Il colonnello delle SS
Totò - Hitler (Jeve-Evek)
Il ricordo più divertente è un ricordo tragicomico... Era proprio il periodo della guerra. Io lavoravo al Valle e i De Filippo stavano all'Eliseo. Un amico mi chiamò dalla questura dicendomi che i tedeschi volevano arrestare me e i De Filippo. Allora telefonai a un amico per andarmi a nascondere. Prima di recarmi da lui, passai all'Eliseo per avvisare i De Filippo. Eduardo non c'era, c'era Peppino. Gli dico: «Peppì, qui succede così e così, bisogna scappare». «Ah sì, scappiamo, dove scappiamo? Dove scappiamo?» «Tu la prendi alla leggera, scherzi?» gli faccio. «Vengono i tedeschi, chi sa cosa ci vogliono fare...» «Ah, vengono qua? E dove ci portano? In albergo?» «No» gli dico, «ci fucilano!». E me ne andai, cioè corro a nascondermi da quest'amico che mi avrebbe ospitato gentilmente. Naturalmente nessuno doveva sapere che ero lì. Dopo mezz'ora che sto là, quest'amico mio viene e mi dice: «Senti, c'è una cugina mia che ti vuol conoscere, che ti ha visto a teatro, è una tua ammiratrice...». Dico: «Don Lui'», si chiamava Luigi, «Don Lui', nessuno deve sapere che sto qua...». «Sì, ma è una parente...». «Vabbe', Don Lui'...» Questa viene, piacere... piacere... e compagnia bella. Dopo un'oretta toma lui e dice: «C'è un mio compare...». Questo per due giorni di seguito. Alla fine dico: «Don Lui', qui dove sto io lo sa tutta Roma. Se i tedeschi chiedono dove sta Totò... tutti gli dicono che sta qua...».
Antonio de Curtis
Prima metà del 1944. Totò, che furoreggiava con la Magnani in una rivista di Michele Galdieri "Che ti sei messo in testa?", rischiò la vita per una risata in più. Saputo dell’attentato a Hitler, si presentò in scena con un paio di ridicoli e riconoscibilissimi baffetti, che gli solleticavano il naso, a passo marziale e con il braccio al collo, nel bel mezzo di un numero che trattava d’altro, e zoppicando scomparve. Dalle risate venne giù il teatro. Ma quella sera non fece a tempo a tornare a casa in bicicletta (era il mezzo di molti privilegiati) che bussarono alla porta. Era un colonnello delle SS, suo amico, nonostante la divisa. «C’è un mandato di cattura, che dovrà essere eseguito domani, per lei, per Eduardo e per Peppino De Filippo». Totò si premurò di avvertire gli amici. Afferrò la valigia piena di cose da mangiare - salami, formaggi, salsicce, fagioli, farina — che teneva sempre pronta e portò i suoi familiari a Valmontone, in casa della famiglia De Sanctis, ammiratori e spettatori di tutte le repliche dei suoi spettacoli. Sperava di passare inosservato, lì, ma già la mattina dopo il suo arrivo, scorse con preoccupazione una piccola folla sotto la sua finestra. Lo chiamavano per nome, gli sorridevano contenti che fosse lì: addio clandestinità!
A maggio, con le divise angloamericane quasi in vista, i nazisti continuano a uccidere e torturare; lo faranno anche ad alleati entrati in città, portandosi dietro alcuni prigionieri da fucilare strada facendo. Un paio di settimane prima della liberazione di Roma, Antonio de Curtis, che durante la guerra è comunque riuscito a crearsi una serie di contatti, riceve una telefonata dalla Questura: una voce anonima gli suggerisce di scappare. In pericolo sono anche i fratelli De Filippo, che Totò si precipita ad avvertire al teatro Eliseo; in seguito alla soffiata dell’antico compagno di gavetta, Eduardo e Peppino si nascondono in casa di amici.
Peppino De Filippo
Il questore Caruso aveva dato ordine di catturarmi per portarmi al Nord”, racconterà Totò: “alla Storta mi avrebbero ammazzato senz’altro”. Il seguito dell’avventura, ingentilito dal passar del tempo e dalla tentazione di far nascere un sorriso anche dalle situazioni più drammatiche, è da farsa napoletana: “Sono scappato da un amico che aveva una casa verso il Gelsomino, da quelle parti lì. E questo qui dopo mezz’ora viene e dice ‘C’è una signorina che vuol conoscerla. Dico: ‘Sor Lui’, io qui sto nascosto...’ ‘No, ma è una parente’. Dopo una mezz’ora: ‘C’è il mio compare...’ Insomma, lo sapevano tutti quanti. A un certo momento me ne sono andato...
Totò intervistato da Luigi Silori nel programma Rai L'approdo, 1965
L’inopportuno assalto di fan gli fa però venire in mente un tiro da giocare ai De Filippo. Scoperto il loro nascondiglio, vi manda una ragazza con un biglietto: “Caro Peppino, questa bella ragazza desidera un tuo autografo, il mio gliel’ho già dato, le ho detto il tuo indirizzo, accontentala”, firmato Antonio. La ragazza ottiene l’autografo e se ne va ridacchiando, mentre Peppino, impazzito dalla paura, comincia a sospettare che il pericolo della deportazione sia uno scherzo. “Uno scherzo? Fossi matto”, gli dirà Totò a guerra finita. “Tutti gli artisti dovevano essere portati in alt’Italia. Io pure. Ringrazia Dio che venni a saperlo da persona sicura”. “E la ragazza, quella dell’autografo?” “Quello sì, quello fu uno scherzo!”
Peppino De Filippo
Non potevo ribellarmi apertamente a quella certa forma di vita allora imperante e reagivo come potevo, col mezzo a mia disposizione. E di questo ne sono fiero, non per un gratuito vanto di aver fatto anch’io, e comunque, una «resistenza», ma perché effettivamente sentivo che «quel qualcosa» politico non doveva andare. Dico questo non perché io abbia bisogno di una fedina politica
Antonio de Curtis
Riferimenti e bibliografie:
- Peppino De Filippo, Una famiglia difficile, Alberto Marotta Editore, Napoli 1976, pp. 367-368.
- Peppino De Filippo, Strette di mano, Alberto Marotta Editore, Napoli 1974, pp. 98-99.
- "Caporali tanti, uomini pochissimi: la storia secondo Totò", Emilio Gentile, Editori Laterza, 2020