Il complesso dei fratelli siamesi

Totò


Io e gli altri

di Antonio De Curtis

Quante volte sono stato fermato da ammiratori i quali mi hanno chiesto con divertente ingenuità: « Ma come fa lei a inventarsi tutte quelle smorfie, a truccarsi in quel modo... ». Generalmente rispondo che il merito non è mio: devo certe mie celebri macchiette a tanta gente, quasi sempre anonima, che incontro per le strade, nei caffè, a teatro. Non potete immaginare quante volte degli uomini e delle donne, soprattutto agli inizi della mia carriera, si sono voltati, con gesti di disappunto, per farmi capire che non desideravano essere importunati: infatti non solo non aveva per un momento levato loro gli occhi di dosso, ma li avevo seguiti come un « detective » privato. Essi non immaginavano che io stavo imprimendo anzi fotografando nella mia mente, certe tipiche espressioni, certi « tic » nervosi, certe accentrazioni personalissime, che poi avrei portato, con successo, sulle scene.

Io mi considero un po’ un disegnatore caricaturista: che osserva i suoi soggetti e li ritrae sulla carta alterandone i tratti, senza tuttavia renderli irriconoscibili. A mio modo, sono un « caricaturista » e ne posseggo le caratteristiche.

Ho conosciuto, per farvi qualche esempio, un giovanotto che soffriva di miopia all’occhio destro, per cui avvicinava di più verso quell occhio il foglio da leggere e lo scorreva dall’alto in basso, o dal basso in alto, come spesso mi avete visto fare sullo schermo. Una ragazza di mia conoscenza aveva il vezzo, diciamo così, di parlare francese senza nessun motivo, un francese spesso italianizzato: in una mia rivista l’ho riprodotta, scimmiottando così tutti coloro che ritengono di apparire più colti, o più interessanti, esclamando: « Comment ca va?... Merci... Bonjour... », eccetera eccetera.

In certi paesi del meridione, affetti dal gallismo così ben ritratto dall’italiano Brancati nei suoi romanzi, vi sono giovanotti che quando vedono una donna entrano in stato di epilettica agitazione, la squadrano dalla punta dei piedi alla cima dei capelli: così io li ho copiati quando, in qualche scena, mi avvicino ad una ballerina o alla soubrette inchinandomi davanti a lei così da toccarle col naso la punta dei piedi, e poi risalgo su su, con una invadenza che ha sempre divertito il pubblico che, indubbiamente, ritrova nel mio personaggio un po’ se stesso.

Ecco dunque perché ho intitolato questo articolo « Io e gli altri »: senza tanti sconosciuti da me osservati, forse non sarei stato quello che molti mi ritengono.

Con questo articolo vorrei perciò suggerire ai giovani, che seguono la carriera di attore, di studiare la umanità che li circonda, deformandone e aumentandone sì i difetti, ma sempre con un fondo di comprensione e di umanità.

Vi sono delle macchiette della mia « prima maniera » (quando cioè mi presentavo tutto disarticolato, dalla testa alle braccia, soprattutto nei finali dei « couplets ») ispirate a bravissimi comici napoletani; li avevo osservati quando ero ragazzo e riuscivo a sgaiattolare gratis tra le quinte del palcoscenico: da essi ho appreso a mantenere nella comicità una nota umana, di rifarmi a tipi e personalità realmente esistenti. E mi sembra di non aver errato.


Il complesso dei gemelli è uno dei pochi veri indizi che Antonio de Curtis fornisce per arrivare al cuore della propria arte. Il modo in cui descrive la sua attrazione verso un individuo interessante ha in effetti qualcosa di maniacale. Nella sua descrizione non è Totò a impadronirsi dei suoi gesti, ad arricchire la gamma del proprio repertorio con nuovi vezzi e tic inediti, ma è il passante a inglobarlo col suo fluido, a legarlo a sé attraverso un ideale cordone ombelicale; non è Totò a conquistarlo ma è l’osservato che trasforma l’attore in un proprio duplicato, in un suo gemello. Per assumere la personalità di un altro, Totò perde dunque la propria. Come il comico ha fatto nella rivista Un anno dopo, e come farà Woody Allen, in termini esplicitamente psicanalitici, in Zelig. [...] Chi ha conosciuto Antonio de Curtis giura di una natura drammaticamente scissa, di uno sdoppiamento totale. “Attenzione: Totò era dottor Jekyll e mr. Hyde”, affermava Aldo Giuffrè, “era veramente due persone, oltre che due personalità diverse, sul palcoscenico e nella vita. Io credo che lui fosse molto più spontaneo come artista che come uomo; non come uomo interiormente, per carità, sarebbe inelegante da parte mia fare un approfondimento del genere, ma anche come conduzione di vita sociale. Io credo che la grande automobile, l’anello con lo stemma non gli appartenevano; nella sua interiorità era già qualcosa di molto più vero, di molto più bello, di molto più poetico”.

Aldo Giuffrè, 1995

In genere, l'umorismo, quale uso comporlo con i gesti del corpo e con la mimica facciale, nasce dalle mie osservazioni di tutti i giorni. Più di una volta mi sono sorpreso a seguire qualche tipo bizzarro e stravagante per la via, osservandone minutamente i gesti, assimilando il suo modo di camminare, di muoversi, di gesticolare, di salutare, di attraversare la strada, di scrutare le persone, di prevenire eventuali pericoli. Se fossi uno studioso di psicoanalisi dovrei definire questa mia mania come il «complesso dei fratelli siamesi», allo stesso modo del «complesso di Edipo» e del «complesso del dongiovanni» di cui oggi i freudiani fanno uso e abuso. Non appena noto un tipo che mi colpisce per alcune caratteristiche, mi sembra che un fluido mi leghi a lui, per cui... divento l'altra parte dell'individuo che osservo; mi unisco attraverso un ideale cordone ombelicale alla sua personalità, ai suoi gesti, alla sua maniera di esprimersi. Divento un suo duplicato; mi lego a lui, vivo metà della sua vita; infine costituisco, con lui, una ideale coppia di gemelli. Da questa mia predisposizione all'osservazione, sono nati i seguenti tipi:


Totò

Il Maestro di musica

Presente in vari film, da "Fermo con le mani!" a "I pompieri di Viggiù" fino al Maestro Mardocheo Stonatelli, tratto dalla serie TV Tuttototò 

Totò

Il bigotto che prega convulsamente

tratto dalla farsa "La camera fittata per tre" e dalla serie TV Tuttototò (1967)

Totò

Il bigotto che segue la processione con la candela in mano

Personaggio interpretato nei bis di molte riviste in teatro 

Totò

Il miope

...poi riproposto in molti film. Quando traccio la caricatura del miope che, preso in mano un foglio, lo legge facendolo scorrere dall' alto in basso vicinissimo all' occhio destro, riproduco, sia pure con una sfumatura caricaturale, il mio vecchio e caro maestro delle elementari che era molto miope. Ricordo che si accostava al mio banco, si faceva consegnare il compito e poi borbottava: «Vediamo un po' cos'hai saputo fare ... ». Avvicinava esageratamente il foglio all'occhio destro e lo scorreva nel modo caratteristico che voi conoscete. L'immagine mi rimase impressa e, anni dopo, la trasportai di peso sul palcoscenico."}Interpretato in teatro nella rivista 'Tra moglie e marito, la suocera ... e il dito'.

 
Totò

Scruta attentamente la donna dai piedi al viso

Personaggio interpretato per la prima volta nella rivista "Dei due chi sarà", poi riproposto in qualche film

Totò

L'uomo volitivo

Abbondantemente provvisto di "mascella romana" fu interpretato nella rivista "Quando meno te l'aspetti" e poi riproposto in qualche film.

Totò

Il Burocrate

Interpretato in teatro nella rivista "L'Orlando curioso" poi riproposto nel film "Totò cerca casa"

Totò

L'operaio

La macchietta fa parte del film Napoli milionaria: il personaggio da me interpretato, sedutosi in trattoria, cava fuori la pagnotta, la divide a metà ed estrae la pasta, poi la carne e il contorno. lo, naturalmente, ho esasperato un fatto reale, e ho tratto fuori anche la forchetta, la saliera e il tovagliolo. Dalla mia osservazione degli operai napoletani, che usano stivare la carne e il contorno nell'interno di pagnotte oblunghe...

Totò

Il Gagà e la Gagarella

Personaggio interpretato per la prima volta nella rivista del 1942 "Volumineide", di Michele Galdieri. Vi ricordate del «gagà», da me presentato nella rivista Quando meno te l'aspetti: il gagà, che in quel 'Periodo infestava la via Veneto romana, nella scena da me recitata, invita una signora (superbamente incarnata da Anna Magnani) nella sua misera soffitta? L'interpretazione del gagà fu una delle più felici e riuscite perché aderente a un tipo di giovanotto che avevo notato, alcuni mesi prima, a piazza Barberini. Si trattava di un giovanotto emerso dall'estrema periferia, avido di sensazioni e indubbiamente alla ricerca della Grande Avventura. Calzava scarpe mal connesse ma lucidate; indossava un abito liso ma stirato, mentre una sciarpa sfrangiata di color giallo avvoltolata alla gola e un cappello serrato sotto l'ascella sinistra completavano l'abbigliamento. Tra tanta dichiarata manifestazione di diligenza, risaltava la folta capigliatura corvina, riccamente spalmata di uno spesso strato di brillantina. La massa dei capelli si prolungava oltre il collo, sbriciolandosi in riccioli e ciuffetti che si adagiavano sul bavero della giacca. Istintivamente, come mi accadeva quando incontravo un «tipo», lo seguii. Il gagà, giunto a metà di via Veneto, vicino al caffè Galvani, rimise in forma il cappello cacciandoselo di traverso in capo, e, con l'andatura caratteristica da me poi riprodotta sulla scena, si avviò verso i ben noti caffè, Rosati e Zeppa.


Ho prelevato il materiale da studiare, da vivisezionare e da trasferire su un piano caricaturale, sempre e direttamente, dalla realtà. E, in questo senso, potrei anch'io vantare dei meriti neorealistici... Molti dei «tipi» da me riprodotti sulla scena li ho incontrati in qualche strada di Roma e di altre città.


Secondo me l'umorismo è la rappresentazione, attraverso la propria sensibilità, degli uomini nei loro difetti, nelle loro manchevolezze, nelle loro vana glorie. Cerco di cogliere l'aspetto ridicolo e lo ritraggo con la mutevolezza del mio viso e le possibilità acrobatiche del mio fisico, allo stesso modo che Onorato o De Seta, con la loro matita, tracciano, su un foglio da disegno, la caricatura di una persona, esasperandone i tratti, pur rispettando, nella sostanza, le linee del volto. Come se avessi a mia disposizione della creta, posso formare, in pochi secondi, sul mio volto, l'espressione corrucciata del dittatore, quella stupefatta dello sciocco, impaurita del debole, audace e avida del dongiovanni, istericamente ghignante del gagarello vanitoso, imbronciata o civettuola del bambino, pseudomisteriosa delll'uomo che si ritiene depositario dei segreti di Pulcinella. Interpreto gli uomini a mio modo, è vero; ma tento di riprodurre, con la maggiore fedeltà possibile, lembi di vita autentica, aspetti sentimentali, tristi e lieti, di tutti i giorni.

Antonio de Curtis


Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • «A Totò», opuscolo "Premio De Curtis", Napoli, 1973
  • Aldo Giuffrè, intervista di Alberto Anile, "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998