dio del vino e l’altro come la sua devota damigella — si presentano alla festa. Consegna bidet all'ingresso, fotografie di rito (perché l'umiliazione dev'essere documentata), e primi sguardi torvi da parte del vero aristocraticume.
Il principe, ovviamente, non tarda a fiutare l'imbroglio. Circondato da camerieri armati probabilmente di vassoi contundenti, si avvicina minaccioso. "Chi siete voi?!" — "Invitati dal conte della Ragione" — "Mai sentito". E voilà: ordine di espulsione immediato con tanto di minaccia di carabinieri. Più che "Benvenuti a Capri", sembrava "Fuori dai piedi a Capri".
Mentre le ragazze riescono a mescolarsi tra la folla in una sorta di fuga di massa degna di un film di Totò, i nostri due antichi romani in lino improvvisato sono costretti a battere in ritirata... ma senza il bidet!
Il recupero eroico del bidet
Mai lasciare indietro i compagni caduti! Tornano indietro, bussano, chiedono il loro trofeo. Dopo un piccolo scambio di minacce reciproche ("chiamiamo noi la polizia!"), il bidet viene lanciato dalla finestra come un'urna funeraria. Missione compiuta.
L’epilogo: amici per sempre (e protagonisti di scatti immortali)
Il giorno dopo, il coronamento di tanta gloria: le foto ricordo, acquistate da Foto Capri, testimoniano il trionfo del coraggio, della sfrontatezza e del lenzuolo a righe. L'evento non solo non compromette i rapporti con le due bionde, ma anzi cementa un’amicizia che dura da oltre quarant'anni. Altro che match su Tinder.
Nota finale: l’isola che non c’è più
L’aneddoto si chiude malinconicamente su una Capri ormai tramontata. Pupetto, simbolo di quell’epoca sfacciata e incantata, ritiratosi a vita privata, ha lasciato solo ricordi. Quegli anni — fatti di feste sfarzose, spaghetti zucchinati e improvvisazioni tragicomiche — ora sopravvivono soltanto nei racconti (e nelle fotografie imbarazzanti) di chi c’era davvero.
In breve?
Con un po' di fantasia, una bugia ben raccontata e un bidet sotto braccio, a Capri si poteva vivere da re per una notte. O almeno provarci.
Riferimenti e bibliografie:
- "La macchia rossa di Pupetto di Sirignano" (Vittorio Paliotti), http://www.lisolaweb.com/
- "Memorie di un uomo inutile" (Caravita di Sirignano Francesco), Napoli, Società Editrice Napoletana, 1984
- teleradiostella.it
- Nobiltà napoletana: Pupetto di Sirignano" - napolitan.it
- "Totò e una bella donna: così se n'è andato Caravita, «l'Imperatore di Capri» - Enzo d'Errico, «Il Mattino», 19 giugno 1998