Le comiche di Totò, un progetto fallito
E' uno dei progetti a cui Totò teneva maggiormente, un sogno nel cassetto: la realizzazione di un film comico muto, dominato completamente dalla gestualità identificabile nel teatro e nei primissimi film di Totò. La parola, i fiumi di parole di cui erano colmi in particolar modo i suoi ultimi film, stavano pian piano portando ad un appiattimento della maschera e Totò, verso la fine degli anni '50 ne parlò con gli sceneggiatori Age e Sacrpelli e con i produttori Ponti e De Laurentiis.
Aveva cullato molto questa idea, un film fatto soltanto di situazioni, praticamente muto. Trovò la forza di proporre ai produttori un’idea che accarezzava da tempo: girare un film muto, ricco di gag e di situazioni come le vecchie comiche, internazionalmente comprensibile. Ponti e De Laurentiis dissero: “Ma come, torniamo indietro?”. Non capirono assolutamente che avrebbe invece potuto essere davvero il salto di qualità.
Franca Faldini
Io non ho il dono della parola e nel caso mio il dialogo smonta e immeschinisce tutto. Sono un comico muto, né antico né moderno perché non esiste la comicità antica o moderna, esiste la comicità, punto e basta. E meglio che con i dialoghi so esprimermi con la mimica.
Adopero spesso le parole surreale, metafìsico. Qualche amico mi ha messo in guardia, sono un po' troppo adoperate e vaghe, io non arrossisco nel dirle, per me vogliono dire fantastico come lo aerei detto a dieci anni. Credo che i cartoni animati siano surreali e metafisici nel mio senso un po' ingenuo : per questo vorrei essere, come Maximum, il protagonista di un cartone animato. Anche perchè vorrei parlare pochissimo. Ridere, esclamare; io rido in due modi, e proprio da cartone animato.
Totò era sempre pronto ad accontentare le idee di produttori e sceneggiatori, ma la sua originalissima proposta di realizzare un film muto fu inesorabilmente bocciata. Il diniego fu motivato con l'intenzione di non seguire il progresso, anzi di tornare all'antico cinema muto, ormai desueto. La potenzialità del suo progetto inoltre, stava nell'opportunità di varcare i confini rendendo la sua figura internazionale, dato che all'estero la sua arte era sempre limitata dall'uso della lingua italiana.
Poteva essere un re del muto
Totò incompreso e «maltrattato» dai critici. Totò prima nella polvere e poi sull’altare, giudizi severi, stroncature senza mezze parole ma anche sviolinate fuori misura, una generazione di scrittori di cinema e di teatro quasi estinta (Aggeo Savioli ci ricordava, ad esempio, le recensioni tutt’altro che negative di un Umberto Barbaro alle riviste o ad altri spettacoli teatrali degli inizi della carriera di Antonio de Curtis). Un Totò, insomma, che, al di là del successo di pubblico. ha fatto sempre discutere gli «addetti ai lavori».
Allora è vero che la critica si è troppo accanita contro Totò? Giovanni Grazzini, scrittore e critico cinematografico, presidente del Sindacato nazionale dei critici, non ha dubbi, e afferma che questa storia del Totò bistrattato è diventata un po’ un'esagerazione, quasi un luogo comune
«D'altra parte — egli continua — la critica era a quei tempi, negli anni Cinquanta e Sessanta, ancora fortemente influenzata dal mito del neorealismo ed è poi arrivata in ritardo, tuttavia non in modo soddisfacente, a recuperare il fenomeno Totò. Goffredo Fofi, ad esempio, ha fato un grosso sforzo, sebbene la sua interpretazione mi sembri di maniera. La stessa, tutto sommato, di quegli ambienti giovanili che tendono ad un recupero dell'attore come "fonte di piacere". Dall'altro versante, invece, la critica cosiddetta perbenista rimprovera a Totò l’eccesso volgare. Molti, quindi, restano tuttora su posizioni di riserva, e tra questi mi ci metto anch’io. In definitiva, ritengo che rimanga ancora molto da fare, per studiare e approfondire questo fenomeno. Si tratta, però, di scavare più nel valore "figurativo” di Totò, non di rimestare tra le facili battute. Totò, in fondo, è nato troppo tardi. All’epoca del muto sarebbe stato grande quanto Charlie Chaplin».
Ma tu, in particolare, come hai trattato Totò? Credi di averlo capito? E, infine, quante volte hai mandato il tuo «vice» a vedere un suo film?
«Non sono per niente sicuro di averlo capito. Tuttavia, si tratta di un personaggio che ti sfugge da tutte le parti. Sai come succede: di film di Fantozzi, fatte le dovute proporzioni, ne sono stati fatti tanti. E non sempre hai voglia di vedere le stesse cose Quando, invece, mi sono occupato dei suoi film, gli ho rimproverato soprattutto la ripetitività e quella gestualità da macchietta da avanspettacolo tutta legata alle sue origini partenopee. D’altronde, non credo che Totò avesse una grossa coscienza di se stesso, si ’’ vendeva ” con molta facilità, prendendo qualsiasi cosa gli capitasse tra le mani».
E del successo di questi anni?
«Sono in generale insoddisfatto del revival di Totò. Diciamo la verità: siamo di fronte ad una speculazione commerciale a posteriori. Della critica ti ho già detto: rimane il pubblico che, certo, continua a divertirsi e ad applaudire. Ricordo, però, quello che diceva Pier Paolo Pasolini a proposito del successo post mortem di Totò: vale a dire, che la volgarità degli anni Cinquanta si rifletteva in quella degli anni Settanta».
Gianni Cerasuolo, «L'Unità», 23 marzo 1980
Oggi si è persa l'arte di far ridere. Oggi si tenta di divertire la gente con le barzellette, con le battute. Io le barzellette non ho mai saputo dirle. Se voglio raccontarne qualcuna, mi imbroglio. Ne vien fuori una cosa penosa. Io non so cosa raccontare. Sono un comico muto. Io sono sempre andato in scena con canovacci di dieci minuti, che sviluppavo sul momento, fino a farli durare anche tre quarti d'ora.
Buster Keaton: a differenza di Charlot, Keaton non ha bisogno di fare niente per divertire. Basta che mostri la sua faccia straordinaria. È bellissima perché lascia trasparire una grande tristezza e non c'è risata che non nasca da una lacrima. Mi piace molto Buster Keaton, amo la sua magrezza inventiva, la genialità asciutta che elimina ogni frangia sentimentale. Mi ricordo di aver sentito parlare di una vecchia scenetta che faceva da bimbo: «Lo straccio umano». Il padre e gli altri attori se lo buttavano da un angolo all'altro del palcoscenico. Lo strusciavano per terra quasi fosse uno strofinaccio per pulire i pavimenti. O lo caricavano di pedate e di schiaffi, come in quel genere di pantomime da cui, anni appresso, nacquero dal cinema le prime comiche... Io mi sento a volte come quello straccio, che qualcuno scaraventa addosso a un altro per farlo ridere. Forse sarei stato il più profondamente muto dei comici muti, se Napoli non mi avesse dato una mano...
Se si chiedesse a Totò che cosa appesantisca la frenesia inquieta delle sue ali, che cosa torni ogni volta a farlo precipitare dalle nuvole alla terra, dall’alto del sipario al basso del palcoscenico, la risposta potrebbe esser netta: la necessità d’usare la parola, l’impossibilità d’affidarsi per intero alla narrazione astratta e muta dello sguardo e del gesto. Come un vero innamorato, sostiene, anche il vero attore non ha bisogno di parlare. Quanto a lui, quel che ha da dire gli «vien detto meglio con la faccia che con le parole». E ancora: «io non ho il dono della parola e nel caso mio il dialogo smonta e immeschinisce tutto. Sono un comico muto [...]». Il suo sogno, dice, sarebbe interpretare un film affidato per intero alla narrazione silenziosa del corpo, come quelli che si giravano una volta, prima dell’invenzione del sonoro. Ma questo non gli è concesso, un po’ perché i produttori non vogliono correre rischi e un po’ perché il pubblico predilige risate immediate e rumorose, lazzi molto più vicini alla terra che al cielo.
D’altra parte, se non proprio tutto un film, almeno qualche sequenza muta a Totò è riuscito di girare: nella prima parte di "I tre ladri", per esempio, o di "Totò a Parigi". In "Fermo con le mani", poi, non lo si sente venire al mondo, ma lo si vede solo (al contrario, Pinocchio, prima di muoversi e addirittura prima ancora d’avere un corpo suo, d’esser cavato fuori dal pezzo di legno, parla a maestro Ciliegia, e anche al suo futuro padre Geppetto, chiamandolo Polendina). Muta è anche la sequenza d’esordio di "Totò all’inferno" che, quindici anni più tardi e di nuovo in bianco e nero, riprende e dilata l’inizio anch’esso muto di "Animali pazzi".
Ancora una volta, la situazione è in equilibrio fra il comico e il tragico: Totò ha deciso d’ammazzarsi. Eccolo, dunque, impegnato a scrivere una lettera d’addio al mondo, a rileggerla con l’occhio del miope (come faceva il suo caro maestro delle elementari), ad appuntarsela con uno spillo bene in vista sul bavero, a mettersi in testa la bombetta, a rimirarsi per un’ultima volta nello specchio (l’effetto lo soddisfa: morituro sì, ma piacente). Raccomandata l’anima, si fa passare sotto il mento un fazzolettone che lega in cima alla bombetta. Disteso sul letto, s’aggiusta il tubo del gas a portata di narice. Da sé, infine, richiude gli occhi al proprio cadavere imminente e gli sistema la mandibola. Sarebbe davvero tutto a posto, se non fosse per i gasisti in sciopero.
Testardo, ci riprova. Questa volta si butterà dalla finestra. I preparativi non variano: lettera, preghiere, fazzolettone, e infine salto nel vuoto tappandosi il naso. Sotto, purtroppo, qualcuno tiene steso un grosso tappeto. Così, diventa necessario un altro tentativo: s’annegherà in un piccolo fiume. Un cartello segnala però il divieto di suicidio. Demotivato, rinuncia. Senza lettera sul bavero e senza fazzolettone a reggergli il mento, s’incammina lungo un ponticello, che sotto il suo peso crolla...
Finora non ha detto una parola, Totò, non s’è concesso un lazzo. Parrebbe che le buone maniere del principe avessero finito per “migliorare” la maschera: per toglierle di dosso quel sentore forte di terra, e anche di rozzo terra terra, quell’intenso odore caprino/teatrale — tragikón, appunto — che si respira sul palcoscenico e che rivela la presenza felice di falsità e favole. Tuttavia, dopo che il ponticello gli s’è aperto sotto i piedi, la sua anima spicca un volo che non ha come meta le nuvole ma, tutt’al contrario, il più basso tra i luoghi bassi.
Roberto Escobar
Totò avrebbe voluto fare un film muto. Una volta ne parlammo assieme. Era un grandissimo mimo, lo avrebbe potuto interpretare straordinariamente. Quando però accennammo la proposta ai produttori, ai noleggiatori, ai distributori, trovammo grande perplessità da parte loro e la loro reazione si manifestò con una esclamazione: “Ma come, un passo indietro!”. Non capirono che una cosa vecchia sarebbe potuta diventare estremamente nuova, age Dopo morto, tutti dell’ambiente hanno parlato bene di Totò, tutti si sono accorti di quello che avevano perso, perché Totò era veramente un grandissimo artista. Penso però che avrebbero dovuto rendersene conto prima, che quando era vivo si sarebbe dovuto fare qualcosa di più per lui. Totò ha fatto tanti film che non si dimenticano solo e proprio per lui, ma se qualche grossa produzione lo avesse messo sul piedistallo che meritava sarebbe stata una cosa bella, giusta. Totò avrebbe potuto fare film e personaggi immensi. Aveva un sogno, poverino, ma non lo ha potuto realizzare: quello di fare Don Chisciotte. Sarebbe stato perfetto...
Anna Magnani
Riferimenti e bibliografie:
- "Totò, l'uomo e la maschera", di Goffredo Fofi e Franca Faldini, Ed. Feltrinelli, 1977
- "Totò. Avventure di una marionetta" (Roberto Escobar) - Ed. Il Mulino, 1998
- http://drammaturgia.fupress.net