Totò al Giro d'Italia
Per i campioni sportivi niente fumo, niente vino e niente donne. Ma allora che vincono a fare?
Professor Casamandrei
Inizio riprese: ottobre 1948, Stabilimenti Farnesina, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: dicembre 1948 - Incasso Lire 299.000.000 - Spettatori 3.490.544
Titolo originale Totò al giro d'Italia
Paese Italia - Anno 1948 - Durata 88 min - B/N - Audio sonoro - Genere Comico - Regia Mario Mattoli - Soggetto Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Steno - Sceneggiatura Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Steno - Produttore Enic - Peg, Roma - Fotografia Tino Santoni - Montaggio Giuliana Attenni - Musiche Nino Rota diretta da Ugo Giacomazzi - Scenografia Piero Filippone - Costumi Werther
Totò: il prof.Ugo Casamandrei - Giuditta Rissone: la madre - Isa Barzizza: Doriana, la giurata - Walter Chiari: Bruno, il giornalista - Carlo Ninchi: Dante Alighieri - Luigi Catoni: Nerone - Mario Castellani: Renato Stella, l'allenatore - Carlo Micheluzzi: Filippo, il diavolo - Fulvia Franco: Miss Italia - Alda Mangini: Gervasia, la cameriera - Ughetto Bertucci: il meccanico - Mario Riva: il radiocronista - Vinicio Sofia: il cuoco - Luigi Pavese: cameriere - Eduardo Passarelli: il commissario - Loris Gizzi: il sindaco - Angelo Pellegrino: il passante in bicicletta - Mirella Gallo - Toto Mignone - Fausto Coppi - Gino Bartali - Fiorenzo Magni - Ferdy Kubler - Giordano Cottur - Gianni Ortelli - Conte - Adolfo Consolini - Louison Bobet - Alberic Schotte - Amos Matteucci - Jean-Pierre Wimille - Ulisse Lorenzetti - Di Segni - Amedeo Deiana - Aldo Spoldi - Giuseppe Tosi - Camillo Achilli - Tazio Nuvolari
Soggetto
Il professor Casamandrei, insegnante in un liceo bresciano, partecipa come membro della giuria ad un concorso di bellezza dove si innamora di Doriana, anch'essa giurata, e le dichiara il suo amore. Lei non lo corrisponde e per prenderlo in giro si dice disposta a sposarlo solo dopo che lui avrà vinto il Giro d'Italia. Il professore, incapace di andare in bicicletta ma follemente innamorato, è disposto a tutto pur di vincere e conquistare la bella Doriana, fino a quando il suo desiderio di vendere addirittura "l'anima al diavolo" viene colto alla lettera dal vero demonio Filippo Cosmedin, che si adopera in tal senso, proponendo un regolare contratto.
Lo sconosciuto professore, iscrittosi a sorpresa alla corsa rosa, comincia a vincere facilmente tutte le tappe, tra lo stupore di tutti e la rabbia dei numerosi campioni che vi prendono parte. Il patto col diavolo però comporta solo la vittoria al Giro, non certo la vita lunga e felice al fianco di Doriana che il professore aveva sognato: il contratto firmato col sangue infatti prevede che dopo il termine della corsa il demonio potrà subito impadronirsi dell'anima del malcapitato, quindi morte e dannazione immediate.
Il professore, resosi conto della tragica situazione, cerca in tutti i modi di non vincere, anche con l'aiuto della stessa Doriana - che, commossa dalla vicenda del patto col diavolo, finisce per innamorarsi anche lei dell'uomo - , della sorella di lei Gisella, neoeletta Miss Italia e del loro amico giornalista Bruno, ma con scarsi risultati.
Fino alla vigilia dell'ultima tappa la maglia rosa è saldamente in suo possesso. Il giorno dell'ultima tappa Casamandrei sembra ormai rassegnato a vincere e a finire all'Inferno, ma si rivela provvidenziale l'intervento di sua madre, che con uno stratagemma addormenta Cosmedin e fa in modo di sfruttare i poteri soprannaturali di quest'ultimo per far cadere il figlio a pochi metri dal traguardo: le donne, si sa, e in particolare le madri, ne sanno una più del diavolo. Tutto finisce bene: il professore si fidanza con Doriana e Gisella con Bruno, e a Cosmedin, pentito, viene data l'occasione di redimersi lavorando come domestico in casa della signora Casamandrei. Rimane incerto chi fra Coppi e Bartali abbia vinto il Giro.
Critica e curiosità
A ottobre Mario Mattoli e Antonio de Curtis cominciano la terza pellicola insieme, stavolta con il produttore Lorenzo Pegoraro. Primo film col nome del protagonista nel titolo, Totò al giro d'Italia sfrutta la mitica rivalità tra Coppi e Bartali, chiamati a rifare se stessi insieme ad altri campioni del ciclismo.
La lavorazione è un tour de force realizzato in buona parte in esterni adattando la realtà al film e viceversa, con un incastro continuo fra recitazione, cinegiornali e finzione organizzata all’interno di eventi reali. Il film comincia a Stresa, con la vera elezione di Miss Italia, dove Antonio de Curtis è realmente tra i giurati, e dove oltre al titolo la triestina Fulvia Franco vince subito una particina nel film, praticamente nei panni di se stessa. “Avveniva spesso che la verità si mescolasse alla finzione assumendo aspetti comici, poiché Totò, che faceva parte della Giuria, ad un certo momento cambiava tavolo per recarsi a quello della Giuria fittizia che doveva figurare nella scena. Il suo viso appariva arricchito da una fluente barba bionda, e così nella giuria vera Totò era giudice truccato, qualche volta. Alcuni dei commissari passavano dalla giuria vera a quella finta e le ragazze non sapevano più quale fosse il contegno che dovevano tenere” (Dino Villani).
Le scene della gara vengono ricavate dal Giro dell’Emilia e dagli allenamenti per quello di Lombardia, o da nuove pedalate organizzate tra la zona romana dell’Acqua Acetosa e la Cassia. E' il primo film in cui compare il nome di Totò nel titolo e nasce dall'idea di iniziare una serie con Totò assoluto protagonista, come poi avvenne con tutta la serie di film "Totò...". Il film venne quasi completamente girati in esterni ma Antonio de Curtis che non si trovava a suo agio in esterni ne' tantomeno a pedalare, sovente si fa sostituire dalla sua controfigura Dino Valdi. Il film viene girato mentre i corridori, Coppi e Bartali in testa, facevano la preparazione per il prossimo Giro di Lombardia, gli interni si svolgono negli studi di Cinecittà. Le prime scene del film furono girate nell'ottobre del 1948 a Stresa, durante la finale di Miss Italia, in cui Antonio de Curtis faceva parte realmente della giuria. Oltre al titolo di Miss la vincitrice avrebbe ottenuto anche una piccola parte in un film di Totò, ed infatti la prima classificata, Fulvia Franco, compare nel breve ruolo della sorella di Doriana.
Partecipano alla pellicola numerosi campioni di ciclismo dell'epoca: Fausto Coppi, Gino Bartali, Giancarlo Astrua, Louison Bobet, Ferdy Kubler, Fiorenzo Magni, Vito Ortelli oltre all'allora Campione del Mondo Alberic Schotte. È uno dei pochi film di Totò girati prevalentemente in esterni e in varie zone d'Italia. Gino Bartali ricorda di aver lavorato tra Anguillara, Monterotondo, Viterbo, Morlupo, L'Acqua Acetosa. Tazio Nuvolari fa un piccolo cameo nel film.
Mattioli propone a Totò una scena surreale, il protagonista Professor Calamandrei che cammina sulla facciata di un palazzo. Un'idea che piace a Totò in quanto coinvolge la sua vena irreale e metafisica. Si tratta di costruire una scenografia orizzontale adagiata a terra e ripresa di lato. Il progetto va a monte perchè il budget non lo permette e Totò ci resta molto male.
"I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
I documenti
I ricordi di Isa Barzizza sul set di Totò al Giro d'Italia. Intervista a cura di Alberto Anile per l'edizione DVD del film, edizioni RHV
Era il 1948 quando Miss Italia diviene un concorso a carattere nazionale con l’arrivo dell’Enit al fianco degli organizzatori. Giuria con grandi nomi, tra i quali quello di Totò, presente a Stresa per girare un film con la vincitrice del Concorso, “Totò al Giro d’Italia”, e tre favorite, Anna Visconti, Ornella Zamperetti e Fulvia Franco, che ebbe la meglio. Triestina, rappresentante della bellezza “acqua e sapone”, poi moglie del pugile Tiberio Mitri, la ragazza, 17 anni, fu festeggiata al grido di “Viva Trieste” poiché il suo successo ebbe un particolare significato nel momento di tensione per la rivendicazione d’appartenenza di Trieste all’Italia. Vai all'articolo UNA MISS AL GIRO D'ITALIA
C’ho il nervoso a pensare a Totò. Bastava guardarlo e si rideva subito, non c’era bisogno che facesse niente. Leggeva la sceneggiatura, andava là e faceva quello che voleva. Ed era più bello quello che faceva lui di quello che c’era scritto. Un altro che non leggeva niente era Walter Chiari, lui improvvisava tutto. Il copione c’era ma a loro serviva giusto per imparare la parte a mente e poi dirla in sunto. Erano degli artisti, quelli. Io se non dicevo come il copione andavo fuori del seminato.
Gino Bartali (intervista di Alberto Anile 1997)
Fatiche tremende, posti scomodissimi, freddo, con tutto questo mondo sportivo che proprio non combaciava con la maniera di essere di Totò. Lui viveva molto da solo, faceva orari particolari, non andava a letto prima delle cinque della mattina per cui dormiva quasi tutto il giorno e quando doveva fare i film si sconvolgeva un po’ perché doveva cambiare tutti i suoi orari. Insomma questi due mondi erano proprio come l’acqua e l’olio, non c’era maniera di mescolarli.
Isa Barzizza (intervista di Alberto Anile, 1997)
Un ricordo del ciclista Vito Ortelli
All'epoca del film "Totò al Giro d'Italia" noi eravamo i migliori ciclisti rappresentativi e per le scene in esterni del film, corremmo con le maglie relative alle squadre alle quali appartenevamo effettivamente. Fino a quel momento, io non avrei mai creduto che Totò, fuori dal set, fosse così squisito, educato, umile, superiore alla media, insomma, "così Principe".
E’ stato per me un insegnamento di vita! Per lui il copione era solo una guida. Mattoli non lo rimproverava mai, anzi lo lodava con dei "Bene, bravo!" perchè le sue improvvisazioni erano sempre adatte alle situazioni.
Noi ciclisti, imparavamo le due o tre parole da dire volta per volta e girammo sia di mattina che di pomeriggio. Dalla lavorazione io fui assente alcuni giorni, da lunedì a mercoledì, perchè mi sposai; poi, mi cambiai e li raggiunsi a Roma, in via Tiberio. No, perlomeno quando fui io presente, non furono girate scene in Toscana. La scena della cena ambientata sulle Dolomiti era una cena vera, nostra, a Roma: eravamo con le nostre effettive mogli filmate per l'occasione.Ricordo che mia moglie, Pina Aregnani, deceduta anni fa, allorchè si vide allo specchio dopo il trucco commentò: “Mamma mia, sembro malata!” Infatti, il truccatore, ci dava sul viso del farde "avorio scuro" altrimenti, nella pellicola, saremmo risultati troppo bianchi.
A fare la scena dove Totò Casamandrei fa equilibrismo e scompone la bici, non erano né Totò, né la sua controfigura delle altre scene: era un equilibrista tedesco di Monaco...no, non me ne ricordo il nome...o forse non lo ho mai saputo... Totò era fuori allenamento, non andava in bicicletta perlomeno da trent'anni: pedalando durante una discesa, tentò di frenare ma cadde per davvero e si arrabbiò. La maggior parte degli esterni fu girata nelle vicinanze di Roma. Furono effettuate anche delle riprese durante i Giri dell'Emilia e di Lombardia, poi inserite nel film.
A Lecco girammo la scena della punzonatura.
A fine ciak, per tenerci in allenamento, io ed il mio collega Bruno Pasquini, tornammo a casa nostra in bici: io, dopo 330 Km giunsi alla mia Faenza, fra le 15 e le 16; lui, da Bologna, luogo dove ci eravamo separati, andò a Pistoia dove pernottò: il mattino dopo era ripartito per casa sua, sulla riviera Tirrenica. Per una scena Mattoli, mi convinse a spingere il nano, sì Ughetto Bertucci: l'effetto scenico lo aveva soddisfatto, ma, involontariamente, avevo lievemente ferito il Bertucci al capo. Alcune scene le ripetemmo fra le cinque e le dieci volte. Nel tentativo di farsi arrestare, Totò vuole rompere un boccale di birra in testa ad uno; "il boccale di scena" era in realtà di terracotta e la scena fu girata 9 volte; sotto il berretto faceva male e allora aggiunsero invano della bambagia... Infine, fra bambagia e berretto una lamiera si rivelò ideale. Tale spreco del numero di scene fece incazzare Totò. Walter Chiari faceva "gli occhi dolci" a Fulvia Franco, la quale era accompagnata dalla mamma. Totò vedeva da un solo occhio. Quando andai a vedere il film in uscita, mi accorsi che mi avevano doppiato e non solo nella canzoncina finale. Nella canzoncina finale "La maglia rosa..." avevo cantato in presa diretta, facendo anche un acuto, però, devo confessare che non ero stato intonato...
Intervista telefonica rilasciata a Simone Riberto, biografo di Totò.
Riapriamo il libro del ciclismo nazionale alla pagina nuova. Accanto al nome di Fausto Coppi segnato a caratteri di scatola, mettiamo quello di Vito Ortelli. Due nomi di classe per due classiche gare. Siamo sulla strada maestra della ripresa, siamo al giro veloce delle ruote per le gare di tutte le categorie, ma l’interesse si polarizza sempre sulle competizioni tradizionali.
Messa in archivio la 37a Milano-San Remo con la nota di lode che tutti ben conoscete, ecco la 29a Milano-Torino. Altro successo, altra nota di lode per tutti. Assenti molti dei campioni più noti, assente anche Coppi, la gara ha ricavato dall'equilibrio dei valori il suo maggiore interesse. Prima della fuga decisiva, prima che si realizzasse l'affermazione netta del quartetto della «Benotto» con alla testa il suo caposquadra Vito Ortelli, la corsa ha sgranato i suoi molti episodi, tutti interessanti.
Nel polverone mosso dalle solite cento macchine del seguito, sulle sconnesse strade tortuose e difficili, sui tratti brevi e duri delle salite, nelle lunghe discese, le fughe, i vantaggi, le riprese, le bucature e le cadute si sono susseguile con ritmo incessante. Sono rimasti a galla i più farti, sono saltati fuori i campioni, dopo che alcuni giovani avevano saputo dare tono e velocità a certi episodi. La distanza ha messo i favoriti sul loro piedestallo. È la classe che rifulge sempre, anche sotto la crosta dura e fastidiosa composta di polvere e sudore.
Nino Oppio, «Tempo», 13 aprile 1946
In Totò al giro d'Italia, il soggetto di Metz era abbastanza difficile perché era tutta una storia surrrealista di diavoli. Nel film Totò era una specie di "suiveur" dei ciclisti, che c'erano tutti, da Coppi a Bartali, a Bobet, a Magni, stava assieme a questa troupe di ciclisti veri. Ma mentre i ciclisti erano abbbastanza disciplinati (a loro piaceva correre presto la mattina), Totò non si alzava perché aveva cercato di stabilire come suo diritto quello di alzarsi tardi. Diceva che l'attore è abituato ad andare tardi a cena, tardi a letto, e la mattina non può alzarsi presto.
Durante tutto il film mi sono trovato più volte su una strada, sotto il sole, con tutta questa gente importante, che guadagnava, che era celebre, con lui che non veniva mai. Facevo chiamare Totò alle nove e mezzo, ma fino a mezzogiorno non scendeva. Mi sono trovato in montagna con questi che bestemmiavano perché dovevano correre, e ancora Totò non arrivava, non capiva che per correre in bicicletta non si può aspettare, non ci si può innervosire.
Mario Mattoli
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Ennesimo film della serie interpretata dal grande attore partenopeo sui fatti ed eventi del costume italiano, questa volta in particolare con la manifestazione sportiva per eccellenza, il giro ciclistico d’Italia. Il film appare interessante più come pretesto per un’osservazione di costume dell’Italia dell’epoca che per il suo valore artistico in sé, in verità piuttosto limitato e non all’altezza di altre pellicole interpretate da Totò.
- Totò è qua chiamato in causa per un film comico a base sportiva (ben girato dal bravo Mattoli). Più delle "guest stars" di nome Bartali e Coppi, resta impresso il solito gusto per una ironia verbale, garantita dalla verve teatrale dell'ormai famoso comico napoletano. La potenza disumana che anima le gambe del prof. Casamandrei (De Curtis), vincitore inatteso dell'epocale "giro d'Italia", deriva da un patto (sui generis) di stampo diabolico. Sceneggiato dal trio Metz, Marchesi e Steno, il narrato predilige un tipo di commedia garbata ed intelligente, ben sorretta anche dagli attori di contorno.
- Grande, seppure invecchiatissimo Totò sportivo, con codazzo dei mitici fuoriclasse del sellino, e geniale parafrasi rossiniana, che da sola vale la visione. Maliziosamente vi si potrebbe leggere un'allegorica profezia di quello che il ciclismo è diventato, con appendici anche tragiche, com'è noto. Ma se ne può fare a meno, e limitarsi a godere del genio di Totò. "La maglia rosa, la maglia rosa, è quella cosa che mai non riposa... "
- Professore innamorato vende l’anima al diavolo pur di vincere il Giro d’Italia e far colpo sull’amata. Film di scarso appeal cinematografico, basato esclusivamente (oltre che, naturalmente, sulla presenza istrionica di un barbuto Totò) sulla partecipazione di personaggi famosissimi nell’Italia sportiva del dopoguerra, a cominciare da Coppi e Bartali, impegnati in performances attorali imbarazzanti. Da ricordare solo la gag canora finale (“La maglia rosa, la maglia rosa è quella cosa che mai non riposa”). Per il resto, è perdibile.
- Film che onestamente non mi sembra fra i migliori, ovvero tra i più divertenti del Principe: il fenomeno di costume del Giro d'Italia è la base da cui partire, ma il patto con il diavolo e le vicissitudini del protagonista con annessi "proto-effetti speciali" sono abbastanza risibili. Rimane memorabile l'imbarazzante prova attoriale di Coppi e Bartali.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La grande perfomance finale: "La maglia Rosa, la maglia Rosa, è quella cosa che mai non riposa..." Con acuto!
- Da bambino era uno dei film di Totò che preferivo, anche se oggi risente dell'usura del tempo (i campioni delle due ruote sono altri). Di certo c'è il fascino vintage della pellicola, che può contare su un nutrito numero di attori bravi, che affiancano il principe in questa sua fatica cinematografica. Mi rammenta non poco, ma in meglio, L'allenatore nel pallone con Banfi, anche se parla di un altro sport, ironizzando sul mito di Faust, con il protagonista che vende l'anima al diavolo. Ci sono anche Walter Chiari e Isa Barzizza.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il piccoletto stempiato viene schiaffeggiato dal diavolo: "Er professore me mena, la sù donna me mena, anche er diavolo me mena... Tutti me meneno!".
- Totò non rientra (e so che verrò infamato per questo) fra i miei mostri sacri e, ahimè, film come questo aumentano la mia non passione per il principe. Il film è spicciolo, risicato nella sceneggiatura infarcita di dialoghi di poco valore, e, sopratutto, dà fin dalla prima scena l'idea di esser un pretesto per riproporci il genio della risata. Detto ciò qualche risata la si fa anche, ma non me la sento di consigliarlo!
- Uno dei Totò a cui son più legato sentimentalmente: passava mille volte in tv e con mio nonno lo vedevo tra la nebbia delle sue Nazionali. Il primo film in cui il Principe compare nel titolo contamina due portentosi fenomeni nazional-popolari, proponendosi già di per sè come fondamentale reperto storico. Pur nella sua rudimentale ingenuità di sceneggiatura lo rendono più che godibile il ritmo innato di Mattoli, le comparsate eccellenti e le straordinarie caratterizzazioni: il Diavolo di Micheluzzi, la Mamma di Giuditta Rissone, il giovanissimo Chiari.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La "bomba" di Coppi; Il "cannone" di Bartali; La maglia Rosa al ritmo del Barbiere.
- Escursione cinematografica nel mondo del ciclismo arricchita dalla partecipazione illustre di campioni dell’epoca, oltre a Nuvolari e la Miss Italia di quell’anno. È divertente e leggero, con trovate simpatiche e ottime spalle, tra cui spicca Micheluzzi (proveniente dal teatro goldoniano). A tratti appare quasi come una satira di costume, sebbene si tratti di una parodia ben riuscita di quel periodo storico, in cui il ciclismo non era ancora stato scalzato dal calcio. Il primo di una serie a portare il nome dell’attore nel titolo.
- Più che un film è una testimonianza quasi documentaristica "di costume", di un'epoca - si potrebbe benissimo dire "gli anni '50 italiani", anche se il film è del '48 - e di uno sport che allora aveva, a dir poco, molto seguito. Un po' come accadrà in quello stesso, fecondo 1948, con I pompieri di Viggiù, un oggi preziosissimo spaccato di un genere di spettacolo che ormai non esiste più, il teatro di rivista. Qui rivediamo i campioni del ciclismo di una volta - meglio che non recitino, però - e la Miss Italia di quel anno, Fulvia Franco.
- Simpatico film di Totò che, negli anni della rivalità tra Coppi e Bartali, si cimenta nel ciclismo... e nei suoi "beveroni" magici. Il film risente il peso degli anni ma è un bella rivisitazione degli anni che furono. Resta comunque godibile e divertente.
- Un professore di liceo vende l'anima al diavolo pur di vincere il giro d'Italia e conquistare la donna amata. Film narrativamente debole, che ha come unico punto di forza le gag e l'istrionismo del grande attore partenopeo, particolarmente esilarante dei panni di un eminente e acculturato insegnante. Totò batte nientemeno che Coppi, Bartali e tutti i campioni di ciclismo dell'epoca, in una sarabanda di immagini di costume di un'Italia ormai scomparsa. Non uno dei suoi migliori film, ma si ride e c'è la Barzizza che è uno schianto.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La scena finale cantata sulle note del Barbiere di Siviglia di Rossini.
- E’ una bella soddisfazione vedere il magico Totò in maglia rosa sbaragliare Coppi e Bartali e dominare facilmente il Giro d’Italia... Simpatico e nostalgico reperto archeologico di un’Italia che non c’è più, questo film di Mattoli che è quasi l’auto-remake di Tempo massimo del 1934, è un pasticcio piuttosto disordinato di tanti generi quale il documentario sportivo, la tresca amorosa, la vena fantastica e capricciosa espressa dal Diavolo il persona, la satira verso personaggi e situazioni politiche di un periodo molto burrascoso della nostra Nazione.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Sembra il Processo alla Tappa: Coppi, Bartali, Magni, Bobet, Kubler, Schotte, Ortelli, Astrua; Ci sono proprio tutti i campioni di allora!
Così la stampa dell'epoca
«Nel '48 le manganellate sono all'ordine del giorno ma per motivi diversi dalle code al cinema. L'Italia è squassata da divisioni e scontri: dopo la strage di Portella della Ginestra, avvenuta il 1° maggio dell'anno precedente, il 18 aprile la Democrazia Cristiana fronteggia il Partito Comunista in una campagna elettorale tesissima. Le prime elezioni repubblicane vedono l'Italia spaccata in due: il principe Antonio de Curtis, ecumenico, rifiuta di farsi fagocitare dalla tensione generale e si fa riprendere in cabina da un cinegiornale mentre fa smorfie a destra e a manca. [...]»
Alberto Anile
Bartali e Coppi si danno al cinema
Firenze, 13 settembre
Approfittando della forzata sosta agonistica di Bartali e Coppi, la casa cinematografica che aveva stabilito di fare un film coi due campioni e Totò ha accelerato i tempi. Così Bartali accompagnato dalla moglie, è partito in auto alla volta di Roma. Mentre Coppi è transitato ieri notte in treno da Firenze.
I due corridori prenderanno visione del copione e riceveranno le prime istruzioni, quindi avrà inizio il loro nuovo lavoro a Roma, mentre gli esterni saranno girati sulle colline di Firenze.
«Il Nuovo Corriere della Sera», 14 settembre 1948
La vita delle stelle è davvero molto faticosa e tale è anche il tributo che si deve pagare alla dea celebrità. Cosicché Fulvia Franco, appena eletta «Miss Italia 1948», invece di pensare al riposo da tante fatiche e tante ansie, ha domito fare in fretta e furia le valigie e volare a Roma dove l'attendevano impazienti regista ed operatori per il primo giro di manovella al film per il quale era stata scritturata. E nemmeno per un film da poco:
si tratta nientemeno che del film «Totò al Giro d'Italia», nel quale, è fianco del celebre principe De Curtis erede del titolo del Sacro Romano Impero, compariranno Bartali, Coppi, Nuvolari, Tosi ed altri noti sportivi, senza contare la graziosissima e pepata Isa Barzizza, per i cui occhi appunto Totò, lasciato l’insegnamento ginnasiale, inforca la bicicletta e parte per vincere il Giro d’Italia, unica condizione che la crudele Isa ha posto per ascendere con lui l’altare. Fulvia Franco ha posato per la prima volta davanti ad una macchina da presa, sotto la guida del bravo e paziente Mattoli e se il successo sarà in rapporto alla buona volontà da Fulvia dimostrata nell’interminabile ripetersi delle scene, si può dire che Fulvia farà molta strada.
Eccola qui nella prima fotografia mentre riceve gli ultimi ritocchi prima del «ciak» iniziale. Davanti a lei è Totò, divenuto corridore per amore: gli stanno aggiustando quella barbetta, sacra per eredità, ma che sarà sacrificata anch’essa per amore. «Amore, amore», si potrebbe parafrasare, «quanti misfatti si commettono in tuo nome!». Nella seconda foto «Ironia della vita», dice Totò, e il film ha inizio. Eccoli ancora insieme nella terza foto, i due futuri cognati che si accorderanno per l’assalto finale agli amati che non li corrispondono e che sono Isa Barzizza (quarta foto) e Walter Chiari. E nella quinta Totò si abbandona addirittura alla disperazione: «Cosa ne sai piccina dell’amore?».
La sesta foto, è stata presa all’Hotel di Russia, durante la festa in onore di Miss Italia. Eccola al tavolo dei giornalisti dei quali si è dichiarata amica, malgrado certi scherzi di cattivo gusto. Si è intrattenuta a lungo con loro cercando, con subdole arti femminili, di carpire loro qualche s .greto professionale: «Ora vi fotografo io», ha detto: ma poi ha rinunciato perchè ha detto che le macchine dei giornalisti sono troppo difficili e soprattutto troppo pesanti. Al tavolo sono, con alcuni giornalisti romani, due brillanti signore della società romana, Annamaria e Virginia Monachesi, note fra l’altro, come allevatrici cinofile, e padrone del celebre Lao-Tzè del quale Guido Notari della «Incom», con il dito alzato, sta discutendo i meriti ed i trionfi.
«Il Piccolo di Trieste», 28 settembre 1948
Fare la regina è davvero mestiere impegnativo e di responsabilità: il cerimoniale di regno di Fulvia Franco, miss Italia 1948, elenca infatti tutta una serie di viaggi, di visite e di feste che si susseguono a ritmo serrato. Vicenza, Treviso (a visitare la fiera), Trieste, Roma; da brava sportiva, miss Italia, col sorriso sulle labbra, brucia le tappe. Le hanno dato una consegna, a Trieste: di ripetere, le hanno detto, in tutte le città d’Italia, a tutti quelli che incontrerà, che Trieste è italiana e deve tornare all’Italia. Il prefetto le ha affidato un messaggio per il Presidente del Consiglio e l’ha baciata sulla bocca (un bel bacio sonoro e affettuoso che durante il suo lungo pellegrinaggio per la penisola le ricordi sempre il grande cuore della sua città).
Dopo Trieste, Roma. Ce l’hanno mandata in aereo, accompagnata da papà, a girare un film, «Totò al giro d’Italia», in cui, assieme all’asso della risata avrà come colleghi d’arte due assi del pedale: Bartali e Coppi. Domani la bella miss è attesa a Torino: in forma privatissima, dicono gli organizzatori; e nemmeno vorrebbero rivelare con che mezzo e a che ora arriverà. Pare nelle prime ore del pomeriggio e ripartirà subito per Cuneo che si prepara a festeggiarla degnamente.
Ma domenica sarà di ritorno a Torino, questa volta per la presentazione ufficiale. Via i mezzi tacchi e gli abiti di taglio sportivo che tanto le piacciono, in abito di gala, la bruna reginetta si esibirà in un pomeriggio danzante allo «Smeraldo». Tiene in serbo, ha promesso, il più smagliante dei suoi sorrisi ed è sicura di persuaderli, questi increduli di torinesi, che è proprio la più bella di tutte le belle italiane. La sera però sarà già altrove; dopo aver fatto tanto parlare di sè le cronache, si lascerà finalmente rapire dai giornalisti e parteciperà a Milano al gran gala in suo onore alla Mostra del giornalismo
«Gazzetta della Sera», 9 ottobre 1948
Lecco, 15 ottobre
I ciclisti s’eran dati l’appuntamento dinanzi alla sede del R.A.C.I. ed alle nove, ien mattina, ce n’erano già più di cinquanta con maglioni e strisce e calzoncini di flanella stretti in un intrico di biciclette. Uno della folla che li attorniava riconobbe Ortelli. «Vito — gli gridò — che corsa è questa?». Ortelli piegò appena la sua grossa testa in direzione della voce, poi, rivolgendosi a quelli del suo gruppo dsse: «Niente corsa, mio caro. Siam qui a far gli artisti, a fare il film col Totò». Quelli del suo gruppo diedero in una risata profonda, cavernosa.
Alle nove e dieci si sentì mormorare tra la folla: «Fausto, Fausto». E Coppi se ne arrivò silenzioso, in bicicletta, seguito da Serse, suo fratello. Lo accolse un applauso deferente, prima, e poi un rispettoso silenzio. Coppi rimase per un po’, guardandosi attorno disattento, seguitando a grattarsi metodicamente fra le gambe come uno che non si cura della gente. A un certo punto disse: «And amo». Gli altri lo seguirono fra un rombar di motori. Avevano tutti preso la sua espressione, quell’aria di degnazione seccata che si addice ai giganti della strada quando hanno da fare con «quelli del cinema». Andarono dunque a radunarsi in formazione compatta, rilucente, possente dinanzi alla stazione, che eran le dieci, l’ora fissata per l’inizio delle riprese ed a piè fermo attesero lo scontro.
Ma lo scontro non ci fu. Mattoli, il regista, non c’era, e della sua «troupe» nemmeno l’ombra. Stavano ancora in albergo, ai piani Resinelli, a venti minuti di automobile da Lecco, applicando coscienziosamente il principio tattico del ritardo, che è principio basilare della scuola italiana. Passò una mezz’ora e la compagine dei ciclisti rimase salda; ai suoi fianchi le grosse macchine rilucenti delle case sembravano elefanti catafratti pronti per la battaglia. Ma fu proprio uno di questi elefanti il primo a cedere. Il vecchio Pavesi, allenatore della Legnano, che gli stava in groppa, scivolò via verso il più turino albergo. Fu il segno della rotta. L’uno dopo l’altro t giganti della strada si rifugiarono nell'albergo e, sparsisi disordinatamente fra t tavoli, con le gambe nude e la pelle accapponata incominciarono ad assumere un aspetto melanconico e remissivo.
Pochi minuti dopo sembrarono rianimarsi. «Ecco gli attori», presero a sussurrare. Erano entrati infatti nell’albergo tre giovanottoni con sciarpe di seta al collo, neri di capelli, di colorito abbronzato, di profilo maschio: bellissimi. Avevano, oltre la pronuncia, qualcosa di romano. Ricordavano, nella nobiltà dei tratti, t loro antenati e bisognava guardarli bene, negli occhi, per accorgersi che l’antica, limpida, fredda volontà di imperio s’era mutata in qualcosa di più morbido: un quieto, tenace desiderio di riposo. «Gli attori, gli attori». sussurravano i ciclisti, ma uno dei nuovi arrivati disse forte a un compagno: «Aoh, Giggè, prepar amo ’sti riflettori, sennò er commendatore ce scanna». Erano gli elettricisti.
Gli attori giunsero dopo, molto più brutti, molto meno attori di quanto i giganti della strada avessero immaginato. Stavano ad ascoltare, i ciclisti, le voci risonanti degli artisti e intanto tenevano d’occhio Coppi, attenti a ciò che faceva. Non fece niente, povero Coppi. Lasciò fare. Si avanzò uno degli attori, uno che lo incontrava per la prima volta e «Olà Fausto — disse — come va, vecchio mio?». Poi, datogli un affettuoso buffetto sulle guance se ne andò verso il bar.
Da quei momento «quelli dei cinema» fecero ciò che vollero dei giganti della strada. Totò se ne arrivò a mezzogiorno meno dieci. Salì a cambiarsi e poco dopo comparve sulla porta dell’albergo in tenuta da ciclista: un berrettino civettuolo, bianco e celeste sui lungo viso triste; una maglia di un resa tenero a fasciargli il timido torace e la pancetta rotonda; un paio di calzoncini non, lunghi sino al ginocchio e poi due esili stecchi coperti di peli neri, le gambe, con, al fondo, dei calzini da passeggio. Ceppi stava dietro a Totò e rispose con la mano agli applausi della folla. Non si era accorto, Fausto, che la folla applaudiva al mimo, che aveva occhi solo per lui, che si sganasciava dalle risa vedendolo salire sulla bicicletta bassissima che Benotto gli ha preparato. «Viva Coppi!», si udì ancora gridare qua e là, ma erano pochissimi a pronunciare quel nome, i fedelissimi, quelli che sanno a memoria la sua data di nascita ed il numero di scarpe che gli si adatta. Gii altri s’eran già dimenticati dell’eroe del Falzarego e delle sue cento vittorie.
Guardavano Totò e ridevano. Finalmente si incominciò a girare: una partenza d’una tappa del giro d’Italia con Totò maglia rosa, in prima fila, in mezzo agli assi. C’eran tutti, meno Bartali, che è arrivato nel pomeriggio. C’erano Magni, Cottur, Ricci, Ortelli e Conte, idoli delle folle sportive ridotti al ruolo di comparse, obbedienti agli urlacci dell’operatore, stupiti dal rumore del ciak, imbambolati dinanzi al color mattone degli attori, incantati dal muover d’anche di Isa Barzizza. E Coppi pareva umile come un fraticello. Lui, l’asso degli assi, faceva da gregario a Totò. Si fini di girare alle due del pomeriggio. I ciclisti si precipitarono negli alberghi a seppellire la loro vergogna sotto montagne di pastasciutta.
Giorgio Bocca, «Gazzetta della Sera», 16 ottobre 1948
Roma, martedì sera.
Dopo i calciatori, i quali si presenteranno sullo schermo con « Undici uomini e un pallone», è la volta dei ciclisti: Bartali e Coppi compariranno infatti insieme in un film comico-sportivo che si avvarrà della partecipazione di Totò.
«La Stampa», 17 ottobre 1948
Roma, giovedì sera.
Una grande animazione regnava ieri sulla via Cassia. Una enorme folla di curiosi o sportivi assisteva a una delle piti spettacolari riunioni di questi ultimi tempi Bartali, Coppi, Bobet, Cottur, Magni, Schotte e altri «assi» del ciclismo internazionale, cercavano di tagliare il traguardo. Ma non si trattata di una competizione ciclistica, ma della ripresa di una scena del film «Totò ai Giro d'Italia », che si sta girando a Roma in questi giorni. Avvicinati, i campioni hanno dichiarato che essere divi piace loro moltissimo e che unico inconveniente è il cerone. Con Bartali erano la moglie e Bruno Pratici, il padre spirituale del campione.
A festeggiare gli assi vi erano anche gli altri interpreti del film, fra i quali miss Italia 1948, Totò e Isa, Barzizza.
«Stampa Sera», 28-29 ottobre 1948
Roma, 30 ottobre
Erano 15 anni che non andavo in bicicletta — ha rivelato oggi il celebre comico Totò ad un ricevimento offerto dal «Corriere dello Sport» ai protagonisti del film «Totò al Giro d'Italia». — Sono montato in sella per questo film, in cui devo battere niente di meno quei due, Fausto Coppi e Gino Bartali, ma, intendiamoci bene — ha precisato Totò accompagnando il suo dire con un espressivo gesto partenopeo — quei lì corrono come matti, io nel film mi vendo l’anima al diavolo per batterli perchè la mia fidanzata ha promesso di sposare il vincitore del Giro». Per la prima volta Gino Bartali e Fausto Coppi hanno posato per un film. Si dice che abbiano accettato un’offerta di 300 mila lire al giorno e lavorano da una settimana. Anche il campione del mondo, l’olandese Schotte, e la rivelazione del «Tour», il giovane francese Louison Bobet, sono rimasti in Italia dopo il Giro di Lombardia per fare gli attori dello schermo. Nel film diretto da Mattoli agiscono pure Isa Barzizza e Fulvia Franco, Miss Italia 1948.
Il principe Totò sa essere molto serio quando vuole e le sue espressioni per i due assi erano veramente sincere. Bartali per tutta la durata del ricevimenti è rimasto seduto fra la moglie e Don Bruno, il sacerdote che gli fa da angelo custode. Gino era di ottimo umore. E’ arrivato prima di Coppi e quando ha visto giungere Fausto gli ha detto: «Non fingere di non vedermi; lo sai che sono arrivato prima di te. E ricordati, è finita questa storia di le che arrivi sempre primo; l’anno prossimo il primo sarò sempre io!». Louison Bobet, sempre sorridente, in giacca fantasia, andava in cerca di chi conoscesse un poco di francese. Lo accompagnava Walter Chiari, anche lui protagonista del film. Bobet s’intende con Coppi, che ha fatto grandi progressi nel francese. Invece il vincitore del «Tour» 1948 non ha appreso troppo bene la lingua in cui lo hanno applaudito su tutte le strade di Francia. «Bartali? — fa Walter Chiari. — Lui parla un francese alla ponte ad emese — aggiunge malignamente — con un pizzico di sagrestiese», e Coppi sorride leggero leggero, come è sua abitudine.
Fausto fa gli occhi dolci quando gli si avvicina Miss Italia. La Miss 1948 è simpatica e affettuosa con i compagni d’arte, ma Bartali la saluta con una cordialità composta e torna a sedersi fra la moglie e Don Bruno. Coppi fa sorrisi e smorfie pieni d’intenzione e si duole di non aver girato nessuna scena d’amore con lei nel film. «Bartali si che l’ha fatta — dichiara a un certo punto — lui l’abbraccia e la bacia». Invitato a confermare ti fatto sensazionale Bartali smentisce: «Si stava sempre noi da una parte, voi dall’altra. Nel film non s’era mai vicini. Coppi non ha detto la verità». Miss Italia a sua volta conferma: «Nessuna scena d’amore, nè con l’uno nè con l'altro».
Passa Louison Bobet, mormora qualcosa a Miss Italia. «Peccato — dice lei — che io non so parlare francese: sono proprio un’ignorante (ma parla l’inglese, dice, e imparò ad andare in bicicletta a tre anni giura). Richiesta Miss Italia di far conoscere chi avrebbe preferito per un’innocente scena d’amore, se Bartali o Coppi, risponde decisa: «Nè l’uno nè l’altro. Sono entrambi sposati». «E con Louison Bobet?». «Neppure». Bobet si sente nominato e si avvicina. Gli si domanda se è vero che è comunista e amico intimo di Thorez. Risponde con un «Nooo» lungo e meravigliato: «Qui est ce que vous a dit ca?». Prega di smentire: non è amico nè di Thorez nè dei comunisti, è indipendente. — Quante parole ha detto nel film? — Poche parole, tre o quattro. — Anche Bartali ha detto poche parole, anche Coppi, anche Miss Italia che confessa: — Sono appena una comparsa. La storia del diavolo che acquista l’anima di Totò è poco compromettente per uno spirito cristiano.
Tanto che anche don Bruno ha autorizzato Bartali ad accettarla. Dice don Bruno: — E’ un film altamente morale, se non fosse cosi, lo bruceremmo. Ride e soggiunge: — Ma non sarà bruciato, perchè Mattoli, oltre ad essere abile, è anche buono profondamente, è vero Gino? Bartali fa cenno di si col capo e mormora: — E’ veramente bravo. Anche Isa Barzizza è piaciuta a don Bruno che la definisce bella dal lato estetico e ottima dal lato morale. Bartali accenna con il capo in segno di approvazione perchè tutto quello che dice don Bruno è giusto. Ed è bene che don Bruno sia con Gino, don Bruno è un sacerdote moderno e intelligente.
E se non era con lui, Bartali il fatto del diavolo che compera l’anima di Totò non lo avrebbe digerito.
Donato Martucci, «Gazzetta della Sera», 30 ottobre 1948
Roma 4 novembre.
Il tempo che Coppi e Bartali hanno trascorso a Roma per figurare in un film non è stato privo di esperienze. La prima è che nel cinema, come attori, ci si annoia durante le riprese, la seconda è che, come corridori di bicicletta, ci si infiacchisce. Bartali infatti, che domenica scorsa s'era proposto di correre la corsa a coppie Cernusco-Milano, dovette all ultimo momento rinunciarvi perchè i quattro giorni dedicati alla macchina da presa, col cerone sul volto e le poche battute della parte sempre pronte a sfuggirgli dalla memoria, avevano messo in forse il suo vigore.
Bartali, abituato al rigori delle commissioni sportive, del cronometri, dei traguardi, non supponeva che anche i registi avessero orologi da polso, voci perentorie da rimprovero nel megafono e che imponessero appuntamenti mattinieri e il drastico rispetto dell’orario. Non supponeva che Mario Mattoli, dietro quel faccione bonario, liscio, rotondo, rallegrato dagli occhi chiari, poco o nulla differisse, quanto ad autorità, dal vecchio Cougnet, in pieno Giro d’Italia, o da Goddot, in pieno Giro di Francia.
Bartali è mite, candido, devoto, o almeno questa è la sua fama. Perciò lontana si tenne da lui. fin dal principio, ogni idea di ribellarsi. Piuttosto ricorreva alla preghiera. Pregava Mattoll. regista del film, proprio col fervore di chi chiede una grazia al proprio santo, di non fissare troppo per tempo. Il giorno dopo l'inizio delle riprese. «Alle 8?» Bartali faceva una timida faccia contrariata. Come si può pretendere che ci si trovi a un'ora simile già pronti per «girare», con gli occhi pieni di sonno e le membra intorpidite?
Mattoli trasecolava. Questi macinatori di chilometri, queste « 8 cilindri umane », pensava, hanno anch’essi le loro brave pigrizie. E si compiaceva in cuor suo, di potersi prendere col re della strada, lui re della poltrona, la sua bella rivincita di resistenza. Bartali non smetteva di guardarlo con supplici pupille. Era impossibile, era assolutamente massacrante continuare in quello strano modo, andando a lavorare, al mattino, morto di sonno (cosi si lamentava), senza neppure il tempo di prendere una boccata d'aria, di fare almeno cento chilometri in bicicletta, solo cento piccoli chilometri, tra andata e ritorno. In fretta in fretta, tanto per sgranchirsi.
Questo era il suo cruccio. L'altro era che neppure l'orario della sera i cento chilometri glieli permetteva, si finiva di girare dopo il tramonto, cadeva rapidamente la notte. Non c'era verso di liberarsi con qualche anticipo per poter utilizzare il poco lume del crepuscolo. E una volta che, deciso di rompere la pigrizia, volle avventurarsi col buio sull'Appia nuova, dovette subito desistere.
Nessuna abdicazione è lieta. Abdicando in favore dell’attore, il corridore Bartali aveva altre ragioni di amarezza. La ripresa degli «esterni» si svolgeva in un punto dove la Cassia, pochi chilometri prima di Roma, compie una serie di svolazzi per scavalcare alcune colline. La salita, breve ma dura, offriva al gruppo del corridori la possibilità di un attacco e alla macchina da presa di registrarne dall’alto le vicende. Bartali, ad ogni prova, scattava felino, ritto sui pedali, la testa sul manubrio e la sua schiena, come la bolla d'aria in un inclinometro si vedeva risalire rapidamente dentro la colonna delle maglie colorate e balzarne alla testa. Ma per la volontà imperscrutabile del copione non era Coppi, l’eterno rivale, né Bobet, nè Cottur, nè Schotte, nè Fiorenzo Magni che potevano batterlo, bensì Totò, puntualmente, dopo la seconda svolta della strada. Anzi, neppure Totò, ma la sua «controfigura» un dilettante romano, con barbetta finta, Gregori di cognome.
Perché accadeva tutto ciò? Accadeva perché Totò, o chi per lui, era sospinto invisibilmente dalla mano del diavolo che in cambio se ne era comperata l’anima, ed anche questo non era l’ultimo motivo di disagio per chi, come Bartall, crede fermamente che i protetti da Dio debbano sempre trionfare sui favoriti dell'angelo ribelle.
C'era don Bruno Franci, per fortuna. Il parroco senese di Santa Teresa, la chiesa distrutta dalle bombe, ricostruita più bella di prima e sul cui altare Battali recò in dono la maglia gialla dopo il Giro di Francia di quest'anno. Ciò che Colombo, il massaggiatore é per i muscoli di Gino, don Franci è per la sua anima. Gliela conserva sana, netta, fervida e accesa. Gliela cura e pulisce d’ogni macchia o scrupolo. Don Franci, un moderno prete con una criniera di capelli sale e pepe, aveva voluto leggere in anticipo il copione, appunto, di questo «Totò nel giro d'Italia», da cima a fondo, e visto che Lucifero, com’é nel disegni del Signore, avrà in fondo la peggio, disse al suo eterno catecumeno che angustie non era il caso di averne, tutto si sarebbe svolto a fin di bene, perfino le malie della Barzizza e le moine di Miss Italia.
Di Roma Bartall non ha avuto tempo di veder nulla, nè cattedrali, nè monumenti, ma soltanto una serie di curve di campagna sulla Cassia, tra le collinette pelate, dove pedalava su e giù con gli altri, nelle noiose prove di tutto il giorno. In cima alla salita, tra le automobili pubblicitarie e i personaggi in spolverino del finto «Giro», tra i ragazzini sbucati chissà da dove, i contadini e gli sportivi borghesi accorsi in bicicletta, c'era la moglie, una minuta signora bionda in abito pervinca che, mentre tutti leggermente eccitati lo eccitavano a loro volta con grida come a una vera gara, era la sola a consigliarli prudenza (non l'aveva mal visto correre in salita) e a implorarlo di non accaldarsi perché poi il vento soffiandogli sul sudore lo avrebbe fatto raffreddare.
Le riprese cinematografiche, come pure il ricevimento dell'ultima sera nella sede del giornale sportivo della capitale, si sono svolte sotto il segno della riconciliazione tra Battali e Coppi, cancellati i vecchi rancori. Inaugurato di nuovo quell'antico disinvolto salutarsi tra loro: «Ciao Gino», «Ciao Fausto». Ma questa, tra tutte le illusioni del film, è stata quella a cui meno si è creduto.
Ferdinando Chiarelli, «Corriere della Sera», 5 novembre 1948
Giordano Cottur, ad onta dei suoi 34 anni suonati, è pur sempre un personaggio importante ed interessante in campo ciclistico nazionale ed anche internazionale. Eravamo a conoscenza che il «wilierino» si trovava da alcune settimane a Milano per ragioni attinenti alia sua professione, ma sapevamo anche che in questi giorni non avrebbe mancato di fare una delle sue tante, sia pure saltuarie scappate a Trieste, dove abita la sua famiglia e dove deve pure dare una mano al padre, proprietario di un negozio, manco a dirlo, di biciclette ed accessori con annessa officina. Abbiamo quindi pregato Oreste Preti di tenerci informati sull’arrivo di Giordano e di fissare per noi un abboccamento con lui nel suo ritrovo di via Battisti. Dopo vari falsi allarmi, ci è stato finalmente possibile l’altra sera di riunirci tutti e tre ad un tavolino appartato per un’amichevole chiacchierata sulle novità ed attualità del ciclismo e dei ciclisti italiani ed esteri, non trascurando naturalmente di discutere pure sui problemi del ciclismo triestino, sui quale Giordano, conoscitore perfetto della situazione locale, ha pure voluto comunicarci le sue impressioni.
«La Wilier-Triestina npn presenta alcuna novità in fatto di quadri per la prossima stagione, poiché tutti gli atleti meno uno, il nostro concittadino De Santi, che come si sa ha firmato per l'Atala. rimarranno fedeli ai colori rosso-alabardati. Quindi anche per il 1949 i corridori della Wilier saranno oltre a me, Fiorenzo Magni, Luciano e Sergio Maggini, Bresci, Martini e Ferugilo. Caposquadra sarà, a seconda delle' circostanze della ferma dei singoli atleti, Magni o Maggini Luciano o anche Bresci. Il programma delle ga re a cui parteciperemo nel cor so dell’annata non è stato ancora stabilito, ma è intenzione della mia Casa di non disertare alcuna delle più importanti corse, dalle classiche italiane ed estere, a quelle valevoli per il campionato nazionale e per il Trofeo Desgrange-Colombo. Per quanto mi riguarda personalmente, si ricordi che non sono più un... giovanissimo e che quindi non potrò per forza di cose esplicare un'attività molto intensa. Ad ogni modo, dato che mi sono speeializzato in questi ultimi anni nelle corse a tappe e, sempre che i dirigenti della mia casa siano disposti di assecondare i miei desideri, l’anno venturo vorrei non partecipare al Giro d'Italia per prepararmi e dedicarmi anima e corpo al Giro di Francia, dove sono sicuro di poter ancora dire la mia parola. Di sicuro c’è però soltanto questo: che, prima di chiudere la presente stagione, correrò nei prossimi giorni ancora in due riunioni su pista, e precisamente sabato prossimo a Roma ed il giorno successivo a Napoli. La ragione di questa duplice riunione è la seguente: domenica prossima si terrà a Napoli,.in concomitanza col congresso nazionale dell'U. V. I., anche quello dei corridori professionisti. Ebbene, per dare la possibilità a tutti i corridori, anche a quelli a corto di quattrini, di parteciparvi, i «cannoni» Bartali, Coppi, Ortelli e tutti gli altri «pro» più in vista, hanno pensato di aiutarli, prendendo parte a queste due manifestazioni, gran parte del cui incasso netto sarà appunto devoluto al fondo spese per la partecipazione dei «minori» a questo importante congresso napoletano. Io per di più sono stato delegato dalla mia società, l'Edera. a rappresentarla nel congresso dell’U. V. I„ dove ritengo di poter intervenire a favore del ciclismo triestino, che ha tanto oisogno di essere incoraggiato e sorretto.
«Cosa c’è di vero sul tuo prossimo viaggio in Argentina, di cui i giornali sportivi hanno scritto a lungo nei giorni passati?».
«Non sono in grado nè di confermare nè di smentire tale notizia. Effettivamente la mia Casa vedrebbe di buon occhio questa mia gita oltre Atlantico, dove essa ha un giro d’affari molto vasto. Nell’America meridionale, infatti, la Wilier esporta migliaia delle sue apprezzate biciclette e particolarmente in Argentina le agenzie di vendita ed i rappresentanti di questa Casa crescono continuamente di numero. Ma non basta: nella stessa Argentina, dove le corse su strada sono, in promettente sviluppo, la squadra più forte è appunto quella della Wilier, che ha ingaggiato i corridori più noti di quella repubblica. Il mio viaggio colà quindi potrebbe aver un duplice scopo: sportivo e tecnico: la partecipazione cioè a qualche corsa nei mesi di gennaio e febbraio e nel tempo stesso quello di studiare l’organizzazione delle gare ed il modo di correre in quel Paese ed eventualmente indirizzare quei corridori «wi-lierini» verso il sistema in uso nel nostro Paese ed in genere in quelli europei. Ma, ripeto, nulla è stato ancora deciso al riguardo. Tutto dipenderà dalle condizioni finanziarie che mi saranno proposte dai rappresentanti argentini della «Wi-iier» e dagli organizzatori delle corse alle quali io dovrei partecipare. Se si verrà ad un accordo, la mia assenza dall’Italia non si prolungherebbe oltre ai primi di marzo, cosicchè per le corse primaverili italiane io sarei già di ritorno, pronto a prendere il posto nella mia squadra».
«Raccontami un po' adesso delle tue avventure cinematografiche, e più precisamente del film, in cui pure a te sarebbe stata affidata una parte di primo piano».
«Corrisponde al vero che anch'io figuro tra i protagonisti del film testé ultimato «Totò al Giro d’Italia», ma nello stesso io rappresento una parte del tutto secondaria, di vera comparsa insomma. Si tratta di una pellicola comica, girata particolarmente a Roma, ma alcune scene sono state riprese pure sull’Abetone ed a Lecco. Come le sarà noto, oltre ai protagonisti principali che sono Totò e Isa Barzizza, vi collaborano autentici assi nazionali e stranieri del pedale, e precisamente Bartali, Coppi, Schotte, Kubler, Bobet, Ricci e Ortelli. Come vedete, ero in compagnia. Nel film, che dovrebbe venire programmato fra poche settimane, si potrà ammirare pure Fulvia Franco, cioè la triestina Miss Italia, la quale, fotogenica al massimo grado, s; è veramente dimostrata all’ altezza del ano compito. La più grande difficoltà incontrata dal regista in questo film è stata quella di scegliere nel finale l'atleta al quale avrebbe dovuto spettare la palma del successo in questo ipotetico giro. Coppi o Bartali? Per evitare io scatenamento di una guerra dei trent'anni fra i tifosi di Fausto e quelli di Gino, non rimase altra soluzione che quella di non proclamare affatto il vincitore del giro, lasciando allo spettatore la sensazione che la vittoria sia toccata a quello dei due che maggiormente gli sta a cuore.»
«Mi ha comunicato i nominativi della tua Casa; sai dirmi qualche cosa sulle altre squadre?».
«Poche o nessuna novità, a dire il vero. Coppi rimarrà alla Bianchi con gran parte dei suoi gregari; lo stesso dicasi dell'Atala, che avrà come caposquadra il campione d’Italia Ortelli, mentre anche nelle minori non ci sarà un gran movimento di atleti. Per quanto riguarda la Legnano, l’eterna rivale della Bianchi, Leoni si prenderà il posto di Bartali, in qualità di capolista, mentre poco si sa sugli altri componenti la squadra, che peraltro dovrebbe contare su quasi tutti i suoi vecchi nominativi.»
«Già che ci siamo, è dunque vera la notizia, smentita da alcuni giornali, che Bartali staccatosi dalla Legnano, ha messo una squadra per proprio conto?»
Ma senza dubbio. Anzi, essa è ormai di dominio pubblico, anche se non si conoscono ancora tutti i dettagli ed i retroscena di questo colpo di testa. del grande Gino e neppure quali saranno i gregari su cui egli potrà contare, pure essendo stati fatti i nomi di vari atleti, fra cui anche qualche asso straniero. In sostanza, Bartali, verso un compenso X — probabilmente una percentuale sulle vendite — ha aderito di dare il suo nome a una bicicletta, la cui fabbricazione risale però già a vecchia data; si tratta, più precisamente, della marca di cicli «Santamaria» che viene costruita a Novi Ligure, la patria di un altro grande campione dei ciclismo, Costante Girardengo. E sicuri aiutanti di Gino sembrano finora Corrieri e Brignole;
«Ed ora un’ultima domanda, caro Giordano. Tu che, appena libero dai tuoi molteplici impegni, non manchi mai di fare una scappata fra i tuoi, non disdegnando di inforcare la bicicletta per seguire qualche gara di dilettanti ed anche di allievi che si corre sulle nostra strade, cosa pensi sul ciclismo locale e sui suoi protagonisti?»
«A dire il vero, non posso dirmi soddisfatto di quanto sta succedendo in campo ciclistico nella mia Trieste. Vi sono attualmente troppe società; vorrei dire che esiste una vera inflazione in fatto di sodalizi. Mi consta che non ve n'è uno che non voglia creare la sua sezione ciclistica, anche se manca della necessaria preparazione ed attrezzatura; e quello che più conta, di corridori. Tra poco, proseguendo di questo passo, avremo più società che corridori. Mancano poi in modo spaventoso le persone adatte a fungere da capi-sezione e da direttori sportivi. I pochi che hanno una certa competenza o sia pure qualche, nozione di cose ciclistiche, come del resto gli altrettanti scarsi corridori di un certo valore, vengono contesi da questa o da quella società, con la conseguenza che essi vengono sopravalutati; gli atleti poi si credono degli arrivati e dei «campionissimi» che più nulla hanno da imparare. E succede poi, anche perchè quasi tutti i nostri dilettanti non sono curati e si allenano poco o senza criterio, che ogni qualvolta essi si accingono a varcare le frontiere del nostro territorio, sono sorbe, mentre se qualche atleta della penisola viene a correre sulle nostre strade (vedi la Coppa Matteotti) i nostri fanno quella bella figura che lei sa meglio di me. Ma non soltanto gli atleti anziani vengono trascurati e lasciati in balìa di se stessi. Neppure i giovani (e ve ne sono tanti che promettono bene) vengono curati a dovere e messi in condizioni di potersi preparare ed allenarsi secondo i loro mezzi e le loro reai; possibilità. Tanto, si sente dire, appena, diverranno «qualcuno», c’è già pronta la società rivale che prima o dopo ce li soffia. Infine devo aggiungere che bisognerà battersi strenuamente, e l’imminente congresso potrebbe offrire l’ occasione più propizia, affinchè, come negli altri sport, anche nel ciclismo, Udine e provincia passino a far parte del Comitato di Trieste.
Renato Basilisco, «Il Piccolo di Trieste», 2 dicembre 1948
A un film dedicato ai « tifosi » del calcio, del quale, per carità, si preferì tacere, ne succede oggi uno dedicalo al «tifosi» del pedale, nel quale fanno spicco, tra altri noti campioni, i Dioscurt della bicicletta, Bartali e Coppi. In più c'è un corridore nuovo dalla irresistibile potenza: Totò. Totò Casamandrei, professore di liceo a Brescia, chiede la mano della bella Oriana, che promette di accordargliela se e quando egli vincerà il Giro d'Italia.
Il professore, che non è mai montato su una bicicletta, ricorre al diavolo che in cambio dell'anima gli concede la facoltà di «surclassare» i più formidabili girini. Il professore con la sua barbetta batte e ribatte Coppi e Bartali, e in virtù, del suo diabolico spunto di velocità può permettersi il lusso di fermarsi a pescare durante la corsa, oppure di desinare comodamente seduto in un posto di rifornimento. Vince una tappa dopo l'altra, e nessuno sa come faccia. Quando però viene a sapere che dovrà rendere l'anima al diavolo appena finito il Giro, corre e vince piagnucolando e cerca in tutti i modi di farsi battere: ma tutto è inutile, il contratto è firmato.
Il diavolo non molla. Il Giro è quasi vinto, manca appena una tappa, quando mamma Calamandrei ha una pensata e mette il diavolo nel sacco. Si finisce con un coretto d'esultanza: regista e attori sono presi da un felice presagio di cassetta. E in effetto come non ridere quando Toto canta al cameriere «Una voce poco fa...» con la voce della Pagliughi, o quando si presenta alla punzonatura strombettando, o quando pedala tempellando la bazza o parla lezioso con la lingua tra le labbra? Degli altri, Carlo Ninchi è Dante che dall'al di là assiste il professore, la vezzosa Isa Barzizza è Oriana. Cesco Baseggio il diavolo, la Rissone la mamma, la Mangini una vorace cameriera, Walter Chiari un giornalista. Tra i diversivi, Miss Italia 1948.
«Stampa Sera», 31 dicembre 1948
Sono balorde imprese che magari vi faranno sorridere, ma non vi divertiranno eccessivamente. Fotografare il Totò del palcoscenico non: basta: bisognerebbe cercare di dargli una consistenza cinematografica, ammesso che sia possibile. [...]
Gigi Michelotti, «Nuova Gazzetta del Popolo», 31 dicembre 1948
Faust vendette l'anima per astratte ambizioni di conoscenza e. come tutti sanno, pagò cara la propria scommessa. Il prof. Totò Calamandrei, figlio di un secolo meno illuminato, ma in compenso molto più pratico, rischia di compromettersi con il demonio per i begli occhi di Isa Barzizza rischia soltanto e si ferma in tempo.
Egli, in fondo, sa bene che, oggi, anche i diavoli possono esser giocati; gli uomini ormai riescono sempre a vincerli in furberia perchè conoscono le regole del doppiogiuoco, del promettere e non mantenere, dal dannarsi per poi pentirsi, e, insomma, del saper stare in bilico tra l'inferno ed il paradiso senza mai perdere di vista i vantaggiosi godimenti terreni.
Lo dimostra giocosamente Totò in questo suo ultimo film, dove i trasporti sentimentali sì avvicendano alle più indesiderate glorie ciclistiche, ai più demoniaci battibecchi e alla costante paura del protagonista di dover veramente rispettare il proprio faustiano contratto e addentrarci nel reame di Belzebù.
Ma, per fortuna, quest'ultimo è un povero diavolaccio di seconda classe (come dire un impiegato «di ruolo C») che adora le borghesi «buone maniere», i pisolini e le tazze di camomilla, mentre colui che dovrebbe essere la sua preda possiede tutte le qualità, le ambiguità e le imbattibili amenità che caratterizzano l'arcitaliano Totò: ultimo eroe della pantomima.
Della trama non parlo perchè sarebbe troppo difficile. E' una vicenda che, nelle mani di Zavattini, si sarebbe forse mutata in una favola ironica, malinconica e un po' puntigliosa; sarebbe piaciuta anche a Sartre, ma temo che in questo Girardengo controvoglia e sempre alle prese con il diavolo, lo scrittore esistenzialista avrebbe visto il personaggio ideale per un nuovo «dramma dell’assurdo» stile Huis Clos. Nel qual caso Totò sarebbe incorso in grossissimi guai: se non all'inferno, certo al manicomio. Egli invece ha preferito la strada più comoda, facendone soltanto una comica all'italiana, vale a dire un filmetto senza pretese e tutto da ridere, che la regia di Mario Mattoli ha condotto con lodevole discrezione. Oltre a Isa Barzizza una Miss Italia piuttosto ingombrante e la intera squadra dei campioni del "giro".
al.or., «Il Messaggero», 6 gennaio 1949
Qui, siamo caduti molto in basso. Mattoli e C. hanno voluto sfruttare Totò, la solita Barzizza, hanno messo dentro anche Miss Italia poi Bartali, Coppi, Bobet, Schotte e ne hanno fatto un intruglio... che Dio ci scampi e liberi.
Il pubblico intervenuto ieri sera era prevalentemente maschile, ma non giuriamo si sia divertito molto e neanche quella parte formata di ragazzi che per Bartali e Coppi fa a pugni. Mattoli e C., fermatevi, se no la china vi travolgerà. O riuscite a risalirla oppure la vostra reputazione ne sarà compromessa. Però questi atleti, che mediocri attori!
c. tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 6 gennaio 1949
Premesso che non si tratta di un film ma di una colossale farsa fotografata, alla cui base non c'è altro che il cattivo gusto nella sua forma più brutale e diremo che Totò riesce a far ridere nonostante tutto anche questa volta. Lo affiancano Giuditta Rissone, Isa Barzizza, Carlo Ninchi, Miss Italia 1948, un folto gruppo di campioni sportivi e varie ditte commerciali di cui si fa aperta pubblicità.
G.S., «Il Paese», 6 gennaio 1949
Totò Casamandrei, mingherlino e barbuto professore di liceo, si innamora d'una bella ragazza Miss di qualche cosa. Le dichiara il suo amore, ma costei, per levarselo di torno, gli dice che lo sposerà solo quando sarà riuscito a vincere il Giro d'Italia. Totò non si scoraggia e, memore del Faust, evoca il Diavolo e gli vende l'anima pur di raggiungere il suo scopo. Tutto fila a meraviglia: Bartali, Coppi, Magni, Coltur, Bobet e altri celebri campioni non riescono a spuntarla sull'improvvisato ciclista; senonchè, già prossimo all'ultimo traguardo, Totò scopre che, vinto il Giro, il contratto contempla la consegna della sua anima al Diavolo e nient'affatto le auspicate nozze con la Miss di qualcosa. Tenta allora ogni mezzo per perdere la gara, ma invano. Per sua ventura, uno strattagemma di sua madre riesce a far addormentare il Diavolo proprio durante l'ultima corsa e tutto finisce per il meglio.
L'elemento di successo cui la regia di Mattoli è sembrato particolarmente mirare è stato, oltre che la presenza di noti campioni del ciclismo, l'Interpretazione tutta smorfie, attuzzi, lazzi e guizzi dell'irresistibile Totò, in grazie del quale la vicenda, labile e quasi improvvisata, ha acquistato, a volte, un sapore di comicità schietta e festosa; ovviamente, però certi suol atteggiamenti li gradirei di più sulle tavole d’un palcoscenico che non sullo schermo, dove sarebbe spesso più utile una maggiore misura a servizio, inoltre, di cause un po' più degne. Comunque i doveri della cronaca m'impongono di registrare, caloroso ed euforico, il consenso del pubblico.
Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», 6 gennaio 1949
Cinematografari hanno riscoperto la leggenda di Faust. Gallone l'ha riesumata per uno dei suoi filmoni musicali. René Clair ne farà l'oggetto di sua divertente moralità particolare, la cui lavorazione inizierà nel prossimo febbraio;a infine Metz, Marchesi e Steno, con la collaborazione registica di Mario Mattoli, l'hanno rispolverata contaminandola con meno concettoni motivi pseudo sportivi, per farne la molla di questo «Totò al Giro d'Italia».
Si parla qui, infatti, di questo professor Casamandrei che vende l'anima al diavolo con complicazioni ciclistiche, per ottenere il possesso degli occhi belli e stellanti di Isa Barzizza. Naturalmente il Faust improvvisato, con il benevolo aiuto di Nerone e di Dante Alighieri, anche se ingiustificatamente tirati in ballo, salverà il suo riposo eterno e, contemporaneamente, convolerà a giuste nozze con l'oggetto dei suoi desideri.
Su questo filo conduttore, che è spesso confuso e arraffato e con la collaborazione non certo disinteressata di moltissimi assi del pedale, Mattoli ha costruito un filmetto agitato e frettoloso come di consueto, che il pubblico ha accolto con sonore risate. Ma… lasciamo andare: oggi è l'epifania e non vogliamo farci cattivo sangue.
caran (Gaetano Carancini), «La Voce Repubblicana», Roma, 7 gennaio 1949
Sono balorde imprese che magari vi fanno sorridere, ma non vi divertono eccessivamente. Fotografare il Totò del palcoscenico non basta: bisognerebbe cercare di dargli una consistenza cinematografica, ammesso che sia possibile. Comunque, Mattoli che in "Fifa e arena" aveva imbroccato se non altro una discreta formuletta commerciale, in questo film frammentario, banale, perfino noioso dimostra di averne già perduto il piccolo segreto. Che pena, poi, per i tifosi del ciclismo, vedere i loro idoli (ci sono quasi tutti) appiedati dalle battute!.
Vice, «Giornale dell'Emilia», Bologna, 7 gennaio 1949
Non è un vero e proprio film ma solo uno svelto foto-montaggio di pezzi relativi al «tour» nostrano. Totò cerca di vitalizzare la sportiva vicenda che tra l'altro ci fa vedere Bartali, Coppi, Ortelli, Miss Italia 1948, Isa Barzizza.
«Il Lavoro», 8 gennaio 1949
Totò al Giro d’Italia - Il comico Totò è nelle vesti di professore nel liceo di Brescia nonché aspirante alla mano della bella Ariana, conosciuta mentre facevano ambedue parte della giuria per reiezione di Miss Italia. Totò, sangue nobile ma non di aspetto adonico neppure nei momenti migliori, non fa colpo su Ariana la quale (nell'intento di toglierselo di tra i piedi) gli promette la mano a patto che vinca il Giro d'Italia. Ma Totò non sa andare in bicicletta; con un patto col diavolo cede l'anima in cambio della vittoria ciclistica: ed eccolo in condizioni di campionissimo. Batte tutti, alla fine a malincuore poiché dell’anima è fissata la consegna un’ora dopo del traguardo finale. Le donne ne sanno una più del diavolo: le madri dieci di più. La mamma di Totò con uno stratagemma salva il figlio che, dopo aver stravinto le altre, perde classificato l’ultima tappa ed il giro, salva l'anima ed ha ugualmente per sè la dolce Ariana.
Il lavoro, tutto da ridere, esclude ogni pretesa. Totò, Isa Barzizza, Miss Italia 1948, Bartali, Coppi ed i migliori ciclisti. Moralmente niente da ridire eccettuata all’inizio la sfilata delle aspiranti «Miss» in costume...
«Il Nostro Tempo», 8 gennaio 1949
L'occhio va dietro alla faccia tagliata per traverso del protagonista e non si cura della trama, montata metà sulla magia e metà sulle battute spiritose dell'interprete. Totò ha venduto l'anima al diavolo per vincere il «Giro»; Coppi e Bartali mangiano polvere mentre lui fa i pranzi comodamente seduto e ricupera d'un soffio il tempo perso. Poi verso la fine Totò si pente del patto col diavolo, e succedono allora complicazioni che è meglio vedere.
«Il Biellese», 11 febbraio 1949
E' facile immaginare che cosa Totò possa rendere in comicità con la sua bazza, I suoi lazzi, la sua compassala buffoneria nella parte di un professore che, fatto un patto col diavolo, si iscrive per amore al giro ciclistico d'Italia e sbalordisce tutti, vincendo donchisciottescamente tutte le tappe, meno l'ultima, poiché il gioco non vale più. Non bisogna sottilizzare e tanto meno dimenticare che si tratta di una farsa affidata al grottesco e alte trovate, inserita tra gli autentici episodi della competizione.
Infatti a Totò fanno ancora corona non solo Isa Barzizza e miss Italia 1948. Walter Chiari e Baseggio, ma gli autentici assi del pedale: Bartali, Coppi, Magni, Schotte, Cottur, e tutta una popolazione di autentici personaggi sportivi, Consolini e Nuvolari compresi. Qualcuno anzi si presta anche a dire battute e a cantare strofette. Il film, diretto da Mattoli, cerca il suo successo nell'amenità dei casi, ma anche nell'interesse del tifosi per i loro beniamini.
«Corriere della Sera», 15 gennaio 1949
Dopo morto, Totò sta vivendo il suo terzo momento magico. È un fenomeno senz’altro eccezionale: tutti i suoi film, anche quelli considerati un tempo i peggiori, hanno trovato spazio addirittura nei cinema d’essai. Analizziamone uno, realizzato nel 1949, con la «partecipazione straordinaria» di due ciclisti che quell’anno erano all’apice della loro gloria..
Callisto Cosulich, «ABC», anno XII, n.52, 24 dicembre 1971
E in Italia? Il paese che ha dato più di chiunque altro al ciclismo sarà sempre costretto a vedere film altrui? Sembra incredibile, ma il nostro cinema - da sempre, storicamente refrattario allo sport - è vieppiù reticente quando entrano in ballo le due discipline nazionali, il calcio e il ciclismo. È assurdo che l'Italia non abbia saputo realizzare grandi film su Coppi, su Binda, su Bartali, su Girardengo: se simili eroi popolari fossero stati americani, li avrebbero interpretati attori come Kevin Costner, Robert De Niro, Robert Redford, Paul Newman (sono citazioni non a caso: tutti questi divi hanno recitato parte di campioni di baseball, di football o di boxe, gli sport americani per eccellenza).
L'eccezione? C'è, esiste, si chiama Totò al Giro d'Italia. Il famoso film diretto da Mario Mattoli nel 1948 vedeva sullo schermo, accanto al sommo Totò. campioni autentici come Coppi, Bartali. Magni, lo svizzero Kubler e il francese Bobet. Inoltre era un film davvero singolare: l'inizio vedeva Dante Alighieri viaggiare per l'inferno, e Satana in persona concludere un patto con Totò (che gli vendeva l'anima per vincere il Giro e Impalmare, cosi, la bella Isa Barzizza). Era un Faust comico-ciclistico, insomma, che per altro si concludeva con una famosa aria del Barbiere di Sivglla riscritta a tema sulla maglia rosa.
Raramente, nel cinema italiano, cultura «alta» e cultura «popolare» si sono incontrate In modo cosi proficuo. Ma Totò al Giro d'Italia purtroppo non ha fatto scuola. E per rivedere Fausto Coppi sullo schermo cl siamo dovuti accontentare, anni dopo, di una miniserie tv (per altro discreto) con Sergio Castellato nel ruolo del campione e Ornella Muti in quello della «dama bianca».
E pensare che il ciclismo, ancora più del calcio, avrebbe Epos a quintali da regalare al cinema. Senza limitarci sempre alla diatriba Coppi & Bartali. cosa c'è di più «cinematografico» della storia di Ottavio Bottecchia. personaggio mitico ma, al tempo stesso, sufficientemente lontano nel tempo da non porre nemmeno, a un eventuale interprete, insormontabili problemi di somiglianza fisica? La storia del proletario che emigra in Francia, diventa un campione, vince due Tour consecutivi negli anni Venti e poi muore misteriosamente. investito da un'auto durante un allenamento in aperta campagna (fu incidente od omicidio?) sarebbe un grande thriller sull'emigrazione italiana agli inizi del secolo. Gianni Amelio ha diretto Cosi ridevano, perché non potrebbe girare Cosi vincevano?
La tragica parabola di Tom Simpson, l'inglese morto sul Ventoux, il primo uomo a portare la bicicletta alla camera dei Lords, sarebbe stato Invece un bellissimo film del Free Cinema: mentre una pellicola sulla vita e la morte (per suicidio) di Luis Ocana. micidiale e sfortunato rivale di Merckx nel Tour del ‘71. sarebbe una tragedia ispanica per la quale ci vorrebbe forse la penna di Garcia Lorca.
Queste storie fanno parte della nostra memoria, e il cinema è il principale veicolo per fissare il nostro passato e non dimenticarlo. Ma quasi sempre il cinema va in Rolls Royce, predilige il lusso. E pensare che a volte un giro in bicicletta gli farebbe bene.
AL. C., 24 luglio 2000
Proiettato in aula lo spezzone del celebre film L'attore pedala sulla due ruote del costruttore
«Ogni limite ha una pazienza», avrebbe detto Totò. E probabilmente l'hanno pensalo anche gli eredi del famoso ciclista torinese Giacinto Benotto, fondatore di un'azienda che adesso produce un milione di biciclette all'anno. Stanchi di vedere «usurpato» il marchio Benotto da un'altra ditta, sia pure di proprietà di un lontano parente, vedova e figli hanno quindi promosso una causa civile al Tribunale di Torino per chiedere la nullità di quel marchio. E il giudice ha dato loro ragione.
«Se abbiamo vinto è anche merito di Totò scherza l'avvocato Aldo Frignani, legale della famiglia Benotto dato die fra il materiale prodotto in aula c'era pure uno spezzone del film "Totò al Giro d Italia", nel quale il grande attore inforcava una bici Benotto e indossava una maglietta con il medesimo nome». Lo stesso Giacinto appariva di sfuggita nella pellicola a fianco di colleghi ben più noti come Fausto Coppi, Gino Banali, Kubler e Louison Bobet.
La disfida del marchio è stata lanciata nel '98 dalia «Distribuidora de bicìcletas Benotto» di Città del Messico, l'azienda fondata negli anni '50 quando «Don Giacinto» decise di trasferirsi in America Centrale per ragioni familiari. Nel corso degli anni la ditta ora gestita da moglie e figli si è ingrandita sino a diventare una delle principali case produttrici di biciclette da corsa e mountainbike dell'intera America Latina, con filiali di vendita in Svizzera e Germania. Un successo imprenditoriale al quale hanno giovato le molle vittorie sportive conquistate con bici Benotto: una fra tutte il campionato del mondo del 1977, vinto da Moser a San Cristobal in Venezuela.
L'unico buco nero del piccolo impero a due mole era proprio il Paese natalo dell'imprenditore (morto nel '901, dove fino all'altro giorno non era consentito commercializzare biciclette con il marchio Benotto. Per quale motivo? «Giacinto Benotto aveva autorizzato alcuni parenti a utilizzare il suo nome come insegna per un negozio di biciclette in corso Regina Margherita, a Torino - spiega l'avvocato Frignani - poi quando è emigralo in Messico se n è dimenticato. A metà anni '70, quando l'azienda incominciava a girare piuottosto bene, Benotto ha cercalo di registrare il suo marchio anche in Italia, scoprendo che esisteva già».
L'aveva registrato la famiglia Mazzucco, quei lontani parenti ai quali «Don Giacinto» aveva concesso di usare il suo nome per fare un po' di pubblicità al negozio di bici. La bottega di corso Regina durante gli anni si era trasformata in una piccola fabbrica di biciclette da corsa, naturalmente marchiale «Benotto». La faccenda schiuse li, ma con la mone di Giacinto gli eredi sono tornai i alla carica, anche perchè in ballo ora ci sarebbe la fornitura di migliaia di mountain-bike a un'importante catena di supermercati.
Insomma, la parola è passata alle aule di Tribunale. La Benotto messicana si è affidata al professor Aldo Frignani, docente universitario e noto civilista, mentre la Benotto italiana si è rivolta all'avvocato Sergio Speranza, dello studio Grande Stevens. Una battaglia a suon di carte bollate durata oltre due anni, fino alla sentenza emessa qualche giorno fa dal giudice Silvia Vitro della prima sezione civile: il marcino «Biciclette Benotto srl» registralo a nome di Marco Mazzucco e dichiaralo nullo, quindi l'azienda torinese non può continuare ad usare tale denominazione sociale e la griffe del vecchio ciclista ritorna ai legittimi erodi «messicani». «Ride bene chi ride ultimo e io da ultimo mi voglio scompisciare», avrebbe detto Totò.
Giorgio Ballario, «La Stampa», 31 luglio 2000
Lo sport ciclistico e il Novarese sono uniti fin dalla nascita delle prime attività agonistiche legate alla bicicletta. Qualche cronista locale sportivo indica come prima gara su strada la Novara-Borgomanero e ritorno di cinquanta chilometri, del 1892. L’indicazione vale come corsa interamente sul territorio provinciale. In realtà Novara fu il traguardo della prima competizione dopo la nascita delle società sportive ciclistiche. Nel 1871 infatti i conti Giuseppe e Fausto Valsecchi-Bagatti di Milano vincono la Milano-Novara di 46 km.
Il barone Alessandro de Sariette il 15 gennaio del 1870 aveva fondato la prima società italiana, il “Veloce Club Fiorentino”. In realtà già nel 1869 si erano svolte alcune gare. La data ufficiale della comparsa della bicicletta, anzi del “velocipede a pedali” in Italia è il 1867. Il primo velocipede di cui si ha notizia è un Michaux, comprato da un birraio di Alessandria, Carlo Michiel, che poi diventerà vice-presidente dell’UVI (Unione velocipedistica italiana). Nel 1868 circolano già i primi velocipedi di fabbricazione italiana. Tra i costruttori sparsi in meno di dieci località, si segna la Serafino Vecchio a Novara. Quando nasce la corsa che lancerà il ciclismo come sport nazionale ovvero il giro d’Italia, Novara e il Novarese son ben presenti. Tra i 165 corridori iscritti, 127 quelli partiti, in gara alla partenza da Milano c’erano infatti il 13 maggio 1909, alle 2.53 nella notte Domenico Ferrari di Galliate, Guido Rabaioli e Raffaele Castellacelo di Baveno, Guglielmo Lodesani di Intra.
Nessuno di loro arriverà a disputare l’ottava e ultima tappa la Torino-Arona Milano che passerà anche da Borgomanero e Novara. Inizia così il rapporto tra il Novarese e il Giro d’Italia che nei prim i anni pionieristici, prima dello scoppio della Guerra del 1915-18 fa registrare un episodio curioso immortalato in un celebre copertina della rivista “Lo Sport Illustrato” datata 15 maggio 1913. La tappa è la Milano - Torino - Genova del 6 maggio. I concorrenti arrivano a Novara, ancora in gruppo numeroso e in corso Milano, ai piedi dell’attuale cavalcavia, dove c’è oggi un’edicola, si trovano sbarrata la strada dal primo dei centocinquanta passaggi a livello che vi sono sul percorso. La fotografia in copertina della rivista mostra alcuni ciclisti che tentano di scavalcare le barriere della ferrovia con sullo sfondo in lontananza l’attuale corso Cavallotti.
Tra le curiosità legate a al Giro d’Italia nel Novarese e attuale Verbano Cusio Ossola c’è anche quella del film “Totò al giro d’Italia del 1948, regia di Mario Mattoli. Tra gli interpreti Totò, Isa Barzizza, Walter Chiari, assieme a tanti campioni del ciclismo dell’epoca come Gino Bartali, Fausto Coppi, Fiorenzo Magni, Louison Bobet, Ferdy Kubler, e Malabrocca “la maglia nera” reso celebre dal libro dello scrittore vigezzino Benito Mazzi. Nel film vi sono varie scene di tappe della corsa girate sulle alture nei din torni del Lago Maggiore, visibile nella pellicola, sulle strade di Stresa e del Mottarone, ed anche riprese della prima manifestazione di miss Italia a Stresa, ambientate all’Hotel Regina Palace.
Massimo Deizoppo, «Corriere di Novara», 26 maggio 2016
Il concorso di bellezza del ‘48 al Regina Palace e quel verdetto contestato
Stresa - Antonio De Curtis, in arte Totò, ed Ernest Hemingway erano personaggi agli antipodi. Il primo fu la maschera tragicomica dell'italianità nel cinema del Dopoguerra, il secondo lo scrittore vitalista dipinto tra eroismo ed eccessi in puro stile yankee. Entrambi, nati alla fine del XIX secolo, erano però accomunati dalla sensibilità per il fascino femminile. Ebbero infatti diverse compagne nella loro vita. Ma avevano gli stessi gusti in fatto di bellezza. Parrebbe di no. O almeno così avvenne 70 anni fa a Stresa, quando nei medesimi giorni si trovarono a frequentare le rive del Verbano. Il principe della risata faceva parte della giuria di miss Italia che dal 1946 si svolgeva nella perla del Verbano. Per la cronaca, quella del ‘48 fu la penultima edizione borro-mea, poi dal 1950 il concorso si tenne a Salsomaggiore Terme, ad eccezione del 1958 (con ritorno a Stresa). La finale era in programma domenica 26 settembre 1948 al Regina Palace hotel.
Totò in quei giorni era sul Verbano anche in veste di attore. Miss Italia era infatti il set delle scene iniziali di Totò al Giro d’Italia". Diretto da Mario Mattioli, fu il primo film, di una lunga serie, con il nome di Totò nel titolo. De Curtis interpretava un professore di liceo, giurato a Miss Italia, che si invaghisce di una bella giurata, e così lei per allontanare le avances dice che lo sposerà se lui vincerà il Giro d'Italia. Da qui nasce un patto “faustiano” col demonio per battere Coppi e Bartali.
Ma una commedia si sarebbe potuta girare anche sulle vicende di quell'edizione del concorso di bellezza, dove forse l’amor patrio e la ragione politica ebbero la meglio sull'estetica.
A essere proclamata la più bella d'Italia fu infatti Fulvia Franco, e secondo le cronache dell'epoca la giuria (oltre a Totò, il pittore Funi, gli scrittori Vergani e Ridenti, la pittrice Brunetta e il sindaco di Stresa) arrivò alla scelta poiché non vi era una giovane che primeggiasse più delle altre.
D'altronde la miss vincitrice viene descritta come una ragazzata di 1,66 metri per 60 chili, fisico atletico, non certo una mannequin, ma l'essere di Trieste in quegli anni era una bella carta da giocare. L'anno prima infatti la città al confine con la Jugoslavia era diventata “territorio libero” sotto le Nazioni Unite, e veniva però rivendicata dall'Italia (che l’amministrerà poi a partire dal 1954). Perciò una miss triestina poteva garantire copertine della giovane con bandiere tricolore da associare alla Venezia Giulia. Peccato che la seconda arrivata, Miss Emilia, al secolo Ornella Zamperetti da Bologna, non prese bene la sconfitta. E intentò una causa legale contro gli organizzatori del concorso. Il motivo? La Franco non aveva ancora compiuto 18 anni come previsto dal regolamento, il titolo andava perciò riassegnato, in alternativa Zamperetti chiedeva di essere indennizzata con 8 milioni di lire (l’equivalente odierno di circa 150mila euro) per premi e occasioni di carriera persi. La querelle si trascinò nelle aule giudiziarie sino all'aprile del 1949, quando le due miss incontrandosi sul set di un film pubblicitario per la Fiera di Milano si strinsero la mano, fecero pace e la causa di Zamperetti fu ritirata.
Ritorno al lago
Ma cosa c’entra Hemingway? Sulla Nuova Stampa del 26 settembre otto righe in cronaca informano che lo scrittore nordamericano è sbarcato il giorno prima a Genova. Si parla di una sosta di alcuni giorni in Liguria prima di recarsi in Francia. Invece? Invece l’autore di “Per chi suona la campana", che è con la quarta moglie, ha cambiato idea, e dopo vent'anni lontano dall'Italia sceglie di concedersi un viaggio amarcord, e la prima tappa, che
poi lo porterà a Cortina e in altre località dello Stivale, è Stresa. A Genova noleggia un'auto, la guida il cugino di Costante Girar-dengo (ancora ciclismo in questa storia), e all'imbrunire arriva a Stresa e prende camera al Des Iles Borromées, dove aveva ambientato alcune delle scene finale del romanzo “Addio alle armi”, pubblicato nel 1929 e ispirato alla sua esperienza di militare in Italia durante la Grande Guerra. Perché a Stresa, trent’anni prima, Hemingway era stato ospite in convalescenza dal fronte.
E’ la sera di domenica 26 settembre, ma il buon Ernest, a differenza della moglie Mary, non ha voglia di andare a dormire, è attirato dal trambusto della finale di Miss Italia nel vicino Regina Palace, così si affaccia nella hall. E ai cronisti racconta che lui scommette sulla concorrente bolognese. Poi si ritira. L’indomani i giornalisti gli portano la notizia
che la sua preferita è stata sconfitta. Nel libro di Andrea di Ro-bilant “Autunno a Venezia”, si riporta che Hemingway commentò: «I giudici hanno fatto un errore, la ragazza di Bologna era meglio. Questa è la verità».
Anche Totò pensava fosse la verità ma decise in giuria di seguire la scelta irredentista nel segno dell’amor di Patria? Chissà?
L’imbarazzo della scelta
Di certo, a pensare all’edizione di miss Italia dell’anno precedente, sempre a Stresa, si può ritenere che la scelta veramente ardua fu quella della giuria del ‘47. Quando tra le concorrenti c’erano alcune delle “maggiorate” che poi divennero le dive del cinema degli anni Cinquanta: Gina Lollobrigida. Silvana Mangano, Eleonora Rossi Drago, Lucia Bosé. Vinse quest’ultima. Ma questa è un’altra storia.
Andrea Dallapina, «Eco - Risveglio di Ossola», 20 settembre 2018
Foto di scena, video e immagini dal set
Le incongruenze
- Quando Totò torna a casa e canta al maggiordomo, in un cambio d'inquadratura assume due posizioni ben diverse, una con le braccia lungo il corpo, e l'altra con il braccio destro appogiato al petto.
- Totò durante una tappa si ferma a pescare, ma tira su dall'acqua un pesce o finto o già morto, poichè non si dibatte minimamente.
- Le immagini di Totò in bicicletta sulla strada si nota benissimo, sono aggiunte in seguito.
- Totò, nell'ultimo acuto (doppiato, ovviamente) pronuncia la "m", che contraddice l'originale la cui costante è la "a".
- La prima tappa è Milano - Torino.... ma durante il percorso si vedono i corridori entrare nel territorio della città di Roma (viene inquadrato il cartello "Roma").
- Due sequenze perfettamente identiche (il gruppo trainato da Bartali percorre una strada sulla quale incrociano un camion parcheggiato a bordo strada e in senso inverso) sono state montate per illustrare prima una fase della prima tappa (Milano – Torino) e poi della quinta (Roma – Napoli).
- Quando Totò afferma che il maggiordomo ha sputato 4 volte nell'uovo frullato, il suddetto maggiordomo se ne va e lascia l'uovo in mano alla mamma di totò. quando arriva la governante l'uovo è scomparso.
- Quando il professor Totò Casamandrei sperimenta per la prima volta i poteri datigli dal diavolo e fa muovere una bicicletta semplicemente fissandola e sbattendo gli occhi in diverse occasioni si intravedono i fili che hanno permesso questi “diabolici” movimenti.
- Quando il professore pedala per la prima volta, davanti al portone del suo palazzo, guardandolo bene in volto si capisce come quello in scena non sia Totò ma una controfigura.
- Durante la seconda tappa del Giro, il professor Totò Casamandrei si fa trainare dalla vettura del suo direttore sportivo ma è l’atleta è talmente potente che l’auto va in testacoda. In realtà, si vede benissimo che il testacoda è stato opera del guidatore dell’auto, con una decisa sterzata verso destra, manovra visibile attraverso il lunotto posteriore.
- Salendo sulla Torre degli Asinelli a Bologna Totò conta uno ad unoi i gradini e, arrivato sul terrazzo sommitale, dice “446”. In realtà i gradini della Torre degli Asinelli sono 498
www.bloopers.it
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo
La sede del concorso di Miss Italia, al quale il professor Casamandrei (Totò) partecipa come giurato, è l’hotel Regina Palace di Stresa (Verbano Cusio Ossola), che effettivamente accolse la manifestazione nel periodo nel quale fu girato il film e che vedremo come set esterno principale in Grand Hotel Excelsior. Riquadrata di rosso la parte che vedete ingrandita nel fotogramma
Il bar che il professor Casamandrei prende a frequentare dopo che Doriana (Isa Barzizza) gli ha promesso che lo sposerà se vincerà il Giro d’Italia, è il mitico Bar Vittorio Emanuele di Via Orefici a Milano, che fu per davvero il bar degli sportivi per eccellenza del capoluogo lombardo (fu la sede del Milan dal 1923 al 1926). Oggi al suo posto ci sono i negozi Max Mara, Désirée e Riccardo Prisco. Gli interni del bar furono, invece, ricostruiti a Roma, al Teatro della Farnesina.
PARTENZA E ARRIVO... NELLA STESSA PIAZZA!
La penultima tappa del Giro (l’ultima vinta dal professor Casamandrei/Totò) parte e arriva nella stessa piazza (anche se ripresa da un punto diverso per ingannare lo spettatore) ovvero Piazza Diaz a Lecco. Ecco le prove:
PARTENZA
Ecco il raduno di partenza della penultima tappa. Si riconoscono a sinistra l’albergo Moderno...
PARTENZA! Ecco il raduno di partenza della penultima tappa. Si riconoscono a sinistra l’albergo Moderno...
...e sulla destra il ristorante Cavour, tuttora esistenti:
ARRIVO
La piazza del centro dove si conclude la penultima tappa è come detto ancora Piazza Diaz a Lecco, ma ripresa verso il lato opposto per dare l’illusione di trovarsi in un altro comune!
Nei fotogrammi vediamo Totò arrivare dalla contigua Piazza Lega Lombarda, una direzione di corsa in realtà impossibile perché quella piazza è un “cul de sac” e comunica solo con Piazza Diaz. Sullo sfondo si vede, inconfondibile, la stazione di Lecco (B), affacciata su Piazza Lega Lombarda. Nella foto a colori com'è lo stesso punto oggi.
Il palazzo dove abita il professor Casamandrei (Totò) e di fronte al quale va per la seconda volta in bicicletta (la seconda dopo aver stretto il patto con il diavolo) è Palazzo Capizucchi in Piazza Campitelli a Roma. Oggi ospita l’ambasciata irlandese.
E questa è la fontana posta all’angolo con Via Montanara, dalla quale un gruppo di ragazzini assiste all’esibizione del professore
La villa davanti alla quale il professor Casamandrei (Totò), staccatosi dal gruppo per pescare, si fa riportare sotto facendosi trainare (ma finendo per trainare lui l'auto che doveva aiutarlo) si trova in Via della Camilluccia a Roma, e l'avevamo già vista in Fantasmi e ladri.
Il negozio nel quale Totò compra la tenuta da corridore si trovava in via Paolo Emilio 14 a Roma. Grazie a Travis per foto e descrizione. Lo possiamo capire innanzitutto analizzando l'angolo del palazzo con la targa (A) sullo sfondo, mentre per l'edificio in questione (B) possiamo notare che Toto esce dalla 3° porta dopo il pluviale bicolore che si vede sopra la testa della donna di spalle, ovvero la porta oggi grigia di ferro. La prova definitiva ce la dà il terzo fotogramma, dove Totò, fatto qualche passo, si guarda in uno specchio della vetrina pensile (oggi rimossa). Si noti la corrispondenza del pluviale con il motivo dei due edifici adiacenti.
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Totò 1971 - Totò al Giro d'Italia
Totò al Giro d'Italia: impacciati i «girini» ma ancora più impacciati i loro «divi»
Totò e... Eduardo Passarelli
Totò e... Isa Barzizza
Totò e... Mario Castellani
Totò e... Mario Mattoli
Totò e... Steno
Un bar sul viale del tramonto
Una Miss al Giro d'Italia
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Walter Chiari: «gioco la carta decisiva della mia carriera»
Walter Chiari: «lavorando con Rascel ho perduto il sorriso ma ho ritrovato il successo»
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- Dino Villani, Come sono nate undici Miss Italia, Editoriale Domus, Milano 1957
- Intervista telefonica al ciclista Vito Ortelli, rilasciata a Simone Riberto, biografo di Totò.
- Andrea Dallapina, «Eco - Risveglio di Ossola», 20 settembre 2018