Il Patriarca me l'ha data e guai a Totò se me la tocca
Si può diventare imperatore nella capitale della Repubblica.
Domenica 18 novembre, un freddo cartoncino a stampa, informò che Sua Beatitudine un Patriarca dell’Antica Chiesa Bizantina avrebbe officiato a Via XX Settembre, N. 122, un rito. La stampa romana se ne disinteressò. Quando noi arrivammo, la Chiesa, di confessione metodista, era semivuota; pochi uomini e poche donne, merletti neri appuntati alti, marsine, qualche dubbio cerchio ducale tra i pizzi. Un gruppo spaventato di ragazzine, solitario, occupava i settori estremi. A lato di un altare improvvisato, Sua Beatitudine, assiso sul tronetto, conversava con un suo diacono. Davanti all’altare, due poltrone, e, al centro, una grandissima. Qualcosa di improbabile pesava nel silenzio di questa Cattedrale d’accatto. Poi, l’organo, segnò il passo, nella penombra, ad un gentiluomo cauto e devoto alla sinistra di una dama in ermellino e secolari pizzi.
Il Patriarca si inchinò, la Corte fece la riverenza, i fotografi scattarono da tutte le parti. Sapemmo cosi che era la Principessa Madre di Bisanzio, della Casa Lascaris-Lavarello, già sovrana nel tempo del tempi (la Casa), nell'Impero d’Oriente (sebbene la Repubblica Italiana nella sua Magistratura militante abbia dichiarato che qui, in questo Paese, il Principe De Curtis, è l’ovvio erede di tanta eredità) colei che stava prendendo posto a sinistra dei Trono; e che, dunque, qualcosa doveva avvenire. Ma per la tangente del banchi, già avanzava un giovane signore: SAI, Marziano II, Basileus, Tredicesimo Apostolo. Con la cerimonia che stava per avere inizio, egli diventava, contro tutto e contro tutti. Imperatore e Capo Temporale della sua Chiesa, di origine antiochiena, naturalmente intesa prima del concilio di Nicea. Dio lo sappia e Dio ci perdoni.
«Bisanzio mi guarda»
In casa di Marziano, dopo la strabiliante cerimonia, i due principali protagonisti hanno posato per un ritratto secondo il cliché convenzionale: il Comneno con tutti i suoi emblemi a sinistra dell'autorità religiosa, quasi a riconfermare con un gesto la politica cesaropapista dei suoi antenati. Non venne però un pittore famoso: bastò il secco scatto della macchina fotografica per farli passare alla storia.
Roma come Parigi
Il Patriarca, Il nobile Marziano, la Principessa Madre, i gentiluomini di servizio, il portastendardo, i ragazzini, erano già stanchi; e stupefazione concreta, solida, onesta, soverchiava nel visi degli spettatori occasionali (era festa, e la piccola borghesia romana prendeva aria per le vie del centro) l’umorismo e la smorfia. Per noi, finalmente, Roma acquistava il tono incantato di certi quartieri parigini, dove i principi veri e quelli falsi vivono in fraternità, e quando si occupano di corone, mondi e scettri è perchè sperano che l’usuraio d’obbligo, quello che domina all’angolo della strada, li accetti in pegno. Una città che accoglie, divora, dimentica, e ci sorride sopra; anche con un Imperatore di più, un Patriarca olandese di passaggio e un diacono pieno di inchini; e noi, attoniti. Un tenero spettacolo di domenica pomeriggio, e tutto gratis, cosi come a Londra si discute e a Montparaasse si espone astrattismo sui marciapiedi disselciati e un po’ fangosi.
Giuliana Orlandini, «Le Ore», anno IV, n.186, 1 dicembre 1956
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Giuliana Orlandini, «Le Ore», anno IV, n.186, 1 dicembre 1956 |