Titina De Filippo, l'amica e la compagna di lavoro
e chelli mmane
asciutte e bianche
bianche ’e chillu biancore d’ ’a magnolia [...]
che sapevano fa’!
E che voce!
No pe’ canta, badate,
ma pe’ parla’...
... Sentitela 'sta voce,
ausuliate:
è viva ancora. [...]
Singolare è la storia artistica di Titina De Filippo, una delle più grandi attrici del teatro napoletano, divenuta presto di fama nazionale. Nata nella Compagnia di Eduardo Scarpetta, nel ruolo truccato di Peppeniello in Miseria e Nobiltà, recitò, poi, per circa dieci anni nella Compagnia di Vincenzo. Passata verso il ’20 nella Molinari del Nuovo, per quanto preparata e brava, coprì uno dei ruoli minori. Se a lei pur si affidavano certe parti difficoltose, essa non riceveva in cambio alcun riconoscimento ufficiale. Le prime donne si chiamavano, volta a volta, come si è visto, Maria Dolini, Mariella Gioia, Bianchina De Crescenzo, Marga Cella, e Titina sempre al secondo posto!
Lei ne fece un cruccio, quasi una malattia. Non sapeva darsi pace, e, quasi come per ricercare un appoggio e un sostegno, affrettò in pochi mesi il suo matrimonio con Pietro Carloni, che le voleva un sacco di bene e che lei ripagò con uguale amore e con grande dedizione e rispetto.
Sposati, insieme lasciarono la Molinari, e furono quelli, momenti difficili per la giovane coppia. Ebbero un’offerta dalla Compagnia di Sceneggiate Cafiero-Fumo. L’accettarono e Titina entrò in un ambiente nuovo per lei.
Dopo un breve periodo tornò con il marito al Nuovo ed ora, fra i due fratelli, ella si trovava ad essere moderatrice misurata di alta classe. Di fronte alla fantasia robusta e profonda di Eduardo e alla prepotente impetuosità di Peppino, ella trovò per istinto il punto di mezzo di una condotta artistica fatta di misura, di controllo e di saggezza. Contemperò, amalgamò, emulsionò quasi, attraverso la sua recitazione, i suoi silenzi, le sue pause e i suoi interventi, le forze esplosive e divergenti dei fratelli, operando miracoli di equilibrio. E proprio allora dette la prova di esser davvero una grande attrice, poiché fra quei giovani colossi soltanto una grande attrice poteva, senza guastarli, salvare sè stessa e il personaggio a lei affidato.
Titina era una vera signora e sfatò presso critici e scrittori del Nord la leggenda dell’attrice napoletana sempre pittoresca e smargiassa, dai colori eccessivi e dal linguaggio violento. Fu dappertutto e sempre amata, stimata e riverita.
Alla domestica che per anni l’aveva accudita, man mano che il male si faceva più sordo, presente e doloroso aveva detto per tempo: «Quando verrà il momento, voglio essere vestita con quell’abito. Mi mancano le scarpe; me le farai comprare». L’abito era la severa divisa delle terziarie domenicane, l’ordine religioso al quale aveva dedicato le sue ultime energie, visitando malati, pregando e facendo catechesi. Le ultime volte che era apparsa in pubblico, nascondendo la paura e ricacciando indietro l’affanno, erano state nel 1960, in Tv. Aveva canticchiato una canzoncina al Musichiere di Mario Riva; poi recitato Mese Mariano di Salvatore Di Giacomo per Il Novelliere di Daniele D’Anza.
Totò, accompagnato da Franca Faldini, fu il primo ad arrivare, per un estremo saluto. Aveva saputo la notizia alla radio ed era subito corso a via Archimede, a casa della vecchia amica. Per quasi tutta la notte restò a vegliarla nella piccola camera ardente allestita dai familiari. Dopo le dieci di sera bussò anche uno sconosciuto, sui cinquant’anni, in divisa da tranviere. Si sedette e balbettò al figlio e al marito, che lo guardavano interdetti: «Scusate... Le voglio stare vicino... pur’io... come i figli di Filumena... mia madre...».
I funerali si svolsero nella chiesa del Sacro Cuore dell'Immacolata in piazza Euclide a Roma: tanta gente venne, tanti anche da Napoli, una folla anonima, nella quale spuntavano volti famosi del teatro e della politica. Fra chissà quante corone di fiori, spiccava quella di Totò, tutta di stelle natalizie. Eduardo e Peppino sedettero in banchi diversi della grande chiesa. Una sventagliata di flash accolse il feretro sul sagrato. Poi il corteo funebre si diresse al cimitero del Verano, fino alla cappella eretta da Peppino.
Riferimenti e bibliografie:
- "Vita di Eduardo" - (Maurizio Giammusso) - Ed. Elleu, 2004
- "Il Teatro «Nuovo» di Napoli" (F. De Filippis - M.Mangini), Arturo Berisio Editore, Napoli, 1967