Quando c'è la salute...

Le debolezze, le paure, l'ipocondria di un uomo apparentemente forte ma che davanti ad un lieve malessere o ad una suggestione, tornava bambino. Solo davanti alla malattia, quella vera, la grave ricaduta che lo colpì agli occhi nella primavera del 1957, reagì con la forza di un leone, vivendo fino alla fine dei suoi giorni con una dignità ed una consapevolezza del male che solo i forti di animo riescono a tirar fuori, proprio nei momenti più difficili.


Quando la paura fa ridere: Totò tra bacilli e sigarette

Capitolo 1: L’Uomo che Temette Tutto… Tranne il Buonsenso

Se volessimo riassumere Totò in una sola immagine, lo vedremmo come un uomo che, con una sigaretta accesa da un lato della bocca e un caffè bollente nell'altra mano, si disinfetta compulsivamente le mani mentre ordina, con tono diffidente, di lucidare meglio il piatto. E magari di cambiare anche il tovagliolo, subito, prima che vi si depositi l'ascella del cameriere di turno. Sì, perché Totò, principe non solo della risata ma anche della paranoia sanitaria, viveva sospeso tra due mondi: da una parte l'autodistruzione silenziosa da nicotina e caffeina (con un’abitudine talmente carica che più che una dieta, sembrava un attentato), e dall’altra una fobia quasi coreografica per le infezioni, le polveri, i microrganismi e qualsiasi oggetto passibile di "contaminazione da mano sudaticcia".

Con una media giornaliera di:

  • 2-3 pacchetti di Turmac (cioè l’equivalente di tentare la roulette russa col proprio sistema cardiocircolatorio),
  • 15 caffè (che a confronto una Red Bull è una tisana rilassante),

Totò riusciva nell’impresa impossibile di ignorare l’infarto (che, puntuale, arrivò nel 1967) mentre combatteva eroicamente contro il famigerato "Tovagliolo della Morte" dei ristoranti italiani.

«Quante ve ne potrei raccontare. Quei fetenti, col salvietto ci fanno di tutto. Si asciugano le mani, lo stringono sotto l'ascella sudata, se lo passano sulla fronte madida di sudore eppoi ti arrivano davanti sorridenti e ti ci danno una lustrata al piatto. Per carità! E le cucine? Cia vete mai pensato a dare un'occhiata alle cucine di questi localucci pittoreschi con gli agli appesi o le tovaglie a scacchi e gli abatjour? Una zozza, novantanove su cento, un covo di scarafoni, da entrarci con stivali di gomma, mascera e guanti!». Quando proprio era costretto a recarvicisi appresso a qualcuno con cui non aveva potuto spuntarla, entrava circospetto, poi con un pretesto e l'aria svagata andava a girellare verso la cucina e, se ritornando al tavolo ordinava prosciutto e melone e niente più, il verdetto era estremamante negativo. Mai prosciutto e fichi «perchè i fichi li pelano con le mani ed io le schifo quelle mani dalle unghie listate a lutto di certi cuochi che forse hanno appena toccato chissà che, possono aver anche avuto un’urgenza idraulica, e probabilmente non se le sono neppure lavate!»

Franca Faldini

Capitolo 2: Al Teatro della Vita, Totò Recitava Anche da Malato

Curiosa creatura, Totò diventava sorprendentemente felice quando si ammalava. No, non sto scherzando. Costretto a letto, si trasformava da malinconico principe a protagonista assoluto, con tutto il palco domestico pronto ad acclamarlo. Una forma di vanità quasi terapeutica: se il mondo non ti capisce quando stai bene, tanto vale morire (metaforicamente) d'influenza con stile.

L’enciclopedia medica, per lui, non era solo un libro: era la Bibbia, il Codice Penale e il catalogo Ikea del dolore umano. Bastava un colpo di tosse e zac!: Totò si autodiagnosticava un morbo esotico sconosciuto alla scienza moderna. Dopo di che, chiamava il fido dottor Cusumano, un uomo che meriterebbe una canonizzazione solo per avergli risposto al telefono senza perdere il senno.

Cusumano sapeva: se l’autodiagnosi era plausibile, assecondava. Se era una delle solite apocalissi sanitarie immaginate, bastava una scrollata secca per riportarlo alla realtà. Un meccanismo ormai rodato, come quello tra un padre stanco e un figlio troppo fantasioso.

Capitolo 3: Congestione e Tetano, i Nemici Nascosti

Se la paura avesse avuto un nome e cognome, si sarebbe chiamata "Congestione Tetana". Totò evitava dopo pranzo qualsiasi attività che potesse, anche solo lontanamente, alterare il suo delicato equilibrio digestivo:

  • Non si radeva,
  • Non si lavava,
  • Non faceva sesso ("nemmeno se incontrava la femmina più femmina del mondo", chiaro?).

A Rapallo, sotto una pioggia torrenziale, si fece addirittura trasportare a cavalcioni da un fattorino per evitare di bagnarsi i piedi. Altro che principe: qui si sfiora la santificazione del gesto teatrale.


Capitolo 4: L’Internazionale della Fobia

Il mondo, per Totò, era un enorme e minaccioso pronto soccorso.

  • A Montecarlo, dopo essersi punto con una pianta tropicale, si convinse di essere prossimo a una morte lenta e velenosa. Soluzione? Treno immediato verso casa e Cusumano on-call.
  • A Parigi, una semplice ordinazione di tè si trasformò in uno psico-thriller internazionale. Scoprendo che in città infuriava l'influenza ("la grippe"), Totò scattò come un gatto sulla via del ritorno, per evitare un'epidemia che nella sua mente aveva già assunto proporzioni da fine del mondo.

Capitolo 5: Quando il Vero Dolore Bussò alla Porta

Tuttavia, Totò non era solo il Re degli Isterici, era anche un uomo dal coraggio surreale quando si trattava di vere tragedie. Afflitto da una gravissima malattia agli occhi fin dagli anni '30, capace di ridurlo quasi alla cecità, Totò affrontò il declino fisico con una dignità e una forza che cozzavano clamorosamente contro le sue fobie da "domenica pomeriggio da ipocondriaco".

Generoso fino al sacrificio verso chi amava, riusciva a mettere da parte le proprie sofferenze autentiche per non pesare sugli altri, dimostrando che sotto l'ipocondriaco rumoroso si nascondeva un uomo di rara nobiltà d'animo.


Apparteneva alla categoria degli uomini timorosi di tutto, anche dei malanni o dei pericoli ipotetici che la sua fantasia visionaria trasformava in prossimi e probabili. Come l’estate in cui, alla vigilia della solita partenza in treno per la riviera francese, apprese dalla televisione l’incidente ferroviario avvenuto sotto una galleria nei pressi di Genova che aveva provocato una fuoriuscita di gas tossici e il conseguente avvelenamento di vari passeggeri.

Dormivo da un pezzo nella cuccetta della mia cabina quando fui destata dalla sua voce che mi ingiungeva: «Svegliati e indossala; caspita, fa presto! Sta per iniziare il tratto in cui il convoglio ci si infila sotto! » E spalancando gli occhi lo vidi già bardato con una maschera antigas mentre me ne sballonzolava un’altra sopra al viso. Se le era fatte comperare «per prudenza» dal cugino Edoardo, disse, e aveva vegliato in attesa della sequela di gallerie liguri per metterle al momento opportuno.

L’estrema cautela nel rapporto col proprio corpo, le precauzioni nei confronti di esso rendono la maggioranza degli attori dei malati immaginari, vuoi per via di una notevole ipersensibilità vuoi perché, dopotutto, quello è il loro ferro del mestiere. Qualsiasi sintomo in genere sparisce non appena essi, sotto la luce dei riflettori, entrano nel personaggio che devono incarnare.

Ebbene, da sano, Antonio rappresentava il parossismo di queste fisime: la pressione, peraltro sempre regolare e tendente all’ipoteso, controllata quotidianamente dal medico curante; l’elettrocardiogramma ogni due mesi benché puntualmente definisse il suo cuore da testo, bradicardico quanto quello di Bartali o di Coppi;

il terrore per uno starnuto; la devitalizzazione di un dente paventata quanto una laparatomia; il rapporto sessuale mai nel corso della digestione perché «è come il bagno in mare. Ti può andare sempre liscia ma se una volta sei colto dalla congestione ci rimetti le penne. Come Musco che, poveraccio, ha smesso per sempre di dire che c’era abituato...»

Franca Faldini


Riferimenti e bibliografie:

  • "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fofi) - Feltrinelli, 1977
  • "Roma-Hollywood-Roma" (Franca Faldini) - Baldini & Castoldi, 1997
  • Documenti © Archivio Famiglia Clemente