Totò contro Scalfaro - Il caso del prendisole

Approf Prendisole

I fatti.

E' un'afosa giornata quel 21 luglio 1950 a Roma. E' l'ora di pranzo ed alcuni parlamentari democristiani, fra i quali l'onorevole Oscar Luigi Scalfaro, si ritrovano per il pranzo in una trattoria di Via della Vite, poche centinaia di metri da Montecitorio. Si siedono ma l'occhio cade su un tavolo vicino, occupato da un'avvenente signora che di noma fa Edith Toussan che, distrattamente si toglie dalle spalle il bolerino (all'epoca molto in voga, il suo con disegni a fiorellini; il capo viene anche chiamato "prendisole"), rimanendo con le spalle scoperte. E' troppo per la vista dei deputati seduti lì vicino. Scalfaro si alza risentito, va verso la signora e la apostrofa :«Vestita così lei è una bestia». La signora rimane stupita e interdetta, sul momento non reagisce. A mente fredda, la signora realizza la gravità dell'atto e sporge querela.

Lo scandalo arriva in Parlamento, fioccano le interrogazioni parlamentari. I toni si alzano, scrive il drammaturgo Ghigo De Chiara: “L’on. Scalfaro, democristiano e moralista da parrocchia, ha rincarato a Montecitorio la dose delle ingiurie che contro la bella Edith Toussan lanciò mesi addietro in una trattoria del centro”. Dal suo canto, Scalfaro convinto del suo gesto, afferma: “Queste donne, a furia di esporsi senza alcun pudore, cessano di essere donne private per diventare donne pubbliche!”. La querelle prende la svolta di una "tragedia" quando Scalfaro riceve ben quattro sfide a duello: prima il padre della signora, poi quella del marito (di nome fa Aramis!), quella della stessa signora Edith, ottima schermitrice, e infine nientemento che quella di Totò, al secolo principe Antonio de Curtis! Scoppia definitivamente in tutta Italia "Il caso del prendisole". Intanto Scalfaro convinto cattolico, afferma che la sua religione gli impedisce di duellare. E' il quotidiano L'Avanti che con un articolo di Giulio Ubertazzi, il 25 novembre 1950 scrive: “E una gallina l'on. Scalfaro?” (“Al gesuita padre Hurtado di Mendoza, spiaceva che un cristiano, sfidato a duello, tenesse un contegno da gallina e non da uomo: ‘gallina et non vir’”). Niente da fare, il duello non si farà.

Giuliano 000

Disegno di Giuliano, 1992


Considerato persona di rigide vedute in tema di morale fu protagonista il 20 luglio del 1950, all’inizio della sua attività parlamentare, di un episodio che fece molto scalpore, poi divenuto noto come “il caso del prendisole”.
Il fatto ebbe luogo nel ristorante romano “da Chiarina”, in via della Vite, quando insieme ai colleghi di partito Sampietro e Titomanlio Scalfaro ebbe un vivace alterco con una giovane signora, Edith Mingoni in Toussan, da lui pubblicamente ripresa in quanto il suo abbigliamento, a parere dell’onorevole, era sconveniente poiché ne mostrava le spalle nude.

Secondo una ricostruzione de Il Foglio, la signora si sarebbe tolta un bolerino a causa del caldo e Scalfaro avrebbe attraversato la sala per gridarle: «È uno schifo! Una cosa indegna e abominevole! Lei manca di rispetto al locale e alle persone presenti. Se è vestita a quel modo è una donna disonesta. Le ordino di rimettere il bolerino!». Sempre secondo questa fonte, Scalfaro sarebbe uscito dal locale e vi sarebbe rientrato con due poliziotti. L’episodio terminò perciò in questura, ove la donna, militante del Movimento Sociale Italiano, querelò Scalfaro ed il collega Sampietro per ingiurie.

La vicenda tenne banco sui giornali e riviste italiane per lungo tempo: la stampa laica accusava Scalfaro di "moralismo" e "bigottismo", quella cattolica lo difendeva. Intervennero nella polemica molti personaggi noti, come il giornalista Renzo Trionfera, il latinista Concetto Marchesi e altri. Alla Camera furono presentate interrogazioni parlamentari nell'attesa di una delibera sull'autorizzazione a procedere (della cui competente Giunta Scalfaro stesso era membro) contro i due parlamentari a seguito della querela sporta dalla signora. Peraltro, poiché la Mingoni aveva dichiarato la sua militanza politica, nella richiesta di autorizzazione a procedere si afferma che dai parlamentari sarebbe stata chiamata "fascista" e minacciata di denuncia per apologia del fascismo.

La faccenda, scrive Marzio Breda, fu poi "distorta ad arte", tanto che "la sua lontana rampogna a una donna incrociata in un ristorante, che lui aveva rimproverato per una scollatura troppo audace" fu "trasformata in un concreto «schiaffo»": "un aneddoto perfetto per l'immagine di cattolico medievale e codino - sottinteso: ipocrita - che gli cucirono addosso. In più, associato al suo modo di stare sulla scena pubblica, alle sciarpe indossate «come la stola di un vescovo» e al linguaggio dai toni predicatori e rétro tipici della sua formazione, contribuiva a completare la caricatura da insopportabile satrapo".

Il padre della Mingoni in Toussan (un colonnello a riposo, pluridecorato e già appartenente all'Aeronautica militare) ritenendo offensiva nei confronti della figlia una frase pronunciata da Scalfaro durante un dibattito parlamentare, lo sfidò a duello; al padre subentrò poi come sfidante il marito della signora, anch'egli ufficiale dell'aeronautica. La sfida, che avrebbe violato la legge vigente, fu respinta, la qual cosa, risaputa pubblicamente, fece indignare il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, del quale il quotidiano socialista Avanti! pubblicò una vibrante lettera aperta a Scalfaro. Nella missiva, il comico napoletano rimproverava a Scalfaro un comportamento prima villano e poi codardo.

Il processo per la querela non fu mai celebrato per l'amnistia di tre anni dopo (Decreto del presidente della Repubblica 19 dicembre 1953, n. 922).

La signora Mingoni riferì a distanza di anni che quell'episodio le avrebbe "rovinato la vita" mentre, successivamente, Scalfaro si sarebbe rimproverato «...d'essere andato oltre la giusta misura» nella vicenda.

Oscar Luigi Scalfaro su wikipedia.it


Sul caso Scalfaro-Toussan (la faccenda delle spalle nude, per intenderci) sono intervenuti uomini politici, moralisti, bigotti e buontemponi. Oggi pubblichiamo la lettera aperta che l’attore Totò indirizza al deputato democristiano il quale, dopo aver offeso pubblicamente la reputazione della donna, si è rifiutato di battersi col di lei genitore. In verità, ogni volta che si parla di duelli, siamo costretti a sorridere (come del resto ci divertirebbe un signore in cilindro); ma il parere, in materia cavalleresca, di Totò, che oltre ad essere un discendente di antica famiglia nobiliare è anche un uomo di talento e di cuore, ci sembra di particolare interesse. Riassume in un certo senso il giudizio che, sul gesuitismo imperante oggi in Italia, danno le persone di buon senso. Qualunque siano le loro opinioni di morale e di costume.


Ecco il testo della lettera aperta di Totò, che si firmò per esteso con il suo titolo nobiliare, pubblicata sull'«Avanti!» Poco prima, Scalfaro aveva rinunciato alla sfida a duello che gli aveva lanciato il marito della signora da lui rimproverata per l'abbigliamento «succinto» in un bar di Roma:


Ho appreso dai giornali che Ella ha respinto la sfida a duello inviataLe dal padre della signora Toussan, in seguito agli incidenti a Lei noti. La motivazione del rifiuto di battersi da Lei adottata, cioè quella dei princìpi cristiani, ammetterà che è speciosa e infondata. Il sentimento cristiano, prima di essere da Lei invocato per sottrarsi a un dovere che è patrimonio comune di tutti i gentiluomini, avrebbe dovuto impedire a Lei e ai Suoi Amici di fare apprezzamenti sulla persona di una Signora rispettabilissima. Abusi del genere comportano l’obbligo di assumerne le conseguenze, specialmente per uomini responsabili, i quali hanno la discutibile prerogativa di essere segnalati all’attenzione pubblica, per ogni loro atto. Non si pretende da Lei, dopo il rifiuto di battersi, una maggiore sensibilità, ma si ha il diritto di esigere che in incidenti del genere, le persone alle quali il sentimento della responsabilità morale e cavalleresca è ignoto, abbiano almeno il pudore di sottrarsi al giudizio degli uomini, ai quali questi sentimenti e il coraggio civile dicono ancora qualcosa.



Principe Antonio Focas Flavio Comneno De Curtis

«Avanti», 23 novembre 1950


La satira a fumetti sul "caso Toussan"

A Roma in Parlamento son di scena le spalle nude di una tal Signora... Ciò ci diverte ed in maniera piena. Si ride infatti, e rideremo ancora, in materia di spalle, ciò è provato, alle spalle di qualche Deputato!

Dino Verde, Marc’Aurelio, 1950


Ma forse è meglio riderci su ed io mi auguro che gli arguti compagni Scarpelli e Maiorana vogliano seppellire sotto il ridicolo di una delle loro amabili vignette il grande onorevole che non può soffrire le spalle nude senza distinguere (pare) se sono belle o brutte.

Gabriele Pepe


"Avanti!", 1950. Editoriale sull’intervento in Parlamento di Scalfaro


I maestri di Scalfaro: Mario Scelba è maestro di Censura a tutto campo. Come ministro degli Interni (1950) vieta un po’ tutto: dai baci scambiati per strada ai “due pezzi” sulle spiagge. Scalfaro si farà notare dal maestro presentando un’interrogazione alla Camera “per conoscere quali provvedimenti immediati il Ministro degli Interni intenda adottare per... infrenare una moda che persino nelle città offende la morale e la dignità dei cittadini”. La moda del prendisole.


La satira a fumetti su Oscar Luigi Scalfaro

Disegno di Contemori (Linus, 1992)


In primo luogo, dunque, occorre salvare l'unità della famiglia, nella quale il capo è il padre, anche se non sempre appare, e nella quale, malgrado certe tendenze politiche di oggi, la direzione collegiale non è ancora instaurata.

Oscar Luigi Scalfaro, “Amen”, 1980


Così la stampa dell'epoca

La signora del "bolero" si querela contro tre deputati

Roma 26 luglio, matt.

La signora Edith Toussan, protagonista assieme a tre deputati al Parlamento della movimentata scena svoltasi sere fa In una trattoria del centro, ha presentato una lunghissima querela all’autorità giudiziaria per tentata violenza privata, ingiurie e minacce, contro l’on. Oscar Luigi Scalfaro, magistrato presso il Tribunale di Novara, l'on. Umberto Sanpietro, già presidente della Commissione provinciale per l’epurazione presso la Corte d'assise di Voghera e l’on, Vittorio Titomanlio, insegnante, da Napoli.

Nel suo esposto — pubblicato stamane dal Paese — la signora fa presente che, mentre si trovava a tavola In un pubblico locale, si era sfilata per il gran caldo il « bolerino » del suo abito a bretelle. Entrarono In quei momento nel locale — scrive la Toussan , — due uomini che in un primo tempo si diressero verso una signora anziana la quale pranzava , in un angolo della sala e con la quale la quale mi parve di vederli conversare. Ad un tratto, inopinatamente, uno di quel signori si avvicinò a me con fare sprezzante e minaccioso, e senza presentarsi, cosi mi apostrofò: «E' una cosa indegna e vomitevole! Lei manca di rispetto al locale e alle persone presenti! Se é vestita in quel modo, é una disonesta!» E cosi scalmanandosi e dimenandosi come un ossesso, urlò: «Le ordino di rimettersi il bolero». Nel frattempo si era avvicinato anche l’altro uomo ed anche lui prese ad inveire contro di me dicendomi: «E' una bestia, vestita cosi! ». Dal tavolo in angolo, anche la signora che prima aveva conversato prese a sbraitare, rivolgendomi epiteti ingiuriosi dello stesso tono di quelli pronunciati dai suoi amici».

«Il Paese», 26 luglio 1950


L'episodio del "prendisole fomenta una scaramuccia parlamentare - Un'interrogazione al ministro degli Interni

Roma 26 luglio, notte.

Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha oggi trasmesso all’ufflcio di polizia competente per giurisdizione territoriale, - affinchè accerti l‘esatta successione del fatti denunciati, gli atti della querela per tentata violenza privata, ingiurie e minacce sporta dalla signora Edith Toussain contro i deputati democristiani Oscar Luigi Scalfaro, Umberto Sampietro e Vittoria Titomanlio che il 20 corrente, in un noto ristorante romano, redarguirono vivacemente la Toussaint per la presunta immodestia del suo abbigliamento (un abito a bretelle, del tipo detto «prendisole») accompagnando i rimproveri — a detta dell'attrice — con espressioni offensive e con l'ingiunzione di coprire la larga scollatura propria dell’abito in questione; e, successivamente, con la minaccia di una denuncia per apologia di fascismo.

[...]

Da parte sua l’on. Scalfaro, che mosse per primo alla signora Toussaint i rimbrotti ora doppiamente incriminati lungi dal riconoscersi colpevole, ha terrogato anche lui il ministro Sceiba «per conoscere quali provvedimenti immediati intenda adottare per frenare una moda che persino nelle città offende la morale e la dignità del cittadini».

«Corriere della Sera», 27 luglio 1950


Per un prendisole scaramuccia parlamentare
Interrogazione dell'On Scalfaro contro una moda che egli ritiene invereconda

Roma 26 luglio.

E’ già stato riferito il fatto, sotto certi aspetti clamoroso, di cui sono stati protagonisti una avvenente signora romana e tre deputati democristiani (anzi, per l’esattezza, due deputati e una deputata) : gli on. Scalfaro, Sampietro e Titomanlio.

Ricordiamo: il 20 luglio, in un noto ristorante del centro, l’on. Scalfaro, il giovane e dinamico segretario del gruppo democristiano a Montecitorio, ebbe a redarguire, col pieno e attivo consenso del collega Sampietro e della collega Titomanlio, una cliente di quel locale, la signora Toussaint, per l’audacia del suo abbigliamento. Si trattava di uno di quegli abiti «prendisole » a bretelle che, anche in virtù della imperante canicola, si sono rapidamente affermati non soltanto sulle spiagge e nei luoghi di villeggiatura in genere, ma anche in città.

Dai rimproveri formulati, si dice con estrema vivacità all'indirizzo della signora Toussaint (sembra che l’on. Scalfaro abbia, tra l'altro, ingiunto alla signora di coprire col «bolero»
che fa parte del tipo d'abito incriminato le spalle generosamente offerte alla vista pubblica), nacque un diverbio, conclusosi all’ufficio di polizia rionale e seguito da una querela in piena regola della Toussaint contro i suoi onorevoli contraddittori, per ingiurie e minacce.

[...]

Dal canto suo l’on. Scalfaro, protagonista della curiosa avventura che ha suscitato qualche ironico commento anche fra i colleghi del suo stesso gruppo, è partito alla controffensiva, presentando, insieme con l’onorevole Sampietro, una interrogazione allo stesso ministro dell'Interno «per conoscere quali provvedimenti immediati intenda adottare per frenare una moda che persino nelle città offende la morale e la dignità dei cittadini».

Dunque il prendisole sarà protagonista dì una battaglietta parlamentare ed è certo che quel giorno le fanterie leggere femminili saranno presenti negli avamposti delle tribune della Camera.

Intanto l’episodio è argomento di conversazione cosi diffuso a Montecitorio che — quando l'altro ieri un deputato, parlando sul progetto stralcio della riforma agraria annunciò che avrebbe fatto un discorso breve e nudo — l'on. Rapelli commentò: «Se lo sente Scalfaro, gli tappa la bocca».

«Corriere dell'Informazione», 27 luglio 1950


Il «caso Scalfaro» a Montecitorio

Roma, 14

[...] A Montecitorio in apertura di seduta, in sede di interrogazione, si è parlato dell’incidente clamoroso avvenuto questa estate in un ristorante romano allorché l’on. Scalfaro e altri due deputati democristiani ebbero aspre parole di rampogna verso una signora straniera con sulle spalle soltanto un prendisole. Oggi era presente in tribuna ed ha seguito il dibattito anche quella signora, però con le spalle coperte da un mantello di pelliccia.

Il Sottosegretario agli Interni BUBBIO ha asserito che sull'incidente dovrà pronunziarsi la Magistratura. Quanto ai provvedimenti sollecitati dai protagonisti della vicenda, ha affermato che il Governo non può intervenire perchè si tratta di una questione di costume più che di politica.

L’on GERACI del PSI, presentatore di una delle due interrogazioni, non è stato soddisfatto della risposta ed ha affermato che in questa materia il Governo segue criteri ormai superati. L'altro interrogante, che era lo stesso on. SCALFARO, ha affermato invece che esistono valori morali che non si possono offendere impunemente e che non si tratta di principii cristiani ma di principii umani senza dei quali nessuna società può vive e in serenità e in pace. [...]

«Il Piccolo di Trieste», 15 novembre 1950


La «battaglia del prendisole alla Camera»

Sfidato a duello il deputato Scalfaro

Roma, 15

Una sfida a duello, fino a stasera ancora sospesa, perchè non giunta nelle mani dello sfidato, costituisce il nuovo capitolo della «battaglia del prendisole», iniziatasi in una trattoria romana nello scorso luglio e sviluppatasi ieri nella aula di Montecitorio. Infatti, dopo le dichiarazioni fatte ieri alla Camera dall'avvocato di accusa contro il prendisole, on. Scalfaro, il padre della signora Edith Toussan Mingoni, per talune espressioni usate dal deputato democristiano, gli ha inviato oggi un cartello di sfida.

Come si sa, la signora Toussan, colei che fu redarguita dall’on. Scalfaro in un ristorante per l’audacia del prendisole che le lasciava scoperte le spalle, assisteva ieri, insieme col padre, alla seduta de.la Camera. E tutti notarono il gesto di sdegno che ella fece con la mano allorché il giovane magistrato democristiano, nel quadro di alcune considerazioni severissime sul costume e sui valori umani, giudico aspramente le donne che vestono secondo modo troppo audaci. «Quando una donna eccede in manifestazioni pubbliche — ebbe a sentenziare Scalfaro suscitando le clamorose proteste dell’estrema sinistra — cessa di essere una donna privata».

In assenza del marito delia signora Toussan, il capitano pilota Aramis Toussan, pluridecorato di guerra e in servizio presso il 46o stormo, ma attualmente a Firenze per seguire un corso presso la scuoia di guerra aerea, il padre della signora, marchese Mingoni, ha deciso di inviare la sfida al deputato. Latori del cartello e rappresentanti del Mingoni sono stati l’ex consigliere nazionale fascista Umberto Guglielmotti e l’avv. Vittorio Battisti, il legale che assiste la signora nella querela sporta contro l’on. Scalfaro, l’on. Sampietro e la on. Vittoria Titomanlio.

Ma qui viene l'aspetto più curioso della sfida. Infatti i rappresentanti del marchese Mingoni si sono recati a Montecitorio per consegnare il cartello all’on. Scalfaro. Essendo questi assente, hanno lasciato la lettera contenente la sfida all’ufficio postale di Montecitorio, facendosi consegnare regolare ricevuta con l’indicazione dell’ora: e cioè le 10.30 di stamane. Sessantasettenne, il marchese Mingoni è colonnello dell'Aereonautica nella riserva, partecipò alla guerra di Libia e alla prima guerra mondiale riportando anche ferite. Secondo le consuetudini cavalleresche, egli come offeso ha diritto alla scelta delle armi e ha dichiarato a ohi lo interrogava che si batterà con la sciabola da terreno o con la spada

Quale sarà però la sorte della sfida? Non bisogna dimenticare che il trentaduenne on. Scalfaro (il quale apparteneva alla Magistratura prima delle elezioni del 1948) è cattolico osservante. Avvicinato dai giornalisti, nel pomeriggio, il deputato demo-cristiano ha dichiarato di non avere ancora ricevuto la sfida, Egli ha poi tenuto a ricordare che nel suo discorso alla Camera egli distinse nettamente le considerazioni di carattere generale che avevano mosso la sua interrogazione sulla moda e sul costume dai riferimenti all’episodio Specifico. Quanto al caso in questione, disse soltanto che di esso è investita l’autorità giudiziaria e che quando sarà discussa in aula la domanda di autorizzazione a procedere per la querela sporta contro di lui dalla signora, egli . insisterà perchè sia concesso e si proceda nel merito.

Passando poi alle considerazioni di carattere generale, egli fece una serie di rilievi sulla morale e sul costume. «Riferire frasi — ha aggiunto l'on. Scalfaro — dette in questa seconda parte del mio intervento, a persone determinate, significa negare al sottoscritto coraggio di fare delle dichiarazioni che, se avessi avuto ragione di fare, avrei
fatto senz’altro».

«Il Piccolo di Trieste», 16 novembre 1950


La sfida per il prendisole all'On. Scalfaro

In luogo del Mingoni vuol battersi Aramis

Roma, 16

La «battaglia del prendisole» è in pieno sviluppo. Dopo il cartello di sfida portato ieri alla Camera dai padrini del padre della signora Toussan, è ora la volta del marito, un capitano di aviazione che, trovandosi attualmente a Firenze per seguire un corso alla Scuola di guerra aerea, ha pensato bene di far precedere il suo arrivo a Roma dal seguente telegramma: «Arrivo subito stop mi batterò io stop baci Aramis». Aramis è il nome di battesimo del capitano Toussan, un nome particolarmente adatto ad una vertenza del genere.

A tutt'oggi l’on. Scalfaro non solo non ha risposto alla sfida, ma ha dichiarato che i suoi apprezzamenti alla Camera non riguardavano alcuna persona, i ma esprimevano soltanto giudizi di carattere generale sul modo di comportarsi in pubblico. In ogni caso il deputato, in base ai suoi principii cattolici, non scenderà mai sul terreno, e quindi il problema per i padrini del signor Mingoni, padre della Toussan, che non riceveranno risposta, si presenta, per coloro che ancora si sentono legati al Codice cavalleresco Gelli, piuttosto delicato.

Essi comunque dovrebbero inviare una lettera al loro primo, informandolo di avere presentato, come da incarico ricevuto, il cartello di sfida, di avere lasciato uniti ad esso i loro rispettivi indirizzi, e infine di non aver ricevuto nessuna risposta entro le 48 ore prescritte. In tale lettera i padrini potrebbero aggiungere, o meno, apprezzamenti dell’atteggiamento tenuto dallo sfidato e trame eventuali conseguenze.

«Il Piccolo di Trieste», 17 novembre 1950



Lo scandalo del prendisole

Anche Totò disapprova Scalfaro

Roma 23 novembre, matt.

Sullo «scandalo del prendisole» ha voluto dire la sua parola anche il notissimo attore comico Totò, al secolo principe Antonio De Curtis. L'Avanti! di oggi pubblica infatti una sua lettera aperta all’on. Scaifaro, lettera che riportiamo interamente.

«Ho appreso dai giornali che ella ha respinto la sfida a duello inviatale dal padre della signora Toussan, in seguito agli incidenti a lei noti. La motivazione del rifiuto di battersi da lei addotta, cioè quella dei principi cristiani, ammetterà che è speciosa c non fondata: il sentimento cristiano, prima di essere da lei invocato, per sottrarsi a un dovere che e un patrimonio comune di tutti i gentiluomini. avrebbe dovuto impedire a lei e ai suoi amici di far apprezzamenti in un pubblico locale sulla persona di una signora rispettabilissima. Abusi del genere comportano l’obbligo di assumerne le conseguenze, specialmente per uomini responsabili, i quali hanno la discutibile prerogativa di essere segnalati all'attenzione pubblica, per ogni loro atto.

«Non si pretende da lei. dopo il rifiuto di battersi, una maggiore sensibilità per ciò che è avvenuto, ma si ha il diritto di esigere che in incidenti del genere. le pcrrone alle quali il sentimento della responsabilità morale e cavalleresca è ignoto, abbiano almeno il pudore di sottrarsi al giudizio degli uomini, ai quali questi sentimenti e il coraggio civile dicono ancorai qualche cosa». Principe Antonio Focas Commeno De Curtis.

«Corriere della Sera», 24 novembre 1950


Le più strane richieste nella corrispondenza dei deputati

Roma, novembre

La lettera contenente la sfida a duello lanciata dal marchese Mario Mingoni all’on. Scalfaro per la questione ormai famosa del «prendisole» della signora Toussan, ha aggiunto un elemento nuovo alla curiosa storia della posta parlamentare. La lettera del colonnello Mingoni, come si sa, venne depositata all’ufficio postale della Camera dai padrini, ma di fronte all’esiguo numero delle missive consegnate a mano, quante lettere e quanti stampati la posta deposita ogni giorno a Montecitorio per i deputati? Nessuno, credo, ha mai osato il calcolo. Ma basta affacciarsi alla saletta postale e cogliere la visione del grande alveare di vetro dove amici, estimatori, elettori e cittadini sconosciuti inviano per 365 giorni all'anno lettere ai deputati, per avere un'idea della loro febbrile attività epistolare.

Primo pensiero di ogni parlamentare, la mattina quando entra alla Camera, è quello di recarsi a vuotare la propria casella, ed esce dall’ufficio con le mani colme di lettere, si siede su un divano del Transatlantico, e sfoglia, sfoglia a non finire. Con piacere e con amarezza insieme, con la gioia di vedere quanti conoscenti e sconosciuti si rivolgono all’onorevole e con la malinconia insinuatagli nell’animo dal pensiero che a quella valanga di lettere bisogna pur rispondere, e che domani mattina, rientrando alla Camera, ne troverà altrettante, di lettere, ad aspettarlo nella cassetta.

Quelle missive sono il miele e la cera del corpo elettorale. Perchè, appena ha varcato la soglia di Montecitorio, ogni deputato diventa per l’elettore che gli ha dato il proprio voto preferenziale, e spesso, quello della intera famiglia, un essere onnipotente al quale si può ricorrere in ogni occasione e con una candida intimità che nessuna parentela varrebbe a creare. Al deputato amico ci si rivolge, da ogni angolo d'Italia, per consiglio e per aiuto, per suggerimenti e per appoggi, in una grandinata epistolare che diventa in breve una ossessione per l’onorevole. [...]

Guido Berti, «Il Piccolo di Trieste», 29 novembre 1950


«La Settimana Incom Illustrata», novembre 1951


E' una gallina l'onorevole Scalfaro?

Il paragone non è nostro, ma del gesuita Hurtado di Mendoza

Mi diceva stamane un amico psichiatra: se è possibile fare una diagnosi a distanza, l’on. Scalfaro parrebbe affetto da una strana forma morbosa, non molto dissimile da quella paura del vuoto, che noi psichiatri chiamiamo agorafobia; nel suo caso, un orrore invincibile, e di natura indubbiamente psicopatica, per tutte le posizioni scoperte: gli appaiono sotto forma di spalle muliebri, o sotto quella di una franca e virile accettazione delle responsabilità che ad ogni cittadino discendono dalle sue parole ed azioni. Perciò contro le querele delle persone da lui pubblicamente ingiuriate, egli si copre con la immunità parlamentare; e contro i cartelli di sfida, con i precetti della religione, che condannerebbe il duello. Egli, insomma, è sempre coperto: coperto come vorrebbe le spalle di tutte le donne del mondo.

Ma il guaio è assai più grave; il guaio è che l'on. Scalfaro crede, poveretto lui, di essere coperto, mentre non sa coprirsi affatto: è imprudente e sbadato, e il materiale di copertura che sceglie è di scadente qualità e di assai scarsa efficacia. Eccolo adesso che rifiuta di battersi “perché il duello è contrario ai principi cristiani”. Avrebbe potuto, giacché è magistrato, ricordarsi che il duello è punito dalle leggi civili; nossignore, ha voluto fare la voce grossa, ha voluto atteggiarsi a confessore e martire della fede, e ha sfoderato i "principi cristiani”. State a vedere che adesso gli capita tra capo e collo pure una querela da parte della Compagnia di Gesù; e allora addio anche alla immunità parlamentare, perché se la Compagnia passa una parolina, a questi chiari di luna...

E non si vede, d'altra parte, come i gesuiti potrebbero tollerare i ripetuti affronti di un uomo (sia pure un deputato democristiano) che di continuo e pubblicamente li smentisce, e pretende d'insegnar, lui a loro, quali siano i principi cristiani. Già si sono mostrati una volta benevolmente indulgenti lasciando che mettesse il mondo sottosopra per un paio di spalle nude, essi che consentono (come sanno anche i nostri lettori) ben più generose nudità; ma dato, un giorno dopo l’altro, tutta una vita di meditazione e di studio?

Rivendicherà contro di lui, il Generale della Compagnia, che questa si è preso a cuore l’onore degli uomini, e non ha mai voluto condannare un cristiano, soltanto perché cristiano, a fare una figura da gallina? (Non se la prenda con noi l’on. Scalfaro: la frase non è nostra, ma di un gesuita coi fiocchi, il padre Pietro Hurtado di Mendoza, al quale spiaceva appunto che un cristiano, sfidato a duello, tenesse un contegno da gallina e non da uomo: “gallina et non vìr”). Vogliamo sperarlo, perché i testi sono lì, chiari e lampanti, che li intenderebbe Renzo Tramaglino. “Se un soldato o un gentiluomo — scrive il padre Layman — si trova nella situazione di dover perdere il suo ‘onore’ o la sua fortuna non accettando un duello, non vedo come si possa condannarlo se lo accetta”. Dopo la faccenda della gallina, sarebbe persino inutile riferire l'opinione dell’Hurtado; comunque eccola, debitamente approvata dal grande Escobar: “Ci si può battere in duello anche per difendere la propria ricchezza: perché ognuno ha il diritto di difenderla, persino procurando la morte dei suoi nemici”. E non soltanto può accettare la sfida, il ‘pio’ che non voglia esser gallina, ma anche lanciarla, come opina il Sanchez (uno degli astri del firmamento gesuitico), il quale permette e approva ben altro che il duello; e ci auguriamo che il Generale della Compagnia mostri ai giudici il relativo testo, assai interessante (Theologia moralis, II, 30, 7): “E molto ragionevole dire che un uomo può benissimo battersi in duello, per salvare la propria vita, il proprio onore o anche la propria ricchezza quando è pacifico che si tenti di sottrarglieli con processi o cavilli, ed egli non abbia altro mezzo per conservarli. E Navarro dice benissimo che in questi casi è permesso non solo accettare il duello ma anche sfidare: ‘licet acceptare et off erre duellum . E anche si può uccidere di nascosto il proprio nemico. Anzi, se si può uccidere di nascosto, è preferibile non servirsi del duello, evitando insieme, e di esporre la propria vita in combattimento, e di partecipare al peccato che il nostro nemico commetterebbe battendosi in duello".

Si ricreda, già ancora, in tempo l’on. Scalfaro; torni sulle sue decisioni, e impugni le armi. Scenda sul terreno, o si appresti, di notte, a qualche cantonata, per aspettarvi gli avversari. Sarà un sacrificio, magari; ma lo compia. Cosa vuol fare, se no? Mettersi a capo di una setta eretica? O scatenare uno scisma? Ohibò! Si sacrifichi alla cattolicità del pensiero.

Giulio Ubertazzi, «L'Avanti!», 25 novembre 1950


Il partito più discusso della settimana

Vuole andare a Montecitorio per difendere le sue spalle

Anche nel caso della signora Toussan l’estrema destra e l’estrema sinistra si sono date la mano contro la Democrazia cristiana.

Roma, novembre

Il primo giornalista che riconobbe in una tribuna di Montecitorio la signora Edith Mingoni Toussan, fu il poeta Diego Calcagno. Abitualmente il poeta non frequenta le tribune stampa della Camera, ma la mattina del 14 novembre, nonostante lo sciopero generale, Diego Calcagno giunse al parlamento prima degli altri colleghi. Sapeva che sarebbe stata in discussione la scollatura della signora Edith e la seduta assumeva quindi, per lui, un carattere mondano che rientra nell'ambito della sua specializzazione. Il poeta s’inchinò riguardosamente verso la signora Toussan. Sorrise anche al signore d’una certa età che sedeva accanto a lei. Bisbigliò, poi, qualche parola ai giornalisti vicini e nel giro di pochi minuti tutta Montecitorio sapeva che la «signora della scollatura» era presente nell’aula. Molti deputati, soprattutto quelli dei banchi di sinistra insieme ai loro avversari dell'estrema destra, nel corso del vivace dibattito alzarono più volte gli occhi verso la signora Edith, lanciandole sorrisi pieni di autorevole e compiaciuta solidarietà. Anche la signora ricambiava volentieri sorrisi e cenni di saluto. Era senza dubbio orgogliosa che in quella mattinata, mentre tutte le forze di polizia erano consegnate nelle caserme per fronteggiare eventuali disordini e la Celere percorreva le vie di Roma ad evitare tentativi di violenza, il Parlamento si occupasse delle sue spalle.

Quando il sottosegretario all'Interno, onorevole Bubbio, dal banco del governo rispose all’interrogazione del socialista Geraci, tutti gli sguardi corsero verso la tribuna dove in quel momento la signora Toussan cercava di darsi un contegno. L'Onorevole Geraci aveva chiesto praticamente che il governo deplorasse l’azione compiuta dai deputati Luigi Oscar Scalfaro, Umberto Sampietro e Vittoria Titomanlio, tutti e tre democristiani, i quali, nel pomeriggio del 20 luglio scorso, in una trattoria di via della Vite, avevano affrontato la signora Edith, colpevole d'aver lasciato cadere il bolero dalle spalle. Il sottosegretario all'Interno disse che del fatto era investita l’autorità giudiziaria e che non era quindi il caso di sollecitare apprezzamenti da parte del governo. L’onorevole Bubbio rispose quindi all'interpellanza di Luigi Oscar Scalfaro il quale, dopo, l’incidente di via della Vite, chiedeva al governo provvedimenti per frenare «una moda che offende la morale e la dignità dei cittadini». La questione, disse l’onorevole Bubbio, era più un problema di costume che di legge.

Tutto sarebbe finito nel giro d’una ventina di minuti, se il socialista Geraci, difensore della signora, non avesse replicato. Disse: «Il governo ha imposto la foglia di fico a sessantasei statue di atleti che si trovano nello Stadio dei marmi al Foro italico, che si erano salvate anche dal fascismo... Dai giornali si apprese che, appena messa la foglia alle statue, quattro o cinque persone si arrampicarono durante la notte e scrissero sulla foglia stessa il loro nome. Ora, tutto questo dipende dal fatto che il governo segue, in fatto di morale, un concetto trappistico e paolotto. Naturalmente, questo porta che si perseguitino le nostre magnifiche bagnanti sulle nostre spiagge e si metta loro dietro il birro, perchè cacci le sue mani sacrileghe in quei magnifici bikini o in quegli slip che esse con arte magnifica costruiscono per la gioia nostra e per la loro...». L’entusiasmo del deputato socialista, che s’era lasciato prendere la mano verso il finale, provocò naturalmente applausi a destra e a sinistra e proteste dal centro.

Gli animi s’erano scaldati, quando si alzò a parlare l’onorevole Luigi Oscar Scalfaro, un deputato di trentadue anni, tra i più austeri di Montecitorio. Non polemizzò con il sottosegretario all’Interno. Disse che «da obbediente cittadino» si sottometteva all'autorità giudiziaria, chiamata a pronunciarsi sulla scollatura della signora Toussan e sull'incidente di via della Vite. Volle soltanto fare un rilievo e allora scatenò la tempesta. Come risulta dal resoconto stenografico della Camera tenne questo discorso: «Vi sono dei diritti nei cittadini di una patria, che sono i diritti della pulizia, e quando ci si appella a questi, non ci si appella a principii del cristianesimo, ma a principii umani, per cui l’uomo che è affiancato ad una donna, qualunque essa sia, la quale gli voglia comunque bene (e non chiedo nemmeno se a titolo lecito o no), sente quello che sente la mia bimba di sei anni quando tomo a casa e, non avendo ella il dono di avere con sè la sua mamma, si aggancia più facilmente ai pantaloni del suo papà e dice: ”Questo è il mio papà”. L’aggettivo possessivo dice molto. Chi vi ha rinunziato e non ha più il coraggio o la possibilità di dirlo nei confronti di una donna che per le eccessive manifestazioni pubbliche non è più privata, non protesti per il calpestamento dei principii cristiani».

Un discorso patetico e oscuro, del quale i deputati e il pubblico delle tribune afferrarono bene soltanto le ultime parole «donna che per le eccessive manifestazioni pubbliche, non è più privata». Agli applausi che partirono dal centro, fecero eco i clamori nei banchi di destra e di sinistra. A sinistra specialmente si agitarono le deputatesse del gruppo parlamentare comunista. Ci fu del fermento anche nelle tribune del pubblico: il poeta Diego Calcagno fece appena in tempo ad abbozzare un inchino verso la signora Edith Mingoni Toussan, che lasciava sdegnata il suo posto, mentre il signore attempato che era con lei lanciava occhiate di fuoco attraverso le spesse lenti verso il seggio dell’onorevole Scalfaro. In piazza del Parlamento, la signora Edith si consultò brevemente con l’uomo che l’accompagnava. Disse press’a poco: «Tuo marito è assente da Roma in questo momento e io, tuo padre, ho l’obbligo di tutelare l’onore della famiglia».

Mario Mingoni, colonnello nel ruolo d’onore dell’aeronautica e generale della contraerea durante l’ultima guerra, ha sessantasette anni. Gli è rimasto l’ardore dei tempi in cui era un asso dell’equitazione. Il suo piano fu attuato con rapidità : qualche ora dopo la riunione di Montecitorio si recò dall’ex-deputato fascista Umberto Guglielmotti e dall'avvocato Vittorio Battista (uno dei patroni della signora Edith nella querela contro Scalfaro); insieme a loro concretò il cartello di sfida per colui che aveva «oltraggiato» la figlia. I due padrini, la sera stessa del 14 novembre, si misero alla ricerca dell'onorevole Luigi Oscar Scalfaro. Non riuscirono a trovarlo. Non fu loro possibile vederlo neppure la mattina del 15 e allora, valendosi di una facoltà loro accordata dal codice cavalleresco del Gelli, lasciarono il cartello stesso all’ufficio postale della Camera dei deputati, facendosi rilasciare regolare ricevuta. Da quel momento, Mario Mingoni attese notizie dell’onorevole Scalfaro.

Il deputato, in qualche dichiarazione ai giornalisti chiari subito che non aveva alcuna intenzione di dar seguito alla faccenda. A parte il fatto che, essendo fervente cattolico, non può accettare di battersi in duello, l’onorevole Luigi Scalfaro precisò che la sfida era da ritenersi senza fondamento, poiché egli aveva fatto rilievi di carattere generico su questioni di morale e non riferimenti personali. «Quando una persona seria», disse, «riceve una comunicazione poco seria, non la prende in considerazione».

Nonostante l'atteggiamento del deputato democristiano, la macchina cavalleresca, messa in moto nelle famiglie Mingoni e Toussan, proseguì il suo corso. Il marito della signora Edith, capitano di aviazione in servizio permanente effettivo, Aramis Toussan, chiese un breve congedo al comando della scuola di guerra aerea, dove sta frequentando un corso per la promozione, e giunse a Roma la mattina di venerdì 17 novembre per sostituirsi al suocero, come più diretto interessato e come membro più giovane della famiglia, nel ruolo di sfidante. L’onorevole Luigi Oscar Scalfaro, ad ogni modo, è rimasto fermo sulle sue posizioni, incurante delle sanzioni. Non ci sarà dunque spargimento di sangue. Anche quest’ultimo incidente non è servito ad altro che a fare nuova pubblicità, non richiesta nè desiderata, alla signora Edith Mingoni Toussan. Infatti la sera del 28 ottobre (una data che la signora dice con franchezza di ricordare con nostalgia), Edith Mingoni andò a vedere «La Bisarca» che si rappresentava in un teatro romano. Mario Riva, mentre stava facendo con gli spettatori uno dei suoi colloqui, riconobbe la signora, seduta in una delle prime file. La conosceva da tempo: quando lui si chiamava ancora Mario Buonavolontà e faceva i suoi primi esperimenti di attore in un teatrino del Corso.

La salutò con un cenno della mano e poi si mise a recitare a soggetto «sulle spalle più interessanti d'Ita lia, quelle che avevano commosso anche il Parlamento». Naturalmente, tutti gli spettatori volsero lo sguardo verso la signora Edith e applaudirono a lungo. Edith Mingoni Toussan non è nuova agli sguardi del pubblico: ricorda volentieri quando al teatro dell’Opera, la gente la scambiava per Orsola Buvoli, moglie di Vittorio Mussolini, di cui era molto amica e che le somigliava in modo singolare. Ora, non potendo sfruttare la pubblicità che le vanno facendo, per «darsi al cinema» («sono una madre di famiglia», dice scherzando), pensa di servirsene per la sua carriera politica. Edith Mingoni ha trent’anni. Ha già un figlio di undici anni e un altro di sette, fi marito, che ha quasi la sua stessa età, le lascia volentieri ampia indipendenza politica. Già nel 1947, Edith Mingoni si presentò alle elezioni amministrative di Roma. Ma il tentativo andò a vuoto. Era nella lista del movimento per la democrazia sociale, capeggiato da Enrico Patrissi. Un partito di cui non si parla più da un paio d’anni almeno. Adesso le speranze della vivace signora sono fondate sul MSI. Unico pericolo per lei è che anche questo movimento, per un motivo o per l'altro, faccia la stessa fine di quello diretto da Patrissi.

Renzo Trionfera, «L'Europeo», anno VI, n. 48, 26 novembre 1950


Totò contro il Presidente

Quando Scalfaro rifiutò un duello

«Ho appreso dai giornali che Ella ha respinto la sfida a duello inviataLe in seguito agli incidenti a Lei noti...». Ma mi facci il piacere! L'Italia satirica, quella tarda cavalleresca e quella bacchettona del 1950. Un grande comico; un futuro Presidente della Repubblica; le spalle scoperte di una bella donna; un padre furioso; un marito inferocito, che oltretutto si chiamava Aramis. E, come se già non bastasse, un dibattito a Montecitorio e una, anzi due e forse tre sfide a duello. Che l'attuale Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, fedele alla dottrina cristiana, si guardò bene dall'accettare. Continuandosi ad attirare una pioggia di vignette canzonatorie. A firma dei principali disegnatori del momento: Attalo, Girus, Majorana, Giovanni Mosca. Ma anche dei giovani Furio Scarpelli, oggi sceneggiatore, ed Ettore Scola, il regista.

Sia pure con dilatazioni epiche (uno schiaffo, per dire, che non ci fu mai) di quella scenetta al ristorante, per la verità, s'era sempre saputo: un caldo luglio romano, la moda delle bretelline e il battibecco tra il giovane sottosegretario Oscar Luigi (e due suoi colleghi di partito: gli onorevoli Sampietro e Titomanlio) e la signora Edith Toussan per via, appunto, di un prendisole considerato troppo osée. Acqua passata? Non proprio. La vicenda ritorna nelle cronache in mcdo più o meno intermittente. La signora Toussan l'ha ricordata, ora con rabbiosa, ora con rassegnata tristezza. E anche il Presidente se la tira appresso come una specie di ombra.

Ma adesso grazie a un libro che s'intitola «Totò, Scalfaro e la... «malafemmina». (Edizioni Daga, 15 mila lire) a distanza di 42 anni si capisce per bene come l'Italia di allora visse quel piccolo ma emblematico evento. Commenti, battute, poesie, disegni d'epoca. E grazie alle ricerche archivistiche di Angelo Olivieri, già autore - guarda caso-di Sette anni di guai, storia satirica del Quirinale da De Nicola a Cossiga, viene fuori che anche Totò scese in campo contro Scalfaro. Al punto da indirizzargli una sdegnosissima lettera aperta che \'Avanti! pubblicò con il titolo: «Siamo uomini o...». Anche se non voleva affatto far ridere, Totò. O meglio come del resto si firma - il Principe Antonio Focas Flavio Comneno De Curtis.

Un Totò ottocentesco e sprezzante che con fraseggio aulico e dispiego di maiuscole interviene quasi più sul diniego di Scalfaro a incrociare le armi - anche la stessa Edith, buona spadaccina, e il marito Aramis, avevano gettato il guanto - che sulla (infelice) frase che aveva scatenato le tre richieste di duello: «Queste donne, a furia di esporsi senza alcun pudore, cessano di essere donne private per diventare donne pubbliche». Ecco, l'attore che pure in Totò, lascia o raddoppia fece una specie di parodia di quella sfida negata, reagì: «Non si pretende da Lei, dopo il rifiuto di battersi, una maggiore sensibilità per ciò che è avvenuto, ma si ha il diritto di esigere che in incidenti del genere, le persone alle quali il sentimento della responsabilità morale e cavalleresca è ignoto, abbiano almeno il pudore di sottrarsi al giudizio degli uomini, ai quali questi sentimenti e il coraggio - civile dicevano- ancora qualcosa».

Su questo polemico e sorprendente, reperto dell'«Avanti!» (Totò non era né un Socialista né un libertario, tantomeno un libertino), Olivieri ha una sua teoria secondo cui nell'intemerata deve esserci lo zampino del grande impresario Remigio Paone, vicino al psi. O forse, ma le due cose non sono in contrasto, il comico non pensasse anche di ribellarsi al sistematico massacro che i potentissimi critici del Centro cattolico cinematografico facevano dei suoi film: «Abbigliamenti immodesti», «situazioni immorali», «scollature». «Inutile negarlo - dice Olivieri le schede del Ccc (1) sembrano firmate da Scalfaro». E aggiunge: «Le sinistre saltarono subito a cavallo sul caso. Poi, ironia della satira, si accorsero che la Toussan era di destra e mollarono la presa».

Ma più in generale la battaglia, anche parlamentare, del prendisole, il duello pubblico e privato tra il futuro Capo dello Stato e la bella signora (che - autore ed editore ci tengono a dirlo - «non era affatto una "malafemmena"») è come mimmo indicativo di una temperie. Così, sempre con vignette di quei fatali 1949 e 1950 il libro documenta la sorda guerra degli umoristi contro quell'Italia sessuofobica appena conquistata dalla de: la crociata di Scelba contro i costumi da bagno, la censura alla Venere di Botticelli, le multe a chi si baciava per strada, i preparativi per il Giubileo con l'apposizione di foglie di fico sulle statue al Foro italico. Neanche troppo strano, dunque, quello scalpore «a motivo di belle spalle tormentate dal calore».

Poi un salto brusco di 42 anni. E trenta pagine di vignette sullo Scalfaro presidente della Repubblica e prima ancora presidente della Camera. Lo Scalfaro che in ideale prosecuzione con il «si copra!» di tanti anni prima grida: «Onorevole! Esca subito dall'aula! Questo non è un luogo dove ci si spoglia!». Sempre di caldo e di spalle più o meno nude, si tratta. Anche se stavolta non è una donna, ma l'incauto onorevole Borsano che a Montecitorio voleva togliersi la giacca.

Filippo Ceccarelli, «La Stampa», 29 novembre 1992


La replica: «mai distribuito sberle»

ROMA

Oscar Luigi Scalfaro non ha mai rievocato volentieri quella lontana vicenda del 1950. Ma subito dopo i fatti, alla Camera, reagì con fastidio. Di fronte a un'interrogazione parlamentare del socialista Francesco Geraci, che voleva sapere se Scalfaro avesse violato la legge insultando la signora Toussan dopo le sue reazioni, l'allora semplice deputato democristiano disse di essere «meravigliato» che l'iniziativa partisse «proprio da Geraci, un figlio di quella terra di Calabria dove si ha il culto della famiglia e si venera la donna, giungendo persino al duello rusticano per lei...».

Più avanti, il Presidente tornò sull'episodio, negando decisamente che l'alterco fosse arrivato allo scontro fisico: «Ogni tanto nella mia vita qualcuno parla di schiaffi - disse il Capo dello Stato -. Dati o ricevuti. La verità è che non ne ho mai né dati né ricevuti. E comunque non ritengo degradante ricevere uno schiaffo, ma darlo».

[r. i.], «La Stampa», 29 novembre 1992


Totò e Fellini per l'onore di una signora

ROMA

Un tempo si moriva per una lite. Ma con quale eleganza, con quanta classe. Altro che le risse da ingorgo o da fila alle poste, pane quotidiano di una civiltà condannata all'isteria collettiva. Prendiamo per esempio uno dei cento e più Duelli mortali raccolti da Iacopo Gelli, ufficiale di cavalleria autore del Codice cavalleresco italiano scomparso nel 1935 (il volume e riproposto dalla Sugarco nella collana Tasco ad appena 16.000 lire): «Il 2 febbraio 1889 il capitano d’artiglieria Tégalmy ebbe da questionare con un velocipedista. al Calvayrac. Un duello alla spada fu tosto combinato e a Saint-Céré (Lot), dove avvenne, il povero capitano Tégalmy riceveva un colpo formidabile in pieno petto che lo spediva all’altro mondo!».

[...]

Le tenzoni, negli anni Novanta, si convocano sul video, alla radio, sui giornali. Eppure il duello ha esercitato il suo fascino romantico fin quasi ai nostri giorni. Basta sfogliare un altro libro recentemente uscito, «Totò, Scalfaro e... la malafemmina» di Angelo Olivieri (edito da Daga). Sullo sfondo la famosa vicenda del 1950, quando Oscar Luigi Scalfaro, giovane sottosegretario, ebbe da ridire in un ristorante sull'abbigliamento di una giovane signora, Edith Toussan, giudicato troppo azzardato per colpa di un prendisole tolto dalle spalle rimaste cosi nude. Nell'anno di grazia 1992 sia la signora che l’attuale presidente della Repubblica ricordano con un comprensibile fastidio quel giorno di quaranta e più anni fa.

Allora, nell'Italia appena repubblicana e da poco uscita dagli orrori della guerra, il pubblico battibecco tra un deputato dc cattolico osservante e una bella donna dalle spalle scoperte fece la gioia dei vignettisti: il Marc'Aurelio e il Travaso camparono di rendita per settimane. Fatto sta che Scalfaro si ritrovò tra le mani tre sfide a duello: del padre e del marito dell’insultata e della stessa Edith, lei stessa eccellente schermitrice. Tutte rifiutate per motivi religiosi, almeno così riportarono le gazzette.

Ma veniamo al libro: Olivieri ripubblica una lettera che porta la firma del principe Antonio Focas Flavio Comneno de Curtis, alias Totò. Nella missiva aperta a Scalfaro, pubblicata da alcuni giornali, il principe di Bisanzio lo rimprovera: «Abusi del genere comportano l'obbligo di assumerne le conseguenze, specialmente per uomini responsabili...».

La faccenda del mancato duello divertì Federico Fellini, che lo citò nel suo episodio di «Boccaccio ’70»»: in un filmino comico muto, Peppino De Filippo (nel ruolo di don Antonio) ripete la scena del bacchettone che si infuria per quelle spalle scoperte. [...]

Paolo Conti, «Corriere della Sera», 8 dicembre 1992


NOTE

(1) Il Centro Cattolico Cinematografico (uno dei quattro Centri che compongono L'Ente dello Spettacolo; gli altri sono il Centro Teatrale, il Radiofonico e il Televisivo) inizia la sua attività ufficiale nel 1936, anche se di fatto già operante da un anno. Nel giugno del 1936, infatti, Pio XI affronta nell'enciclica "Vigilanti Cura" il complesso fenomeno del cinema e sottolinea la necessità che "in ogni paese i vescovi istituiscano un ufficio permanente nazionale di revisione, con lo scopo di promuovere i film buoni, classificare tutti gli altri e farne giungere i giudizi ai sacerdoti e ai fedeli". Collaborò unitamente ai vari uffici censura ministeriali che si sono succeduti negli anni.


Riferimenti e bibliografie:

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • L'Avanti!
  • L'Europeo
  • Corriere della Sera
  • Corriere d'Informazione
  • La Settimana Incom Illustrata
  • La Stampa
  • Il Piccolo di Trieste
    Il Paese

  • "Totò, Scalfaro e... la malafemmina" di Angelo Olivieri - Edizioni Daga
  • Disegno di Giuliano, 1992 - Disegno di Contemori, da Linus 1992
  • Bio - Oscar Luigi Scalfaro su wikipedia.it