Paolo Villaggio: «abbiamo imparato tutti da lui»

Paolo-Villaggio

Antonio De Curtis, principe di Bisanzio non l’ho mai conosciuto di persona, nè, purtroppo, l'ho mai visto in teatro. Quando sono arrivato a Roma io, dieci anni fa, Totò moriva. L'ho visto mille volte al cinema, da ragazzino, di nascosto, senza dirlo a quegli amici ammorbati di impegno intellettuale e «topi da cineteca». perché allora era considerato prodotto di serie inferiore. E ora, da vecchio, torno spesso a vederlo a Roma, ma nei circuiti d'essai ad ammirare «Il nostro più grande comico», come vanno dicendo con rispetto ci sono quei topi da cineteca di allora che nel frattempo sono diventati ancora più brutti, più vecchi e quindi più cattivi. Sono i più cattivi nel giudizi che io conosca. A loro non sta bene niente e nessuno, né Fellini, né Altmann, né Bergman. Avanzano riserve su tutti e tutto quello che vedono nei campo dello spettacolo, ma per Totò fanno un'eccezione. Per l'ex comicastro napoletano parlano di miracolo di comicità. La comicità negli ultimi trent'anni ha subito trasformazioni di struttura e di linguaggio profondissime.

 06 I tre moschettieri

Mark Twain, il grandissimo scrittore americano, diceva che quest’arte dura al massimo vent'anni. E‘ vero. Provate a riproporre una vecchia barzelletta, un vecchio film e vedrete che usura tremenda gli ha causato solo il passare di dieci anni. Con i mass-media di ora, poi, tutto. Attori comici, film comici, racconti si consumano con una rapidità mostruosa. Ma la comicità di Totò ne é uscita, invece, rinvigorita. La critica ufficiale, come dicevamo sopra, lo ha accolto, dopo morto, nell'empireo dei grandissimi. E' un giusto riconoscimento perché si tratta veramente di un grandissimo.

La comicità negli ultimi trent'anni, quelli che io ricordo, é stata caratterizzata prima dalla scuola napoletana: l'eroe di questo genere, era ignorante, buono, di estrazione sottoproletaria, simpaticissimo e soprattutto figlio dell'immediato dopoguerra del Sud e quindi morta di fame. Negli anni cinquanta, gli anni del boom, esplode la bomba atomica Sordi. Sordi è il primo antagonista comico della storia. Antipaticissimo ma comicissimo: in lui gli italiani riconoscono il loro arrivismo. Il loro volgare opportunismo. E' la caratteristica propria di quegli anni, nel quali l'obiettivo da raggiungere era l'escalation sociale, la carriera, e per la quale, quindi, machiavellicamente tutto é concesso.

Poi la congiuntura e la depressione economica hanno generato «perdenti» straordinariamente comici, come Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi. E la depressione e l'angoscia, in questi ultimi anni, personaggi «disperati»: sono i proletari dissociati di Pozzetto e Celentano. Ognuno quindi ha rappresentato, in un momento diverso e con generi diversi, l'Italia dei suoi tempi. Ma se dovessimo riassumere le caratteristiche dell'ltalia degli ultimi trent'anni non si può pensare che a Totò.

Totò è un «perdente» che ha perso tutto: guerre mondiali, campionati di calcio, ha visto la fame del dopo guerra, il boom degli anni 50, la depressione degli anni 60. Ma con la coraggiosa tristezza dei suoi personaggi, ci ha sempre rallegrati. Ecco una grande caratteristica di Totò: ha sempre rallegrato il suo pubblico. Lui è un condensato della più antica saggezza mediterranea. In lui ci sono indicazioni straordinarie di come la vita vada risolta e vissuta: fatalisticamente, con la civilissima filosofia napoletana.

 13 Quando meno

Ma perché tutti i grandi napoletani di allora sono passati, sono datati e Totò é ancora lì, più attuale che mai? In fondo avevano le stesse caratteristiche parlavano lo stesso linguaggio Si. Ma Totò aveva un qualcosa in più, di più comico, di più personale, di più singolare. Per me era li surrealismo modernissimo che solo ora scopriamo in lui. Il surrealismo nel quale è cresciuto Fantozzi, nel quale vive Pozzetto. Del quale ridono i giovani d'oggi.

Ricordo di aver visto Totò alla TV in un vecchio sketch, fatto di niente. Seduto in una poltrona in un salotto, entra un cameriere (la sua fida spalla Castellani) che dice, posando una bottiglia di champagne sul tavolo «Moet-Chandon, signore?». E lui: «Mo' esc' Ando' ? E dove va?». «Chi?», domanda l'esterrefatto cameriere. E Totò: «Antonio». «Perché?» incalza il cameriere. «Perché esce»: e cosi via per una decina di minuti irresistibili, pieni dei suoi a solo surreali, con i suoi «a prescindere», con le sue «pinzillacchere» che altro non erano che l'uso stravolto di un italiano irraggiungibile per lui, napoletano proletario povero e affamato.

Mi dispiace che i giovani di oggi non possano vederlo almeno una volta in una serata straordinaria in teatro. Sarebbe un successo clamoroso. Clamoroso perché in lui si potrebbero riconoscere tutti, giovani e vecchi con le caratteristiche degli italiani degli ultimi treni anni.

Paolo Villaggio, «Paese Sera», 17 aprile 1977