Titina De Filippo, l'amica e la compagna di lavoro
e chelli mmane
asciutte e bianche
bianche ’e chillu biancore d’ ’a magnolia [...]
che sapevano fa’!
E che voce!
No pe’ canta, badate,
ma pe’ parla’...
... Sentitela 'sta voce,
ausuliate:
è viva ancora. [...]
La genesi: nascere già "mascherata"
C'era una volta una bambina che, invece di giocare con le bambole, veniva truccata e infilata nei pantaloni larghi di Peppeniello in Miseria e Nobiltà. Era Titina De Filippo, partorita artisticamente nella fucina teatrale di Eduardo Scarpetta — dove probabilmente, se ti distraevi cinque minuti, ti ritrovavi in scena a recitare una parte senza neanche accorgertene.
Da lì, la nostra Titina si fece dieci anni belli pieni nella Compagnia di Vincenzo Scarpetta, macinando copioni, applausi tiepidi e qualche scrollata di spalle da parte dei capi. Insomma, la gloria sembrava passare sempre alla collega di turno, mentre a lei restavano i ruoli "difficili", cioè quelli che, se ti andavano male, venivi considerata una mezza calzetta, e se ti andavano bene... venivi ignorata lo stesso. Una carriera brillante, insomma.
La trafila delle prime donne: una lista della spesa
Nel frattempo, il palcoscenico pullulava di prime donne dai nomi suadenti: Maria Dolini, Mariella Gioia, Bianchina De Crescenzo, Marga Cella... insomma, un catalogo Ikea di attrici in prima fila, mentre Titina... sempre lì, con il suo secondo posto fisso, tipo abbonamento senza upgrade.
Questo continuo vivere all'ombra delle "stelle" la consumava come un tarlo, tanto che a un certo punto pensò bene di consolarsi sposandosi alla velocità della luce con Pietro Carloni: un uomo che, fortunatamente per lei, non solo la amava, ma probabilmente la considerava anche un faro di talento incompreso. E viceversa.
Via dalla Molinari: meglio poveri ma insieme
Sposati e (per nulla) sistemati, i due lasciarono la compagnia Molinari. Non propriamente una mossa "aziendale" vincente: erano poveri, senza rete di protezione, e senza nemmeno un contratto stabile. Ma, come nei migliori film Disney, l'amore li sosteneva... e anche una discreta disperazione.
Arrivò così l'offerta dalla Compagnia Cafiero-Fumo, specializzata in "sceneggiate" — un genere che, detto tra noi, veniva considerato appena un gradino sopra il karaoke di quartiere. Ma Titina, sempre signora, affrontò anche quel palcoscenico con una professionalità che, ad altri, sarebbe sembrata decisamente sprecata.
Il ritorno: la sorella pacificatrice
Rientrata poi con Pietro al Nuovo, trovò davanti a sé i due fratelloni: Eduardo e Peppino, due caratteri che definire "esplosivi" sarebbe come chiamare una bomba atomica "petardo rumoroso".
Eduardo, l'intellettuale tormentato, capace di creare mondi con una battuta e distruggere compagnie con un sopracciglio alzato. Peppino, il genio della risata, che saliva in scena come un tornado travestito da comico.
In mezzo a questi due tsunami, chi poteva mai mantenere l'equilibrio? Esatto: Titina. Che, senza urlare, senza sbraitare, senza fare le scene (in scena, sì, ma mai fuori), riusciva a contemperare, amalgamare ed emulsionare — parole così nobili che nemmeno una pubblicità di shampoo oserebbe usare.
Con silenzi misurati, pause che erano monologhi senza parole, ed entrate chirurgiche, salvava non solo i suoi personaggi, ma anche la credibilità dell'intero spettacolo. Praticamente un direttore d'orchestra silenzioso travestito da attrice.
La consacrazione: la vera signora del teatro
Finalmente, anche i critici settentrionali — notoriamente pronti a etichettare il teatro napoletano come un circo di colori urlati e macchiette — dovettero arrendersi all'evidenza: Titina era diversa.
Non una pittoresca urlatrice, non una caricatura ambulante: ma una Signora, con la "S" maiuscola e la "G" di Genio appena nascosta dietro la modestia.
Amata, stimata, riverita: ovunque andasse, raccoglieva rispetto e ammirazione senza mai dover ricorrere agli strilli o agli eccessi di chi, invece, sa di avere poco da dire. Era l'esempio vivente che si può conquistare il mondo anche senza alzare la voce. Anzi: proprio grazie al fatto di non alzarla.
Conclusione: Titina, l'arte del non urlare
In un'epoca in cui chi strepita più forte spesso vince, la parabola di Titina De Filippo resta una lezione preziosa e molto, molto contemporanea: l'arte vera è fatta di misura, di talento profondo e di una grazia che non ha bisogno di mettersi in vetrina.
In altre parole: Titina è la dimostrazione che, quando sei veramente brava, il secondo posto è solo una tappa momentanea. Il primo, alla fine, te lo prendi senza nemmeno bisogno di dirlo a voce alta.
❝L’Ultima recita: tra tonache, canzoncine e stelle natalizie❞
Prologo: Preparativi per l’Addio (non si improvvisa nemmeno da morti)
Quando si dice "organizzazione", si pensa di solito a un matrimonio, a una cena importante o, al massimo, a una partita di calcetto tra cinquantenni fuori forma. Invece no: la nostra protagonista, consumata da un male sempre più sordo ma testardo come un venditore di pentole, si preoccupò di gestire nei minimi dettagli persino la sua dipartita. Con la lucidità di chi sa che il sipario sta per calare, diede precise istruzioni alla domestica di lunga data — praticamente parte della famiglia —: "Quando sarà il momento, voglio essere vestita con quell’abito. Mi mancano le scarpe, pensaci tu".
L’abito in questione? Non certo un vestito da gala né una vestaglia da diva decaduta, ma la severa divisa delle terziarie domenicane. Perché? Perché gli ultimi scampoli di vita li aveva dedicati non alle luci della ribalta, ma a missioni ben più sobrie: visitare malati, pregare, catechizzare, insomma, guadagnarsi un biglietto di prima classe per il Paradiso.
Gli Ultimi Bagliori Televisivi: Ciao Ciao Palcoscenico
Nonostante il male la stesse lentamente stritolando, il suo orgoglio le impose alcune ultime apparizioni pubbliche, nel 1960, quando ancora la TV era giovane, goffa e rigorosamente in bianco e nero.
Canticchiò una canzoncina (senza farsi venire un infarto dalla fatica) al Musichiere di Mario Riva, che all’epoca era un po’ il talent show del dopoguerra. Poi, senza soluzione di continuità, recitò il Mese Mariano di Salvatore Di Giacomo al Novelliere di Daniele D’Anza, tentando di nascondere, dietro il sorriso e l’affanno, l'elefante nella stanza: la consapevolezza che il finale era vicino.
La Notte dei Ricordi: Totò, il Tranviere e l’Umanità Intera
Al momento dell’addio, il primo a scattare come un centometrista fu Totò, il principe della risata, accompagnato da Franca Faldini, compagna inseparabile. Non perse tempo: sentita la notizia alla radio (sì, gente, la radio, niente notifiche push o WhatsApp), si precipitò in via Archimede per rendere omaggio alla vecchia amica. E lì rimase, vegliandola, per quasi tutta la notte: una scena da film neorealista, con il genio comico d'Italia che si fa piccolo, silenzioso, quasi commosso.
Ma la veglia non fu solo appannaggio dei VIP. A un certo punto bussò anche un misterioso individuo sui cinquanta, tranviere di professione, che balbettò qualcosa di tremendamente umano: "Scusate... Le voglio stare vicino... pur'io... come i figli di Filumena... mia madre...". Un cameo struggente che avrebbe meritato un Oscar come Miglior Comparsa della Vita Vera.
Funerali da Standing Ovation: Napoli, Roma e i Flash
Il giorno del funerale, la chiesa del Sacro Cuore dell’Immacolata in Piazza Euclide (mica una parrocchietta qualunque) si riempì fino all’inverosimile: una folla oceanica e democratica, che mischiava volti famosi e gente comune, teatranti e politicanti, curiosi e veri devoti.
Tra le corone di fiori, una risaltava sopra tutte, in perfetto stile: quella di Totò, composta interamente di stelle natalizie. Un gesto poetico, malinconico, che urlava silenziosamente: "Lei era una stella tra le stelle".
Intanto, gli amatissimi fratelli Eduardo e Peppino De Filippo, capaci di litigare anche sull’acqua da bere, si sedettero in banchi diversi, giusto per non tradire la tradizione familiare di orgoglio e silenzi ostinati. Una pioggia di flash immortalò l'uscita del feretro: una sorta di red carpet al contrario, dove non si sfilava per la vanità ma per l’addio. Infine, il corteo mosse verso il cimitero del Verano, luogo mitico di riposi celebri, dove la nostra protagonista trovò riparo nella cappella eretta da Peppino: l’ultimo, definitivo palcoscenico.
Galleria fotografica e la stampa dell'epoca
Titina De Filippo, raccolta di articoli di stampa
Si gira «San Giovanni decollato»: resoconto della «piattata»
Sveliamo il mistero della nascita di un film: «San Giovanni decollato»
Totò calzolaio in «San Giovanni decollato»
Totò in «San Giovanni decollato»
Scoperta dei De Filippo
Luigi Chiarelli presenta i tre De Filippo
Nascita dei De Filippo
Teatri: i De Filippo
I De Filippo e il teatro borghese
I fratelli De Filippo
In casa De Filippo trattato di pace
Titina De Filippo, artista due volte
La seconda vita di Filumena Marturano
Tre De Filippo su un metro quadrato
Titina: forbici e pennello
Addio a Titina De Filippo, addio a Napoli
Nascita della compagnia De Filippo, le riviste, l'avanspettacolo
Riferimenti e bibliografie:
- "Vita di Eduardo" - (Maurizio Giammusso) - Ed. Elleu, 2004
- "Il Teatro «Nuovo» di Napoli" (F. De Filippis - M.Mangini), Arturo Berisio Editore, Napoli, 1967