SAN GIOVANNI DECOLLATO
Questa è tinta fatta col vitriuolo, e difatti appena un signore vi poggia il dito del pipistrello della mano se lo sporca, se lo anilifica.
Mastro Agostino Miciacio
Inizio riprese: 16 settembre 1940, Cinecittà Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 28 dicembre 1940
Titolo originale San Giovanni decollato
Paese Italia - Anno 1940 - Durata 89 min - Colore B/N - Audio sonoro - Genere comico - Regia Amleto Palermi - Soggetto Nino Martoglio - Sceneggiatura Amleto Palermi, Aldo Vergano, Cesare Zavattini - Produttore Liborio Capitani - Fotografia Fernando Risi - Montaggio Duilio A. Lucarelli - Musiche Cesare A. Bixio, Alexandre Derevitsky, Armando Fragna - Scenografia Piero Filippone, Vittorio Valentini
Totò: Mastro Agostino - Titina De Filippo: Concetta, la moglie - Silvana Jachino: Serafina, la figlia - Franco Coop: don Raffaele, il barbiere - Osvaldo Genazzani: Giorgio Maria Santapola, il fidanzato di Serafina, - Bella Starace Sainati: nonna Provvidenza - Eduardo Passarelli: Orazio, il lampionario - Augusto Di Giovanni: don Peppino Esposito - Mario Siletti: Teodoro Cupis, l'amministratore - Giacomo Almirante: il pretore - Oreste Bilancia: testimone al processo - Peppino Villani: inquilino del vaglia - Peppino Spadaro: mastro Vincenzo, il calzolaio - Grazia Spadaro: Rosalia - Dina Romano: Donna Filomena, la cartomante - Renato Chiantoni: l'avvocato difensore - Gorella Gori: testimone al processo - Edmondo Starace: Cancelliere - Maso Marcellini: Don Benedetto - Vincenzo Fummo: Inquilino - Mario Ersanilli: Ometto dalla barba bianca - Emilio Petacci: Il Pubblico Ministero Lanzetti - Raffaele Balsamo: Inquilino del palazzo - Milla Papa - Liliana De Curtis

Critica e curiosità
Liborio Capitani, produttore del film, sta cercando un attore idoneo a rivestire il ruolo di Agostino Miciacio nella trasposizione cinematografica di San Giovanni decollato di Nino Martoglio, in sostituzione del povero Angelo Musco, deceduto per cause naturali pochi anni prima; scartati alcuni, si pensa a Totò. L’idea di Capitani suscita nel suo entourage discussioni e perplessità: che c’entra un comico metafisico come Totò con il personaggio farsesco di Agostino Miciacio, devoto ciabattino in rotta contro il violento pretendente della figlia? Anche Capitani si fa prendere dai dubbi; propone quindi ad Antonio de Curtis un provino prima della realizzazione del film. Memore del flop avuto con il provino alla Cines dieci anni prima, Totò propone di realizzarlo in ambito teatrale teatrale, chiedendogli di inserire in Fra moglie e marito... la suocera e il dito la famosa macchietta del beghino che prega profondendosi in vorticosi segni di croce e sdilinquimenti mistici. Una sera di giugno il produttore entra in un palchetto al teatro Valle per vedere di cosa sia capace questo comico di cui parlano tutti. Il contratto, dicono le cronache dell’epoca, viene firmato ventiquattrore dopo. (Sveliamo il mistero della nascita di un film, “Film”, n. 44, 2 novembre 1940, più sotto nella sezione "Così la stampa dell'epoca" l'articolo completo.)
Le riprese cominciano in settembre, a Cinecittà, e Antonio de Curtis si accosta all’esperienza con qualche tremore per la differenza culturale e recitativa tra lui e Angelo Musco. Liborio Capitani, produttore del film, inizialmente pensa di far dirigere il film a Gero Zambuto ma vista l'età ormai avanzata del regista opta per Cesare Zavattini e al rifiuto di quest'ultimo si decide per Amleto Palermi. Del cast fanno parte anche Oreste Bilancia, il primo dei testimoni nel processo contro mastr'Agostino, Peppino Villani, nome conosciutissimo del cafè chantant napoletano, e una piccola bambina di 7 anni che si reca da Miciacio/Totò per ritirare le scarpe della madre: si tratta di Liliana la figlia di Totò nell'unica apparizione cinematografica della sua vita. Totò si è sempre opposto a che sua figlia faccia parte del dorato mondo del cinema ma stavolta convinto da Capitani da il suo consenso. La piccola Liliana per questa parte nel film riceve come compenso una bambola. Dopo un inizio guardingo, regista e interprete entrano in sintonia e le riprese filano in un’atmosfera allegra e affettuosa. Palermi scopre un professionista duttile e generoso, Totò è felice di poter mescolare al rispetto per il copione i guizzi della sua comicità estemporanea, di attribuire al suo personaggio sguardi da cartone animato e salti da scimmia, e di spargere dove occorre la sua specialissima ansia di morte. Il prefinale in cui i protagonisti si massacrano lanciandosi piatti è improvvisato sul set su suggerimento di un Totò scatenatissimo, ampliando la trovata di un unico piatto che Miciacio avrebbe dovuto rompere in testa al guappo. La battaglia di stoviglie, alla quale partecipano fuori campo tecnici, amici di passaggio e pure il produttore del film, produrrà alla fine due quintali di cocci e qualche ferita, ad Augusto Di Giovanni (il guappo) e Titina De Filippo, entrambi colpiti alla testa, e allo stesso Totò, contuso a un braccio.
L’attore non dimentica la propria natura profonda, gli slanci dionisiaci, i fuochi d’artificio in repertorio, non abbandona del tutto la sua ansia funerea (pronto a farsi ‘decollare’ dal coltello di don Peppino, depone docile il capo su una guantiera, il collo talmente snodato che la testa appare già orrendamente spiccata dal busto). E in questo modo ottiene tra l’altro di sganciarsi dall’ingombrante modello-Musco.
Alla scena dei rumorosi festeggiamenti per il Santo potrebbe essersi ispirato Luciano De Crescenzo nel suo film 32 dicembre, uscito nel 1988. La scena in cui Totò resta seduto a tavola in casa dei nonni del futuro genero, e cerca di trattenere il vino e le pietanze prima che vengano portate via, sarà ripresa fedelmente da Mario Mattoli nel film "Miseria e nobiltà" (a sua volta rifacimento dell'omonimo film diretto da Corrado D'Errico sempre nel 1940 e basato sulla celebre commedia del 1888 di Eduardo Scarpetta). Anche nel film di Mattoli, Totò cerca di "difendere" le abbondanti portate preparate dal cuoco, padrone di casa. Un altro fattore che accomuna i due film, seppure non di primaria importanza, è l'equivoco secondo cui Totò e Titina si presentano ai parenti del futuro genero rispettivamente come un professore e una nobile (Concetta, evidentemente poco abituata al termine "aristocratici", parla di sé specificando "noi aerostatici"), mentre in Miseria e nobiltà i poverissimi protagonisti si fingono tutti nobili.
Così la stampa dell'epoca
Oggi l'inchiesta sulla produzione ci porta negli uffici della «Capitani Film». La Società ha tradizioni elettissime e, dopo due anni di sosta, è tornata al lavoro con un complesso di realizzazioni che la pongono nettamente all'avanguardia dell'industria cinematografica nazionale.
Abbiamo subito avuto la rivelazione di un lavoro serio, silenzioso, ordinato. Gente che sta a tavolino, diligentemente, e quasi in umiltà; e annota e trascrive cifre in colonna e conti che tornano fino al centesimo, perchè cosi vuole la regola prima della Casa. Ci ritroviamo in uno stanzone dal soffitto basso, disadorno e un po' triste, con una lampada ad ogni tavolo. La prima impressione è quella di entrare nello studio di un notaio e non in quello di un produttore cinematografico.
Liborio Capitani ha legato il suo nome ad imprese industriali di eccezionale fortuna. Chi lo conosce ne ha potuto apprezzare le schiette abitudini di lavoro e di vita, l'ingegno pronto, le accortezze sagaci. Capitani è nato per costruire e ha sempre costruito, spesso con coraggioso istinto, sempre con pazienza e tenacia, su fondamenta sicure. Viene dalla gavetta. Ha fatto tutto da sè. Ha maneggiato i ruvidi strumenti dell’artigiano. Ha imparato che la fortuna si conquisa solunto con un lavoro continuo e faticato. Non ha mai cercato avventure, ha sempre misurato i suoi passi. Ha fatto il «produttore» con una chiarezza e un'onestà senza pari. E di tutto ciò il buon Capitani ha ben ragione di sentirsi orgoglioso.
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Troviamo al tavolo da lavoro, e proprio in quello stanzone che sembra più lo studio di un notaio che non quello di un produttore, l'avv. Giuseppe Sylos, di Capitani antico e fedelissimo collaboratore.
E‘, in questi giorni, intento all'ultima fatica: la direzione della produzione di San Giovanni decollato, il film che Palermi dirige con l'aiuto di Giorgio Bianchi e del quale vogliamo occuparci ampiamente in un prossimo numero. Sylos è un uomo ordinato e scrupoloso; e segue da anni la buona norma della Casa: lavorare in silenzio e con serietà. E' lui che a ricorda, premurosamente, le tappe del fortunato cammino di Capitani.
L'inizio dell'attività avvenne nel 1932, con Cercasi modelli (interpreti Elsa Merlini e Nino Besozzi) e in Una notte con te in edizione italiana e tedesca. L'anno seguente La canzone del sole (con Lauri Volpi, De Sica e Melnati) ebbe vasta fortuna e fu venduto in tutto il mondo e persino in Cina e nel Siam.
Con Elsa Merini, Capitani produsse tutti quegli altri film che, sulla scia della Segretaria privata ne rinnovarono, allora, in varia misura la rinomanza. Cosi Paprika, Lisetta, Melodramma; é cosi quella Ginevra degli Almieri che vide il primo debutto del nostro maggiore attore cinematografico, Amedeo Nazzari.
Il caso Haller, nel 1933, segnò il debutto cinematografico di Marta Abba che più tardi con l'interpretazione di Teresa Confalonieri doveva fare ottenere alla «Capitani» l'ambitissima «Coppa Mussolini 1934» Ricordiamo inoltre fra gli altri, Impiegata di papà e Porto (con Elsa De Giorgi) e quel delizioso Re Burlone che fu magistralmente interpretato da Armando Falconi e che fece debuttare una delle nostre attrici di più vibrante temperamento, Luisa Ferida.
Un primato indiscusso spetta a Capitani in materia di film comici, il succeso popolare che ebbero i film del grande Angelo Musco fu addirittura sbalorditivo e su quel successo poggiò la produzioni «Capitani» negli anni 1934-1937. L'eredità dello zio buonanima, L'aria del continente, Re di denari, Lo smemorato, Pensaci Giacomino, Gatta ci cova e Il feroce Saladino, film che per la prima volta ci fece ammirare il dolcissimo volto di Alida Valli.
Sotto l'insegna della più festosa comicità, si affermarono, infine, Felicita Colombo (con Falconi e la Galli) e Gli ultimi giorni di Pompei (con Viarisio)
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Dopo due anni di riposo, Capitani è attualmente alla ribalta con un gruppo di film in tutto degni della sua tradizione. Un film ricco di colore, movimentato nella vicenda e suggestivo nel suo significato è stato Il Cavaliere di Kruja, primo film italiano girato in Albania e che è stato presentato alla recente manifestazione di Venezia e, in questi giorni, felicemente accolto dal pubblico italiano.
Ed ecco che, ancora una volta, Capitani viene incontro (con ben quattro film di nuovissima avventura comica) al popolare favore, presentando le ultime interpretazioni di Macario e di Totò.
Di Il pirata sono io, che Mario Mattoli ha mirabilmente diretto, ci siamo già diffusamente occupati su queste colonne riferendone le interessanti fasi di lavorazione. Mario Mattoli ha, inoltre, ormai ultimato il montaggio di Non me lo dire, il secondo film interpretato quest'anno da Macario, accanto a quella graziossima attrice che è Silvana Jachino e a Vanda Osiri che inizia con questo film la sua carriera di diva cinematografica.
Circa la presente attività produttrice abbiamo raccolto le notizie più promettenti. Due film esilaranti di brio, e dì gustoso sapore lanceranno a bandiere spiegate Totò. Il primo sarà San Giovanni decollato (tratto dalla nota commedia di Martoglio) e in esso Totò, idolo del pubblico delle Riviste e del Varietà otterrà finalmente la sua squillante affermazione cinematografica. Amleto Palermi — che di attori se ne intende, e come! — ci ha parlato di lui con affettuoso entusiasmo mettendone in evidenza l'estroso talento e l'originalissima personalità.
Il secondo film di Totò sarà mesto in cantiere appena ultimato San Giovanni decollato, sarà diretto da Camillo Mastrocinque e s'intitolerà, a quanto c'informano. L'allegro fantasma.
Minimo, «Film», 12 ottobre 1940
Il film è tratto dalla omonima commedia di Nino Martoglio, che Musco fece conoscere ai nostri pubblici più diversi. Inutile quindi ricordarvi avventure e disavventure, sproloqui ed escandescenze di Agostino Miciacio, scarparo emerito, alle prese con la moglie, la figlia e il «suo» San Giovanni. Commedia vernacola se mal ve ne fu, non troppo ricca d'azione, concitata di un ritmo sovente soltanto verbale, trarne un film era impresa assai difficile. Palermi e i suoi collaboratori se la sono cavata con un abile e furbesco compromesso tra cinema e teatro. L'azione teatrale è stata rimpannucciata con variazioni e sviluppi abbastanza cinematografici, ambientando la prima parte in una Napoli assai vernacola, e la seconda in un paesetto siciliano non meno vernacolo; e queste variazioni e questi sviluppi cinematografici sono già stati fatti poggiare sui toni più accesi, più coloriti e farseschi del nostro teatro e del nostro teatrino dialettale.
Si potrebbe persino dire che molte inquadrature di questo film, in quanto assai fedeli a quel teatro e a quel teatrino, hanno o potranno avere un loro non trascurabile valore documentario: colorite testimonianze di tutto un modo di recitare, di comporre un quadro scenico, di farlo vibrare nel lazzo. Il film è piacevole, ha trovate divertenti; e ha un suo particolare interesse perchè è la prima prova cinematografica d'impegno di Totò, il noto comico di riviste. I suoi primi due tentativi erano stati Fermo con le mani e Animali passi. Modesto, ridanciano e farsesco il primo, pretenzioso e surrealistico il secondo, comunque inferiore al primo.
E' non piccolo merito dì Palermi avere ora lntravvisto le più vere possibilità dell'attore: che, ben guidato, e con soggetti e sceneggiature a lui adatti, potrà dare parecchio al nostro cinema, potrà soprattutto dargli un attor comico. Perchè la sua è una maschera, espressiva come poche; e dotata di una nativa comicità come poche. Asimmetrica, angolosa, quasi legnosa, con un fondo d'amarezza, se non di tristezza addirittura. Ma non ha nessun bisogno del piccolo lazzo In falsetto, del sorrisino candido, della scematina scema: sono trucioli surrealistici che di per sè non potranno mai avere molta importanza, e che a questo attore assolutamente non si attagliano.
Per essere efficace ha invece bisogne di vivere, crudamente, direttamente, senza sottintesi: una parte, un personaggio. Qui le sue sfuriate, certi scatti d'Ira, certe concitazioni, sono efficacissimi, e quindi comici, perchè « portati » da quella maschera; ma quando questa si fa svenevole, o maliziosetta, o saputella, allora il gracile lazzo spara a polveri umide, e torna al teatrino! di varietà dove è nato. Quella di oggi è certo un'Interpretazione tanto disuguale quanto interessante, e ci lascia bene sperare su quelle che verranno. Sono attorno a Totò Titina De Filippo, il Coop, la Jachino, il Di Giovanni, il Marcellinl e il Passerelli.
m.g. (Mario Gromo), «La Stampa», 18 dicembre 1940
SAN GIOVANNI DECOLLATO, di Amleto Palermi. — Abbiamo letto sul manifesto annunciante questo film : regista, Amleto Palermi: autore, Nino Martogllo. Che sia forse un'eco delle recenti discussioni e inchieste sull’autore del film? Se cosi è, il compilatore del manifesto in questione non deve essere dell’opinione che il regista sia l’autore del film, e l’ha voluto in tal modo dare a vedere. Gli si potrebbe obbiettare, a ogni modo, che Nino Martogllo è, si, l’autore della commedia: ma che questa ha tra l’altro subito tali radicali trasformazioni che appare comunque azzardato il considerarla, come la si vede sullo schermo, per opera sua, tranne che per lo spunto.
La quale commedia, crediamo siano In pochi a non ricordarla, nell’interpretazione di Musco, di cui fu uno dei cavalli di battaglia, narra di un povero ciabattino e portiere napoletano, padre di una bella figlia e afflitto da una moglie oltremodo linguacciuta. Da buon napoletano, egli è un fedele di San Giovanni Decollato, di cui una Immagine appesa sopra al suo deschetto ha da lui tributo costante di un lumicino a olio. Quest'olio è fonte di tribolazioni, che una mano sacrilega costantemente lo sottrae: e il dispetto e i sospetti dell’Irascibile Crispino finiscono a portarlo In Pretura (qui si comincia a entrare nel campo del film, che non é più quello della commedia). Il ciabattino accarezza il pensiero di dare la figlia In moglie a un certo lampionaro, ma costei Invece fa all'amore con un bel ragazzo siciliano, e di fronte al progetti del padre i due colombi si involano parenti di lui, in il padre, che professore (e su questo equivoco si imperniava la interpretazione teatrale). E qui, dopo vicissitudini varie, il Santo finalmente gli farà la grazia.
Nonostante raggiunta di elementi vari a rinsanguare l’azione, questa conserva quel senso dialettale che è di quel genere di teatro. Anche qui, l’interesse verte precipuamente sul protagonista, e perciò la figura di Totò, interprete, è quella su cui verte maggiormente l’attenzione. Questo ometto magrolino, striminzito, pulitino, è certamente, oltre che un attore — il fatto che egli abbia doti di attore nessuno, crediamo, lo vorrebbe porre In dubbio — un tipo. Nei due film precedenti egli non aveva avuto troppo modo di porsi in luce, ma qui le sue possibilità si dimostrano positive. La sua mimica è oltremodo varia ed espressiva, il suo "tempo" originale: siamo d'avviso che ancor più egli potrà rendere con soggetti studiati appositamente per lui. Intanto egli diverte, e non è poco. Intorno a Totò sono parecchi attori del teatro siciliano, e inoltre Tltlna De Filippo, Silvana Jachino, il De Giovanni, il Coop, il Genazzanl, Bella Sainati.
acer, «La Gazzetta del Popolo», 18 dicembre 1940
Totò è un grande comico, vero erede di quella tradizione della Commedia dell'arte che dopo la morte di Petrolini sembrava dovesse estinguersi. [...]
Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», dicembre 1940
Film numero tre con Totò protagonista, San Giovanni decollato é stato tratto dalla commedia di Musco, volevamo dire di Nino Martoglio. Come l'attore siciliano aveva tagliato e cucito sulla sua misura il lavoro, così ora Amleto Palermi, regista del film, ha messo assieme un rifacimento sulla misura di Totò. Il quale evidentemente cerca sè stesso, o cerca la sua personalità cinematografica; dopo le prime discusse pellicole, Fermo con le mani e Animali pazzi, eccolo a un lavoro meno audace e singolare, ma
più fruttuoso del precedenti. Nella terza tappa cinematografica la maschera di Totò ha una consistenza, sullo schermo, ed un rilievo. Se gli riuscirà di sottrarsi all'atmosfera paradossale da giornale umoristico, che tuttora sembra gli sia cara, e accentuerà la tendenza, ora in erba, a divenire un tipo, vero e umano, Totò avrà portato utilmente a termine uno studio e un'elaborazione che dànno buoni risultati. .
Nella storta di Agostino Miciacio, il ciabattino di San Giovanni decollato, in bilico tra le furie d'una moglie viperina e i bollori d’una figlia innamorata e di un pretendente feroce, sono stati inseriti episodi, figure e movimenti che la commedia ignorava. Naturalmente, passando da Musco a Totò, il lavoro si è napoletanizzato; ma sostanzialmente è rimasto dialettale, pur se ha mutato regione e vernacolo. Il centro vero del film è ancora il cortile; i cori, le urla, le scenate da cortile sono la sua voce più fedele. Tuttavia, non è la prima parte il saggio migliore di Totò. Quando, nella seconda, egli fa di Agostino, un poveraccio tra pavido e Borioso, tra scroccone e vanesio, la risata é più spontanea. Perché il film é riuscito divertente senza che Titina De Filippo, Silvana Jachino, Franco Coop, il De Giovanni e gli altri minori interpreti abbiano messo gran che del loro, ma tutti essendosi affiancati intorno a Totò.
«Corriere della Sera», 20 dicembre 1940
«[...] Totò è un grande comico, vero erede di quella tradizione della commedia dell'arte, che la morte di Petrolini pareva avesse dovuto estinguere. Un poco ricorda infatti Petrolini - la asimmetria del volto, il naso e il mento sproporzionati, la bocca grande e arricciata - ma ancora non si è umanizzato come il maestro. Certo la sua comicità non il risultato di una astrazione marionettistica dalla vicenda, per mezzo d'una maschera "di bronzo" come quella di Macario (o di Buster Keaton) ma nasce invece da una reazione umoristica e occasionale la situazione e da un portamento clownesco e lazzarone, che lo individua immediatamente. [...] In fondo,Totò è alle sue prime armi, nel cinema, ma è un'ottima recluta; sarebbe bastata una regia più accurata, una fotografia più inventiva e un ritmo meno descrittivo e più attivo per fare con questa pellicola dell'ottimo cinema. Le trovate sono generalmente buone: soprattutto nella seconda parte indichiamo quella del piatto su cui Totò depone la testa per farsela tagliare e quella del canto muto: ma la pellicola, che risente per quello che ha di meglio, della collaborazione di Zavattini alla sceneggiatura, non ne è tuttavia completamente sottoposta al suo controllo, come avremmo desiderato, per godere della collaborazione sua, della sua vena comica, con quella di Totò, italianissima maschera».
B.Y., «Tempo», anno IV, n.83, 26 dicembre 1940
«Se c'è un attore in Italia che è tutto visivo, che potrebbe raggiungere i suoi effetti senza muovere le labbra, questo è Totò, presentando unicamente se stesso in quella specie di trance comica che lo invade quando è Totò. [...]»
Giuseppe Isani, gennaio 1941
«Ecco finalmente un film che fa vedere le grandi risorse cinematografiche di Totò [...]. A saperlo adoperare, a capirlo egli può fare dei film veramente importanti.»
Ercole Patti «Il Popolo», 12 gennaio 1941
«Palermi ha fatto un buon lavoro di questo San Giovanni decollato, ma non il lavoro che Totò avrebbe potuto dare.»
Giuseppe Isani «Cinema», n. 110, 25 gennaio 1941
«San Giovanni Decollato», se cosi può ancora chiamarsi questa riduzione cinematografica, ha tradito, a parer mio, le speranze e le aspirazioni di Liborio Capitani, il quale, dopo avere avuto il merito di rivelare cinematograficamente il grande e indimenticabile Musco ed aver dato alla cinematografia nazionale alcune opere veramente significative, ha voluto, mantenere vivo nel nostro ricordo il compianto attore siciliano offrendo alla macchina da presa una delle commedie più significative e più a successo del suo repertorio teatrale.
Non si è pensato, però, che il «San Giovanni» proprio per queste ragioni, cioè per essere troppo, nel ricordo del pubblico, legato alla interpretazione di Musco, avrebbe richiesto da parte del nuovo interprete doti, se non maggiori, per lo meno eguali a quelle dell'artista che aveva reso celebre una commedia altrimenti destinata a non divenirlo mai o a restare seppellita nel repertorio delle piccole compagnie dialettali.
Totò sa ancora troppo di rivista per assumersi un sì oneroso impegno. Anche nel «San Giovanni» egli fa poggiare tutta la sua comicità in quelle grottesche espressioni dialettali, in quelle facili e - ahimè - troppo sfruttate deformazioni di linguaggio che hanno fatto la sua fortuna nel teatro di varietà e che possono avere la loro ragione di essere e di divertire solo nel teatro di varietà.
Son dieci anni che il pubblico ride in teatro per le «bazzecole quisquilie e pinzellacchere» di Totò. Era necessario portarle anche nel cinema? Era necessario condire il «San Giovanni» con le stesse spezie e gli stessi aromi un po' svaniti di un gusto artistico un po' dubbio con cui Totò da anni condisce le sue macchiette tipicamente dialettali? lo penso di no. E penso di no, perchè, anche dopo aver visto il «San Giovanni», resto dell'opinione che dei nostri attori comici Totò è ancora il più cinematografico, quello capace, per le sue doti più che artistiche naturali, per quella sua maschera cosi grottescamente e comicamente fotogenica, per quel muoversi cosi strambo e originale, di dare al nostro cinema un « tipo» comico nuovo e francamente divertente.
Chi deve scoprire questo «tipo»? Totò o il regista? Io penso: il regista. Totò è troppo legato ancora al varietà, e più che al varietà, al successo che ottiene in varietà per dimenticare sè stesso e tentare di dare alla luce un Totò nuovo, un Totò cinematografico, un Totò di una comicità meno dialettale ma più elaborata e consistente.
Come ho già detto, del «San Giovanni decollato» di Martoglio è rimasto, in questa riduzione, solo il titolo. Gli sceneggiatori hanno saputo trasformarlo in modo completo e, direi quasi, devastatorio. Una specie di farsa che non fa ridere, senza la più piccola trovata, senza - ad eccezione di quelle di Totò già note da un ventennio - la più economica battuta. E si che di occasioni la trama originale ne offriva parecchie. Quando si pensa che per scrivere questa sceneggiatura, scritta e riscritta tre volte, si sono impiegati circa quattro mesi, bisognerebbe sospettare che gli sceneggiatori passino le loro ore di lavoro come i critici passano quelle di ozio!
Inutile dire che anche in «San Giovanni» abbiamo la solita scena finale a base di piatti In faccia. E' l'unica che faccia sorridere. Ma se si pensa che, dopo quanto tutti hanno scritto sul nascente film comico italiano, per far sorridere è necessario ancora ricorrere al piatto in faccia o al l'innaffiamento, cioè ai due elementi comici sui quali vennero costruite l prime « comiche » di Mack Sennett e dei Fratelli Lumière, vien da piangere...
L'ambientazione del film è buona. Esso è costruito con quella signorilità e larghezza di mezzi che distinguono tutti i film di Liborio Capitani. Il quale ha ancora una volta avuto il merito di avere tentato di dare al cinema italiano qualcosa degno di essere ricordato. (E poiché si parla tanto di un «cinema d'arte», in contrapposto a quello di «cassetta», bisogna dire che Capitani è uno dei pochi produttori italiani che non dicono mal di no quando si tratta di lare un tentativo coraggioso). Insieme a Totò lavora anche Titina De Filippo, ottimamente truccata, ma non, nella recitazione, all'altezza delle sue possibilità.
Consiglio, a chi sì reca a vedere questo film di portare con sè dei batuffoli di cotone. E ciò per non correre I il rischio di divenire sordo, dato che dalla prima scena all'ultima ognuno del protagonisti fa a gara a chi grida più forte. Ho il piacere di salutarvi. Arrossendo, umilmente corro a raggiungere i colleghi critici nei luoghi di piacere ove, per mantenersi in esercizio, sono raccolti.
Osvaldo Scaccia, «Film», 18 gennaio 1941
Ci è sembrato, dopo questo ultimo film di Totò, che l'avvenire di questo comico, ormai tanto popolare da noi, sia più in dipendenza del cinema che del teatro. Totò per essere gustato deve venir preso isolatamente, spogliato della sua naturalezza di uomo per diventare unica’ mente e solamente personaggio, quel personaggio: Totò. In altre parole la sua mimica, per venire completamente afferrata deve allontanarsi da ogni elemento che porti una distrazione dall'esterno, deve concentrarsi tutta in se stessa. E questo in teatro non è possibile, questo lo si raggiunge solo con il cinema. Il cinema crea una relazione diretta tra lo spettatore e l'immagine dell'attore che il teatro disperde quasi sempre, e scopre così maggiormente il vero volto, le vere possibilità di una figura che agisce e recita.
Se vi è un attore in Italia, in questo momento, che è tutto visivo, che potrebbe raggiungere i suoi effetti anche senza muovere le labbra, presentando unicamente se stesso in quella specie di « trance » comica che lo invade, questo è Totò. Per questo abbiamo detto che il destino di Totò è sullo schermo e che riposa unicamente sulla sua stessa fotografia in movimento. Palermi ha fatto un buon lavoro di questo San Giovanni decollato, ma non il lavoro che Totò avrebbe potuto dare. Sembrerebbe che qua e là egli abbia avuto fretta di finire, o che la vis comica del suo interprete non lo convincesse completamente. Peccato, perchè la fusione di due elementi tanto disparati quali il mondo della fantasia di Totò e quello rustico e paesano della vecchia commedia avrebbero potuto faT nascere casi e momenti del tutto nuovi e impensati.
Ad ogni modo San Giovanni decollato resta un buon film, uno di quei film, che testimoniano ancora il continuo miglioramento del lavoro italiano e sopratutto la sensibilità e il gusto degli uomini che a tale lavoro dedicano le proprie forze e la propria intelligenza. Bene tutti gli altri e cioè Titina De Filippo, Franco Coop sempre svagato e simpatico. Di Giovanni, Silvana Jachino, Genazzani, Marcellini e Bella Starace Sainati.
Giuseppe Lumi, «Cinema», 25 gennaio 1941
Se gli spettatori delle pellicole comiche avessero modo di assistere alla ripresa di quei lavori che riescono più o meno felicemente a suscitare la loro ilarità, stupirebbero nel constatare quel che talvolta costi in fatiche e preoccupazioni (ed anche in solenni arrabbiature!) la fabbricazione di una risata.

Il film comico è tra i generi cinematografici più difficili: si tratta di rendere disinvolte situazioni paradossali, e per giungere a tanto registi, autori ed attori debbono mettere alla frusta tutte le loro risorse. Così accade che dopo prove e riprove, quando tutti sono stufi e ristufi di girare la stessa scena con piccole varianti, e la testa è divenuta pesante e la tensione nervosa si è andata facendo acuta... quando, infine, la situazione sembra resa nel modo migliore, puoi allora vedere il regista battere un pugno convinto sul tavolino più prossimo e - gli occhi fuor dall’ orbita, i nervi a fior di pelle — gridare: «Perdinci! Spero che così si dovrà ridere sul serio! » Alle parole farà eco null’ altro che qualche «Meno male! » mormorato qua e là, e un generale sospiro di sollievo.
Un tempo...
Una volta la pellicola comica era cosa più facile; il nostro Polidor, che fu certo l'attore comico più popolare del suo tempo, (e benché quasi sessantenne nutre ancora qualche velleità cinematografica, tanto che lo si è visto di recente nella parte secondaria di un ottimo lavoro) assicurava che per far ridere il pubblico del cinema bastava aggirarsi attorno a questa ricetta : « Una dozzina di ruzzoloni, dieci uova fradicie gettate in piena faccia, un secchiello di vernice colorata da far cadere addosso al protagonista rigorosamente vestito' di bianco, il qual protagonista leggendo il giornale finirà in una' botola aperta sul marciapiede. A contorno una vicenda che permetta di compiere memorabili litigi con la suocera, invariabilmente personificata da una donna-ciclone ».
Genere farsesco che faceva pericolare sotto le più rumorose risate le volte dei saloni cinematografici; genere che ora crollerebbe sotto un uragano di fischi.
Allora si voleva strappare la risata ad ogni costo: «o ridi o ti sparo! » Oggi, su un’ora e mezza di programmazione, il pubblico non vuole più d'ima decina di minuti di risate vere e proprie; per il resto del tempo gli basta sorridere.
...e oggi
Nemmeno la seconda maniera, che si ebbe con la ricetta americana, pare abbia più fortuna.
A Cinecittà, dopo qualche sforzo riuscito solo in parte, si è invece sulla buona strada; ha cominciato Macario (da notare che il divertente attore piemontese è quant’altri mai nervoso ed irascibile prima di entrare nel raggio d’azione dell'obbiettivo) che con le sue « barzellette» ed i pomelli rossi sugli zigomi, ha già saputo dare al cinema italiano... diecimila metri di pellicola divertente. Ha continuato Totò il quale, dotato di una maschera che ricorda da vicino quella di Buster Keaton, vi ha aggiunto quei prodigi distorsionistici che sono una sua specialità personale.
E con Macario e Totò vi è ormai a Cinecittà tutta un’altra serie di attori specializzati, dove non mancano neppure le donne, prima tra le quali Titina De Filippo l'incapacità femminile a «render bene» nel film comico, specie nel confronti della donna giovane e graziosa. Si era convinti che le donne non potessero strappar altro che sospiri accorati (se non proprio accorate lacrime!) agli spettatori del cinema; negli ultimi film di Macario abbiamo invece visto una... ragazza in gamba quale può essere la versatile Silvana Jachino, mostrarsi capace di far nascere la risata più spontanea. E questa... è un'altra conquista del cinema!
Jori (Foto Vaselli), «La Domenica del Corriere», anno XLIII, n.5, 2 febbraio 1941
Produzione: Capitani film - Direttore: Amleto Palermi - Interpreti: Titina De Filippo, Totò, Bella Starace Sainati, Silvana Pachino, Franco Coop, Osvaldo Genazzani, Augusto di Giovanni, Maso Marcellini, Mario Siletti, Eduardo Passarelli, Peppino Villani, Gorella Gori, Giacomo Almirante - Sceneggiatura: Palermi, Zavattini, Vergano - Scenografo: Pietro Filippone - Operatore: Fernando Risi - Distribuzione: E.N.I.C.
Sebbene a volte eccessivamente confidenziale e scherzoso nei rapporti di devozione verso un santo, il film è nel resto discreto e corretto. Può vedersi da tutti in pubblica sala.
Dalla omonima commedia di Nino Martoglio. Un portiere napoletano, che è ciabattino, ha una particolare e piuttosto confidenziale devozione per un quadro del Battista Decollato. I festeggiamenti alquanto rumorosi e i riti piuttosto originali che il balzano uomo organizza nel cortile del casamento, in omaggio alla sacra icone, danno luogo a contrasti e liti fra i coinquilini e persino tra il portiere e la sua linguacciuta consorte. La loro figliuola, che è segretamente fidanzata ad uno studente, viene promessa dal padre ad un giovane, protetto da un caratteristico tipo di «mafioso». Ma la ragazza fugge con il suo fidanzato in casa dei suoi futuri suoceri e invita i propri genitori ad assistere alle nozze. Il ciabattino parte immediatamente con la moglie, seguito però dal terribile «mafioso», che vuol fare giustizia sommaria. Alla fine il ciabattino mette a posto il prepotente i due fidanzati si sposano in letizia; e i litigiosi genitori si riappacificano definitivamente ai cospetto del venerato quadro di S. Giovanni.
La commedia di Nino Martoglio, ideata forse su misura per il compianto Musco, e che tanti allori di ilarità ha mietuto, appunto attraverso la interpretazione personalissima dell'attore siciliano, doveva passare sullo schermo senza più potersi giovane della maschera, della mimica e — diciamolo pure — dell'arte di Musco. Ma i produttori del film si sono dimostrati decisi a non rinunciare; a costo anche di spostare la vicenda da Catania a Napoli. Era pertanto la vicenda della commedia, piuttosto che l'attrattiva soltanto dell'interprete, a infondere loro tanta fiducia. Ciò hanno compreso i realizzatori, sceneggiatori e regista, e ciò anche ha compreso il protagonista Totò, chiamato a sostenere la parte del ciabattino devoto di S. Giovanni Battista. Infatti la sceneggiatura ha cercato di cogliere dall'opera teatrale motivi ed elementi capaci di ispirare belle deviazioni, sintetici incisi, parentesi dinamiche e ariose (in una parola, del cinematografo). La regia ha coordinato, con sufficiente bravura e con bell'intuito, le trovate del racconto, i tipici elementi dell'ambiente, le figure caratteristiche dei personaggi e, sopra tutto, le possibilità peculiari del protagonista. Invero è Totò un attore comico di distinta personalità e di una potente comunicativa. Anzi, nei confronti dello schermo, è questo il primo lavoro in cui può — se non a pieno, certamente con qualche significativo rilievo — dar corpo e tono alle sue potenziali virtù cinematografiche. Ed è in ciò, per molta parte, grande merito della regia. La fotografia è buona, senza essere eccellente. La ricostruzione scenografica di gusto, anche quando risente un po' la maniera. Il commento musicale grazioso.
«Centro Cattolico Cinematografico», anno XIV, n.2, febbraio 1941
E' la nota, lepidissima commedia di Martoglio di cui non v’è chi non ricordi l’interpretazione che le dava Musco nei panni di don Agostino Miciacio, il ciabattino analfabeta. Nella consumata regìa del Palermi la parte più propriamente farsesca della buffa vicenda (don Agostino che si autoelegge professore al servizio della figliola e dello studente che deve condurla all’altare) è affidata al popolare Totò.
Uscito dalla rivista per affrontare lo schermo, questo tipico macchiettista, di vena facile e abbondante, dalla maschera mobilissima, a guizzi leggeri, a baleni tra seri e faceti, il suo effetto lo raggiunge anche se il suo don Agostino si trovi spesso a dover lottare con quello fuori classe del compianto grande comico siciliano. Alla prova e al confronto Totò resiste, e questo è un attivo lusinghiero; al quale va aggiunta la nota tutta personale che egli riesce a dare, ed è divertentissima, al tipo incarnato, una nota più elastica e movimentata. Lo assecondano con efficacia Titina De Filippo e Franco Coop. E’ un film che fa ridere senza riserve.
e., «Il Piccolo delle ore diciotto», 7 maggio 1941
Fino a qualche mese fa non avevamo neppure una minima idea di quali potessero essere le possibilità cinematografiche di Totò. In meno di mezz'ora, invece, una sera, ci rendemmo conto ch'esse erano notevolissime per quantità e qualità. Volevamo conoscerne la più recente esperienza e vedere un po‘ se quel suo film, maltrattato dalla critica o freddamente accolto dal pubblico della prima visione, ci poteva offrire per lo meno qualche indizio sulle sue effettive attitudini. Fu soltanto al principio dell'ultima estate che, frugando negli elenchi cinematografici del « Messaggero », trovammo finalmente che Animali pazzi era in programma all'« Ottaviano », cinema rionale popolarissimo. Era di domenica e ne fummo contenti perchè sapevamo che — in materia di film comici — nessuna proiezione più istruttiva e sintomatica di quella domenicale in una sala di periferia.
I documenti
Mastro Agostino e il santo
Mastro Agostino Miciacio è un portiere e ciabattino napoletano che venera un dipinto raffigurante un'immagine di San Giovanni Battista decollato con cui egli parla e cui accende sempre un lumino a olio in segno di devozione. Ogni notte però l'olio sparisce. La sua devozione è tale da spingerlo a fare anche dei festeggiamenti che per la loro rumorosità gli tirano addosso le ire dei vicini e della sua famiglia. Viene processato e poi assolto per semi-infermità mentale. Il guappo Don Peppino vorrebbe imporgli di far sposare sua figlia Serafina a un lampionaio suo protetto: Serafina assieme al suo innamorato, un giovane studente, fugge dai nonni di quest'ultimo nel paese di Montebello Siculo, in Sicilia. Li raggiungeranno Agostino con la moglie e sarà proprio durante le loro nozze che Agostino scaccerà Don Peppino riuscendo anche a scoprire che era proprio lui il ladro di olio del lumino di San Giovanni che lui aveva preso a calci. La famiglia è finalmente riappacificata e riunita sotto l'immagine del Santo.
Totò cantante: discografia e incisioni per la Columbia - Disco D.Q. 36783
Il disco venne reclamizzato nel bollettino Columbia dell’aprile 1942 con il codice BQ 6026, sequenziale rispetto ai primi due dischi sopra riportati, ma non appare nella pubblicità del canzoniere della radio del maggio 1942. L’esemplare in possesso dell’autore presenta il codice D.Q. 3678 (probabilmente il disco fu commercializzato solo poco più tardi, considerato che nel già citato bollettino è reclamizzato un disco di Wanda Osiri con il codice D.Q. 3671).
Contenente due canzoni cantate da Totò tratte dal film “San Giovanni decollato” (Capitani film - 1940) musica di Armando Fragna (1898-1972), versi Bixio Cherubini (1899-1987), orchestra del Maestro Consiglio:
“LA MAZURCA DEI VENT’ANNI” (CB 10739)
“LA QUADRIGLIA DI FAMIGLIA” (CB 10740)
La versione de “La mazurca dei vent’anni” nel disco è differente da quella presente nel film ed è arricchita da una strofa aggiuntiva. Il brano “La quadriglia di famiglia”, non presente nella versione cantata nel film, riprende la struttura musicale della quadriglia ballata nella sequenza della festa nuziale ed è adattata a canzone con il testo di Cherubini.
Corrado Vitelli
Quel lavoro era il cavallo di battaglia di Angelo Musco e farlo io, in cinematografo, poteva sembrare presunzione. [...] Durante la lavorazione del film cercai di tenermi lontano dall’imitare l’attore siciliano.
Antonio de Curtis
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Risente pesantemente della struttura teatrale e di una trama né originale né appassionante. Alla fine dei conti, le cose apprezzabili sono alcune trovate di Totò che, in un film mediocrissimo come questo, fa però capire il suo indubbio talento. Tolta Titina De Filippo, gli altri non paiono degni del livello del duo. Importante storicamente, sinceramente evitabile. Risente pesantemente della struttura teatrale e di una trama né originale né appassionante. Alla fine dei conti, le cose apprezzabili sono alcune trovate di Totò che, in un film mediocrissimo come questo, fa però capire il suo indubbio talento. Tolta Titina De Filippo, gli altri non paiono degni del livello del duo. Importante storicamente, sinceramente evitabile.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Dissido!". - Tratto da una commedia di Martoglio e ambientato tra Napoli e un piccolo paese siciliano, è una delle prime esperienze cinematografiche di Totò. Come molto spesso accade per i film interpretati dal grande attore partenopeo, la carica e la simpatia del personaggio sovrastano la struttura narrativa piuttosto semplice ed elementare della commedia e costituiscono principale motivo di visione dell'opera.
- Portinaio napoletano venera l'immagine della testa di San Giovanni a cui dedica tutte le attenzioni. Piccola commedia dalle ascendenze nobili (Martoglio, con lo zampino di Zavattini) e dalle connessioni paradossali e fantasiose. Totò ai quasi esordi cinematografici "buca" la pellicola con una fisicità esplosiva e una verbalità debordante da avanspettacolo, sicuramente primordiale rispetto alle evoluzioni successive ma efficace per il livello elementare dell'opera. In parte godibile anche oggi.
- Tra i primi film di Totò è forse il più riuscito, grazie a una sceneggiatura calibrata meglio del solito, che permette al protagonista (già in fase di maturazione espressiva) di dare il meglio potendo contare su situazioni divertenti e ben sviluppate. I litigi tra Totò e Titina De Filippo sono uno spasso, Coop una buona spalla e il guappo di Di Giovanni dà il giusto pepe alla vicenda. Qui e là Totò si concede improvvisazioni degne di nota e anticipa trovate future (il pasto dopo il pranzo che tornerà in Miseria e nobiltà).
- Rifacimento della versione senza sonoro del 1917, diretta da Telemaco Ruggeri e interpretata da Angelo Musco, protagonista anche in teatro del lavoro di Nino Martoglio. Totò dà voce al personaggio devoto all'immagine di San Giovanni e ne dà tanta, da par suo, usando già quegli aggettivi e quei sostantivi ricercati e inusitati che poi ci abituerà a sentire nei suoi lavori futuri. Usa molto il linguaggio del corpo e la speciale mimica facciale, ma già mostra tutte le sue doti di attore di razza. Titina De Filippo lo affianca degnamente.
- Pochade teatrale di un ancora giovane Totò che nonostante un'esilissima trama mostra le sue grandi sfaccettature mimiche e regala qualche battuta inframmezzata da giochi di parole esilaranti. Il clima da avanspettacolo e la leggerezza sono evidenti. Titina è sempre presente.
- Divertente commedia in puro stile napoletano con tanto di guappo di quartiere a mettere sotto scacco l’istrionico ciabattino interpretato da Totò. Il soggetto non è sgangherato e, per quanto semplice e con un epilogo alquanto prevedibile, non annoia. Totò è più che mai legato alle sue radici teatrali e alla sua maschera, con movenze da marionetta e uno spirito tarantolato e, se non fosse per Titina De Filippo, farebbe terra bruciata attorno a sé per la differenza di spessore con il resto degli attori.
- Brillante farsa cinematografica di Palermi (chiamato a dirigere dopo il rifiuto di Zavattini) che prende spunto da una commedia di Martoglio. Totò, reclutato all'ultimo momento, dona alla pellicola il suo tocco superiore, ben supportato dalla vecchia amica Titina De Filippo e affina il suo repertorio di smorfie e di lazzi. La sceneggiatura è semplice e immediata, per far presa sul pubblico dei tempi. Naturalmente datato, si guarda con nostalgia e curiosità senza badare troppo a imprecisioni e incongruenze. Si ride di gusto.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: I dialoghi travolgenti fra Totò e Titina, quasi tutti improvvisati.
- Questa garbata e gentile farsa di Palermi, tra franche risate e analisi di costume, ci descrive l'Italia dello strapaese, un mosaico di facce, tipi, folclore, beghe familiari e condominiali e sopratutto ricca di una spontanea ed istintiva religiosità popolare. Per la prima volta Totò, nell'ambito delle farsa dialettale e della vis comica napoletana, non é più solo un burattino o una marionetta ma una persona in carne e ossa con un nome e cognome e svolge il lavoro di portiere-ciabattino. Film convincente.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò inizia, con questo film, ad esercitarsi con costanza e metodo con i suoi tipici giochi di parole che hanno sempre qualcosa di assurdo e metafisico. - "San Giovanni decollato" doveva essere interpretato da Angelo Muscio, ma la prematura morte del grande attore siciliano, impose alla ribalta un giovane napoletano di belle speranze, Totò. In verità non ci troviamo davanti ad un vero e proprio esordio, (é il terzo film del principe) ma già appare chiaro che diventerà un grande, grande al punto di ritenersi inadeguato, a sostituire Muscio. La storia del film è ben articolata, datata ma godibile, il ciabbattino, un gioiello di semplicità, intriso di quel "candore impudico" tipico del personaggio Totò.
- Dopo l'interessante esordio di Fermo con le mani, Totò si arena un po' con i succesivi Animali pazzi e Totò nella fossa dei leoni. Ci pensa Amleto Palermi a rispolverare il grande talento dell'attore napoletano con questo lavoro, tratto da Nino Martoglio. Affiancato da Titina De Filippo e da Franco Coop, Totò illumina la storia con battute e gag a raffica. Il film scorre bene, non vi sono punti morti nemmeno quando Totò è assente dalla scena. Da ricordare anche l'interpretazione della Mazurka dei Vent'Anni, sempre da parte del protagonista. MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il processo ad Agostino, le reticenze col futuro suocero (che lo scambia per un notabile professore).
La censura
Duplicato del verbale (datato 10 giugno 1947) della Commissione Revisione Cinematografica datato 23 marzo 1972
(Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema)
Foto di scena, video e immagini dal set
Le incongruenze
- Quando Totò sta parlando con la sua moglie (verso metà film), egli indossa una camicia scura, ed il suo colletto, con il passare delle inquadrature, prima è verso sinistra,poi verso destra, poi verso sinistra...
- Quando Totò sta mangiando una pizza con dei suoi amici, egli indossa un cappello, che, nelle varie inquadrature, prima è verso destra e poi è al centro.
- Nelle scene finali, Totò tira dei piatti al vero ladro che lo voleva decollare. I piatti sono palesemente di scena perché si sbriciolano prima che vengano tirati.
www.bloopers.it
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La scalinata dove Orazio (Passarelli) ringrazia Don Peppino (Di Giovanni) per aver organizzato l'incontro con Serafina (Jachino) e la sua famiglia è Salita Petraio, a Napoli
San Giovanni decollato (1940) - Biografie e articoli correlati
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Angelo Musco, impressioni d'America
Arnaud Fede (Arnaud Pocek Fede)
Articoli & Ritagli di stampa - 1940-1949
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1940
Bianchi Giorgio
Bilancia Oreste
Coop Franco
de Curtis Liliana
Fragna Armando
Genazzani Osvaldo
Gori Gorella
Haas Eugen
Jachino Silvana
Musco Angelo
Onorato Umberto
Palermi Amleto
Petacci Emilio
Siletti Mario
Villani Peppino
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1930-1945: l'estro funambolo e l'ameno spettro" (Alberto Anile), Le Mani-Microart'S, 1997
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- G.P. «Tempo», 14 novembre 1940
- Argo, «Film», 19 ottobre 1940
- G.B.St., «Film», 2 novembre 1940
- Silvano Castellani, «Film», 23 novembre 1940
- Jori (Foto Vaselli), «La Domenica del Corriere», anno XLIII, n.5, 2 febbraio 1941
- Documenti censura Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema
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