I due orfanelli
Il denaro fa la guerra, la guerra fa il dopoguerra, il dopoguerra fa la borsanera, la borsanera rifà il denaro e il denaro rifà la guerra.
Gasparre
Inizio riprese: estate 1947, Stabilimenti Titanus, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 26 novembre 1947 - Incasso Lire 170.300.000 - Spettatori 2.365.278
Titolo originale I due orfanelli
Paese Italia - Anno 1947 - Durata 90 min - B/N - Audio sonoro - Genere Commedia - Regia Mario Mattoli - Soggetto Agenore Scarpelli (Age), Steno, Jean Jacques Rastier - Sceneggiatura Age, Steno, Jean Jacques Rastier - Produttore Excelsa, Roma - Fotografia Jan Stillich, Tino Santoni - Montaggio Ferdinando Tropea - Musiche Eldo Di Lazzaro diretta da Pippo Barzizza - Scenografia Gastone Medin, Roland Quignon - Costumi Maria De Matteis
Totò: Gasparre - Carlo Campanini: Battista - Isa Barzizza: Matilde - Nerio Bernardi: il duca Filippo - Raymond Bussières: Il signor Deval - Franca Marzi: Susanne de la Pleine - Ada Dondini: Direttrice dell'orfanotrofio - Guglielmo Barnabò: il giudice - Annette Poivre: La chiromante Madame Therese - Galeazzo Benti: Giorgio, l'ufficiale - Mario Castellani: il maggiordomo - Raimondo Vianello: un ufficiale - Ughetto Bertucci: il generale - Luigi Almirante: il boia di Parigi - Dina Romano: la domestica del boia - Luigi Erminio D'Oliva: Napoleone III - Achille Maieroni: il segretario di Napoleone - Totò Mignone: il cinese - Paolo Ferrara: il custode del parco - Irene Genna: una collegiale - Vera Bergman: una collegiale - Giorgio Capecchi: il direttore del club - Lionelli Zanchi: il cameriere del club - Mario Besesti: la voce narrante - Nico Pepe: L'abate Faria
Soggetto
Parigi, epoca del secondo impero napoleonico. In un collegio di orfanelle Matilde, una delle ragazze, è innamorata di Giorgio, un ufficiale che la vede clandestinamente, senza che la direttrice lo sappia. Il loro matrimonio è però ostacolato dalla famiglia di Giorgio per via delle origini sconosciute della povera Matilde. Intenzionata a scoprire la verità, incarica gli inservienti Gasparre e Battista (anche loro orfani dei genitori) di recarsi da una chiromante con una ciocca dei suoi capelli per scoprire le sue origini. Gasparre perde però questa ciocca, rimpiazzandola con una propria. Egli viene così a scoprire le proprie origini nobiliari. Recatosi alla casa del Duca suo zio per reclamare la propria eredità viene accolto con apparente benevolenza, mentre nel buio i famigliari ordiscono la trama per eliminare il nuovo pretendente. Dopo una ripetuta serie di fallimenti, Gasparre cade nella trappola, sedotto da Susanne de la Pleine ed è costretto a battersi in duello; la fortuna lo accompagna ancora una volta e riesce a salvarsi per una provvidenziale battaglia.
Attirati poi con l'inganno in un noto night club parigino, vengono coinvolti in un attentato ai loro danni e riescono miracolosamente a fuggire nelle fogne di Parigi dove incontrano l'abate Faria, anch'egli evaso e con lui tentano di risalire in superficie: sfortuna vuole che i tre si trovino ad emergere in una stanza del palazzo reale dove Napoleone III sta posando per un quadro. Convinto che siano dei cospiratori della corona, l'Imperatore ordina il loro arresto: Battista riesce a fuggire, mentre Gasparre viene catturato, imprigionato e condannato a morte come cospiratore. Tornato al collegio confessa l'accaduto alla direttrice che gli consegna l'indirizzo di suo padre e una medaglietta che aveva un tempo per riconoscimento. Giunto alla casa del padre, egli scopre che il proprio genitore non è un nobile né un musicista come egli aveva sempre ritenuto, ma è in realtà il boia di Parigi e lo coinvolge per aiutarlo a salvare l'amico Gasparre, condannato alla ghigliottina. Il giorno dell'esecuzione, dopo una serie di rocamboleschi tentativi di salvare l'amico, si scopre che in realtà la vicenda è tutta un sogno e la vita trascorre come sempre al collegio.
Critica e curiosità
Produzione letteralmente di seconda mano, segna l’incontro di Totò con il suo regista decisivo; dall’esempio di Mattoli copieranno tanti, da Bragaglia a Steno fino a Comencini. Lo scotto da pagare è il progressivo allontanamento della critica importante a favore dei vice, delle sigle puntate, delle firme di secondo piano. I produttori del film fanno l’errore di bocciare un nuovo progetto che Mattoli, lungimirante, avrebbe subito voluto cominciare. La matematica li farà ricredere: mentre Il fiacre n. 13 stenta al botteghino, la scatenata parodia di Totò & Campanini funziona subito e incassa di più.
"I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
La scena osé
Vennero girate due sequenze diverse della stessa scena: una per il mercato italiano, l'altra per l'estero. Isa Barzizza, nel ruolo di collegiale innamorata dell'ufficiale Galeazzo Benti, a un certo punto, accompagnata dalla musica, doveva esibirsi con le sue compagne in una danza sensuale insieme ad altre collegiali, riparata da una tenda.
Isa Barzizza, intervista di Alberto Anile, 2003.
Così la stampa dell'epoca
«Il primo elemento da cui parte Mattoli è dunque il nome dell'attore. Nei film successivi il regista lascerà campeggiare Totò sui manifesti senza comprimari (fino a infilarlo, segno di un'ormai raggiunta gloria cinematografica, fin dentro al titolo di Totò al giro d'Italia); ma nel '47, malgrado i ritrovati fasti teatrali, l'attore napoletano non è ancora in grado di convincere da solo i produttori. Mattoli, che lo conosce bene per averlo ammirato in rivista, lo scrittura per I due orfanelli ma decide prudentemente di affiancargli Carlo Campanini, che con Totò ha girato nel '45 Il ratto delle Sabine. [...]»
Alberto Anile
Mattoli ha voluto questa volta staccarsi dal solito tipo di film commerciale per tentare in compagnia di umoristi, come Steno, un tipo di pellicola che a tratti ha fatto pensare a Renè Clair. E non come genere di pedissequa imitazione, ma con un suo estro ed una sua personale ironia. E queste osservazioni, in gran parte positive e a favore del regista e del film si possono fare sopratutto nella prima parte della parodia — puramente esterna — delle due orfanelle — che diventano due orfanelli — Totò e Campanini [...] E' un film intelligente che merita, con qualche riservo anche di natura morale una parola di schietto elogio.
e.tr, «Il Popolo», 1947
Una volta di più, Totò ha deluso quanti gli riconoscono ampie possibilità nel campo del cinema. Ma, una volta di più, bisogna convenire che anche quest'ultimo naufragio è solo e completamente imputabile a chi si ostina ad usare questo nostro estroso comico come una saporosa droga per far trangugiare un pasticcio dal poco gradevole sapore. Il pasticcio, nel caso specifico, è costitutito da un complesso di "quadri" da rivista, ricuciti insieme con molta fretta, che della rivista sfruttano gli stessi identici argomenti, assai abusati e tristi, in mezzo ai quali perfino un paio di scene più azzeccate perdono ogni efficacia. Fa coppia con Totò Carlo Campanini, mentre l'elemento femminile è rappresentato da Isa Barzizza. La regia è di Mario Mattoli.
l.q. (Lorenzo Quaglietti), «L'Unità», 27 novembre 1947
È naturalmente la parodia maliziosa e furbastra di quel melanconioso romanzo francese cui, ai tempi del muto, Griffith s'era ispirato per un film molto serio e accigliato. Ma la vena umoristica degli sceneggiatori - tra i quali figura l'acutissimo Steno - è andata oltre questo tema vecchiotto cogliendo ad ogni istante pretesto per una satira non molto peregrina, ma sempre divertente, delle attuali agitazioni politiche: non vi manca, persino, una certa morale un tantinello amara e delusa. Totò e Campanini - un incontro veramente felice - han prestato al protagonista tutta la loro varia e saporita comicità. Mattoli ha diretto con facilità proverbiale. Gli rimprovereremo soltanto una sequenza inutilmente scabrosa.
G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 27 novembre 1947
Girato da Mattoli usufruendo dello stesso materiale scenico e degli stessi costumi che servirono per Il fiacre n.3, questo I due orfanelli (un film di "recupero", si dice in gergo) è una parodia della romantica popolare dell'ultimo Ottocento, di quella romantica, cioè, che ruota attorno ai nomi, famosissimi all'epoca dei nostri nonni, di Saverio de Montépin D'Ennery, Ponson du Terrail, ecc. Nel canovaccio, infatti, troviamo ironizzati tutti gli ingredienti - figli abbandonati trovatelli, duelli all'ultimo sangue, educande - tipici del genere, conditi con uno humour spesso anche elegante, talvolta non peregrino e "forzato". Talune "trovate" - tutto l'inizio di sapore clairiano, il brano "napoleonico" di intonazione surrealista, il gag del saluto romano, ecc. - sono intelligenti e "funzionano". Ma, man mano che il racconto - un po' frammentario e interrotto da intermezzi rivistaiuoli con sfoggio di piccanti nudità - avanza verso la fine, "trovate" azzeccate si fanno più rare e l'interesse decade come un palloncino e si sgonfia un po' per volta.
Ed è un peccato, perchè la partenza era buona, gli interpreti (Totò, Campanini, l'appetitosa Marzi, la provocante Barzizza, ecc.) simpatici al pubblico, l'operatore bravo. Una eccellente occasione perduta, dunque.
Caran. (Gaetano Carancini), «La Voce Repubblicana», 27 novembre 1947
Totò, presumendo evidentemente di poter trasferire sullo schermo di tutto peso l'intero bagaglio delle sue battute e mossette furbe da buon mimo di varietà, ha finito col travolgere e dominare, non solo il regista Mario Mattoli, ma anche coloro che, con la trama de I due orfanelli, si erano sforzati di dare al film un movimento e una libertà di motivi sardonici e acerbamente grotteschi, degni forse di miglior recapito. [...]
Alfredo Orecchio, «Il Messaggero», 27 novembre 1947
Cinefollie di Totò: I due orfanelli
E' una parodia del romanzo di appendice dell'Ottocento, coi suoi colpi di scena, i suoi duelli, le sue agnizioni, ben sostenuta dalla comicità rauca e secca di Totò, cui fa da «spalla» il bonario Campanini. Di una vicenda non è il caso di parlare, ma soltanto di uno spunto che divaga e si sparge in una serie di trovate estemporanee, che tengono della rivista e della farsaccia da collegio. [...] Parodia operetta rivista farsa, quale che sia, il film è divertente, e lasciando stare le molte freddure del dialogo, a carattere anacronistico (l'Unrra, gli impiegati... spara-statall, la guerra, il dopoguerra, ecc.) ha non poche trovate di buona lega, come quella del club del suicidi e più ancora quella del braccio ingessato a saluto romano, l'una e l'altra, però, non abbastanza sviluppate. Totò grandeggia, centrando quasi tutti i lazzi e le mosse, ma anche Campanini è perfetto nel suo controcanto. Con loro sono la provetta Dondini, l'Almirante e Isa Barzizza figlia del maestro Pippo che anche lui ha messo nelle musiche del film il suo elettrico rampino; una esordiente graziosa e frizzante.
Leo Pestelli, «La Stampa», 4 febbraio 1948
Se un attore comico riesce i far ridere, figurarsi due. Quando il regista Mattoli ha escogitato di mettere Totò e Campanini assieme nel film «I due orfanelli», il successo che se ne riprometteva era appunto in rapporto con il « doppietto » brillante: ma è accaduto, in pratica, che l'uno dei due, Totò, di più pronunciata personalità, ha inghiottito l'altro, costretto a tenergli bordone e a facilitargli la battuta allegra.[...] In quanto a Totò e alle sue ragazze, Isa Barzizza compresa, rifanno se stessi; sono, nell'immagine, ancora quelli della ribalta. Chi apprezza gli spettacoli di rivista ne ritroverà la sostanza nei «I due orfanelli» in un’edizione piuttosto dimessa.
lan (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 13 marzo 1948
Mattoli non ha fatto un lavoro difficile, questo lo riconosciamo, in quanto «I due orfanelli» non è il film che richiede tanta fatica. Si è fatto un buon gioco sulla mimica canzonatoria di Totò, su un dialogo posato su paradossali errori, su un Campanini spassoso si, ma oltremodo sconcertante. A posto ci sono apparsi gli altri caratteristi, e volte in veste troppo caricaturale. Siamo certi che il fllm piacerà a buona parte del pubblico anche se si dovranno fare chissà quali sforzi per mantenersi calmi e seri.
Vice, «Il Lavoro», 19 marzo 1948
L'umorismo di Totò non sempre è cosa facile; aggiungete a tale constatazione la eccessiva faciloneria con la quale è stato condotto il lavoro e la contemporanea presenza su altro schermo dì altro film comico di più facile e diretta presa sul pubblico, e avrete almeno in parte la chiave del relativo insuccesso conseguito da «I due orfanelli», nonostante le numerose battute di innegabile «vis» comica e la partecipazione di Carlo Campanini, uno dei «beniamini» per antonomasia.
Entrare nel gioco; solo in tal modo si è nelle migliori condizioni per apprezzare il caustico umorismo del marchese de Curtis, talvolta personalissimo al punto da riuscir difficilmente comprensibile, spesso appena accennato nel mezzo di una azione per altri elementi già comica di per se stessa. Entrare nel gioco: solo così il «significato» del film riesce comprensibile appieno, e il medesimo diventa qualcosa di più che semplice pretesto per una serie più o meno indovinata di «sketch».
d. s., «Il Piccolo di Trieste», 2 giugno 1950
I due orfanelli, con il suo grande successo, sancì una svolta nella carriera di Totò, che fino a quel momento era apparso solo in film di scarso valore sia artistico che commerciale; così si può considerare come l'ideale spartiacque fra la prima fase dell'attività artistica di Totò, quella teatrale, e la seconda fase, quella cinematografica. Il tutto nacque, (è il caso di dirlo?) all'insegna dell'approssimazione; finito di girare il polpettone" storico Il Fiacre n. 13, il regista Mattòli si ritrovò con degli scenari in falso stile '800 da utilizzare, e allora lo sceneggiatore Age (ps. di Agenore Incrocci) creò in breve tempo il canovaccio della sceneggiatura de I due orfanelli.Si consideri l'anno: 1947.
Il fascismo era finito, la guerra fredda non ancora cominciata, e per questi motivi, anche in campo cinematografico, si respirava un aria del tutto nuova; fu per questa ragione che i due orfanelli potè essere girato e distribuito e visto da tante persone, senza suscitare molti scandali, visto i suoi contenuti.Tutto il film è un colossale monumento all'antimilitarismo, alla negazione dei "valori" tipici della media borghesia: i riferimenti agli americani, ai partiti di governo, alla Democrazia Cristiana, si sprecano, in un turbinoso susseguirsi di colpi di scena degni, a punto, della "peggiore (e quindi migliore letteratura sensazionalistica d'appendice... Non a caso le fonti di travestimento estetico sono quelle canoniche del genere: dal romanzo strappalacrime de Le due Orfanelle, ai lavori di Raoul De Navery, Balzac e Victor Hugo; dai romanzi di Xavier du Montèpin ai classici di Dumas padre e figlio (l'abate Faria, transfuga da Il conte di Montecristo...), alle operette di Labichè, alle pochades, fino ai capolavori Offenbachiani, della rive gauche...E dietro questi cascami polimaterici di letteratura popolare un finissimo discorso rivoluzionario, esplicato senza mezzi termini, con idee, per l'epoca, davvero rivoluzionarie; così che tutto viene messo sotto accusa, la Magistratura (tacciata di corruzione), l'Esercito (accusato di infingardaggine ed incompetenza), la Monarchia (non dimentichiamoci delle grandi lotte che s'erano appena concluse in Italia, tra monarchici e repubblicani, con la vittoriosa affermazione della nostra Repubblica!) le donne (viste come arrampicatrici sociali, o, nel migliore dei casi, stupide oche...), i partiti politici, la società divisa in classi, la guerra...Ad un certo punto del film, vi è una digressione del tutto surrealista, che vede Totò impegnato nei panni di Napoleone (ma chiaramente la caratterizzazione sottointende i vari Hitler, Stalin Churchill, ecc...), condurre la sua guerra personale, dilatata fino ai vertici dell'assurdo, con gli uomini e i soldati visti come marionette mandate al massacro senza alcun motivo logico; alla fine, premiato al valor militare risulterà essere un imboscato, un tipo placido, furbo, tranquillo e menefreghista, vero e proprio ritratto dell'uomo qualunque che allora imperversava anche a livello politico, e non solo morale come oggi (qualunquismo)...
E ancora: nel film si assiste al dileggio anche delle tesi portate avanti a sinistra dal Fronte Popolare; in alcune scene, i contadini sono intenti alla "riappropriazione" delle terre incolte, prima dello scontro con una "nobilità" armata sempre pronta al revanscismo... Insomma, I due orfanelli é una vera e propria orgia di citazioni visive variamente articolate, dalla battuta pesante nell'argutissima satira non sempre facilmente avvertibile; nulla vi viene tralasciato, dagli aiuti americani al nostro paese ai famigerati piani UNNRA, dal costituendo patto Atlantico al terrorismo anarchico, il razzismo, la pace...In tutto questo Totò, fresco dai successi di avanspettacolo come Eravamo sette sorelle, e ormai nel pieno della sua maturità artistica, funzionò da vero e proprio catalizzatore; la sua recitazione, staccata e parodistica, risente ancora, é vero, di alcune iterative tipiche del palcoscenico, e siamo ancora lontani dalla grandissima arte di Totò a Colori e di Miseria e Nobiltà, ma il personaggio cinematografico "Totò" é ben decollato, con tutte le sue caratteristiche mimiche e seriali destinate a grandi, memorabili imprese nel regno della celluloide. Chiaramente, al solito, non si può ancora parlare di capolavoro tout court per I due orfanelli, rovinato in alcune parti da vizi di fondo contenutistici, nonchè dai soliti attori comprimari del tutto insignificanti a paragone con la mostruosità recitativa di Totò; pensiamo con fastidio a tutte le insopportabili scene con le orfanelle, le orfane e i dragoni imperiali, le orfanelle e la chiromante. E che dire del feticismo smaccatamente plebeo di alcune scene francamente più ridicole che satiriche: il bagno delle orfanelle che si tramuta in un carosello voyeuristico alla Cecil B. De Mille, o l'ombra del sesso del bimbo nato sulle scale, proiettata cupamente sul muro? Migliori invece certe scene di un erotismo larvale, tutto tinto di comica ribalderia, come ad esempio l'entrata di Totò, ormai riconosciuto come un ricco rampollo nobiliare, nella garçonnière della maliarda (una bellissima Franca Marzi): come sottofondo musicale, l'incredibilmente kitsch sonata di una vergine (un tempo, l'incubo dei fanciulli apprendisti al pianoforte), mentre Totò avanza verso il "peccato" con un giglio in mano, simbolo fallico e insieme simbolo di verginità, mentre l'aspetto trasgressivo della situazione si focalizza nelle calze nere e nei piedi della maliarda (e infatti, coerentemente all'economia delle microtrame strutturali del testo, poi Totò verrà sfidato a duello, non per aver fatto qualcosa di serio, ma per aver osato entrare a "piedi scalzi" nella garçonnière....) in una scena molto efficace e ben giocata. I due orfanelli, partito con la "quest" simbolica dei due protagonisti alla ricerca della propria identità, si concluderà con un onirico male alla Renè Clair, in cui Antonio/Totò, ghigliottinato proprio dal suo amico, scopertosi figlio del boia (ovvero, tanto per restare in termini di tradizione feuilletonesca, erede del "Signore di Parigi"), recupererà la propria testa (o anima, o intelletto che dir si voglia) per ritornare alla realtà, poiché "realtà é uguale al sogno"; e come l'ultima, amara satira del film, si assiste alla scenetta in cui due gendarmi arrestano un povero cieco, colpevole di niente, accusandolo di chissà quale reato, ma poco importa, poiché commenterà Totò, "anche il cieco sogna", é così... (...)
D. Cammarata - "Il Cinema di Totò", Roma, Fanucci, 1985 (Dal sito comune.re.it)
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Il presunto orfanello Gasparre scopre di essere in realtà il figlio di un nobile parigino e deve affrontare insieme al compare Battista i tentativi dei parenti per farlo fuori... Primo grande successo di Totò nella parodia di un feuilleton ottocentesco che richiama nel titolo un vecchio film muto di Griffith, felicemente incurante di ogni logica, tanto da mettere in campo anche Napoleone e l'abate Faria. La satira politica affidata alla voce narrante, è assai qualunquista, ma il divertimento non manca grazie alle numerose trovate, anche se Totò non è ancora esplosivo come nei film migliori.
- Uno dei film più surreali di Totò, con una trama e un'ambientazione che richiama i lungometraggi di Laurel e Hardy in costume (in particolare La ragazza di Boemia). La coppia con Campanini funziona, ma è più questo a suscitare la maggior parte del divertimento che non lo stesso Totò, che limita più di altre volte la sua esuberanza. Buoni costumi e scenografie, un po' assente la regia di Mattoli. Nel complesso piacevole.
- Forse l'unico Totò movie che mi porta alla mente nell'immediato non battute fulminanti o gag surreali ma la sua presenza nello spazio, le sue posture. In effetti anche nella "revisione" il film spicca per ricercatezza di scenografie/costumi (ereditati peraltro da altri set) e uno script (Age e Steno) meno grezzo del solito, che pare rimandare ad alcuni lungometraggi di Laurel & Hardy (il fondo patetico, i nostri due "servi d'amore" per Benti e Barzizza). Mattoli non spinge da par suo. Notevole la tenuta di Campanini, attore a cui è stato dato meno del dovuto.
- Una storia divertente e con un metro tutto suo, con puntate tra il surreale e l'onirico; ma d’altronde la comicità di Totò, quando viene lasciata libera di esprimersi, è in qualche modo legata al surreale. Per quanto appaia datato ha dalla sua parte una spensieratezza e una leggerezza che lo rende gradevole. Non ci sono momenti di vera stanca e si arriva alla fine senza troppe difficoltà.
- A mio avviso uno dei primi film "davvero" divertenti del grande Totò - anche se io faccio iniziare il "mio" Totò, quello che preferisco, da Fifa e arena (1948), considerando invece Il monaco di Monza (1963) l'ultimo film dove mi diverte ancora tanto - che fino a quell'anno non aveva trovato una sua formula comica efficace e davvero funzionante, limitandosi a copiare comici americani come Larry Semon o simili. Simpatica e ben sviluppata l'idea di parodiare i romanzoni d'appendice. Una nota di merito anche a Carlo Campanini.
- Il film della svolta, per Totò, fondamentale per la sua carriera cinematografica. Primo di diciassette diretti da Mario Mattoli, primo di grande successo al botteghino per il Principe della risata e prima parodia (del feuilleton francese "Le due orfanelle") da lui interpretata. Minestrone sostanzialmente riuscito con una storia tra il dramma familiare e la farsa scatenata, con balli e canti tolti di peso dal teatro di rivista, interventi di satira politica a profusione, ricche scenografie, voce fuori campo e rivelazione finale...
Le incongruenze
- Tra le brevi scenette che introducono l'inizio del film ce ne è una dove si vede un politico che si suicida per un ammanco di 2 soldi. Prende la pistola, si spara un colpo mancandosi clamorosamente. . . e muore!
- La porta della casa del boia di Parigi ha uno spioncino che si aziona facendo salire e scendere una riproduzione della lama di una ghigliottina. Tale finta lama, però, la si vede salire e scendere nelle riprese esterne, mentre manca quando viene mostrato il lato interno nella porta.
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La piazza di Parigi dalla quale la direttrice dell’orfanotrofio (Dondini) parte con la diligenza quando dovrà assentarsi per qualche giorno, lasciando la direzione nelle mani dell’inserviente Battista (Campanini), è in realtà Piazza di San Bartolomeo all'Isola a Roma.
L’orfanotrofio femminile di Passy nel quale vivono Gaspare (Totò) e Battista (Campanini) è in realtà Villa Sciarra, situata in Via Calandrelli 23 a Roma
Il parigino Bois de Boulogne, nel quale Gaspare (Totò) trasforma un semplice duello in una colossale rissa è in realtà Villa Borghese a Roma. Per la precisione il “principe della risata” si trovava nel settore posto di fronte all’ingresso del giardino zoologico, che intravediamo sullo sfondo
Nel controcampo, il momento dell’arrivo di una piccola truppa di passaggio che sarà attaccata dai litiganti: sulla sinistra si vede il finto tempio romano di Antonino e Faustina, fatto costruire nel 1792 dal principe Marcantonio Borghese. A destra, il punto rosso indica dove si trovava Totò.
Palazzo Latour-Lafitte, nel quale Gaspare (Totò) si reca per reclamare dal duca Filippo Latour-Lafìtte (Bernardi) la sua parte di eredità, dopo aver scoperto da una chiromante che si trattava di suo zio, nella finzione si trova sulla parigina Rue de Varennes ma, in realtà, quello è il Villino Borghese del Vivaro, situato in Lungotevere Marzio 14 a Roma.
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In TV la rivincita di Totò
Mattòli Mario
Mignone Carla (Mity)
Mignone Toto (Ottone o Totò)
Steno (Vanzina Stefano)
Totò e... Age
Totò e... Carlo Campanini
Totò e... Isa Barzizza
Totò e... la parodia
Totò e... Mario Mattoli
Totò e... Raimondo Vianello
Totò e... Steno
Totò, il principe surrealista di Napoli
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Il Cinema di Totò" (D. Cammarata), Roma, Fanucci, 1985 (Dal sito comune.re.it)
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005