Il più comico spettacolo del mondo
La preghiera del clown
Inizio riprese: aprile 1953, Stabilimenti Ponti - De Laurentiis
Autorizzazione censura e distribuzione: 17 ottobre 1953
Titolo originale Il più comico spettacolo del mondo
Paese Italia - Anno 1953 - Durata 70 min - Colore - Audio sonoro - Genere comico - Regia Mario Mattoli - Soggetto Mario Monicelli, Ruggero Maccari, Sandro Continenza, Italo Di Tuddo - Sceneggiatura Mario Monicelli, Ruggero Maccari, Sandro Continenza, Italo Di Tuddo - Fotografia Fernando Risi, Riccardo Pallottini, Karl Strauss - Montaggio Roberto Cinquini - Musiche Armando Trovajoli - Scenografia Piero Filippone - Costumi Dario Cecchi
Totò: Tottons - May Britt: May, la domatrice - Franca Faldini: Dorothy, la soubrette - Mario Castellani: Karl il domatore/Lucio, il coiffeur - Toto Mignone: un marinaio - Gianni Agus: il signore con i capelli tinti di rosso - Alberto Sorrentino: Bastian - Ignazio Balsamo: il giornalista siciliano - Enzo Garinei: il presentatore - Lia Rainer: una cliente del parrucchiere - Tania Weber: Tania, la trapezzista - Elena Sedlak: una ballerina - Marc Lawrence: il proprietario del circo - Eleonora Morana: Stella
Soggetto
Un clown di nome Tottons (Totò) del circo Togni, obbligato a non struccarsi mai per non svelare la sua identità, viene perseguitato continuamente dalle gelosie di tre donne (una domatrice di leoni, una fantasista, una trapezista) e anche dalle indagini di un poliziotto. La trama è un chiaro pretesto per una serie di numeri tratti dalle riviste di Totò (come quello del parrucchiere omosessuale e della massaggiatrice).
Critica e curiosità
Essendo una parodia non potevano mancare riferimenti al film di De Mille: Bastian Alberto Sorrentino cadendo dal trapezio si ferisce alla mano (rimanendo paralizzata, riferimento all'episodio di Sebastian Cornel Wilde) e non può più lavorare come trapezista, di conseguenza gli suggeriscono (appendendogli dei palloncini colorati alle dita rattrappite) di fare il venditore di gadget sugli spalti del Circo.
Nel pubblico del circo si possono riconoscere Aldo Fabrizi, Silvana Mangano, Anthony Quinn, Carlo Croccolo, Carlo Campanini e Isa Barzizza.
Il film viene girato in 3-D con il sistema Podelvision, appositamente brevettato da Carlo Ponti e Dino De Laurentiis per l'occasione[1].
Il più comico spettacolo del mondo non è tuttavia il primo film italiano stereoscopico in assoluto, dal momento che il primato spetta al film Nozze vagabonde del 1936, il vero primo film italiano 3-D, oltre che il primo film in assoluto a venire girato con il sistema delle lenti polarizzate e il primo film stereoscopico sonoro. Nel 2011, dopo due anni di restauro, il film è stato presentato da Aurelio De Laurentiis al VI Festival Internazionale del film di Roma. Il restauro è stato difficile per l'alta infiammabilità delle vecchie pellicole e la necessità di ricostruire le parti logorate. Nel 2019 viene distribuita in formato Blu-ray l'edizione restaurata, andando subito fuori catalogo. Nel 2021 il film torna disponibile in versione Blu-ray.
Così la stampa dell'epoca
Il più grande spettacolo del mondo
Prima che inventassero le motociclette, non c’era nulla che facesse più fracasso del circo. equestre. E nulla che fosse altrettanto temerario, eccessivo, iperbolico; ecco perchè il regista americano Cecil B. De Mille, a cui piacciono i film di ambiziosa grandiosità, ha finito con il mettere assieme, come prima o poi doveva accadere, una pellicola sul circo. E giacché i superlativi sono il suo forte, gli ha dato un titolo che esprimesse, pomposamente, ‘ un primato assoluto, «Il più grande spettacolo del mondo».
Grande crisi finanziaria, per il circo equestre Ringling, Barnum e Bailey. Esso ha bisogno di enormi incassi, ma i suoi spettacoli in provincia si fanno sempre meno fruttuosi. Il direttore Brad Braden, è angustiato; ama troppo il circo per scioglierlo, come vorrebbero gli azionisti. Il clown Buttons (l’attore James Stewart), uomo dal misterioso passato, tenta Invano di elettrizzare le rappresentazioni, con le sue scenette comiche, in coppia con il comico Kelly. A destra, la trapezista Dolly (Betty Hutton), di cui Brad Braden i violentemente innamorato, fa anch’essa del suo meglio. Per rialzare le fortune del circo occorre scritturare un atleta popolarissimo, Sebastian, ancora più abile di Holly. E questa ne è addolorata, anche perchè deve cedere al nuovo venuto li trapezio centrale, conservando per sè quello secondario. Ma Sebastlan, galante, lascia che ella usi ancora II suo trapezio, suscitando la gelosia di Braden.
C’è molto romanticismo, se non nella vita degli zingari che sì trascinano, sui carrozzoni, da una città all'altra, almeno nella nostra idea su quella vita. Sulle funi del trapezio e nelle gabbie delle belve, tra le luci dei riflettori e nel frastuono delle fanfare, gente spericolata rischia ogni sera, sorridendo, la sua integrità fisica. Tutto sembra il frutto di un’improvvisazione, mentre invece è il risultato di. ima lunga, graduale, audace familiarità con la morte. Nel film di De Mille, l’attore James Stewart doveva figurare un clown, dal viso impiastricciato di farina e di minio, la cosa gli è riuscita facile; ma come trasformare Betty Hutton in ima ginnasta da trapezio è fare altrettanto con Cornei Wilde? E come fare una domatrice di elefanti della fragile Gloria Grahame? Autentici acrobati, che non figurar no nel film, come Lynn Conch e Antoinette Concello, hanno dato lezioni di abilità e di coraggio agli interpreti; e poi si sono sostituiti ad essi nei momenti in cui la macchina da presa doveva riprenderli pericolanti dalle incastellature, a decine di metri dall’arena, tutti affidati alla saldezza della fune e a quella dei muscoli.
Il contrasto professionale non impedisce che tra i due trapezisti sorga simpatia. Per via, comunque, della loro rivalità, gii esercizi si fanno sempre più rischiosi. Un giorno, Sebastian (l’attore Cornel Wilde) tenta un nuovo ardito salto mortale, ma le dita mancano la presa ed egli precipita. Braden (Charlton Heston) e il clown Buttons accorrono accanto a lui. E’ ferito a un braccio, forse non potrà più lavorare. Holly, afflitta, sente di essere responsabile della disgrazia. A destra, la domatrice degli elefanti, Angel (Gloria Grahame), che ha amato, in altro tempo, Sebastlan, è di nuovo attirata verso di lui. Per ingelosirlo, civetta con Brad; e ciò infuria il suo compagno, che è il domatore prussiano Klaus (Lyle Bettger), a sua volta invaghito di lei. Durante il «numero» degli elefanti, mentre un pachiderma solleva una zampa sul viso di Angel, Klaus gli ordina di schiacciarla. Solo l’intervento di Brad la salva all’ultimo istante.
E’ stata un’esperienza appassionante, per attori che abitualmente recitano avendo sempre sotto i piedi il consistente sostegno delle assi di uno « studio ». Volteggiare sospese sul grande vuoto, pur sapendo di avere, sotto di sè, ovattati materassi o elastiche reti, è cosa che non possa essere fatta da delicate attrici indifese contro i capogiri e, comunque, abituate a posizioni assai meno disagevoli. E in quanto agli elefanti, si può essere indotti a stringere rapporti cordiali con essi quando li si incontrano al giardino zoologico, ma è meno facile fraternizzare quando, a tu per tu, tra sbarre di ferro, si cerca di ottenere che eseguano passi di danza; c’è qualcosa di poco rassicurante, nei loro barriti e nel loro modo di agitare proboscidi, zanne e zampe.
Furioso d’essere stato licenziato, Klaus escogita, con altri due bricconi, di assaltare i carrozzoni del circo. In piena campagna, per rubare gli ultimi incassi. La rapina provoca un urto tra i grandi carrozzoni della carovana, che sbandano e si sfasciano. I lamenti degli uomini e delle donne feriti si uniscono alle voci delle belve; I carri bruciano. Dal groviglio del rottami escono i feriti, curati dai clown Buttons, che rivela di essere un medico e salva i più gravi. Tutto sembra perduto, ma nessuno vuole che il cirro muoia. E' Holly che — ora consapevole del suo amore per Brad, il direttore — riorganizza gli uomini allestendo un nuovo spettacolo, cui partecipa anche Sebastian, appena guarito. Ecco, dopo la riuscita della rappresentazione, che Holly abbraccia Brad, felice: Anche Sebastian sarà felice, al fianco di Angel, liberata dall'incubo della gelosia di Klaus. «Il più grande spettacolo del mondo» continua
Un film come questo è fatto apposta per giustificare le pavidità degli attori, quando si accingano a parteciparvi solo dopo avere avuto un lungo colloquio con l’agente delle assicurazioni sulla vita. Cecil B. De Mille ha realizzato Il più grande spettacolo del mondo (The greatest show on earth) mettendo addirittura a soqquadro una cittadina della Florida, Sarasota, dove tutto un intero circo equestre autentico fu reclutato perchè apparisse, nel film, con i suoi « prodigi » umani e le sue rarità zoologiche. Sfilate clamorose, a suon di fanfare, furono eseguite, dai cineasti e dal loro amici del circo, nelle strade di Sarasota. Ancora adesso, a molti mesi di distanza, se ne parla, laggiù, come del giorni della « grande tempesta un altro film come questo, dicono, e finiremo tutti nelle cliniche per la malattie dei nani.
Art., «La Domenica del Corriere», 16 novembre 1952
Tra le mostruosità che hanno sulla coscienza tanto Mattoli quanto Totò, Il più comico spettacolo del mondo è certo la più madornale. [...] Col tempismo che spesso li contraddistingue i nostri produttori sono arrivati, per così dire, a battaglia finita, quando ormai gli spettatori danno chiari segni di impazienza, di fronte all’impaccio degli occhiali: così che, dopo due o tre giorni di proiezioni in 3D i locali si sono affrettati a sostituire la copia con quella normale, basando per di più su questo fatto la loro pubblicità [...] Karl Struss ha affidato le sue macchine al nostro Fernando Risi di cui riconosce l’eccezionale bravura, e se ne sta intorno al set con l’aria incantata di un turista americano che stia a guardare i monumenti della Roma dei Cesari; alcuni dicono che Struss cerchi soltanto di sottrarsi all’infernale ambiente del set sul quale convergono gli infuocati fasci di luce di decine di riflettori [...] Totò ha trovato una buona scappatoia per entrare sicuramente nella storia del cinema: interpretare il primo film italiano in 3D».
Giulio Cesare Castello, «Cinema» n.108, 30 aprile 1953
Fino a qualche giorno fa, gli spettacoli che I ' l’organizzazione del Circo Togni. (uno degli ultimi, gloriosi circhi equestri, uno dei pochi che fa ancora, puntualmente, tutti gli anni, il giro delle grandi città d’Italia per esibire i suoi domatori, i suoi clown, le sue bestie feroci ed i suoi trapezisti) erano due. Uno era lo spettacolo della sera, quando la grande tenda del circo si illuminava, e cominciavano i vari numeri; l’altro, invece, forse anche più divertente, si svolgeva al mattino.
Dalle otto del mattino, infatti, il circo veniva invaso da una folla di operatori, elettricisti, cineasti. E, poco dopo, cominciava « II più comico spettacolo del mondo». Un film con un pagliaccio d’eccezione: Totò, perfettamente truccato secondo il costume tradizionale che la nostra fotografia vi mostra; con una « prima donna » paludata di un abito di sontuoso raso rosa, adornata da un cappello con grandi piume di struzzo: Franca Faldini, fidanzata di Totò e protagonista del film: e, infine, con una graziosissima domatrice, in aderente costume bianco e nero: May Britt.
«Il più comico spettacolo del mondo», un film che sarà la satira dell’americano «Il più grande spettacolo del mondo» di De Mille (Totò ha nel film la stessa truccatura che nella pellicola americana aveva James Stewart), sarà a tre dimensioni : una novità per l’Italia, una innovazione già in atto da molti anni nell’Unione Sovietica ed ai primi esperimenti in America.
«Noi donne», anno VIII, n.21, 24 maggio 1953
"Il più comico spettacolo del mondo", di Mario Mattoli, é il primo film Italiano a tre dimensioni. Non crediamo che ne debbano seguire molti altri: la stereoscopia ha subito fatto il suo tempo. Si tratta, almeno all'Inizio, d'una parodia del "Più grande spettacolo del mondo", di De Mille: [...] La conclusione frettolosa, una flebile preghiera recitata da Totò, perde di vista il tema del film e sembra messa il per dare una soluzione purchessia alla vicenda, più corta di fiato del solito. A May Britt e a Franca Faldini, ma meglio ancora a Tania Weber, è affidato il compito di dare risalto, diciamo, al risalto; ossia di lasciare intendere, nella procacità di certe ostentazioni, a quale prestigio volentieri si affidi la riuscita della stereoscopia; il prestigio della corposità.
lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 3 dicembre 1953
Un estroso e misurato, espressivo e godibile Totò è al centro di « Il più comico spettacolo del mondo»; alla fine anzi, quando egli raduna intorno a sè i compagni d'arte e di rischio del circo equestre dove, a somiglianza del film quasi omonimo di Cecil De Mille, lo spettacolo si svolge, e pronuncia parole di congedo nelle quali è tanta umanità, un senso di vero ed un moto di consentimento compensano la fatica di Mario Mattoli, anche per quella parte in cui l'adattamento, abile sempre, rimane allo scoperto.[...] Con il suo reale e il suo parodistico, i suoi effetti spettacolari, gli episodi gustosi, la sua simpatica gente, il film riesce a prendere e a divertire.
«Corriere d'Informazione», 3 dicembre 1953
Alle smorfie e ai lazzi di Totò sembrano affidati, da qualche tempo, tutti i tentativi e gli esperimenti più azzardati del nostro cinema ieri era la volta del primo film realizzato con un sistema a colori italiano, oggi è toccato al primo film in 3D (brevetto americano, però). Di fronte al tentativo dichiarato, così, il giudizio sul risultato spettacolare non deve essere troppo ingeneroso perché anche se da vicenda prendendo le mosse da un tentativo di parodia che si rifà, fin dal titolo, a un film americano sulla vita dei circhi, finisce per essere soltanto una sbiadita antologia dei più famosi numeri delle riviste di Totò. Il pubblico, che ha eletto il comico napoletano proprio beniamino, ride, comunque si diverte, applaude. Che desiderate di più? In 3D si possono ammirare oltre al mento di Totò, le grazie fiorite e fiorenti della dolce May Britt, della sempre più bella Tania Weber e di Franca Faldini. La regia di Mario Mattoli, Ferraniacolor.
«Il Tempo», 5 dicembre 1953
Abbiamo oggi anche Totò protagonista di un film a tre dimensioni.
Il «tre dimensioni» è quello spettacolo che va visto con gli occhiali colorati. Con questi occhiali l personaggi assumono un netto rilievo e quando dallo schermo fanno il gesto di lanciare acqua o «ciche» verso il pubblico, si ha l’impressione che vi arrivino sul naso. Ripetuto questo, che per gran parte del pubblico è cognito, esaminiamo il film in sè e il signor Totò protagonista del medesimo. E qui dobbiamo ripetere quanto abbiamo scritto altre volte: è un vero peccato che un autentico artista come Totò (un attore di potenza non comune) si avvilisca nello sciorinare al pubblico scemenze, gesti osceni e doppi sensi. Lo abbiamo tanto ammirato nella umanissima interpretazione di « Guardie e ladri » e dobbiamo rivederlo invece ancora e sempre nei panni di un personaggio da rivista che si abbassa al livello, spesso, di un attore da avanspettacolo. [...]
Il film si chiude con la preghiera serale detta da Totò, cui assiste tutta la compagnia. Dice cosi bene cose vere e delicate da sentirne commozione, ma ecco che con intercalari buffi, che rendono la preghiera irriverente, sconcerta chi ha creduto per un momento che fra tante cose melense, ve ne fosse una intonata. Un esempio: Oh, tu che sei la vera rete di salvezza... C’è tanta gente al mondo che fa piangere... Noi dobbiamo piangere per far ridere... E poi ecco la battuta sciocca: Salvaci dalle unghie delle nostre donne, chè da quelle delle belve ci salviamo noi.
C. Tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 5 dicembre 1953
C'era da aspettarselo dopo un “Totò a colori” non poteva mancare un Totò tridimensionale. Non che dispiace il fatto che una casa di produzione italiana abbia voluto utilizzare il nuovo mezzo tecnico la cui funzionalità del resto è piuttosto discutibile; e ciò che deploriamo è che si è creduto che bastasse aggiungere il 3D al nome di Totò per assicurare comunque il successo di cassetta. Il film, almeno nelle intenzioni (e intenzioni sono rimaste) voleva essere una parodia di “Il più grande spettacolo del mondo”, di Cecil B De Mille.
In realtà esso non è che uno scadente canovaccio, il quale permette al Circo Togni di esibire i suoi artisti e a Totò di dar via libera ai suoi lazzi che nonostante tutta la buona volontà raramente riescono a strappare qualche risata. Tra l'altro gli sceneggiatori erano così a corto di idee che non hanno esitato a rispolverare alcuni noti sketch di Totò come per esempio quello dei manichini che faceva parte del repertorio teatrale del comico e quello della massaggiatrice, tolto di peso dal vecchio film “Fermo con le mani”.
Gli attori cui è stato affidato il compito di interpretare questa pellicola sono, oltre Totò, May Britt, Marc Lawrence e Franca Faldini. Ha diretto Mario Mattoli.
vice, «L'Unità», 5 dicembre 1953
Sbollita la prima curiosità, il cinema tre dimensioni si è dimostrato sprovvisto di particolare capacità non dico espressive, che potrebbero non avere importanza ai fini commerciali di un film, ma di immediata efficacia spettacolare. [...] Non per nulla questo inutile infantile espediente è stato già abbandonato dagli americani che pur vi avevano riposte tante speranze. non potendo, Dunque, contare sulle specifiche risorse del sistema, il film deve fare assegnamento sui mezzi di un normale spettacolo cinematografico che sono quelli di un interessante e divertente congegno narrativo. Nel film presentato ieri esso manca del tutto: la vicenda, se così si vuol chiamare, si limita ad un seguito di non sempre comici interventi di Totò in uno spettacolo di circo equestre. [...]
E a ridere delle pretese trovate umoristiche sono i soli in spettatori del circo fra i quali si scorgono la Mangano, Fabrizi ed altri attori. I numeri del Circo Togni sono ricchi ed attraenti, i costumi di gusto, la fotografia a colori e assai riuscita, la stereoscopia eccellente. Peccato che tanto impegno produttivo sia così male impiegato. Totò e il regista Mattoli hanno fatto quel che hanno potuto: non si può cavar sangue da una rapa.
E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 5 dicembre 1953
Film sgarrupato e incoerente quant’altri mai, "Il più comico spettacolo del mondo" ha comunque dal punto di vista tecnico dei pregi non indifferenti; riemerso dopo un lungo restauro al Festival di Roma 2011, mostrerà una profondità di campo e un’efficacia stereoscopica superiori al 3D dei film realizzati sessant’anni dopo.
Cfr. Alberto Anile, Totò Exploitation, «Cabiria», n. 174, maggio-agosto 2013, pp. 55-64
Catanzaro in subbuglio per un film con Totò
Un ordine del giorno al Consiglio comunale per una frase ritenuta offensiva
Catanzaro 13 aprile, notte.
Catanzaro è in subbuglio per un film di Totò. Si tratta della pellicola «Il più comico spettacolo del mondo» proiettata in questi giorni in un locale cittadino: a un certo momento, il noto attore napoletano si rivolge a un'attrice, truccata da negra, e le chiede di che paese sia. La ragazza risponde: «di Catanzaro», al che Totò aggiunge un suo commento salace. La battuta ha provocato la reazione degli spettatori, che hanno ritenuto di cogliere nella frase un'offesa al decoro della città. Alcune centinaia di cittadini hanno firmato una petizione al sindaco e un consigliere ha presentato oggi al Consiglio comunale un ordine del giorno .che è stato approvato all'unanimità.[...]
«Corriere della Sera», 14 aprile 1954
L'offesa di Totò
Confessiamo che grande sarebbe il nostro imbarazzo se ci chiedessero di stabilire con precisione di confini se e fino dove la vita sia rappresentazione cinematografica e quando il cinema sia edificante interpretazione della vita. Peggio ancora poi quando la vita si inserisce nella finzione di celluloide e diviene spettacolo nello spettacolo. Pochi giorni or sono su un lucido e ponderoso tavolo della Presidenza del Consiglio a Roma, s'è posata un’accesa petizione di molti cittadini di Catanzaro, i quali chiedevano il taglio di un passo da una pellicola cinematografica » nella quale Totò si abbandona ad un giudizio per niente lusinghiero nei confronti di quella forte gente di Calabria.
Pensiamo proprio che quel severo tavolo si sia alquanto spostato dalla sua solita ubicazione, come percorso da un prurito ci stupore. Abituato ad accogliere istanze magari strane, magari assurde ,si deve certo essere meravigliato che dei cittadini italiani questo secondo scorcio di secolo, facessero giungere a Roma la loro voce, non già per sollecitare un sussidio, una licenza, una onorificenza ma solo ed esclusivamente per difendere un civico onore. Dicendo della metaforica sorpresa del tavolo ministeriale (e nostra), non intendiamo affatto emettere un giudizio e meno ancora avallare la incriminata allocuzione di Totò.
E ’ comunque da convenire che in tempi come i nostri in cui il successo arride ai funamboli del compromesso ed agli equilibristi della morale, fa un certo effetto sentir parlare di «question d’onore». Sarà questione di Natura. In Calabria, dove la terra, come il viso degli uomini sono arsi dal sole, non v’è posto per i chiaroscuri : ogni pietra come ogni sentimento conosce il bruciore di una luce esasperante e nella consunzione scottante d’ogni cosa creata v’è forse la catarsi d’una vita rim asta sincera e sempre uguale. Persino il mare, qui in Calabria, non conosce mollezze e blandizie d’altre riviere : batte mordente contro le erose scogliere e il suo forte respiro flagella l’interno sino a strinare l'intonaco bianco e abbacinante d’una bicocca o la pelle caprigna e rugosa d’un pescatore.
In Calabria tutto è conquista: la vita, l ’amore e persino la morte. Qui la volontà vai più della Natura. Qui il progresso deve essersi arrestato alle soglie della farmacia o del caffè di provincia, ai tempi in cui la vita si infilava spensieratamente nel guanto da gettare in faccia all’ offensore ed in cui l’onore colpito veniva inalberato sulla punta aguzza d’una spada da duello. In Calabria non dev’essere ancora giunto l’alito viscido e greve di quel civile compromesso che è l’asfalto. Come si potrebbe diversamente capire questa strana difesa dell’onore, in momenti in cui l’onore è divenuto un'arma retrattile, in cui più nulla riesce ormai a tinger di rossore l’anima, ed in cui il bimbo più non crede al mondo incantato delle fate bionde, ed alla favola bella del principe azzurro, paladino dell’onore, mentre si trastulla per non più d’un giorno con un infernale balocco meccanico che troppo presto gli apprende la prevalenza della Forza sulla Giustizia?
Ma dove, a nostro giudizio, i querelanti di Catanzaro hanno sbagliato è stato, come dicevamo all’inizio, nell’inserire uno spettacolo nello spettacolo. Non hanno capito, i forti cittadini di Catanzaro, che chi parlava nel film in questione era, nient’altro che una maschera. Se a parlare fosse stato il principe Antonio De Curtis, con quel che segue, poteva forse valere la pena di offendersi e stampargli sul viso con aria di superiore disprezzo il classico schiaffo come s’addice a gente d’onore e di spada. Ma con le maschere no, non ci si può offendere! Le maschere non si sa da dove vengano: son nate con l’uomo, stanno in piedi sorrette dalle miserie nostre, la loro vita è lunga quanto la durata d’una risata, e profonda quanto la puntura d’un sarcasmo. Ogni uomo che nasce dà vita alla sua maschera: il carattere d'ogni maschera si fissa nel gran palcoscenico della Vita per quel tanto di fisso e di reperibile che è in ogni lato miserevole della natura umana. Spesso però le maschere soffrono della loro finzione e nessuna creatura umana è più triste d'un pagliaccio destinato solo a far ridere gli altri ed è per questo che a volte dalla bocca stirata e senza denti d’una maschera esce una tirata che trascende il singolo ed il caso per insegnare a tutta l’Umanità, così come sull’occhiaia vuota d’una maschera può salire la lacrima più sincera e più sofferta sulla sorte d'un triste genere umano.
Meglio avrebbero fatto i cittadini di Catanzaro a indirizzare la loro petizione al Re delle Maschere, perchè fosse redarguita la maschera Totò e salvaguardato l'onore dell’antica città calabrese: al cinema, come a teatro, v’è posto solo per maschere e fantasmi. Per redarguire il principe De Curtis, nella vita vera, ci vuol la carta da bollo, e in queste cose si sa, tutto diventa serio, col rischio finale di rovinare lo spettacolo. Sui tavoli ministeriali di Roma c’è posto ormai solo per l’onore delle categorie: l’onore dei commercianti, degli industriali, degli artigiani, delle Nazioni, dei Popoli. O che forse Totò e Catanzaro sono una di queste cose? Piuttosto a consolazione nostra, dei cittadini di Catanzaro e degli uomini di tutto il mondo, vorrei citare ciò che in proposito pensava Montaigne: «Ogni persona onorata preferisce perdere l’onore piuttosto che la coscienza»
Bruno Galvani, «Il Popolo», 29 aprile 1954
Che (ri)scoperta Totò in 3D!
Pionieri Restaurato e presentato dalla Filmauro alla Festa di Roma il film fu girato nel 1953 da Mario Mattoli con un sistema brevettato da Ponti e De Laurentiis. Allora fu fiasco, oggi la tecnica ne rivela gli effetti stupefacenti
Totò era in 3D anche quando era piatto, perché «piatto» non lo era mai. La sua comicità era talmente turgida che le sporgenze e gli spigoli del suo corpo, a cominciare dal naso, riempivano gli schermi. Ciò non toghe che, fra tutti i restauri recenti e meritori realizzati in Italia, Totò in 3D - Il più comico spettacolo del mondo era forse il più attuale e necessario. Al punto che Aurelio De Laurentiis, che con la sua Filmauro ha contribuito alla riscoperta, pensa giustamente di rilanciare il film nelle sale. Film che risale addirittura al 1953, e fu diretto da Mario Mattoli utilizzando un sistema brevettato da Carlo Ponti e Dino De Laurentiis e ribattezzato (mescolando i loro cognomi) Podelvision. Purtroppo il film fu un fiasco, e certo non per colpa di Mattoli e Totò, che allora riempivano le sale «a prescindere»: il pubblico non era abituato agli occhialetti e in più le condizioni di proiezione, nell’Italia del primo dopoguerra, dovevano essere precarie. Rivisto oggi, dopo il magnifico restauro realizzato su materiali della Cineteca Nazionale da Cinecittà Digital Factory (super-visione di Pasquale Cuzzupoli: un applauso), questo Totò in 3D è tecnica-mente stupefacente.
IL TURCO NAPOLETANO
Il 3D trionfa soprattutto nella scena in cui Totò, travestito da turco napoletano, deve fare da bersaglio in uno di quei baracconi da «tre palle un soldo» del luna-park: le palle d arrivano letteralmente in faccia, così come lo schizzo dell’estintore con il quale Totò cerca di spegnere un incendio da lui stesso provocato in un salone di bellezza (ha lasciato una cliente troppo a lungo sotto il casco della permanente...). Naturalmente Mattoli si diverte con effetti «ad uscire» dallo schermo che oggi il 3D usa molto meno, ma va capito: eravamo agli albori, era salvo omissioni la prima volta in Italia.
Totò in 3D è passato ieri al festival di Roma, in una serata in cui Aurelio De Laurentiis ha coinvolto come «testimonial» il comico napoletano Alessandro Siani. Cosa c’entri Siani con Totò è un mistero, ma c’entra con le commediole oggi di moda: coinvolgere due splendide signore come Isa Barzizza o Franca Faldini, che affiancano Totò nel film e sono vive e vegete, pareva forse brutto. È la volgarità dei nostri tempi, al confronto dei quali la dirompente carica sexy del film appare tenera e fanciullesca. Totò in 3D è uno dei lavori più audaci di Totò e Mattoli, a cominciare dalla scena in cui May Britt e Tania Weber eleggono il comico a novello Paride, mostrando entrambe le proprie grazie, fino alla scena del massaggio in cui Totò manipola una bella bionda... ripreso ovviamente in primissimo piano, ma il suo volto - anche grazie alla tridimensionalità - dice più di quanto i censori potessero e possano accettare. Nel film c’è un Mario Castellani immenso, un Gianni Agus pre-tv e piccoli cammei - come spettatori del circo dove si svolge la trama - di Silvana Mangano, Aldo Fabrizi, la citata Bar-zizza, Carlo Croccolo e Anthony Quinn, che era in Italia per girare La strada di Fellini. Quando (ri)uscirà, non perdetelo: è molto meglio di Tin Tin.
Alberto Crespi, «L'Unità», 30 ottobre 2011
I documenti
Signori, io sono qui per dirvi che vedrete in edizione normale questo primo film tridimensionale a colori realizzato in Italia. La tridimensione, come tutte le novità che si rispettano, ha i suoi sostenitori e i suoi denigratori. Ma noi crediamo che non si debba rinunciare al vecchio sistema...
Enrico Viarisio, il presentatore del film
A differenza degli altri film di Totò che come lavorazione duravano dalle tre alle quattro settimane, Il più comico spettacolo del mondo durò di più perché era uno sforzo molto grosso. Credo che Totò ci abbia sofferto parecchio perché un film di quel genere, il primo tridimensionale, portava a delle lentezze che lo stancavano moltissimo e lo innervosivano. Era una persona socievolissima, sul set non si tirava mai indietro, non si presentava all’ultimo minuto per lavorare quanto gli pareva; però voleva che la lavorazione scorresse, mentre per questo film si perdeva molto tempo per l’allestimento delle luci, delle macchine, delle riprese, e quindi andava tutto un pochino a rilento. La cinepresa non era più una ma tre che dovevano funzionare quasi in contemporanea, quindi tre dovevano essere gli operatori, i direttori delle luci. Certo, per Totò era una bella soddisfazione fare questo primo tentativo in 3D, però non c’era la solita atmosfera: mentre prima quello che contava nei film di Totò era la presenza di Totò, in questo film contava anche la parte tecnica. Poi Mattoli era un uomo molto ligio al dovere e molto fissato, anche tecnicamente, voleva che le cose si svolgessero in quella determinata maniera. E Totò per Mattoli aveva un’enorme stima, perché aveva un lato debole. Mattoli era un laureato, Totò un principe: i titoli, nobiliari o di studio, a lui facevano molto colpo. Succedeva anche con me, perché ero laureato in farmacia, Totò lo sapeva e mi chiamava “il dottorino”, gli faceva un po’ piacere sapere che sui suoi set c’era anche un laureato. Mattoli era avvocato, e quindi non dico che avesse solo per questo una stima maggiore, però era un pochino più ligio a certe cose, e le cose filavano più per il verso giusto.
Enzo Garinei
Ci fu anche un film di Totò in tre dimensioni, Il più comico spettacolo del mondo, una parodia del filmone di De Mille sul mondo del circo. Fu girato in un circo vicino San Paolo e avevano preso l’operatore di Charlot, Karl Struss, alto alto che sembrava Papa Pacelli, tanto è vero che noi elettricisti dicevamo: “Mannaggia, mo' ce benedice!”. Struss, come tutti quelli che avevano lavorato con Chaplin che faceva tutto lui, non sapeva fare niente.
Claudio Mancini
"Oggi a me domani tocca a te" (Bonagura-Redi) dal film "l più comico spettacolo del mondo" (1954)
La prima avventura del 3D in Italia
Per ogni pellicola è necessario ottenere due copie assolutamente identiche, corrispondenti una all’occhio destro e l’altra all’occhio sinistro. Le difficoltà potrebbero aumentare ancora nelle cabine di proiezione, perché basta lo spostamento di un solo fotogramma per annullare gli effetti stereoscopici ed aumentare enormemente il disagio degli occhiali polarizzati.
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Insieme di sketch poco divertenti che cercano di sfruttare la novità del 3D (penso sia l'unico film italiano girato con questa tecnica) e la popolarità di Totò. La storia è ai minimi storici e il grande attore ricicla lo sketch del manichino (unico momento riuscito) e improvvisa una malinconica preghiera del clown. Troppo poco per un lungometraggio abbastanza evitabile, se non fosse per la presenza di Totò appunto.
- Se è vero che i personaggi del mondo del circo devono sapersi adattare ad ogni genere di lavoro, in questo film viene chiesto a Totò di interpretare ogni ruolo e di sostenere tutto il peso di una pellicola (una delle tante parodie di celebri film interpretate dal grande comico napoletano) che si fregia di essere il primo film in 3D (anche se il primo film stereoscopico italiano dovrebbe essere Nozze vagabonde del 1936). Attori famosi tra il pubblico del circo e sketch divertenti e già conosciuti, che vedono protagonisti Totò e Castellani.
- Un po' velleitario tentare di parodiare Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. De Mille pretendendo d'utilizzare le piste dell'allora ben più piccolo circo Togni. A poco serve il 3-D (la moda era già finita e il film fu visto da quasi tutti in versione normale) e il Ferraniacolor. Fra le cose salvabili, la toccante preghiera finale del clown (oggi considerata una vera e proprio sequenza d'antologia), oltre a May Britt e Tania Weber, qui veramente bellissime, molto ben valorizzate da fotografia e colore.
- Questo film a colori girato in 3D è uno dei più corti della storia del cinema: non dura nemmeno 70 minuti. Mattoli ribadisce la sua personale estetica del film come spettacolo che riprende un altro spettacolo (qui il circo, ma nella trilogia scarpettiana e anche nei Pompieri di Viggiù, il teatro). La trama è, in effetti, un pretesto per dare occasione a Totò di presentare alcuni suoi famosi sketch di origine rivistaiola. Il comico non appare in grande forma forse perché deve sostituire la sua maschera mobile con la fissità della maschera da pagliaccio.
- Un tentativo di sfruttare il grande repertorio teatrale di Totò, come avvenuto per il lancio dei film a colori in Italia, ma, a dispetto dello spassoso Totò a colori, questo espediente per lanciare il 3D italiano non ha la medesima fortuna. Il film presenta il suo unico momento di vera bellezza nella celeberrima "preghiera del clown" e presenta qualche altro schetch ilare ma, complessivamente, non lascia il segno. Per appassionati del grande attore napoletano.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La preghiera del clown.
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Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- Claudio Mancini, Enzo Garinei, interviste di Alberto Anile, "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- Intervista a Enzo Garinei di Alberto Anile, "I film di Totò" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998, pp. 167-168.
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Art., «La Domenica del Corriere», 16 novembre 1952
- Giulio Cesare Castello, «Cinema» n.108, 30 aprile 1953
- «Noi donne», anno VIII, n.21, 24 maggio 1953
- lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 3 dicembre 1953
- «Corriere d'Informazione», 3 dicembre 1953
- «Il Tempo», 5 dicembre 1953
- C. Tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 5 dicembre 1953
- vice, «L'Unità», 5 dicembre 1953
- E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 5 dicembre 1953
- Cfr. Alberto Anile, Totò Exploitation, «Cabiria», n. 174, maggio-agosto 2013, pp. 55-64
- «Corriere della Sera», 14 aprile 1954
- Bruno Galvani, «Il Popolo», 29 aprile 1954
- Alberto Crespi, «L'Unità», 30 ottobre 2011