ANIMALI PAZZI
Signora, lei è una tigra, una pantera, un puma!
Barone Tolomeo de' Tolomei
Inizio riprese: dicembre 1937, Stabilimenti Titanus
Autorizzazione censura e distribuzione: 12 aprile 1939
Titolo originale Animali pazzi
Paese Italia - Anno 1939 - Durata 72 min. - B/N - Audio sonoro - Genere Commedia - Regia Carlo Ludovico Bragaglia - Soggetto Achille Campanile - Sceneggiatura Gaetano Campanile, Mancini, Ivo Perilli - Casa di produzione Titanus - Distribuzione (Italia) Odit - Fotografia Piero Pupilli, G. Ruffini - Montaggio Giacinto Solito - Musiche Ezio Carabella, Luigi Colacicchi - Scenografia Nino Macarones, Antonio Valente
Totò: il barone Tolomeo de' Tolomei, Totò - Lilly Hand (Lilia Dale): Ninetta, la fidanzata - Luisa Ferida: Maria Luisa, l'amante - Calisto Beltrame: Fabrizio, il maggiordomo - Dina Perbellini: la direttrice dell'ospedale - Claudio Ermelli: il notaio - Bianca Stagno Bellincioni: zia Eloisa - Rafaele Giachini: il pretendente - Cesare Polacco: il creditore - Giuseppe Pierozzi: il veterinario - Pina Gallini: proprietaria Cavallo Pazzo - Enrico Gozzo
Soggetto
Totò, uomo solo al mondo e senza una lira, tenta varie volte il suicidio finché non incontra un suo sosia, il barone Tolomeo de' Tolomei al quale un suo zio, da poco defunto, ha intestato una grossa eredità in vista del matrimonio con la cugina Ninetta; ma nel testamento è anche scritto che, qualora i due non dovessero convolare a nozze, l’ingente somma andrebbe ad una clinica per animali pazzi. Tolomeo, per liberarsi di Maria Luisa, la gelosissima amante, obbliga il suo sosia a restare nella sontuosa villa della cugina Ninetta per 2 giorni per poter escogitare al meglio il piano di fuga. Tuttavia Maria Luisa scopre l'inganno ed obbliga il barone a restare con lei ed impedendogli, quindi, di convolare a nozze con la cugina che, invece, sposerà Totò, avendolo amato dal primo momento.
Critica e curiosità
Girato due anni dopo il primo film del comico napoletano Fermo con le mani!, ebbe ancor meno successo del film precedente. Sebbene girato con ottimi apporti tecnici e con alcune lievi innovazioni per l'epoca nel montaggio (come la pellicola all'indietro e l'effetto speciale del cavallo sul tetto), non fu accolto molto bene nemmeno dalla critica, tanto che venne presto dimenticato.
Il film rischiò addirittura di andare perduto: nel 1970 infatti un'organizzazione di cineclub preparando una rassegna a Roma di film del comico napoletano non trovando alcuna copia del suddetto film iniziò a dichiarare che il film fosse andato perso. Solo dopo lunghe ricerche ne fu ritrovata una copia in pellicola, molto rovinata, graffiata e tagliuzzata (più corta di due minuti e mezzo circa rispetto al metraggio originale del visto censura d'epoca), da una piccola agenzia di Napoli che noleggiava film per le navi. Questa copia ad oggi, dalla quale furono tratte poi tutte le altre sia in pellicola che in VHS o DVD, è l'unico materiale del film tuttora esistente: cosa che ha finora reso impossibile un adeguato restauro.
"I film di Totò, 1930-1945: l'estro funambolo e l'ameno spettro" (Alberto Anile), Le Mani-Microart'S, 1997
Così la stampa dell'epoca
Articoli d'epoca, anno 1939
Antonio e Diana, un amore difficile
L'ultimo Tarzan (1939)
Volti nuovi per il cinema italiano: Totò
Nuovi film: «Animali pazzi»
Totò, il nemico dei riflettori
Il film, tratto da un soggetto di Achille Campanile, in cui Totò interpreta due ruoli, quello del barone Tolomeo dei Tolomei e del suo sosia Totò, è imperniato su un'eredità contesa. Da un lato c'è il barone che potrà entrarne in possesso solo dopo le nozze, dall'altra incombono i proprietari di un improbabile manicomio veterinario, ai quali toccherebbe l'eredità se Tolomeo restasse scapolo. [...]
Matilde Amorosi
Achille Campanile ha scritto un soggetto cinematografico che il produttore Gustavo Lombardo ritiene adatto per la interpretazione del comico Totò, legato a quest’ultimo da un contratto.
«Gazzetta di Parma», 20 ottobre 1937
Io muoio disperato!» (titolo non definitivo) della Casa «Titanus» ; soggetto di Achille Campanile, sceneggiato da E. M. Margadonna; regia di C. L. Bragiaglia; protagonista: Totò. Stabilimento: Farnesina.
«Gazzetta di Parma», 3 novembre 1937
Un film comico di Campanile
«Totò N. 2» è il titolo provvisorio del nuovo film comico, che da qualche giorno si gira alla Farnesina. Direttore di produzione Bassoli, regista C. L. Bragaglia. Gli interpreti principali sono Totò, comico, ormai noto a tutte le platee d’Italia, e Luisa Ferida che si è affermata attraverso una serie di filmi che saranno varati quest'anno. Il lavoro prosegue alacremente, e da quanto è dato sapere si gira «Un salotto in casa di Tolomeo». Si assicura che il film è comico al cento per cento, e ciò fa prevedere un’ottima accoglienza da parte del pubblico.
«Gazzetta di Parma», 8 dicembre 1937
Il secondo film di Totò
«Totò N. 2» è il titolo provvisorio del nuovo film comico, che da qualche giorno si gira alla Farnesina. Direttore di produzione Bassoli, regista C. L. Bragaglia. Gli interpreti principali sono Totò, comico, ormai noto a tutte le platee d’Italia, e Luisa Ferida che si è affermata attraverso una serie di film che saranno varati quest’anno. Il lavoro prosegue alacremente, e da quanto è dato sapere si gira «Un salotto in casa di Tolomeo». Si assicura che il film è comico al cento per cento, e ciò fa prevedere un’ottima accoglienza da parte del pubblico.
Geo, «Il Piccolo della Sera», 11 dicembre 1937
«[...] Alla Farnesina negli stabilimenti della «Titanus», C. L. Bragaglia, coadiuvato nella regia da Ivo Perilli, ha iniziato in questi giorni la lavorazione di un film comico che ha a protagonisti: Totò (al secolo il marchese Antonio de’ Curtis» e Luisa Ferida, dal titolo: Il neo col pelo. [...]»
«Il Messaggero», 12 dicembre 1937
Alla Farnesina hanno avuto inizio le riprese del film «Io muoio disperato!» prodotto dalla Titanus con la regìa di Carlo Ludovico Bragaglia. Il soggetto è di Achille Campanile o la sceneggiatura di Ettore Maria Margadonna e Bragaglia. Protagonista: il comico Totò circondato da un gruppo di simpatici e noti attori di prosa e di rivista.
«Gazzetta di Parma», 15 dicembre 1937
Alla Farnesina continuano le riprese del film «Io muoio disperato», prodotto dalla Titanus e diretto da C. L. Bragaglia con la interpretazione del comico Totó, intorno al quale agiscono ottimi elementi.
«Gazzetta di Parma», 22 dicembre 1937
Cinema Gira
IO MUOIO DISPERATO! (titolo provvisorio), film comico, soggetto Achille Campanile, sceneggiatura di Ettore M. Margadonna e Carlo Ludovico Bragaglia, regista Carlo Ludovico Bragaglia, protagonista Totò
«Cinema», anno II, n.34, 25 novembre 1937
Volevamo parlare con Totò. Sapevamo che ad una data ora doveva trovarsi a casa del regista del suo prossimo film Io muoio disperato, Carlo L. Bragaglia. Ma, appena entrati, sostammo sorpresi e mortificati. Sedie, poltrone e divani erano occupati da una piccola folla di persone. Alla prima occhiata potevano anche sembrare scolari radunati per una lezione. Infatti stavan lì, composti ed attenti, e non battevano ciglio.
Un uomo, seduto di fronte ad un tavolo sul quale stavano sparpagliate molte carte, ci voltava le spalle. Ne vedevamo appena la nuca, ma lo riconoscemmo. Era Carlo L. Bragaglia. Quei signori dall'aria di scolaretti erano degli attori ed ascoltavano, dal loro regista, la lettura del copione. Ci ritirammo in buon ordine: forse avevamo portato un po’ di scompiglio.
Totò fu « distaccato » dalla compagnia. La lettura subì una sosta. Qualcuno barbottò contrariato:
- Voi avete visto l’altro mio film Fermo con le mani? - ci chiese Totò.
- Sì, - rispondemmo.
- Mi dispiace! - disse Totò scuotendo la testa, - quello per me ha semplicemente il valore di un provino. Può fornire solo indicazioni generiche su di me. Credo, invece, che questo nuovo film sarà qualche cosa di nuovo, forse (e non Io dico io) anche la creazione di un tipo comico diverso dagli altri esistenti nella cinematografia internazionale. Ci si sono messi Achille Campanile, al quale si deve l’idea del soggetto, Gaetano Campanile Mancini, lo stesso Achille Campanile, Bragaglia e Perilli i quali hanno lavorato alla sceneggiatura. Ed ora che si dovrà cominciare in teatro mi ci aggiungo io. Io, tutto io, in un doppio ruolo, in cui avrò la possibilità di impiegare quelle che sono le mie risorse interpretative, non esclusa la mimica e non esclusa la mia bazza.
Qui Totò si mise di fronte, di tre quarti e di profilo, sollevò la bazza, piegò la testa e dischiuse la bocca.
- Avete capito? - ci disse.
Poi tacque. La bocca rimase semiaperta, lo sguardo era distante e melanconico.
- Ne risulterà — riprese dopo un momento, - un film comico-lirico che, nella letteratura, potrebbe avere un esempio in Chiarastella proprio di Achille Campanile. Il racconto procede con una serratissima logica di immagini e di azioni, col dialogo ridotto al minimo necessario, quasi a creare un'armonia mimica di valore musicale.
«Cinema», 10 dicembre 1937
«Il Mattino Illustrato», 10 aprile 1939
Achille Campanile è l'autore, Carlo L. Bragaglia è il regista, Totò e Luisa Ferida sono gli interpreti del più burlesco, paradossale, sconcertante, divertentissimo film della stagione: "Animali pazzi"». E' un ritmo indiavolato di trovate comiche, è una valanga di risate, che scuoterà allegramente anche i più scettici della risata. La parata dell'allegria inizia da oggi al Cinema Corso.
«Corriere della Sera», 16 aprile 1939
Se per le ore dodici di un determinato giorno Tolomeo non avrà impalmato una certa cugina che gli è destinata, la vistosa eredità di cui ha urgentemente bisogno sarà trasferita per volontà dello zio testatore alla Casa di cura per animali pazzi. [...] Su questo matto spunto farsesco Campanile, dando libero corso alla fantasia, ha intessuto una girandola di umoristiche trovate che potevano raggiungere un effetto se produzione, interpretazione e regia le avessero concretate sempre con quello stile veloce. funambolo e grottesco che razione richiedeva. Tutte le scene del principio con l'incontro dei due Totò, la prima metà dell’episodio in cui Totò monta il cavallo pazzo. possono più o meno servire come esempi di quello stile: la descrizione della clinica zoofila, il trattamento terapeutico di Totò, o l'episodio del sicario, possono servire come esempi del contrarlo. Totò prodiga tutte le risorse della sua acidula e marionettistica buffoneria, però con questo secondo saggio, mi pare ch'egli abbia confermato i limiti delle sue possibilità cinematografiche. Luisa Ferida è per il suo temperamento poco a posto in una parte paradossale; cosi Lillia Dale. Musichetta scorrevole.
Filippo Sacchi, «Corriere della Sera», 18 aprile 1939
All'Edison "Totò"
Totò, il simpatico attore, prìncipe del varietà, ha riscosso un entusiastico successo nella sua prima apparizione allo schermo, in una delle sue più indovinate creazioni : «Animali pazzi», ed il numeroso pubblico che assisteva alla spassosa proiezione ha trascorso due ore allegramente, divertendosi un mondo alle umoristiche trovate di Totò, comico insuperabile.
«Gazzetta di Parma», 30 aprile 1939
Totò, il simpatico attore comico del varietà, ha richiamato tutti i suoi numerosi ammiratori ad applaudirlo nella sua prima presentazione cinematografica : «Animali pazzi», un film di grande comicità che raggiunge in pieno lo scopo di divertire e rimandare il pubblico soddisfatto.
«Gazzetta di Parma», 2 maggio 1939
«Animali pazzi», la spassosa creazione di Totò, il celebre comico italiano, ritorna questa sera vivamente attesa allo schermo del Lux. E' un film che piace e diverte ed assicura allo spettatore una larga provvista di buon sangue.
«Gazzetta di Parma», 14 luglio 1939
Un’ora continua di risate ha ha goduto il numeroso pubblico, che ieri sera assisteva alla ripresentazione del piacevolissimo film «Animali pazzi», una spassosa creazione di Totò, il miglior attore comico del varietà italiano.
«Gazzetta di Parma», 15 luglio 1939
Ieri avrei acceso luminarie per Animali Pazzi che segna coi suoi difetti la nascita del «comico» — materia da esportare — oggi rivolgo una parola d'incoraggiamento al realizzatore di un’avventura con il brivido. Gambino sta preparandone un altro, due altri, migliorerà; e intanto la strada è aperta, se permette ai miei colleghi e a me alcune modeste raccomandazioni.
Primo, si sforzi di più per il soggetto. Il finale, ossia in chiave della vicenda, è vecchio, già usato uguale, preciso, molti anni fa. Il dialogo troppo pulito, ben scritto. Ma quello che non mi va per niente sono le facce, dolente sembra finto, così pallido e immobile, Lombardo con il suggeritore vicino che dice: corrugare la fronte, dilatare le narici. Il capitano è proprio un tipo patibolare, benissimo, ce ne volevano due dozzine.
Paola Barbara e Silvana Jachino lasciano intravvedere bellissime forme, troppo fugacemente. Lasciateci divertire, io non sono vecchio e affermo che il nudo, espresso con saggezza, sarebbe apprezzato nei nostri film come lo apprezziamo nei film stranieri.
Evviva il crepitio delle mitragliatrici, l’urlo nel buio, gl’inseguimenti delle automobili, ma cerchiamo i volti fuori dal teatro, gente che si sporchi di fango e di olio senza paura. In tutto il film dolente, non si scompone un ricciolo. O anima di Salgari, fa ch’egli si trovi una notte davanti a un thug : vedremo i suoi lineamenti sconvolti, finalmente, dal terrore vero.
Cesare Zavattini, «Tempo», anno III, n.3, 15 giugno 1939
Calorose accoglienze sono state tributate a Totò, il simpatico comico del varietà italiano, nella sua spassosa creazione : «Animali pazzi», un film che piace e diverte al massimo grado. Oggi ultime visioni. Domani: Il mastro di posta, uno spettacolare dramma con Harry Baur.
«Gazzetta di Parma», 16 luglio 1939
L'esperimento di portar di peso sullo schermo gli attori di teatro ha dato innegabilmente buoni frutti, e non è qui il caso di discuterlo. Si potrebbe, se mai, rimproverare ai registi la passività con cui essi si adattano all'esperimento stesso rinunciando in anticipo a render cinematografica l'interpretazione dei "divi" teatrali e lasciando il campo aperto alla più assoluta teatralità. Di questa passività Animali pazzi è un esempio; ma aggravato dal fatto che Totò non è un Gandusio o un Tofano e non è - ci perdonino i suoi molti ammiratori - nemmeno un artista nel vero senso della parola: è semplicemente un macchiettista bravo e capace fin che si vuole, limitatissimo nelle sue trovate e espressioni.
Le conosciamo tutte a mente, ci possono magari divertire se ci vengono ammannite tra uno spettacolo e l'altro, in quel quarto d'ora nel quale, dopo l'attenzione cui ci ha costretti il film, si riposa volentieri la mente nelle quattro scempiaggini del varietà; ma un ora e mezzo di Totò, francamente è troppo! E danneggia lo stesso Totò, che sullo schermo non si trova assolutamente al suo posto. Il film è stato fischiato».
vice, «Il Tevere», Roma, 21-22 agosto 1939
Più che una collezione di animali pazzi, e questa una raccolta di tipi pazzi; lepidamente e buffonescamente pazzi. [...]. Data l'impostazione, capirete facilmente che tutto lo sviluppo si presta a una serie di situazioni buffe, che vengono sfruttate da Totò al massimo. E' insomma un piacevole film estivo. Il soggetto e di Campanile e la regia di C. L. Bragaglia. Oltre a Totò che è i! personaggio dominante le altre parti principali sono sostenute da Luisa Ferida e Liliana Dale Hend.
Vice, «Il Messaggero», 22 agosto 1939
Se non c'inganniamo, tempo fa, quando questo film stava per entrare, come s'usa dire in linguaggio tecnico, nella fase della lavorazione, nei notiziari cinematografici apparve un comunicato che lo annunciava col titolo: «Il neo col pelo». Non ricordiamo più dove abbiamo letto tale notizia (probabilmente sulla nostra stessa rivista), ma ricordiamo benissimo l'impressione che abbiamo ricevuto dal titolo del film: un’impressione, come dire, di disagio e forse di oscenità. Dietro quel titolo, che subito ci destò l'immagine d’un facile libertinaggio letterario come si verificò in Italia negli anni del dopoguerra, vedemmo non solo uno stile e un gusto tanto precisi quanto incresciosi, ma la mentalità più propria, in generale, della produzione che meglio vorrebbe solleticare il pubblico delle platee. Senonchè «II neo col pelo» è una frase che rientra piuttosto nel linguaggio erotico e scurrile dei vecchi scapoli con i baffi tinti, di un pubblico insomma non troppo esteso nè troppo vario; ed è questa, supponiamo, una delle ragioni che poi avranno determinato il cambiamento del titolo. ANIMALI PAZZI non è in compenso un titolo molto brillante per un film comico, nè forse del tutto adatto. In ogni modo ha servito a togliergli ogni equivoca enunciazione. «Il neo col pelo» era un titolo ambiguo, fatto apposta per adescare, mentre invece il film non ha nulla di licenzioso. Le sue licenziosità, se così si possono chiamare, riguardano semmai il lato «artistico» di esso.
E in tal senso si può ben dire che gli autori non hanno avuto rimorsi e parsimonie nel dar mano ad un patrimonio stilistico trafugato dalle migliori casseforti. Ma come il denaro rubato viene di solito speso senza criterio nè effettivi vantaggi, cosi le varie maniere di Charlot, di Ridolini, dei Marx, di Clair e magari del più remoto Cretinetti, alle quali si è chiesto aiuto e sostegno per questi ANIMALI PAZZI, finiscono con tessere adottate a sproposito e messe al servizio della comoditii più illecita e sfacciata purché utile a mandare avanti una vicenda che voleva apparire comica e satirica ad ogni costo. Sicché di veramente comiche, nel film, non rimangono che le illusioni dei loro autori, pur tanto fiduciose nelle estetiche più intelligenti.
Quasi che Achille Campanile e C. L. Bragaglia, tanto per citare i nomi degli autori, non ci avessero dato sempre, nella letteratura o nel cinema, prove assai ordinarie, melanconiche quando non addirittura sbagliate, ci recammo a vedere il loro film con una improvvisa speranza. Eravamo appena tornati dalle vacanze, il nostro animo era pieno d'ottimismo. Nostra fu dunque la colpa, se il film ci fece ridere di noi stessi; senza contare che il funambolismo provinciale di Totò, che sullo schermo si prodigava senza risparmio, con l'infaticabile cocciutaggine degli attori del varietà, sembrava pigliarsi gioco della nostra debolezza. Questo Charlot per i poveri voleva proprio farci fare una pessima figura.
«Cinema», 25 agosto 1939
Se non c'inganniamo, tempo fa. quando questo film stava per entrare, come s’usa dire in linguaggio tecnico, nella fase della lavorazione, nei notiziari cinematografici apparve un comunicato che lo annunciava col titolo : « II neo col pelo ». Non ricordiamo più dove abbiamo letto tale notizia (probabilmente sulla nostra stessa rivista), ma ricordiamo benissimo l’impressione che abbiamo ricevuto dal titolo del film : un’impressione, come dire, di disagio e forse di oscenità. Dietro quel titolo, che subito ci destò l’immagine d’un facile libertinaggio letterario come si verificò in Italia negli anni del dopoguerra, vedemmo non solo uno stile e un gusto tanto precisi quanto incresciosi, ma la mentalità più propria, in generale, della produzione che meglio vorrebbe: solleticare il pubblico delle platee.
Senonchè « Il neo col pelo » è una frase che rientra piuttosto nel linguaggio erotico e scurrile dei vecchi scapoli con i baffi tinti, di un pubblico insomma non troppo esteso nè troppo vario; ed è questa, supponiamo, una delle ragioni che poi avranno determinato il cambiamento del titolo. animali pazzi non è in compenso un titolo molto brillante per un film comico, nè forse del tutto adatto. In ogni modo ha servito a togliergli ogni equivoca enunciazione. « Il neo col pelo » era un titolo ambiguo, fatto apposta per adescare, mentre invece il film non ha nulla di licenzioso. Le sue licenziosità, se cosi si possono chiamare, riguardano semmai il lato « artistico » di esso; e in tal senso si può ben dire che gli autori non hanno avuto rimorsi e parsimonie nel dar mano ad un patrimonio stilistico trafugato dalle migliori casseforti.
Ma come il denaro rubato viene di solito speso senza criterio nè effettivi vantaggi, cosi le varie maniere di Charlot, di Ridolini, dei Marx, di Clair e magari del più remoto Cretinetti, alle quali si è chiesto aiuto e sostegno per questi animali pazzi, finiscono con l’essere adottate a sproposito e messe al servizio della comoditi più illecita e sfacciata purché utile a mandare avanti una vicenda che voleva apparire comica e satirica ad ogni costo. Sicché di veramente comiche, nel film, non rimangono che le illusioni dei loro autori, pur tanto fiduciose nelle estetiche più intelligenti.
Quasi che Achille Campanile e C. L. Bragaglia, tanto per citare i nomi degli autori, non ci avessero dato sempre, nella letteratura e nel cinema, prove assai ordinarie, melanconiche quando non addirittura sbagliate, ci recammo a vedere il loro film con una improvvisa speranza. Eravamo appena tornati dalle vacanze, il nostro animo era pieno d’ottimismo. Nostra fu dunque la colpa, se il film ci fece ridere di noi stessi; senza contare che il funambolismo provinciale di Totò, che sullo schermo si prodigava senza risparmio, con l’infaticabile cocciutaggine degli attori del varietà, sembrava pigliarsi gioco della nostra debolezza. Questo Charlot per i poveri voleva proprio farci fare una pessima figura.
Gino Visentini, «Cinema», anno IV, n. 76, 25 agosto 1939
Qualche anno fa, coi suoi giuochi di palcoscenico, il comico Totò aveva suscitato l'interesse di buon numero di artisti e letterati, e al Teatro Principe andavano a sentirlo (oltre al suo vero pubblico, quello della periferia), i raffinati e gli intenditori. II genere di comicità del nobile Antonio de Cupis (cosi, se non erriamo, si chiama il nostro eroe) si basava, e si basa tuttora, su una mimica quasi acrobatica, su battute sciocche e più ancora sulla facilità di intendersi col pubblico ai danni di ogni cosa. Quindi veniva facile parlare di fumismo, funambolismo, commedia dell'arte, eccetera: e fu appunto in virtù di questi richiami che Totò venne affiancato a Charlot e intervistato persino dall' Italia letteraria. Messo su una china tanto pericolosa, Totò avrebbe finito col recitare Molière e Pirandello e scrivere libri di ricordi, se non l’avesse salvato il buon senso napoletano. Difatti seguitò a girare i teatri con incredibili compagnie di varietà, a inventare le sue scenette, a battersi il petto ruggendo furiosamente ed agli attori stupefatti spiegare: «Sto pregando, che uno deve essere ateo?», ad essere sciocco e furbo come Pulcinella sempre suscitando un ragionevole entusiasmo; poiché al pubblico poco importa se una comicità è cristallizzata, addirittura arida: non sono le intenzioni che lo divertono, ma i gesti, le battute, i doppi sensi che, formando una specie di gergo, un cifrario anzi, per esseri gustati richiedono l’appartenenza alla parrocchia.
E, con una facilità che può essere male interpretata, dato il nostro incarico, di un tale pubblico apprezziamo pienamente i gusti: il fatto è che l'apparato teatrale, l'intesa tra palcoscenico e platea, tra comici e musicanti e tutte le ingenue macchinazioni di di uno spettacolo, mettono facilmente di buon umore e Totò, in un clima simile, finisce sempre col trionfare. Non è cosi quando con le stesse battute, gli stessi gesti (ingranditi e particolareggiati dall'obiettivo) egli ci appare sullo schermo. Allora il nobile De Cupis rimane vittima del suo stesso gioco e appare soltanto come un macchiettista, incapace di legarsi ad altri personaggi, di emulsionarsi.
Di questo suo difetto dette una prova lampante in un primo film: ora con gli odierni Animali pazzi, di Achille Campanile, riconferma la sua impossibilità di essere attore, di far vivere cioè un personaggio senza cadere nell'abuso di quella sicurezza offensiva, quel narcisismo, quel continuo ammiccare al pubblico che risultano le sue sole capacità: perché più che interpretare una parte egli seguita ad essere il solito Totò, trasportando sullo schermo il bagaglio superfluo del palcoscenico, forse convinto che ciò basti.
A sua discolpa Totò potrebbe addurre che in questo film i personaggi affidati alla sua cura e i fatti che avrebbe dovuto animare sono stiracchiati, convenzionali, dettati da un gusto in cui certo (volendo) si può riconoscere l'ingegno del fortunato autore di storie umoristiche, ma soltanto per ciò che di quelle storie forma il fondo deteriore e meccanico: ossia per l'uso di trucco professionale, di una cifra da rubrica, che consiste quasi sempre nel capovolgere le situazioni, i caratteri e la norma comune.
Di questa malattia ereditaria il film soffre parecchio e infine soccombe: la «clinica degli animali ammalati di nervi» (per soprammercato la lunga e inutile presentazione di questi animali è fatta con vecchi brani di film zoo-comici), il sicario pauroso, l'aria alla Ridolini di certe scene e altre trovate simili, finiscono con l'annoiare sinceramente: sono invenzioni che in un racconto umoristico passano, ma in un soggetto cinematografico, appiccicate e infilzate per il solo gusto di prendere tempo, disturbano; lo schermo, imitando il pubblico, proprio non le sopporta.
In questo film, a C. L. Bragaglia non è restato altro scampo che ripiegare coraggiosamente sulla cura dei particolari e sulla recitazione dei caratteristi, molto dignitosa. Pressato da tante incongruenze, il regista ci ha fatto pensare a chi, avendo una castagna bollente in mano, non voglia gettarla e perciò salti e soffi disperatamente.
Ennio Flaiano, «Oggi», 26 agosto 1939
Antonio de Curtis: Carneade chi era costui? Antonio De Curtis non lo conosce nessuno; pochissimi, verosimilmente, avranno notato questo nome che figura sui manifesti come quello dell'autore della rivista che interpreta Totò. Tutti se ne fregano di chi ha stillate dal proprio cervello le laboriose battute e i brillantissimi “gag” che l'originalissimo Totò presenterà poi sulla scena al pubblico, provocando risate spesse volte convulse, ma forse non dispiacerà al pubblico conoscere che l'autore delle riviste della Compagnia Totò, quell’assai poco noto Antonio de Curtis che usava presentarsi in tutte le lettere (quanto più suggestiva la riservatezza di un Ripp o Nanni o di un Bel Ami) non è altri che il popolarissimo Totò, l'eroe di tante indimenticabili serate per piccoli e grandi. Come a dire che il popolare attore napoletano ha trovato nel suo autore il collaboratore ideale!
Del resto l'esempio viene dall'alto: i De Filippo interpretano prevalentemente roba scritta dai… De Filippo. Totò interpreta quella di Totò. Già sarebbe strano il contrario. Perché i sarcasmi e le lepidezze del famoso Totò non possono uscire che dal suo cervello. E per essere napoletano è cervello quello di Totò discretamente vulcanico, che ogni anno il suo bagaglio si arricchisce di trovate sempre originali, di impensabili stramberie e di quei famosi ”intercalare” che costituiscono ormai l’indispensabile “marchio di fabbrica” dell'umorismo Decurtisiano. Ad ”appunto dico” è succeduto quest'anno ”Indovina un po'”: battute sulla cui irresistibilità ognuno potrà levare dubbi o che non sia capitato di sentire dalla viva voce di Totò.
Peraltro non è questo il più luminoso aspetto della tecnica dal ridere costruita dal piccolo grande napoletano: soprattutto noi pensiamo sia dovuta l'audacia di certe trovate, quelle famose battute ricostituenti una realtà del tutto irrazionale e non pertanto verosimilissima, i giochi di parole che invocano la suggestione ed il sillogismo perfetto e trascinano irresistibilmente la mente dello spettatore all'adorazione di quello che dopo parrà illogico, assurdo, paradossale.
E’ interessante però confrontare una serata passata in platea ad ascoltare Totò con quella passata personalmente con lui a fare quattro chiacchiere amichevoli. E’ notevole studiare il Totò in veste da camera. E poiché tale contingenza ci capitò l'anno scorso e ci era capitata quest'anno, promettiamo nel prossimo numero un'interessante divagazione sull' attore napoletano. Si parlerà di tante cose e non tutte strane, e si riporteranno anche le impressioni personali del grande attore sul suo ultimo film Animali pazzi che non ancora si è programmato a Bari.
Sarà, ve lo possiamo assicurare, una lieta preparazione alla visione del più strambo e divertente film che sia mai stato fatto: Animali pazzi. Il titolo, naturalmente, e roba sua.
Carricus, «Cine Sport», 12 settembre 1939
Cinelandia- Animali pazzi
Totò, l'uomo marionetta, il ben noto divo del mondo rivistaiolo ha girato il suo bravo film, come sembra ormai essere imprescindibile dovere di ogni attore di prosa e di lirica. Naturalmente la pellicola si basa tutta sulle smorfie e le contorsioni dell'attore, il quale se non in quattro si fa realmente in due, giacchè la vicenda di cui egli è doppiamente protagonista si impernia sulla figura di un caricaturale barone e del suo sosia. Detto ciò ben si può immaginare in che cosa consiste la commedia. Il solito scambio di persone che fa entrare in avventure strampalate questo e quello dei due somigliantissimi individui, crea equivoci, gioca tiri birboni, il tutto condito dai sullodati sberleffi e allungamenti di collo di Totò.
La trama è dovuta a Campanile ma dell'estrosa vena dell'autore che ebbe, alcuni anni orsono, una imponente fanfara di lodi non abbiamo visto apparire granché, se non l'idea di una bizzarra clinica per animali pazzi, ove è dato di vedere un gatto che abbaia, una tartaruga che salta ed altre simili amenità squisitamente campaniliana.
La regia ha esaurito tutto il suo compito inquadrando certe paradossali situazioni a base di trucchi cinematografici ben riusciti, ma, quanto a movimento vero e proprio, a vivacità, ed altri pregi che di solito costituiscono la vera virtù della direzione cinematografica, rivela poco o nulla.
A Totò viene invece lasciata completamente la briglia sul collo, ed egli gaiamente ne approfitta per sciorinare una serie infinita di smancerie alla Polidoro, lungo tutti i metri della prolissa pellicola.
Il film è di produzione Titanus per la regia di C. L. Bragaglia.
«Il Solco Fascista», 4 ottobre 1939
Fino a qualche mese fa non avevamo neppure una minima idea di quali potessero essere le possibilità cinematografiche di Totò. In meno di mezz'ora, invece, una sera, ci rendemmo conto ch'esse erano notevolissime per quantità e qualità. Volevamo conoscerne la più recente esperienza e vedere un po‘ se quel suo film, maltrattato dalla critica o freddamente accolto dal pubblico della prima visione, ci poteva offrire per lo meno qualche indizio sulle sue effettive attitudini. Fu soltanto al principio dell'ultima estate che, frugando negli elenchi cinematografici del « Messaggero », trovammo finalmente che Animali pazzi era in programma all'« Ottaviano », cinema rionale popolarissimo. Era di domenica e ne fummo contenti perchè sapevamo che — in materia di film comici — nessuna proiezione più istruttiva e sintomatica di quella domenicale in una sala di periferia.
Al film non eravamo ben predisposti e solo una vera curiosità per la prova di Totò ci aveva spinto in quella sala. Non avevamo trovato neppure posto a sedere e, in quel fittume di gente, l’atmosfera cosi pesantemente festiva non era davvero la più propizia per conquistarci favorevolmente. Ricordiamo poco o nulla del film, ma ricordiamo Totò che sullo schermo continuava ad essere infallibilmente Totò.
Ad ogni suo apparire il pubblico rideva e la risata nasceva piena e si propagava irresponsabile e contagiosa; restava nell'aria per rinnovarsi ancor più clamorosamente e bastava un semplice atteggiamento, un'espressione qualsiasi del protagonista a suscitare lo scoppio del più generale e felice ottimismo. Fu, appunto, in quel clima di totale e misteriosa euforia, che avemmo la prima rivelazione delle indiscutibili virtù comiche di Totò attore cinematografico. La stessa vicenda del film passava in seconda linea; poteva anche non interessare e persino non piacere. L'interessante, per noi, era che l'attore piaceva al pubblico, comunicava direttamente, faceva ridere.
E poiché la comicità secondo noi, consiste soltanto in questo; far ridere, potemmo infallibilmente apprezzare in Totò disposizioni cinematografiche di sicurissima qualità. Ne avemmo conferma più tardi assistendo alla lavorazione, prima, e alla proiezione poi, di alcune scene di San Giovanni decollato, divertentissime. Qui abbiamo avuto una misura ben più esatta del valore di attore che ha Totò. Quelle risorse comiche, naturali nella sua maschera ed istintive nel suo temperamento, si sono espresse con immediata autorità nell'interpretazione di un personaggio che aveva già avuto, in teatro, una esemplare definizione.
Totò ha « recitato » benissimo la parte di Agostino Miciacio rappresentandola alla Totò ma vivendola in tutta la sua più profonda e delicata sostanza umana. Ed è forse questo l'indizio migliore delle sue possibilità interpretative, che sono autentiche e che, in un attore proveniente dal teatro di varietà, possono definirsi veramente eccezionali.
Ci è piaciuta, inoltre, quella sua prontezza nel raccogliere gli insegnamenti e nel l'intendere felicemente i mezzi e i moti vi della recitazione cinematografica. Per un attore dai tratti e dai gesti così marcatì, la macchina da presa poteva rappresentare un pericolo. Totò lo ha superato disciplinando la sua nativa esuberanza partenopea, controllandosi e lasciandosi controllare, intuendo agevolmente le esigenze del cinema, dando a tutte le sue espressioni — anche alle più caratteristiche — il giusto limite e la giusta misura.
Spetta ad Amleto Palermi il merito di aver formato compiutamente la maturità cinematografica di Totò. Il regista ha saputo «portare» l'attore, come un fantino di classe può condurre un puro sangue in corsa. Lo ha « tenuto » alla partenza, gli ha fatto superare di volò i primi ostacoli, lo ha lasciato andare a vittoria sicura..E' stata la sua una « condotta » perfetta per intelligenza e accortezza. Ma Palermi ha dato, oltretutto, a Totò una materia comica, schietta, nutrita, di effetto sicuro. Sulla traccia della notissima commedia di Martoglio egli ha confezionato su misura l'abito adatto per il suo attore. Palermi ha fatto sbizzarrire l'estro portentoso delle sue improvvisazioni, seguendo le regole dell'arte con tutti quanti i ferri del mestiere. E ne è nato un lavoro chiaro, squillante, tutto italiano.
Terminata appena la lieta fatica del San Giovanni decollato, ecco già intenta ad un nuovo lavoro la coppia Palermi-Totò. Si gira a Cinecittà L'allegro fantasma, gaia vicenda dove Totò, in molteplici incarnazioni, moltiplicherà gli effetti della sua irresistibile comicità. Una comicità sostanziosa e franca, che arriva al pubblico immediatamente.
Silvano Castellani, «Film», 23 novembre 1940
Animali pazzi a Hollywood
Un perfetto sosia, che possa trarre in errore tutti, anche i più intimi, è cosa piuttosto rara nella vita; e forse, a quanto si dice, è riservato soltanto ai dittatori e agli uomini politici molto in vista. Ma nel teatro se nè incontrano a ogni piè sospinto. Per il teatro, il tema del sosia è vecchio- quanto il mondo e si direbbe, a giudicare da esso, che il mondo sia pieno di sosia. D’onde, i più ameni equivoci e scambi di persone. Perchè, a differenza della vita, nel teatro la fortuna d’avere un sosia non è riservata agli uomini politici in vista, che se ne possono servire per trarre in inganno gli attentatori, ma piuttosto agli uomini qualunque (vero è che oggi anche gli uomini qualunque sono uomini politici in viste; ma qui usiamo la locuzione nel vecchio significato); preferibilmente agli uomini qualunque giovani, che hanno anche una fidanzata, o un’amante, le quali sono le prime a cadere nell’equivoco. E' chiaro che la predilezione per questo tema è dovuta alla infinita quantità di situazioni comiche a cui esso dà origine e anche al fatto che esso permette a un attore di prodursi in due parti contemporaneamente, con effetti talvolta sorprendenti.
Naturalmente il cinematografo che, in quest’ultimo campo, ha possibilità tecniche ben maggiori del teatro, non poteva mancare d’impadronirsi d’un cosi bel tema. Invece delle rapide entrate e uscite del teatro, al cinematografo i trucchi, i mascherina i diaframmi, le controfigure, possono addirittura presentare l’attore che parla con se stesso, che stringe la mano a se stesso, che incontra se stesso. Tutte cose che sarebbero sorprendenti se il pubblico non fosse ormai ad esse abituato da anni. Per l’appunto circa dieci anni fa in Italia hi fatto un film imperniato sul sosia. S’intitolava « Animali pazzi » e in esso si vedeva Totò, che ne era il protagonista, sdoppiarsi in due parti e per l’appunto incontrare se stesso, stringere la mano a se stesso, parlare con se stesso. Naturalmente c'erano di mezzo un’amante e ima fidanzata, entrambe tratte in errore dalla rassomiglianza.
A un certo punto il Totò n. 1 stava per sposare la fidanzata del proprio sosia, che tardava ad arrivare, ma poi tutto s’accomodava con piena soddisfazione e sbalordimento di tutti i personaggi. Ricordiamo cosi bene la vicenda di quel film perchè, guarda caso, autore del soggetto e della sceneggiatura fu il sottoscritto. Ora, tutto quello che c’era in « Animali pazzi » c’è fedelmente nel « Sosia innamorato », c’è persino, all’ultimo, fedelmente ricalcata, la scena della sposa che, al momento delle nozze, viene piantata in asso dal presunto sposo, che corre a cercare il vero cui egli è sosia e che tarda ad arrivare; e c’è perfino il colpo finale dei due sposi identici che arrivano contemporaneamente da due partì, col particolare degl’invitati alle nozze che sbalorditi passano con gli occhi dall’uno all’altro.
Il regista del « Sosia innamorato » non fa niente di più — quanto a trucchi tecnici, mascherini e controfigure — di quel che fece a suo tempo Carlo Ludovico Bragaglia, che di « Animali pazzi » fu regista; anzi, il buon Carletto fece di meglio. Le sole differenze tra i due film sono:
a) che al posto di Totò c'è E. Powell;
b) che il « Sosia innamorato » è fatto dalla Metro Goldwyn Mayer con mezzi ben maggiori di quelli impiegati per « Animali pazzi » della Titanus;
c) che la sequenza centrale della clinica dove sono ricoverati gli animali pazzi è, nel « Sosia innamorato », sostituita dalla sequenza della parodia dei più noti attori di Hollywood; e, in un certo senso, si può dire che anche qui siamo, più o meno, fra animali pazzi.
Conclusione: si può dire che i due film imperniati sul tema del sosia sono l’uno il sosia dell'altro.
a. c., «L'Europeo», anno I, n.9, 30 dicembre 1945
Un ciclo cinematografico televisivo può arrivare a raffinatezze di fronte a cui i vecchi cineclub dovrebbero andare a nascondersi. Ieri la rassegna dedicata a Totò è partita con Animali pazzi, che è del 1939, e che è il secondo film girato dal comico napoletano e di cui esiste un'unica copia, quella che il curatore, Claudio G. Fava, è riuscito a rintracciare: copia tra l'altro fatalmente imperfetta. [...]
Era un incontro curioso, ma logico, tra Campanile e Totò, ossia tra un umorismo letterario e surreale e una comicità di antiche tradizioni popolari partenopee ma egualmente, e per le stesse caratteristiche fisiche dell'interprete, di stampo surreale. In Animali pazzi Totò è cinematograficamente ancora debuttante e il suo punto di riferimento è il palcoscenico di rivista (lo sarà, del resto, per diversi anni): tuttavia immette una presenza estrosa, strampalata, burattinesca che allora doveva apparire piuttosto originale.
Ho detto documento. Animali pazzi appartiene a quel gruppo di film comici della fine degli Anni 30 e inizio Anni 40 con cui l'Italia, autarchicamente ma con risultati interessanti ancorché sempre legati prevalentemente ad una matrice teatrale, cercava di crearsi un suo cinema «da ridere». E' superfluo ricordare che per tutto il decennio '30-'40 il cinema «da ridere» era stato quasi esclusivamente americano e che, oltre ai grandi modelli di Charlot, Buster Keaton. Harold Lloyd. la produzione media di Hollywood aveva clamorosamente sfondato con la coppia Stan Laurel-Oliver Hardy, i popolarissimi Cric e Croc, che anche qui in Italia riempivano le platee e rappresentavano il vertice dell'umorismo spicciolo. [...]
Ugo Buzzolan, «La Stampa», 13 ottobre 1979
La censura
Il film viene riammesso a circolare nel 1946 a condizione che sia eliminato dai titoli di testa e dalla pubblicità il nome dell'attrice Luisa Ferida.
REVISIONE CINEMATOGRAFICA DEFINITIVA
Il giorno 5 giugno 1946 è stato revisionato il film dal
titolo:
"ANIMALI PAZZI"
Marca: Titanus
Distribuzione : Titanus
Nazionalità: Italiana
Regia : C.L. Bragaglia
Interpreti: Totò, Luisa Ferida.
Si tratta di un film cromico basato sulla rassomiglianza di due persone.
Tutte le trovate farsesche della vicenda servono per dar modo al protagonista di prodursi nella sua "vis comica" di discutibile gusto.
Non vi è nulla da rilevare per quanto riguarda la politica e la morale.
La pellicola pertanto può essere riammessa a circolare limitatamente all'Italia centro meridionale, escluse le città di Roma, Firenze e Napoli e a condizione che sia eliminato dalla testata e dalla pubblicità il nome dell'attrice Luisa Ferida.
f.to IL CAPO SERVIZI DELLO SPETTACOLO
Roma, 8 giugno 1946
I documenti
Animali pazzi e 200 comparse
Animali pazzi, 1939 - Nella scena del matrimonio, il cui ricevimento doveva aver luogo in un grande salone, il copione prevedeva l'utilizzo di circa 200 comparse ma Lombardo dichiarò che non poteva pagarne più di trenta. Al montaggio, sommando le tre strisce si ottenne l'impressione di un gran ricevimento con moltissimi invitati.
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Copione ardito e complicato che non riesce nel suo intento e si rivela scombinato e nel complesso noioso. A tratti sembra più un esperimento cinematografico che una pellicola ordinaria. Consigliato ai completisti di Totò oppure a coloro che sono curiosi di vederlo agli inizi, ancora giovane e acerbo e distante da quello che poi sarebbe diventato agli occhi del grande pubblico.
- Già stroncato dalla critica coeva, il film è in effetti poca cosa. Oggi lo si considera solo sotto il profilo storico degli esordi di Totò. Tuttavia ci sono delle trovate che non sono male (il surrealismo della clinica degli animali pazzi con certo montaggio scattante, l'idea del sosia, l'amante con la bomba). Regia pseudo-futurista. Totò a metà strada tra se stesso e una macchietta non sempre godibile e controfigurata.
- Il problema del secondo film di Totò - come del primo, Fermo con le mani (1937) - è che i produttori, tentando di inventarsi una via italiana al film comico, non hanno trovato di meglio che "costringere" il Principe in un personaggino lunare e surreale (e, in questo caso, le esperienze futuriste di Bragaglia fecero il resto) un po' sul genere di Larry Semon (Ridolini). Ma Totò non è "quel" tipo di comico, si sente a disagio a impersonare un simile personaggio e il risultato deludente lo testimonia. Volenteroso, ma quasi insignificante.
- L'attore Totò e lo scrittore Achille Campanile sono due "autori" da ammirare per la loro genialità, ma "insieme" sono incompatibili. L'umorismo surreale di Campanile funziona sulla pagina, ma "tradotto" in immagini cinematografiche perde tutta la sua carica stralunata e diventa addirittura noioso. Totò viene trasformato dal regista Bragaglia in un pupazzo meccanico di stampo futurista, ma la sua recitazione viene punita nelle potenzialità farsesche e l'attore regredisce a marionetta primordiale e meccanica. Film modesto, pauperistico.
- MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Vanno a segno alcuni giochi linguistici nei quali sia Totò che Campanile sono maestri insuperabili; La rassegna degli animale pazzi nella clinica.
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo
I binari sui quali Totò si stende nel tentativo non riuscito di suicidarsi facendosi travolgere dal treno sono quelli della Stazione di Roma Tuscolana, situata in Piazzale della Stazione Tuscolana 9 a Roma. Grazie a Mauro per fotogrammi e descrizione. Nel momento dell’ingresso in scena di Totò si vede sullo sfondo l’edificio principale della stazione (A)
In quest’altra inquadratura si vede il capannone destinato alle merci (B), che l’esperto di stazioni ferroviarie Orsobalzo segnala come inusuale per la sua lunghezza rispetto agli standard tipici di questi edifici
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Totò, il nemico dei riflettori
Totò, l'«Allegro fantasma»
Totò, ovvero Pulcinella
Uomini a nolo (1937)
Volti nuovi per il cinema italiano: Totò
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1930-1945: l'estro funambolo e l'ameno spettro" (Alberto Anile), Le Mani-Microart'S, 1997
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- Documenti censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - www.cinecensura.com
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «Gazzetta di Parma», 20 ottobre 1937
- «Gazzetta di Parma», 3 novembre 1937
- «Gazzetta di Parma», 8 dicembre 1937
- Geo, «Il Piccolo della Sera», 11 dicembre 1937
- «Il Messaggero», 12 dicembre 1937
- «Gazzetta di Parma», 15 dicembre 1937
- «Gazzetta di Parma», 22 dicembre 1937
- «Cinema», anno II, n.34, 25 novembre 1937
- «Cinema», 10 dicembre 1937
- «Il Mattino Illustrato», 10 aprile 1939
- «Corriere della Sera», 16 aprile 1939
- Filippo Sacchi, «Corriere della Sera», 18 aprile 1939
- «Gazzetta di Parma», 30 aprile 1939
- «Gazzetta di Parma», 2 maggio 1939
- «Gazzetta di Parma», 14 - 16 luglio 1939
- Cesare Zavattini, «Tempo», anno III, n.3, 15 giugno 1939
- vice, «Il Tevere», Roma, 21-22 agosto 1939
- Vice, «Il Messaggero», 22 agosto 1939
- «Cinema», 25 agosto 1939
- Gino Visentini, «Cinema», anno IV, n. 76, 25 agosto 1939
- Ennio Flaiano, «Oggi», 26 agosto 1939
- Carricus, «Cine Sport», 12 settembre 1939
- «Il Solco Fascista», 4 ottobre 1939
- Silvano Castellani, «Film», 23 novembre 1940
- a. c., «L'Europeo», anno I, n.9, 30 dicembre 1945
- Ugo Buzzolan, «La Stampa», 13 ottobre 1979