Dov'è la libertà?
Salvatore Lo Jacono
Inizio riprese: marzo 1952, Stabilimenti Ponti - De Laurentiis
Autorizzazione censura e distribuzione: - 6 febbraio 1954 - Incasso lire 273.200.000 - Spettatori 2.251.711
Titolo originale Dov'è la libertà?
Paese Italia - Anno 1952 - Durata 95 min - B/N - Audio sonoro - Genere satirico - Regia Roberto Rossellini - Soggetto Roberto Rossellini - Sceneggiatura Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Antonio Pietrangeli, Vincenzo Talarico - Produttore Carlo Ponti e Dino De Laurentiis - Fotografia Aldo Tonti, Tonino Delli Colli - Montaggio Jolanda Benventuti - Musiche Renzo Rossellini - Scenografia Flavio Mogherini
Totò: Salvatore Lo Jacono - Vera Molnar: Agnesina - Nyta Dover: la maratoneta di danza - Franca Faldini: Maria - Leopoldo Trieste: Abramo Piperno - Antonio Nicotra: maresciallo - Salvo Libassi: un altro maresciallo - Giancarlo Zarfati: bambino nel vicolo - Giacomo Rondinella: un carcerato - Ugo D'Alessio: un giudice - Mario Castellani: pubblico ministero - Vincenzo Talarico: avvocato difensore - Fernando Milani: Otello Torquati - Eugenio Orlandi: Romolo Torquati - Giacomo Gabrielli: Torquato Torquati - Andrea Compagnoni: Nandino, il cognato - Augusta Mancini: la signora Teresa - Ines Fiorentini: la sora Amalia - Thea Zubin: Dea, la cameriera - Fortunato Misiano: un pensionato -Pasquale Misiano : un pensionato - Nino Misiano: un pensionato - Pietro Carloni - Armando Annuale - Andrea De Pino - Maria Bon Roseto - Ines Targas - Fred e Aronne
Soggetto
Nel periodo poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, Salvatore Lojacono (Totò), un modesto barbiere, esce di galera dopo aver scontato una lunga pena per aver ucciso un suo amico che insidiava sua moglie. Purtroppo l'uomo non sa dove andare ma, dopo qualche vicissitudine e contro ogni sua aspettativa, viene accolto dai parenti della moglie, ormai defunta. Salvatore pian piano viene a scoprire che la famiglia che lo ha accolto si è arricchita con i soldi rubati agli ebrei deportati nei lager dai nazisti, che la sua defunta moglie e chi la insidiava non erano altro che amanti, e che la ragazza che gli avevano presentato, a servizio della famiglia, è incinta di un altro. Amareggiato e deluso dalla vita, pianificherà il suo ritorno in prigione.
Critica e curiosità
Si tratta di uno dei film più travagliati della carriera di Totò, poiché, dopo aver girato soltanto alcune scene, Rossellini se ne disinteressò completamente, lasciandolo praticamente allo sbaraglio. L'opera fu di fatto completata solamente un anno dopo per merito di Mario Monicelli (sebbene lo stesso regista l'abbia smentito a Sebastiano Mondadori) e, per alcune scene, di Lucio Fulci, che cercarono di terminarne le riprese; pare poi che le inquadrature finali siano state invece girate da Federico Fellini. Ciononostante, una volta ultimata, la regia è stata comunque accreditata al solo Rossellini.
Il film nacque fondamentalmente come un esperimento, a conti fatti non andato a segno, dei produttori Carlo Ponti e Dino de Laurentiis per lanciare la figura di Totò sul mercato statunitense (dove i film neorealisti, specie quelli di Rossellini, erano riusciti all'epoca a ritagliarsi una buona fetta di pubblico, oltreché a guadagnarsi un'ottima considerazione critica) e rilanciare invece la carriera in Italia di Rossellini che, dopo gli insuccessi di Europa '51 e La macchina ammazzacattivi, s'era un po' offuscata agli occhi del pubblico.
All'atto della distribuzione del film Mario Piperno, un superstite del campo di concentramento di Auschwitz, chiede al questore di Roma il sequestro della pellicola poiché si sente diffamato dalla figura dell'ebreo Abramo Piperno (Leopoldo Trieste).
Così la stampa dell'epoca
Dov' è la libertà? (1952) - Articoli di stampa
«Dov'è la libertà», Totò diretto da Roberto Rossellini
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1954
Ecco la prova che Totò era veramente principe
Ennio Flaiano: la prima volta che incontrai Totò
Federico Fellini: «il mio Totò»
Franca Faldini: «Totò è sempre nel mio cuore però da vent'anni ho ritrovato la felicità accanto a un principe»
Gli «arrivati»: Totò
La maschera di Totò
Rossellini ci darà un Totò europeo
Totò come una passeretta nel suo film «Dov'è la libertà?»
Totò e Rossellini verso la libertà
Totò, il comico dalla faccia tragica
Totò, il comico irripetibile
Canzone di Totò per Rossellini
Totò ha composto una canzone, dal titolo «La samba di Totò» che sarà inserita nel film «Dove è la libertà» di Roberto Rossellini. La canzone sarà cantata da Giacomo Rondinella. Il film, di produzione Ponti - De Laurentiis, distribuzione Lux, è attualmente in esterni a Roma, nel quartiere di Trastevere. Come è noto. «Dov'è la libertà» è interpretato da Totò, Nyta Dover, Leopoldo Trieste, Vera Molnar, Franca Faldini, Fortunato Pasquale e Nino Misiano.
«Il Piccolo di Trieste», 9 maggio 1952
Meglio nota come «la più bella di via Veneto» e come «Miss Cheesecake», o più semplicemente come la futura sposa di sua altezza imperiale Antonio De Curtis, alias Totò, Franca Faldini debutta in «Dov’è la libertà», a fianco del fidanzato e sotto la regìa di Roberto Rossellini. La Faldini, che ha poco più di ventun anni, nella sua recente permanenza in America non ha mai voluto accettare le numerose offerte di Hollywood che intendeva lanciarla come una sua nuova scoperta. Qui in Italia però, in attesa delle nozze, Franca Faldini si è lasciata convincere da Rossellini ad entrare nel mondo della celluloide e sarà indubbiamente una delle più grandi rivelazioni della prossima stagione cinematografica.
«Il Piccolo di Trieste», 30 maggio 1952
Totò ha composto una canzone
Antonio De Curtis, in arte Totò, dopo aver scritto diecine di poesie, ed aver composto diverse canzoni, tra le quali «Malafemmina», che ha ottenuto un grande successo, è tornato a comporre. Il parto della sua fervidissima fantasia di napoletano , questa volta consiste in una samba, cui l'autore ha dato il titolo di «Samba di Totò» su di un motivo molto orecchiabile. Rossellini, dopo aver ascoltato la nuova canzone ha voluto che fosse inserita in «Dov’è la libertà», il film che in questi giorni ha finito di girare e che vede ancora una volta Totò attore drammatico. La lavorazione del film, conta anche come interpreti Vera Molnar, la simpatica attrice tedesca, Nyta Dover, Franca Faldini, Giacomo Rondinella, il noto cantante, e Leopoldo Trieste, il commediografo che ormai da qualche tempo si è dato al cinema.
«Il Piccolo di Trieste», 13 giugno 1952
Dov'e' la libertà ? ha subito parecchie traversie. Le denuncia tutte, naturalmente, nelle slegature del racconto, nell'approssimazione di alcuni episodi, nelle disparità di tono. [...] Il film si snoda su questo mezzo tono fra il burlesco e il serioso, ma è sempre verso il primo dei due elementi che si finisce per scivolare, nonostante le consuete acrobazie di Totò ; e quando ciò accade ogni cosa rovina, in un grottesco autentico e involontario [...]
Fernaldo di Giammateo, 1954
Resterà sospeso il chiarimento di qualche fatto, non però degli stati d’animo, che maggiormente importano: è probabile che brani previsti si siano omessi nella realizzazione o tolti al montaggio. [...] Ugualmente il film risulta unitario nella sua intonazione grottesca, sorretto dall’audacia stilistica della deformazione. [...] Le fasi deformate in senso espressionistico non esauriscono però il racconto, e anzi la singolarità del film si rivela proprio nel continuo inserimento di dati desunti da una puntuale osservazione della realtà [...]. Tutto il dramma si inscrive sulla maschera di Totò, martoriata e mobilissima [...]. Intensi attimi lirici [...]. Dovè la libertà? è opera originale, non indegna certo del fortissimo artista che l’ha firmata.
Marcello Clemente, «Filmcritica», 1954
Abbiamo già visto Peppino De Filippo in toga di pretore giudicare cause amene e patetiche. Ora Rossellini ci presenta Totò in panni di carcerato. E’ la volta degli attori comici; e per quanto la sua parte abbia questa volta un rilievo drammatico, tuttavia Totò non dimentica la sua vena migliore, quella che gli corre, come il sangue, sotto la pelle. Sicché la sua interpretazione di un uomo che, uscito di carcere, desidera rientrarvi tanto è rimasto disgustato dal contatto con la vita, ha, fra il tragico e il grottesco, un equilibrio e una persuasione umani.
[...]
Il film rivela una mano accorta nello studio di certi ambienti popolari e nel graduare la vicenda, nel darle via via sostanza e vigore, ma non sempre le situazioni appaiono convincenti. Specialmente il ritorno dell’ex recluso nel penitenziario ha un’aria rocambolesca. Notevoli per forza rappresentativa le le scene della maratona di ballo e del mattatoio. Ma la tesi è perlomeno azzardata. Domani i pazzi vorranno dimostrarci che il manicomio è l’unico luogo in cui si ragiona. Vera Molnar, Nyta Dover e Franca Faldini sono le tre ragazze vagheggiate da Totò. Vincenzo Talarico nella carte dell’avvocato difensore rinnova l’arguto piglio che già aveva rivelato nel film «Un giorno in Pretura».
«Gazzetta del Popolo», 6 marzo 1954
[...] E' questo lo spunto che lo stesso Rossellini ha delineato, accettato e svolto per il suo ultimo film. Uno spunto che, evidentemente, è un paradosso; e con dei paradossi e su del paradossi non è certo facile costruire qualcosa. Comunque, sviluppi e significati più convincenti e sicuri sarebbero stati quelli satirici. Una satira molto amara, e sovente grottesca, e talvolta quasi allucinata, avrebbe potuto far sfilare dinanzi all'attonito reduce dalla galera una tale messe di « casi » più che edificanti da determinarlo allo sgomento ed alla rinuncia. Meglio non vivere, anziché vivere quella vita. Ma per sostenere un'impalcatura del genere sarebbe stata necessaria una vena incessante di trovate, di tratti e di denunce, in un crescendo ineluttabile, insopportabile; qui, invece, gli episodi sono pochini, e piuttosto diluiti, incolori.
In più il film ha avuto una strana costruzione. Enuncia fin dall'Inizio la sua conclusione e la sua tesi, togliendo quindi a parecchie situazioni le risorse di opportuni imprevisti; ed è il protagonista, che racconta la sua disavventura. Quando lo vedremo uscire dal carcere, saranno poi altri a raccontare, rivelandogli questo e quello; e i vari mozziconi di racconto troppo spesso ci danno allora per espressi casi e sviluppi che dovremmo vedere e seguire. Di qui una palese e quasi dichiarata insufficienza, tanto esteriore quanto generica, e ancora qua e là frettolosa.
Spiace, e non poco, il dover giudicare in questi termini la ultima fatica di un regista che dette al nostro cinema almeno due film indimenticabili, e sul quale, di volta in volta, è ancora e sempre legittimo riporre non piccole speranze. Ma il suo film è quello che è, e deve essere giudicato per quello che sullo schermo appare. Lo stesso Totò non ha accenti dovuti a una regìa diversa dalle solite che lo pilotano; e si che l'attore, almeno una volta ebbe ad affermarsi ottimamente, con la regia di Eduardo De Filippo, in Napoli milionaria.
m. g., «La Nuova Stampa», 6 marzo 1954
«Noi Donne», anno IX, n.12, 21 marzo 1954
Questo film è il frutto di una insolita collaborazione: protagonista ne è infatti Totò e regista Roberto Rossellini. Da questo binomio era lecito aspettarsi o tutto o nulla: la scintilla della reciproca comprensione tra autore e interprete poteva scoccare o non scoccare, istantaneamente determinando la riuscita o meno del film. Invece, cosa strana, il film non è nè bello nè brutto: la storia si svolge dignitosamente e lentamente, tranquilla e inutile, senza infamia e senza lode. E se non fosse per qualche sequenza molto originale e qualche smorfia di umana espressività, non ci si renderebbe neanche conto di essere dinanzi a un grande regista e a un grande comico.
[...]
Tutto è raccontato in modo piuttosto disuguale. Alcuni episodi veramente ben riusciti, come l'incontro del protagonista con una passeggiatrice e «l'evasione all'incontrario» che egli organizza per rientrare clandestinamente in carcere, si impongono per una bellezza di immagini degna veramente di miglior causa. Ma queste pagine felici sono poi tenute assieme da un tessuto connettivo alquanto opaco, in mezzo al quale il microscopio della buona volontà non riesce a individuare che cellule dal contorni confusi. Cosi la profonda tristezza della vicenda non arriva ad esprimersi in modo abbastanza compiuto da persuadere e commuovere, malgrado la buona volontà di Totò che, per presentare una maschera autenticamente tragica, rinuncia qui al solito repertorio dei suoi ben noti lazzi, e di un gruppo di attori (la brava Nyta Dover, Vera Molnar. Franca Faldini, Leopoldo Trieste e Giacomo Rondinella) i cui personaggi raramente assumono una concreta evidenza umana. Bella la fotografia.
Vice, «Il Messaggero», 27 marzo 1954
E’ questo l’interrogativo che si pone Roberto Rossellini raccontando le vicende d’un ergastolano a cui un inatteso condono permette di riaccostarsi al mondo. Ma questo mondo, tanto sospirato per ventidue an ni, si rivela diverso nei suoi mutevoli aspetti, costringendo l’uomo, che si è giovato di tre giorni di libertà, a tentare di ritornare in carcere.
[...]
Roberto Rossellini ha raccontato questa storia con toccante umanità, creando un personaggio cosi vivo e nuovo da aderire perfettamente alla vasta gamma di cui Totò dispone. Il film ha qualche lacuna e qualche lentezza, ma si fa vedere con piacere e con interesse per l’originalità della vicenda, il gusto con cui è narrato e per la buona interpretazione del protagonista.
«Il Popolo», 27 marzo 1954
Nell'opera di Rossellini il tema degli uomini privi di cristiana carità è certo tra i più fondamentali. Di solito però egli poeticamente se ne vale per giungere a conclusioni implicitamente o esplicitamente positive attraverso un drammatico procedere di argomentazione polemiche. Nel film di oggi, invece, il tema è sentito in tono minore, con scarsi approfondimenti umani in un clima che, pur mirando all'apologo, non trova mai una sua esatta morale. [...]
Il pubblico segue l'azione con un certo interesse vuoi per quel clima spesso caricaturale che la domina, vuoi per la presenza di Totò nelle vesti del protagonista: un Totò amarissimo, acido, acre, ancora piuttosto inedito. Al suo fianco Vera Molnar, Nyta Dover, Leopoldo Trieste, Giacomo Rondinella, Franca Faldini e Vincenzo Talarico.
G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 27 marzo 1954
Da qualche tempo Rossellini si pone problemi sempre più generati dell'umanità e del vivere civile. [...] L’assunto paradossale inspiegabile ed inspiegato. Tutto il film si svolge traballando, e cade da posizione e situazioni moralistiche a situazione e farsesche senza alcun nesso. I vari tipi sono introdotti nella vicenda casualmente, senza logica narrativa, e non riescono a dir nulla che appaia un po' intelligente, o almeno grottesco, satirico, o qualcos'altro. Nulla. Un film sconcertante, questo di Rossellini: sconcertante proprio per la gravissima sperequazione che vi si avverte fra il nome insigne del regista (e quelli degli sceneggiatori), ed il risultato. E' sconcertante questa vacanza della intelligenza e dell'animo, questa disattenzione ad ogni elemento realistico, questa trasandatezza di linguaggio. In definitiva spiace dolorosamente il disprezzo - è una parola grossa ma chiarisce il nostro pensiero - verso il pubblico e i suoi sentimenti. Il personaggio principale è interpretato da Totò, che riesce a sorreggere qua e là la tenue vicenda con il suo abile gioco mimico.
l. c., «l'Unità», 27 marzo 1954
Chiesta da uno spedizioniere la sospensione di un film
Egli ha rivisto nella pellicola una sua tragica vicenda con una conclusione molto lesiva per lui
Roma 6 aprile.
Il proprietario di una nota casa di spedizioni romana, Mario Piperno, ha fatto chiedere ieri dal suo avvocato al questore di Roma la sospensione della programmazione del film Dov'è la libertà, di cui è regista Rossellini e protagonista Totò. Il Piperno ritiene di aver identificato se stesso e la tristissima vicenda vissuta dalla sua famiglia al tempo dell’occupazione tedesca in uno degli episodi del film.
Nella pellicola, infatti, è descritta tra l’altro la storia di un tale Abramo Piperno che fu Internato dai Tedeschi nel campo di concentramento di Auschwitz insieme con la sua famiglia. Sua moglie Ester, suo padre, sua madre e un suo fratello furono uccisi; unico superstite, lui. [...]
E’ assolutamente lesivo — sostiene la parte in causa — affermare, alla conclusione del film, che quel tal Piperno «si era messo d’accordo con i propri aguzzini». Di qui il ricorso diretto a ottenere un provvedimento che valga a porre termine alla programmazione del film, provvedimento che potrebbe preludere al sequestro o comunque alla soppressione delle scene incriminate. [...]
«Corriere della Sera», 6 aprile 1954
Un noto commerciante romano, deportato dai tedeschi ad Auschwitz, chiede il sequestro della pellicola per una frase lesiva
Roma, martedì sera.
Un noto commerciante di Roma ha chiesto al pretore la sospensione delle programmazioni dell'ultimo film di Totò, regista Roberto Rossellini. Il signor Mario Piperno, amministratore unico dell'omonima ditta di spedizioni, ritiene infatti di aver identificato se stesso e la tristissima vicenda della sua famiglia al tempo dell'occupazione tedesca, in uno del veri episodi di cui il film si compone.[...]
Ora l'autentico signor Piperno ha riconosciuto nell'episodio la sua vicenda; tutto, secondo lui, coincide: la data della deportazione (ottobre 1943), il luogo della deportazione, il numero dei congiunti deportati e la loro qualità di parentela con il Piperno, ti nome Ester della moglie, l'età del Piperno allorchè avvenne il tragico fatto (35 anni all'incirca), ed infine la circostanza per cui lui soltanto fu il superstite della strage. Ogni cosa coincide alla perfezione; ma, sostiene la parte In causa, è assolutamente lesiva la frase, alla conclusione del film che quel tal Piperno «si era messo d'accordo con i propri aguzzini».
Ciò, anche in considerazione del fatto che la tragedia della famiglia Piperno è assai nota nella comunità israelitica la quale anzi ha anche rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che l'episodio della famiglia Piperno è unico e assolutamente inconfondibile con qualsiasi altro atto di deportazione. Di qui il ricorso presentato ai sensi dell'articolo 700 del Codice di procedura civile per ottenere il sequestro del film di Totò o comunque la soppressione delle scene incriminate!
«Stampa Sera», 7 aprile 1954
Anche con "Dov’è la libertà?" come con "Europa ’51", Roberto Rossellini ha voluto fare un film polemico. In tutt’altra chiave, naturalmente, e con diversi mezzi, adatti al suo interprete maggiore, che è Totò, stavolta. In "Europa '51", la protagonista, in segno di protesta contro la società ipocrita e cattiva, si appartava, stanca e nauseata, in una casa di cura per psicopatici; [...]
Più strano sembra che Rossellini abbia fatto un film cosi sbandato e discontinuo, in bilico fra il dramma e la beffa, e non mai dramma veramente e non mai beffa. Qua e là, qualche buona inquadratura, ben curata dal regista e dall’operatore Tonti; qualche buon momento di Totò e del suoi compagni, specialmente di Nyta Dover, fra le molte donne del film. Ma l’insieme non appartiene al genuino Rossellini; è squallido, mal connesso e non significante. Bisogna appagarsi delle intenzioni; il regista stavolta, progettava un grottesco, voleva divertirsi. La prossima volta, non ne dubitiamo, si riprometterà di divertire i suoi spettatori.
lan., (Arturo Lanocita) «Corriere della Sera», 28 aprile 1954
La libertà è nelle prigioni, sostiene paradossalmente Salvatore Loiacono, protagonista di questo film di Roberto Rossellini. Proprio il giorno prima della presentazione di Dov'è la liberta, il regista aveva affermato, davanti ai pubblico dei «lunedi letterari», di ritenersi in perpetua ricerca, non pago del cospicui frutti raccolti in passato. Toni farseschi, scorci realistici, motti di spirito, situazioni buffonesche e patetiche: c’è di tutto in Dov’è la libertà, che ha molti difetti ma non è senza dubbio scevro di originalità. [...]
Dov’è la libertà si giova di alcune lepide invenzioni, di un palo di situazioni imbroccate e di una controllata interpretazione di Totò, che conferisce alla figura di Salvatore accenti di intelligente comicità. Come film appare però slegato ed incerto; manca soprattutto di «vis comica». Si direbbe che il soggettino è troppo inferiore alle qualità del regista; forse Roberto Rossellini ha voluto concedersi un «divertimento», che a noi appare troppo al disotto delle sue possibilità di regista. E' un po’ come se Coppi partecipasse per un capriccio a una gara domenicale di «Juniores». Tra l’altro, il problematico, teso, difficile Rossellini che tutti conosciamo. difficilmente potrebbe Imbroccare un film dai significati modestamente paradossali come Dov’è la libertà. Oli difetta la necessaria inclinazione. Non si è ridanciani a comando: le «teste leggere» lo sono in genere contro la loro volontà.
P. B., «Corriere d'Informazione», 29 aprile 1954
Totò cerca la libertà scappando di prigione
È una felice coincidenza che il titolare di questa rubrica, Alberto Moravia, sia in Spagna e perciò non possa occuparsi dell'ultimo film di Rossellini. Moravia, uomo tra i più modesti, non avrebbe mai detto che Dov’è la liberta? è il film «moraviano» di Renzo Rossellini, mentre si tratta della annotazione più saliente. L'autore della Romana, intendiamoci, non ha collaborato al film; il suo nome non appare nei «titoli di testa» accanto a quelli di Vitaliano Brancati e di Vincenzo Talarico; egli direttamente non c'entra. Ma forse questa è l’opera cinematografica che, in un certo senso, più gli appartiene, certamente più, per esempio, della Provinciale, film tratto da un suo racconto, ma profondamente trasformato dalla inclinazione «estetizzante» di Soldati, che è lontanissima da Moravia.
Non sappiamo se altri l'abbia già detto, ma a noi sembra fuor di dubbio la spiccata «corrispondenza» tra Rossellini regista e Moravia scrittore. I due uomini hanno certamente una corda in comune ed è la natura particolare della loro ispirazione migliore. Tutti e due respirano a pieni polmoni quando hanno a che fare con un certo tipo di «realtà», quella bullesca e incanaglita del suburbio trasteverino. Chi non noterà nel film di Rossellini gli stessi tipi umani e gli stessi ambienti che ci ha offerto Moravia nei suoi Racconti romani?
Non alludiamo al soggetto di Dov’è la libertà? Esso si muove su una trovata che non ha nulla di moraviano e se mai ha parentele con René Clair. Esaminiamolo un momento. Un condannato a trent'anni di carcere viene rilasciato qualche anno prima del termine dell’espiazione «per buona condotta». Egli è, davvero, un uomo buono, che ama il prossimo, anche se ha mandato una persona all'altro mondo. Se uccise, fu perché si trattava di un amico che aveva cercato di sedurgli la moglie.
Lasciate dietro le spalle le inferriate della prigione, suo compito è di «inserirsi nuovamente nel tessuto sociale». Ma tutti i suoi tentativi si concludono rovinosamente. La «società» nella quale cerca di introdursi è perfida, disumana, ed egli, dopo aver annaspato a vuoto, comincia a rimpiangere la sua cella. E infine si decide e «scappa» in prigione.
Il tema «si sta meglio in prigione che fuori» non è dei più nuovi (se ne è servito anche il regista di Finalmente libero, uno squallido film con Dapporto che per liberarsi dalle troppe mogli si fa chiudere in cella). Dov'è la libertà? appartiene al genere delle favole morali, e si vale di quell'espediente satirico che consiste nel capovolgere la realtà. Totò, infatti, che interpreta benissimo la parte del condannato, sarà protagonista di una rocambolesca «fuga in prigione», e il suo piano di invasione si varrà degli stessi strumenti e delle stesse astuzie che servono ai detenuti per eseguire i loro piani di evasione. Totò riuscirà a calarsi nell’interno del carcere servendosi della classica fune di lenzuola annodate.
La forza di Rossellini è nel descrivere la realtà, non nel capovolgerla. E infatti, il suo film, è dominato da un contrasto tra la favola della vicenda e la sua esecuzione verista. Per fortuna, però, Rossellini riesce continuamente a far dimenticare la favola. Egli d'istinto si tuffa nella realtà. Come narratore cinematografico egli è nato per ritrarre il vero, il vero che è stato capace di scoprire, di sorprendere. Parlare per apologhi non è affar suo.
E in Dov'è la libertà? Renzo Rossellini ci ha dato stupendi quadri dal vero. Parliamo della balera suburbana dove si fa la maratona di danza; dell'infimo dormitorio dalle pareti lebbrose dove Totò va ad alloggiare dopo uscito di prigione; e di quella famiglia di affaristi e strozzini che vive nell'appartamento carpito a ebrei deportati. Ricordiamo la giovanissima «serva» dall’aria ingenua di cui Totò sembra innamorarsi e che gli rivelerà di essere incinta. In lei, qualsiasi sentimento è assente, e la creatura che porta nel seno le ispira solo queste squallide parole: «Ne ha da scucì de quattrini», alludendo al padrone che la prese minorenne. Anche qui siamo nella «materia» cara allo scrittore Moravia.
Totò è stato attore intelligente, sensibile. Rossellini gii ha ispirato uno dei personaggi più belli della sua carriera. Qui non siamo al macchiettismo spicciolo in cui, troppo di frequente, cade il principe dei comici. In questo personaggio c'è un’anima. E se «fa ridere di meno» è perché commuove e convince di più. Rossellini è stato bravissimo anche nel disegnare gli altri personaggi. Franca Faldinl, di solito così inutilmente fastidiosa, ci ha dato scene di forte rappresentazione drammatica. Lo stesso vale per Nita Dover. L’aver trasformato due bambolone insipide in attrici di chiara attitudine ci fa capire le capacità di Rossellini. A dispetto delle contraddizioni a cui prima abbiamo accennato, egli ci ha dato con Dov’è la libertà? un ottimo film, al livello dei suoi tempi migliori.
Vice, «L'Europeo», anno X, n.19, 9 maggio 1954
Dev’essere stato tutt’altro che facile montarlo e non si può nemmeno dire se i volonterosi che hanno provato ci siano riusciti, perché del film non si capisce quasi niente. [...] Del resto, se vi capita tra le mani il fascicoletto pubblicitario distribuito dalla Lux, provate a dargli un’occhiata: troverete che il soggetto era alquanto diverso. Inoltre troverete fotografie di scene che nel film non ci sono: e non ci sono non per un intervento della censura [...] ma proprio perché, fatti i conti, egli non era più capace di ficcarcele dentro. [...] Dov'è la libertà appartiene dunque al periodo dei film di Rossellini che non si capiscono e non si possono montare. Un esempio abbastanza clamoroso fu già quello della Macchina ammazzacattivi. Con quest’altro lo sfacelo dell’artista è completo. [...] La verità è che non si può far del cinema con il dilettantismo e la strafottenza; le intuizioni di un paio di minuti non bastano. Poi occorre un paio d’anni per cercar di mettere assieme il materiale. [...] Anarchia e misticismo [...] si danno la mano [...] confermando la decadenza di colui che fu uno dei più grandi registi del cinema italiano.
Guido Aristarco, «Cinema Nuovo», 15 maggio 1954
Nel film non esiste né il grottesco satirico, né una farsa libera di sovrastrutture. Di tale impaccio risente lo stesso Totò che, privato dì pretesti validi, sia pure su un piano esteriore, fatica a tenere in piedi il fantoccio protagonista [...] SÌ aggiunga che da un punto di vista sintattico, grammaticale e tecnico, il film, come spesso accade quando Rossellinì «non ne ha voglia» o esce dall'ambito che è suo, sembra l'opera di un principiante, dal quale assai poco ci sia da sperare per l'avvenire [...]
Giulio Cesare Castello, «Cinema», Milano, 31 maggio 1954
La scuola di Totò
Sulle orme di Totò, il quale, nel film « Dov’è la libertà », sostiene la parte di un ex detenuto che fa di tutto per rientrare in carcere, un napoletano di 34 anni, pur di tornare dietro le inferriate, si è attribuito un nome falso e un furto inesistente. Per andare incontro al suo eccezionale desiderio, il pretore della sezione penale ha «regalato» all’uomo, tale Vincenzo Caricchio, dieci mesi di reclusione per autocalunnia e quindici per false generalità, più le spese del processo che l’imputato «pagherà», con qualche mese di prigione.
«Corriere di Saluzzo», 3 luglio 1954
Totò è accusato di invasione del carcere perchè si è introdotto abusivamente in una cella. Egli ci racconta come si sia trovato in carcere avendo ucciso un amico che aveva attentato all’onore di sua moglie, e come si è trovato bene. Liberato per buona condotta dopo 22 anni, sera trovato a dover affrontare la vita sfuggito da tutti per la sua condizione di ex carcerato. Ritornato in famiglia apprende che la moglie era realmente l’amante dell'uomo da lui ucciso. Disgustato di tutto ritorna in carcere per scontare anche gli anni che gli hanno condonato. Ma in Tribunale i giudici gli infliggono una semplice multa. Allora egli salta addosso al suo avvocato e con un morso gli strappa un orecchio. Così almeno sarà condannato e ritornerà in carcere dove troverà in sua libertà.
Regìa di Roberto Rossellini. Interpreti: Totò, Leopoldo Trieste, Franca Faldini, Nita Gray, Giacomo Rondinella.
«Corriere Biellese», 8 luglio 1954
Al film già programmato per la serata di ieri, Prima di sera, è stato prontamente e opportunamente sostituito da Dov è la libertà?, con Totò protagonista: Totò, la cui repentina scomparsa ha colpito con tanta tristezza i nostri cuori. Il film è stato girato da Roberto Rossellini nel 1952 (ma è apparso nel 1964) ed è il quarto di quella diecina di film che Totò ha interpretata negli anni cinquanta. Esso è il frutto di una insolita collaborazione tra il grande regista romano e il grande attore napoletano: da questo binomio era lecito aspettarsi o tutto o nulla, cioè la scintilla della reciproca comprensione tra autore e interprete poteva scoccare istantaneamente determinando la riuscita o meno del film. Invece, cosa strana, il film non è né bello né brutto: la storia si svolge dignitosamente e lentamente, ma purtroppo senza che il suo motivo dominante — la difficoltà, se non l'impossibilità di vivere, per un galantuomo, nella società contemporanea — trovi l'adeguata espressione artistica. E se non fosse per qualche sequenza veramente originale e qualche smorfia di umana ì angoscia, non ci si renderebbe neanche conto di essere innanzi a due artisti di sì alta classe. Senza dubbio molto hanno contribuita a tale risultato la sceneggiatura, che non è delle migliori di Rossellini, e una sorta di mancanza di decisione o d’impegno da parte di tutti. [...]
Così la profonda tristezza della vicenda non arriva ad esprimersi in modo compiuto da persuadere e commuovere, malgrado l'evidente volonterosità di Totò che, per presentare una maschera autenticamente tragica, rinuncia quasi completamente al repertorio dei suoi comicissimi lazzi. Vero è che, visto oggi, a pochi giorni dalla morte di chi l'ha vissuto, questo amaro personaggio ci è parso a poco a poco trasfigurarsi in una sorta di fantasma — quella di lui, Totò, e diciamo pure S. A. R. Antonio de Curtis Gagliardi Ducas Comneno di Bisanzio, — che, oltre la finzione e di là d’ogni valore artistico, esemplava l’immensa tristezza dei suoi ultimi giorni, già immersa nel buio della cecità, con un passo sulla tomba e un altro nella commedia umana da lui si potentemente evocata.
«Il Messaggero», 25 aprile 1967
«Roberto Rossellini piaceva parecchio a Totò — ricordano Franca Faldini e Goffredo Fofi nella biografia del grande comico —. Era intelligente, colto e signore. Oltretutto lo chiamava sempre Antonio e diceva "per favore" ogni volta che esigeva qualcosa, dal primo attore all’ultima comparsa. E Totò a certe sfumature ci badava». L’incontro col celebre regista è avvenuto nel 1952, in occasione del film in onda stasera, recitato anche da Nyta Dover, Vera Molnar, Leopoldo Trieste e dalla stassa Faldini. Totò è il barbiere Salvatore che dopo vent’anni di carcere per aver ucciso un uomo che gli insidiava la moglie viene rilasciato proprio nel momento in cui sta per evadere secondo un piano ben congegnato. A casa trova tutto cambiato, quello non è più il suo mondo. E cerca di tornare in galera dove, secondo lui, «è la vera e unica libertà possibile».
«Corriere della Sera», 1 maggio 1989
I documenti
Il neorealismo e la miseria
«Sugli ambienti tristi e malinconici del set di Dov'è la libertà? - ricorda Franca Faldini - Totò fece questa considerazione»:
E me lo chiamano neorealismo. Altro che neo, è un'atmosfera vecchia almeno quanto me, questa schifezza di odore che è stato lo Chanel numero cinque di tutta la mia infanzia. Ci sono giorni che me lo sento ancora addosso e allora mi riprende una paura e la smania di arraffare, arraffare contratti, buoni o cattivi, denaro, perchè oggi mi vogliono, domani chi lo sa e io di una realismo così ne ho avuto a iosa."
Lavorando con Roberto Rossellini, ho fatto una scoperta; come dire ho riconosciuto in me stesso una verità che, fino a ieri, non mi aspettavo potesse offrirmi il cinematografo. E che cioè nella realtà idealizzata è possibile fare arte vera. Per la prima volta infatti, ve lo ripeto, ho sentito che il peso della mia parte non era tutto sulle mie spalle. Siamo in due, stavolta, ad interpretare il film: Rossellini ed io. Ho dovuto purtroppo ripensare in questi giorni a tutto il mio passato lavoro, quando in certi films poco ci mancava che mi dovessi caricare sulle spalle anche la macchina da presa.
Totò, Una mia breve confessione, “Il Grillo”, n. 1, 28 maggio 1952 (Busta T09, fase. ‘Totò’, Fondo Calendoli, Biblioteca della Fondazione Cineteca di Bologna)
Rossellini fa scrivere la sceneggiatura del suo film a quattro persone che ci si mettono d'impegno, poi butta la sceneggiatura, va a pesca e comincia il film come gli pare.
Ennio Flaiano
Rossellini, che ogni tanto aveva altro da pensare, telefonava e diceva: 'Chi c'è libero per girare?'. 'Ci sono io'. E così per esempio, la telefonata di Misiano l'ho girata io. Succedevano spesso cose così.
Lucio Fulci
Roberto si era ammalato, mi pare, i produttori mi pregarono di concludere in qualche modo il film. Una sequenza minuscola, solo un paio d'inquadrature: Totò che saltava in testa all'avvocato Talarico e gli mordeva l'orecchio, tutto qua. Ma ioero ugualmente intimidito e a disagio. Come tutti, gli dicevo: 'Senta principe, potremmo fare così, ecco, principe, lei viene avanti...'.E allora Totò mi ha guardato con quei dolcissimi occhi da rondone e mi dice: 'Voi mi potete chiamare Antonio.'Era un'investitura; sia pure per pochi minuti ero diventato il suo regista.
Federico Fellini
Dov’è la libertà? [...] è piuttosto un derivato di Europa ’51, perché è un tentativo di esaminare la stessa situazione. Poi c’era quel personaggio straordinario che è Totò. Il film, come si vede oggi, è molto mutilato, molto alterato, era molto più crudele. Questo tentativo di addolcirlo che hanno fatto i produttori gli toglie peso. Del resto non sono film importanti, sono solo esperimenti.
Roberto Rossellini
Nel film vi sono tre accenni di canzoni di Totò:
Casa miacantata da Giacomo Rondinella
Uocchie ca' me parlate che Totò canta rivolto a Maria (Franca Faldini)
Me songo 'nnammurato...c'aggi 'a fa che Totò dedica alla giovane Assuntina
In extremis, un attimo prima del ciak mi sussurrò: ‘Leopoldo, mi potreste ripetere che cosa ci ha detto Roberto, la cosa ultima che ha detto a me?’. E mi confidò che in esterni, in mezzo alla gente, con i ragazzini che facevano chiasso e si buttavano addosso, lui perdeva la testa, non si raccapezzava. ‘Ogni volta è una sofferenza, io sto bene in teatro, quando esco per le strade mi suiciderei’. Cercai di recuperare le indicazioni del regista; domandammo un attimo di riflessione prima del ciack e ci scambiammo i consigli, gli accorgimenti. Poi di colpo la folla ammutolì e partimmo. Roberto disse sottovoce alla segretaria: 'Prima buona'.Flaiano, onnicomprensivo, mi disse: 'Siete due mostri'.
Leopoldo Trieste, nelle sue memorie rievocando le riprese al portico d’Ottavia
Al film lavorò la gente più impensata, è stata una lavorazione molto caotica, come d’altronde erano sempre caotiche le lavorazioni con Rossellini. I due si adoravano, non dipendeva da incompatibilità ma da un certo disordine di vita, dalla genialità del regista. E' vero che il film è stato ultimato da più persone, così com’è vero che Rossellini l’ha scritto o riscritto praticamente al momento: ogni tanto si appartava e buttava giù su foglietti quattro cose... Era un modo di lavorare piacevolissimo per chi c’era perché era sempre una sorpresa, però, indubbiamente... Per Totò avrebbe potuto essere una bellissima cosa, poteva dargli un passaporto per il mondo.
Franca Faldini
Il film risulta essere un apologo profondamente sfiduciato, ma carico di un’esasperazione tematica interessante e decisamente controcorrente nel panorama rosa del neorealismo di allora, il suo pessimismo spinge al grottesco e al paradossale anche l’interpretazione di Totò, ma tra regista e attore non c’è scambio, non c’è, si direbbe, abbandono reciproco il film ne risente, non quaglia.
Goffredo Fofi
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Ho il sospetto che in alcune interviste, stufo di essere sottovalutato, Totò dicesse all'intervistatore ciò che riteneva il tipo volesse sentirsi dire, piuttosto che quello che lui pensava davvero. Infatti, fra i suoi film che il Principe sosteneva di prediligere, c'era questo, anche perché diretto da Roberto Rossellini. Peccato che il film sia brutto, noioso, con il nostro che interpreta il solito personaggino patetico (perché lo considerava un passo in avanti rispetto al "burattino" del teatro di rivista... allora era questo che si credeva).
- Amo il cinema didascalico di Rossellini e i suoi film sul “disagio”, ma questa pellicola con Totò la trovo esteticamente brutta, narrativamente sconclusionata e con una tesi di fondo a dir poco semplicistica: ma si può trovare realmente la vera libertà in carcere? Mah... Rossellini non credeva al progetto, la sceneggiatura cambiò spesso di mano, molte battute furono improvvisate sul set e sembra che l’aiuto regista Lucio Fulci e addirittura Fellini abbiano girate diverse scene come quelle del processo. Insomma, una babele, un'occasione gettata al vento.
- Tra i meno diffusi del Principe, questo lavoro, a cui han messo mano diversi registi a parte Rossellini, ha il pregio di mostrare un Totò intenso ed espressivo spogliato dai suoi consueti ruoli comici. Grosso punto debole è la sceneggiatura, che a tratti appare efficace ma in molti punti sembra trascinare a fatica gli eventi della storia fino alla conclusione, che nella sua tragicomicità riporta il registro dalle parti della commedia. Il Principe cerca di fare bella figura, ma, come spesso è accaduto nella sua carriera, è abbandonato a se stesso.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Lojacono scopre la verità su Torquati.
Le incongruenze
- Agnese sul terrazzo appende al filo i fazzoletti. Uno di questi è appoggiato sopra a due mollette, ma nell'inquadratura successiva le mollette non ci sono più, anzi il fazzoletto che stende poco dopo torna a essere quello sopra le due mollette.
- Totò è sul terrazzo con Agnese e le passa un fazzoletto che la ragazza appende al filo. Dopo qualche secondo suona la porta e Totò si accinge ad andare ad aprire, ma proprio in quel momento consegna di nuovo il fazzoletto (lo stesso già appeso poco prima) ad Agnese.
- Totò, all'inizio del film, dice che gli sono rimasti 180 giorni di carcere da scontare. Più tardi, però, gli giunge inaspettata la notizia che gli sono stati condonati più di 1000 giorni, ed è subito libero.
www.bloopers.it
La censura
Ci fu un contenzioso tra la Produzione Ponti-De Laurentiis e L’unione delle Comunità Israelitiche Italiane, secondo la quale erano presenti nel film 'alcune sequenze offensive per l'ebraismo.
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo | |||
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Il carcere di Portofino nel quale era detenuto Salvatore Lo Jacono (Totò) e che sarà oggetto di un tentativo di "invasione" da parte dello stesso, deciso a ritornare in galera dopo esser stato scarcerato, disgustato da ciò che aveva vissuto fuori dal carcere, è il Castello Aragonese di Baia (Bacoli, Napoli), situato in Via Castello 39 e visto anche in Cadaveri eccellenti (1976), dove pure sarà spacciato per carcere. | |||
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Il cortile dell’ora d’aria. | |||
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La piazza dove, la sera dopo essere uscito dal carcere nel quale aveva trascorso ventidue anni di detenzione, Salvatore Lo Jacono (Totò) si aggira smarrito cercando il Teatro Augusteo, non sapendo che nel frattempo era stato demolito, è Piazza Augusto Imperatore a Roma. Qui vediamo Totò guardarsi attorno alla ricerca del teatro. | |||
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Sulla destra transita il passante che indicherà a Totò il luogo dove si trovava l’Augusteo. | |||
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Guardando nella direzione indicatagli Totò vede il Mausoleo di Augusto, collocato nel bel mezzo della piazza: il Teatro Augusteo è realmente esistito in questo luogo e si trovava esattamente all’interno del monumento; inaugurato nel 1780, fu demolito nel 1937, periodo nel quale fu costruita la stessa piazza. | |||
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Il vicolo dove Salvatore Lo Jacono (Totò) consegna a Giacomo (Rondinella) i due barattoli di latte in polvere che aveva comprato su suo incarico e dove scoprirà che i soldi che gli aveva dato per acquistarli erano falsi è Vicolo de’ Renzi a Roma, all’altezza dello sbocco nell’omonima piazza.Totò ora arriva in quel luogo provenendo da Via del Cipresso. | |||
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L'abitazione dove, dopo esser uscito dal carcere, Salvatore Lo Jacono (Totò) prende alloggio in una camera in affitto si trova in Via della Pelliccia 38 a Roma. Questo (A) è l’ingresso, visto nella scena dove Totò viene scacciato dall’abitazione, dopo che la padrona di casa l’aveva sbattuto fuori dalla camera e costretto a passare la notte sulle scale.Uscito dall’abitazione Totò s’incammina verso Vicolo del Piede.Il posto è stato individuato grazie alla vista dal balcone della camera di Totò verso il campanile della basilica di Santa Maria in Trastevere, esattamente in asse con il fotogramma (il punto rosso indica il punto dove si trovava la camera presa in affitto da Totò) | |||
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La strada dove, mentre sta vagando senza meta dopo esser stato scacciato dall’affittacamere, Salvatore Lo Jacono (Totò) si imbatte in un gruppo di buoi diretti al mattatoio e, credendosi inseguito dalle bestie, si mette a correre spaventato è Via di Monte Testaccio a Roma, proprio all’esterno del celebre ex mattatoio del Testaccio. | |||
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Il controcampo, con Totò che fugge nella direzione opposta. | |||
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Dopo una lunga rincorsa, che nel film dura pochi istanti ma che viene lasciato intendere durata un po’ di più, ritroviamo le bestie all’esterno del mattatoio... ossia a nemmeno cento metri di distanza dal punto dove avevamo visto Totò fuggire via! | |||
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La casa dove abita Abramo Piperno (Trieste), l’ebreo al quale i parenti della moglie di Salvatore Lo Jacono (Totò) avevano rubato tutto durante la deportazione nei lager, si trova in Via del Portico d’Ottavia a Roma. Questo è l’ingresso. Accanto al portone si trova il bar dove Totò va a cercare Trieste: in realtà si tratta della rinomata trattoria Da Giggetto al Portico d’Ottavia (B) | |||
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Infine, ecco Totò e Trieste che si incamminano verso il Portico d’Ottavia (D), del quale viene mostrato un piccolo scorcio. |
Dov' è la libertà? (1952) - Biografie e articoli correlati
«Dov'è la libertà», Totò diretto da Roberto Rossellini
Alivernini Umberto
Amati Giovanni (Nino)
Amoroso Roberto
Annuale Armando
Articoli & Ritagli di stampa - 1950-1959
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1954
Carloni Pietro
Castellani Mario
Corbo Sandro
D'Alessio Ugo (Pasquale)
De Laurentiis Dino (Agostino)
De Pino Andrea
Delli Colli Tonino (Antonio)
Dover Nyta (De Chvalkovsky Angelica Antonietta Anita Enrichetta)
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Totò, il comico irripetibile
Uocchie ca me parlate
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Un intruso a Cinecittà" - Leopoldo Trieste - Eri, Torino 1985
- «Noi Donne», anno IX, n.12, 21 marzo 1954
- Vice, «L'Europeo», anno X, n.19, 9 maggio 1954
- "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fofi) - Feltrinelli, 1977
- Documenti censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - www.cinecensura.com