Le sei mogli di Barbablù

1950 Le si mogli di Barbablu

Siamo attesi? Credevo fossimo a Napoli...

Nick Parker/Esposito

Inizio riprese: agosto 1950, Stabilimenti Scalera, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 7 novembre 1950 - Incasso lire 276.100.000 - Spettatori 2.654.808



Titolo originale Le sei mogli di Barbablù
Paese Italia - Anno 1950 - Durata 87 min - B/N - Audio sonoro - Genere Comico - Regia Carlo Ludovico Bragaglia - Soggetto Lucio Brenno, Bruno Caravagni - Sceneggiatura E. M. Ricci, Bruno Caravagni - Produttore Golden Film, Roma - Fotografia Mario Albertelli - Montaggio Renato Cinquini - Musiche Pippo Barzizza - Scenografia Alberto Boccianti


Totò: Esposito / Nick Parker - Isa Barzizza: Lana Ross, la giornalista - Mario Castellani: Amilcare / Patson - Tino Buazzelli: l'editore Ladislao Zichetti/Barbablù - Carlo Ninchi: il vero Nick Parker - Marcella Rovena: Carmela - Aldo Bufi Landi: il vero Patson - Erminio Spalla: Autista - Silvia Fazi: Domenica - Franco Jamonte: Pecorino - Enzo Garinei: un paesano - Anna Di Lorenzo: cameriera - Sofia Loren Sofia Lazzaro: una moglie di Barbablù - Nino Marchesini: l'ispettore di polizia - Luigi Pavese: Lucas - Eduardo Passarelli: impresario Pompe Funebri - Giuseppe Recagno - Magda Forlenza - Renato Navartini - Arnoldo Mochetti - Laura Tiberti - Arturo Bragaglia - Leonardo Bragaglia - Giorgio Costantini - Leo Gravaglia


Soggetto

Totò tenta di rapire la sua innamorata Domenica per poterla sposare contro il volere dei genitori. Purtroppo quello sfortunato sabato sbaglia camera e rapisce Carmela, la zia di Domenica. Per evitare le nozze forzate con la bruttissima Carmela, Totò inizia una rocambolesca fuga che lo porta in ogni parte del mondo, sempre inseguito da Carmela. Così, clandestino su una nave, incontra Amilcare (Mario Castellani), altro clandestino e si fingono Nick Parker ed il suo assistente Patson per evitare di essere scoperti e gettati in mare. I due famosi investigatori sono stai chiamati in Italia per indagare sugli omicidi di Barbablù, un serial killer che uccide le coppie in viaggio di nozze proprio la prima notte di matrimonio. Totò, sbarcato dalla nave, incontra la giornalista Lana Ross (Isa Barzizza) che gli spiega il suo piano: fingere di sposare Totò per tendere una trappola a Barbablù nella villa di Ladislao Zichetti (Tino Buazzelli), editore del giornale per cui lavora la Ross. Totò finge di accettare, conturbato dalla seducente giornalista. Non appena Totò si rende conto dei gravi rischi a cui va incontro, cerca di scappare impaurito. Però il vero Nick Parker (Carlo Ninchi), minacciando di consegnare Toto alla bruttissima Carmela, lo costringe a continuare la finzione in modo da dare modo al vero Nick Parker di condurre le indagini in sicurezza nel più assoluto anonimato. Così si svolgono le innumerevoli gag del film tra la paura di Barbablù e la paura di Carmela fino al lieto fine, dove si scopre che Barbablù è Ladislao e Toto. liberatosi da Carmela (che prende ad inseguire Nick Parker di cui si è innamorata), potrà sposare (questa volta sul serio) la bella Lana Ross.

Critica e curiosità

“Le sei mogli di Barbablù” è una commedia che ha tutta l’aria di un noir... girato per scherzo. Un pastiche parodico in cui Sherlock Holmes e Watson si reincarnano, per assonanza più che per fedeltà letteraria, nei meno celebri ma più scalcagnati Nick Parker e Patson. La detective story si mescola al varietà e all’assurdo in un intruglio surreale, che ha il sapore del giallo ma la consistenza del bignè.

Il film prende spunto da quella mitica figura di uxoricida seriale che è Barbablù, qui interpretato dal teatrale e inquietante Tino Buazzelli, omaggio dichiarato (e per nulla casuale) a tutta una tradizione di assassini d’élite: dal Landru venerato da Totò come una sorta di santo patrono del femminicidio (in Totò e le donne), al più intellettuale Monsieur Verdoux di Chaplin. Il cinema, insomma, ha sempre avuto un debole per questi galantuomini con la mania dell’omicidio e l’armadio pieno di consorti scomparse.

Ma attenzione: nulla di originale, ché l’anno prima Christian-Jaque aveva già fatto il suo Barbe-Bleue a colori. E prima ancora Méliès, nel 1901, aveva già detto tutto. Quindi il nostro Bragaglia, regista dalla regia rapida quanto un espresso a vapore, fa di necessità virtù e imbastisce una parodia colta e colma di citazioni (pure Jekyll, Frankenstein e Jack lo squartatore fanno capolino), in cui la verosimiglianza è bandita con un’alzata di spalle e una strizzata d’occhio allo spettatore: "Dai, non ci crederai davvero?"

Totò, per fortuna, non viene trasformato in una marionetta sballottata dal copione, ma resta sovrano assoluto delle scene, dominatore del nonsense e imperatore dell’equivoco. Il film si regge – con una certa grazia – sulle sue spalle, sulle sue smorfie, sulle sue cadute senza pareti, sul suo tic nervoso e sull'immancabile schiaffo affettuoso ai superiori (con buona pace dell’ispettore Lucas, interpretato da Luigi Pavese, che incassa sberle con la pazienza di un santo).

La trama è una fuga comica fin dalle prime battute: Totò sposa una donna del Sud (a quanto pare per errore), scappa dalla chiesa come se avesse il demonio alle calcagna – o più concretamente un cognato armato di lupara – e si imbarca clandestinamente su una nave diretta a Napoli, dove finirà nel bel mezzo di un ginepraio degno del miglior feuilleton noir.

Lì si consuma uno dei momenti più memorabili del film: Totò nei panni dell’investigatore elegante, lente d’ingrandimento alla mano, pronto a "perquisire" una domestica giunonica per "ragioni investigative". Un altro sketch da manuale è quello con i becchini-scambiati-per-sarti, che prendono le misure al nostro eroe per una bara che lui crede uno smoking – gag che riecheggerà anche in Un turco napoletano.

Il finale vira al thriller grottesco: Totò rischia di finire sciolto nell’acido muriatico (una scena che Hitchcock avrebbe forse girato con meno leggerezza), ma la sorte – e il copione – risparmiano il comico per punire l’antagonista, Barbablù, che finisce nell’acido lui stesso. Un chiaro invito morale: non uccidete le mogli, gente.

Tuttavia, pur con questa vena nera, il tono resta sempre quello di una farsa educata, una pantomima surreale dove la realtà è lasciata alla porta insieme al cappotto. Totò si muove in questo mondo assurdo con la sicurezza di chi sa che tutto è teatro, che il frac e la bombetta sono la sua armatura, e che anche una riga in mezzo ai capelli può fare la differenza tra un principe e un idiota.

Non è un film “alto”, ma nemmeno un film “basso”: è una zona di mezzo in cui si può ridere con gusto, senza aspettarsi satire profonde ma apprezzando una comicità che prende bonariamente in giro l’umanità e le sue istituzioni, con la leggerezza di chi sa che ridere è ancora la migliore forma di salvezza.


💒 La fuga nuziale con lupara annessa

Il film si apre col botto, anzi: con il matrimonio. Totò-Parker, novello sposo, esce dalla chiesa con lo stesso entusiasmo di chi ha appena firmato la propria condanna. Il contesto è una “modesta città del Mezzogiorno”, il che nel linguaggio del cinema vuol dire: lupara pronta, onore offeso e guai in vista.

Appena uscito, Totò strattona un fratello della sposa – armato fino ai denti – e si dà alla fuga, dando il via a un inseguimento che somiglia più a una gag da Looney Tunes che a un noir: il tutto è girato come un “giro del mondo” in pochi fotogrammi, dove Napoli è solo una delle tappe del delirio geografico di questa comicissima fuga d’amore… anzi, d’orrore.

🛳️ Il detective clandestino

Totò si rifugia su una nave diretta a Napoli, travestito da se stesso – ovvero: in frac, bombetta e faccia da “non sono io”. Qui incontra Amilcare, altro clandestino, a cui racconta la propria storia con un monologo tanto sconclusionato quanto geniale, tutto giocato sull’assurdo equivoco tra il nome della sposa (Domenica) e il giorno della settimana. Siamo nel pieno della farsa linguistica: una chiacchiera senza senso che diventa arte comica.

Questa sequenza è importante perché getta le basi dell’intera atmosfera del film: nonsense calcolato, dialoghi impastati di equivoci e un personaggio che è sempre un passo avanti… o almeno di lato.

🔍 La lente d’ingrandimento e la domestica procace

In un’improbabile villa gotico-partenopea, Totò si traveste da detective inglese per indagare. È ineccepibile nell’abbigliamento (pantaloni a quadri, mantellina, cappello e lente) ma assolutamente indecente nel comportamento: alla vista di una cameriera formosa, la “perquisisce” con tanto zelo da sembrare più vicino a Casanova che a Holmes.

La gag è giocata sulla caricatura sessuale e sullo stravolgimento dei ruoli: la lente d’ingrandimento è solo un pretesto per un corteggiamento farsesco, che sfiora il limite del burlesque ma resta sempre nel territorio della commedia leggera, grazie alla mimica impareggiabile di Totò.

⚰️ Le pompe funebri scambiate per sartoria

Una delle scene più surreali del film – e una delle più celebri – è quella in cui due impiegati delle pompe funebri cercano di prendere le misure a Totò per preparargli la bara. Lui, ignaro come solo un protagonista farsesco può essere, crede invece che siano sarti venuti per cucirgli un vestito nuovo.

Questo sketch, perfettamente autonomo nella sua costruzione teatrale, ha un sapore da avanspettacolo d’élite, con tempi comici impeccabili e un crescendo di equivoci che sfiora il sublime. Una gag che riecheggia – quasi in autocitazione – in Un turco napoletano, confermando la fertilità del meccanismo comico.

💃 I duetti amorosi e non

Altro asse portante del film sono i duetti di Totò con Lana Ross (Isa Barzizza), donna bella e pericolosa, in un gioco di seduzione parodica dove lui alterna ruoli: galante investigatore, impacciato amante, sospetto assassino. Ogni incontro è una danza di battute, ammiccamenti, ribaltamenti logici e linguistici.

Di rilievo anche i battibecchi con il vero Nick Parker (Carlo Ninchi), che nel gioco dello scambio d’identità è il “gemello serio”, e con l’ispettore Lucas (Luigi Pavese), una sorta di punching ball umano che viene maltrattato da Totò con schiaffi, umiliazioni e battute fino a essere psicologicamente annientato. Si ride, certo, ma si nota anche una sottile critica all’autorità, ridotta a figura patetica e grottesca.

🧪 La vasca di acido muriatico

Ecco l’apice dello humour nero targato Bragaglia: nella sequenza finale, Totò viene legato come un salame e posto sopra una vasca di acido muriatico – perché il buon Barbablù, ormai psicopatico conclamato, ha deciso che l’investigatore va eliminato con stile (chimico).

La tensione sale, ma è subito smorzata dalla comicità slapstick e dalla mimica del protagonista, che trasforma il potenziale orrore in puro teatro dell’assurdo. E, in perfetto stile Griffith parodiato, arriva il colpo di scena finale: è Barbablù a finire nell’acido. Punizione esemplare e didattica morale: mai fidarsi dei teatranti vestiti da nobili, soprattutto se hanno sei mogli scomparse.

🎭 Lo stile farsesco e la satira sociale light

Non è una scena singola, ma un fil rouge che attraversa tutto il film: la comicità è costruita su tic, posture, cadute, occhi roteanti, righe in mezzo ai capelli e uso magistrale degli accessori (bombetta, bastone, lente). Totò recita con ogni fibra del corpo, e la regia – pur affrettata – gli concede spazio per brillare.

La vera farsa sta nel mondo stesso del film: un universo dove la logica è sospesa, i ruoli sociali sono ridicolizzati, e l’ordine costituito è messo alla berlina. Ma non si affonda mai il colpo: Bragaglia e Totò prendono in giro tutti, ma con guanto bianco. L’obiettivo non è la denuncia, ma il sollievo. E il riso, sempre.


Così la stampa dell'epoca

📰 Accoglienza della critica: tra indulgenza e sufficienza

All’epoca della sua uscita (1950), Le sei mogli di Barbablù fu accolto dalla critica con un misto di bonario sorriso e alzata di sopracciglio. Non fu stroncato – sarebbe stato ingeneroso – ma nemmeno celebrato come un capolavoro. I critici, ancora memori dei traumi bellici e immersi nel dibattito tra cinema impegnato e commedia di evasione, trattarono il film come una simpatica bizzarria: una divagazione parodica, ben confezionata ma senza particolari ambizioni.

Si riconobbe a Bragaglia una certa abilità nella regia leggera e ritmata, anche se spesso accusata di essere troppo affrettata, quasi “a timer scaduto”. L’intelligenza della parodia fu apprezzata, ma si sottolineò la mancanza di coerenza narrativa e la superficialità della satira: una farsa brillante sì, ma senza il nerbo della grande commedia sociale.

Totò, com’era ormai consuetudine, veniva invece elogiato a prescindere. Anche nei film meno centrati, era impossibile ignorarne la forza scenica. Alcuni critici dell’epoca iniziarono però a lamentare un certo ripetersi di gag e meccanismi comici: la critica iniziava insomma a chiedere a Totò qualcosa di più “moderno”, più cinematografico e meno teatrale.

🎟️ Accoglienza del pubblico: risate, senza troppe domande

Il pubblico, dal canto suo, fu più generoso. La pellicola incassò discretamente, senza entusiasmi da kolossal, ma neppure delusioni clamorose. Era il periodo in cui qualsiasi cosa con Totò attirava una platea affamata di leggerezza, e anche stavolta non fu diverso.

Le platee popolari, in particolare, apprezzarono l’umorismo farsesco e i duetti slapstick. Le famose scene della “bara scambiata per abito” e della “perquisizione galante” entrarono rapidamente nel bagaglio della comicità italiana di quegli anni, ripetute e imitate da avanspettacolo e riviste.

Certo, non fu un “Totò cerca casa” o un “Guardie e ladri”, ma Le sei mogli di Barbablù fece il suo dovere: distrarre, far ridere, e dare al pubblico una versione “da ridere” di paure e angosce (uxoricidi, assassini seriali, acidi muriatici) che, rielaborate in chiave farsesca, diventavano curiose e catartiche.

📊 Nel tempo: un film di culto per amatori

Col passare degli anni, il film è stato in parte dimenticato dalla critica più istituzionale, che tende a preferire i Totò “impegnati” o “d’autore”. Tuttavia, tra gli studiosi del comico e i fan totali dell’attore napoletano, Le sei mogli di Barbablù è oggi considerato una chicca: un piccolo classico della parodia italiana, con una sua grazia surreale e una vena gotico-demenziale che ha anticipato (o quantomeno accompagnato) tendenze più moderne.

In sintesi: un film che all’epoca fu accolto con tiepida simpatia, e che oggi vive soprattutto nella memoria degli appassionati, come esempio di una comicità leggera, intelligente e volutamente “fuori asse”.


Un'altra delle allegre avventure di Totò, beniamino incontrastato delle platee. Questa volta, Totò, in seguito da una moglie racchia e male intenzionata, si caccia in un mare di guai a causa di uno scambio fortuito di persona. si fa passare per il celebre Nick Carter, poliziotto va lentissimo e si trova perciò, di punto in bianco, A tu per tu con un intricato problema poliziesco; la cattura di Barbablù, truce assassino che ha la mania di rapire giovani spose con ciocche di capelli bianchi per farne manichini di bellezza. le avventura qui il nostro eroe va incontro non si contano: emozionanti e spassose, elettrizzanti e spericolate.

Bragaglia ha diretto servendosi di un ritmo spesso disinvolto. Totò e sempre più smaliziato è divertente.

Gianni Casieri, «Cine Sport», 10 gennaio 1950


Totò e Isa Barzizza, oggi sposi

Un film di prossima apparizione intitolato all’agghiacciante nome di Barbablù, ma per fortuna anche al divertente nome di Totò — al quale toccherà di salvare Le sei mogli di Barbablù — mostrerà accanto a Sua Altezza De Curtis, il quale nella vita è soltanto Principe ma sullo schermo è da un paio d’anni, Sovrano assoluto, la Reginetta ormai proclamata di tutte le grazie corporali ed espressive: Isa Barzizza! 

E’ dunque un matrimonio d'arte, questo che annunciamo e raccomandiamo; spargendo sui passi degli sposi tutte le fiorite, del nostro augurio. Sono due corone, l'una di bravura l’altra di avvenenza, che si riuniscono sotto lo stesso baldacchino, Salirà al talamo dal castello la Marcia Nuziale di precetto; e mentre si accenderanno e spegneranno le luci d’imene, noi, spettatori riguardanti da sotto gli spalti, mangeremo i confetti... 

O Imene, o Imeneo! Vi par pòco impalmare, sia pure soltanto in immagine e per ischerzo, Isa Barzizza? Benchè io non abbia mai avuto l’onore, nè il piacere, d’avvicinare questa leggiadra creatura, sento che potrei meglio di ogni altro intonare l’epitalamio al banchetto  sponsale. Sento, in altre parole, che potrei essere il trovatore innamorato veramente esistito alla corte di Gilles de Rais — l’autentico nome di Barbablù — che poi pianse sulla sorte d’una delle sette donne trucidate — la più bella delle sette — tutte le lagrime del suo cuore spezzato. 

Varrò anzi pregare l’amico Totò, affinchè in un’eventuale seconda edizione della pellicola, dato che la prima fu già portata a termine, venga affidata al sottoscritto quella parte di menestrello, «Mio caro principe — gli scriverò — una maglia di troviero, e una viola d'amore in braccio, mi starebbero ancor bene, Cercate di persuadere i produttori, il regista, e la stessa prima attrice che impalmerete, a volermele concedere. Lavorerò gratis, non costando al direttore di produzione nemmeno la spesa d’un «cachet»... Nessuno fino ad aggi, ha ancora esplorato i vezzi d’Isa Barzizza. L’hanno svestita i registi, ma non l'hanno scoperta i poeti! Sarebbe tempo che, almeno alla reggia del sire ammazzasette figurasse il bardo capace di farlo. O a tìtolo nuziale, in articculo mortis, la minacciata castellana, la tenera e bianca sposa del mostro, lo merita! Ne parlavo giusto ieri, con una giovane amica altrettanto amabile e graziosa, I'attrice Ambra Berti; una delle poche donne che sappiano capire la vaghezza delle loro simili, e parlarne da intenditrici senza prevenzione e senza invidia. 

— Nemmeno io — essa mi diceva — conosco Isa personalmente. Però capisco, solo dall’averla veduta sullo schermo, l’entusiasmo degli uomini per lei. Non si tratta, per fortuna, d’una di quelle bellezze «premiabili», in regola con tutte le norme prescritte, che però non fanno voltare nessuno. Il suo fascino nasce dalle sue stesse lievi irregolarità. E non è neppure l'effetto delle sue tante qualità: i begli occhi, la bella bocca, il sorriso saturi di dolcezza, il passo pieno di seduzione. 

— Vera incasso patuit deni 

— O della pelle morbida, degli attacchi perfetti, o di quella specie d’onda carezzevole che sembra investire l'Intera persona... 

— Il sex-appeal, insomma! 

— Non vorrei dire neppure questo. Mi pare, per lei, un'espressione sgarbata. Quella che attira in Isa Barzizza è una sorta, come dire?, di luminosità»... 

— Ha detto benissimo signorina. E se Totò vorrà farmi scritturare nel film come menestrello alla corte dell'ammazzatoro, non mancherò di ricordarmene. Intanto, grazie. Vado a prendere nota.

Sappia intanto Totò che — quando ci apparirà sullo schermo per affrontare il suo rivale Barbablù — non avremo gli occhi soltanto su di lui,,.,

Marco Ramperti, «Film d'Oggi», 25 ottobre 1950


[...] Fughe, inseguimenti e sotterfugi permettono a quest’ultimo di fronteggiare la situazione fino all’arrivo della polizia. Il film cerca la risata attraverso il brivido, la comicità attraverso l’avventura emozionante, come è proprio dei gialli comici; ma non sempre, vi riesce anche perchè non offre a Totò soverchie possibilità di variare i suoi atteggiamenti. A fianco dell'esilarante comico agiscono Isa Barzizza, Carlo Ninchi, Luigi Pavese e il Castellani. La regia è di C. L. Bragaglia.

E. C.. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 11 novembre 1950


I film di Totò costituiscono un settore a parte dell'attuale produzione cinematografica italiana. I film di Totò hanno ormai una fortuna tutto loro, un pubblico tutto loro. E non è il caso di domandarci perché hanno una fortuna perché hanno un pubblico… Il discorso sarebbe troppo lungo e non porterebbe che a conclusioni avventate, sarebbe come se ci potessimo spiegare le ragioni del successo di certi settimanali in rotocalco, dei fumetti, dei cineromanzi via dicendo.

Sta di fatto che le critiche, le riprovazione, tre "stroncature" giornalisti che passano e i films di Totò restano, con la loro volgarità, con la loro comicità, con il loro brio. [...] Stavolta il soggetto, denso di trovate di umorismo, avrebbe potuto fare del film un abile e divertente parodia del giallo classico. Ma sull'originalità della storia hanno prevalso la mimica di Totò, le smorfie di Carlo Ninchi, l'avvenenza di Isa Barzizza e la regia di Bragaglia

V.S., «Il Popolo», 11 novembre 1950


Il film comincia (al solito) con un equivoco. [...] Nessuna illusione, però. Nonostante queste amene possibilità di farsa, nulla, nella vicenda, si solleva al di sopra della più sciatta comicità. Un merito, tuttavia, ci sarebbe, e grandissimo: l'interpretazione di Totò, più versatile e acceso che mai: solo in grazia delle sue sapientissime smorfie e del suoi funambolici atteggiamenti, le risate che il copione non avrebbe in alcun modo ottenuto, sgorgano irrefrenabili e quasi tumultuose: quando, però, la finiremo di avvilire in tal modo un attore che potrebbe essere, senza dubbi di sorta, uno del nostri maggiori?

Al suo fianco — oltre a Isa Barzizza, Carlo Ninchi, Luigi Pavese — il disinvolto Buazzelli, autorevolissimo nelle vesti di un « Barbablù-Dr. Jeckill » derivato un po' da Orson Welles, e Marcella Rovena. alla cui graziosa figura ci sembra potrebbero convenirsi personaggi più gentili di quello che qui le è affidato. Regia di C. L. Bragaglla.

G.L.R.. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 11 novembre 1950


[...] Modestamente servito da un dialogo le cui battute di spirito sono di scadente qualità per non dire di sconcertante dozzinalità, il film, diretto con il consueto mestiere da Carlo Ludovico Bragaglia. strappa quella facile ilarità che tutto sommato non soddisfa nessuno, compreso forse Totò.

Guglielmo Morandi, «Momento Sera», 11 novembre 1950


Totò, costretto per un infelice equivoco a sposare una megera, fugge dall'insopportabile giogo coniugale, e per il suo vestito a scacchi e i suoi pantaloni «nicker -bocker» è scambiato per il celebre poliziotto Nick Parker. In questa veste egli si trova obbligato ad esperire indagini su un misterioso Barbablù e a fornirci le ormai arcinote variazioni sui temi della paura e della fuga a ripetizione. Anche in questa occasione non si può che constatare la povertà di invenzione, la improvvisazione e la sciatteria, di queste farse, e lamentare il pessimo impiego di quello che potrebbe essere un grande attore comico.

Accanto a Totò, Isa Barzizza, Marcella Rovena, Tino Buazzelli, Carlo Ninchi e Mario Castellani. Regia di C. L. Bragaglia.

f. d., «Il Giornale d'Italia» 12 novembre 1950


Continua, sui nostri schermi, l'inflazione dei film interpretati da Totò: da quell’estroso e stupendo mimo, cioè, le cui grandi possibilità - infinite ma non sfruttate appieno da Peppino Amato in “Yvonne la nuit” e da Eduardo in “Napoli milionaria” - sono ancora da scoprire. E poichè Totò riscuotere simpatia del più vasto pubblico (ma attenzione, signori produttori! Rammentate quello che rispose un uomo a chi lo rimproverava di tradire sua moglie, che era la donna più bella del mondo: ”Sì, ma sempre la stessa minestra”...)  si continua a consegnare alla bell'e meglio una storiella qualsiasi imperniata sul Totò, e da girarla in venti, dieci giorni: tanto il guadagno (ma per quanto tempo ancora?) è sicuro.[...] Su questo canovaccio sono state investite tante scenette in logiche e frettolosamente realizzate, sfruttando i modi più caratteristici del ”solito” Totò, senza nessuna ricerca, senza nessun tentativo diretto ad affrancare il notissimo minimo dei suoi moduli rivista aiuole. e il risultato è più scadente di quelli precedenti. Accanto a Totò sono Carlo Ninchi, Isa Barzizza, bozzelli ed altri.

caran. (Gaetano Carancini), «La Voce Repubblicana», 12 novembre 1950


«Io ho un piano... - Io ho due violini e una. zampogna». Questa è la battuta più spiritosa del film «Le sei mogli di Barbablù» diretto da Carlo Lodovico Bragaglia, e dice a quale livello sia il film comico nostrano. Cioè dice cose che si sapevano già e che sono già state deplorate piu di una volta. Tuttavia ogni tanto è bene ripeterle per non lasciare che dormano tranquillissimi sonni coloro che speculano senza neppure preoccuparsi di conservare, sia pure solo esteriormente, un minimo decoro. Questo è l'anno di Totò, Totò figaro, Totò senzatetto, Totò scapolo, Totò Tarzan, Totò poliziotto ecc., e questo è anche l'anno del declino di Totò. Il personaggio è inflazionato, avvilito in una serie di avventure le più insipide, screanzate, volgari, sciupato dalle freddure degne del più scalcinato degli avanspettacoli. Si sono risentiti addirittura certi doppisensi che sembravano morti e sepolti e che invece sono rispuntati fuori con una faccia tosta invidiabile.

Tutto ciò quando con meno fretta e poca fatica in più si poteva fare molto meglio. Si prenda ad esempio «Le sei mogli di Barbablù»: Totò scappa dal paese per sottrarsi a una moglie racchia e gli capita la straordinaria avventura di essere scambiato per un celebre detective col quale si trova impegolato nelle indagini su una serie di misteriosi delitti. Totò detective è divertente soltanto pensarlo: il guaio è che, alla fine del film, si ha l'impressione di avere assistito a una pessima, sconclusionata e mal raffazzonata rivista. La macchina da presa si ferma davanti a Totò il quale si esibisce nei numeri soliti del suo repertorio, si contorce, si snoda, fa le boccacce, strabuzza gli occhi, fa gli scongiuri ecc. Ancora una volta il film è tutto sulle sue spalle e più di tanto è ovvio che Totò non può fare, non può trasformarsi in coniglio per sorprendere gli spettatori. Non si domanda neppure molto, ma almeno quella agilità e quella pulizia che distinguono filmetti come «Vita da cani» e «L’inafferrable dodici».

Lamberto Sechi, «La Settimana Incom Illustrata», anno III, n.46, 18 novembre 1950


Ancora un film di Totò e per Totò, una farsa d’occasione, imbastita in furia, al solo scopo di cassetta. La parodia questa volta batte sulla letteratura e la cinematografia giallo-poliziesca, o In una parola, sui «thriller». Un miscuglio di Sherlock Holmes, di Dottor Jekill, di Frankenstein, condito da uno spirito, aggiuntovi un tremore alla Gianni e Pinnotto.[...] Con un po' di buona volontà ci si potrebbe vedere il tentativo di darci un Totò più di movimento che di battute; ma è un effetto disastroso; quando non parla la farsa è veramente tetra. La riaccendono Invece i bisticci, le freddure e le smorfie del protagonista, pur sempre capace, anche in un film di cattiva vena, di strappare la risata.

vice, «La Stampa», 24 novembre 1950


Un nuovo film comico immaginato per Totò e tutto riempito di Totò, è uno parodio del genere poliziesco diretta alla solita maniera da C. L. Bragaglia, ossia lasciando che l'attore attinga liberamente dalla sua inesauribile provvista di smorfie, lazzi e battute. [...] E' una lunga farsa con trabocchetti, camere della tortura e altro, il tutto per ridere, ma di qualità inferiore. Vi recitano anche Isa Barzizza e Cerio Ninchi.

«Corriere della Sera», 1 dicembre 1950


Non più Mattoli, ma C.L Bragaglia sfrutta stavolta l’arte «continua», la comicità fiume di Totò, che oramai ci viene quotidianamente ricordata dai cartelli pubblicitari, dalle imitazioni degli amici e peggio ancora dalla notizia di suoi film che seguiranno. Oramai il cinema non si salva da avere gli schermi invasi dalle smorfie, le stesse e sempre più fondamentali nell'economia dei racconti, dell'impareggiabile divo in bombetta, e questa è una naturale conseguenza dell’assalto alte platee che il pubblico seguita a fare per avere l’ultima battuta dei principe e l’espressione ridente e maliziosa di lsa Barzizza in cima alla nudità del suo corpo.

De «Le sei mogli di Barbablù» non c’è da dire molto di diverso da quello già detto per tutti gli altri film di Totò, corrispondenti a questo in altro ambiente. [...]

«Il Lavoro», 22 dicembre 1950


Totò è grande e Bragaglia è il suo profeta! Totò sta diventando qualcosa come il comico nazionale ed il succedersi rapidissimo dei suoi films dimostra che il suo umorismo, anche se difficilmente si rinnova, piace ai pubblici di tutte le età che in lui trovano materia di divertimento e di risate, cose che sono necessarie perché un buon attor comico sia tale. Anche nella pellicola in oggetto Totò, con la onnipresenza, con le sue «boutades», con la sua mimica veramente eccezionale, fa dimenticare la povertà della trama ed una indubbia analogia con quella filmistica comica di Ridolini, per divertire. E, quando il pubblico di un film comico si diverte, il film ha indubbiamente i suoi pregi.

«Gazzetta di Reggio», 19 gennaio 1951


🎞️ Flani pubblicitari: Totò al cinema, a caratteri di piombo 🎞️

I flani pubblicitari erano piccoli annunci a pagamento, pubblicati su quotidiani e riviste specializzate, che anticipavano l’uscita del film. Alcuni recavano titoli alternativi, errori di stampa, o locandine diverse da quelle ufficiali. In questa galleria abbiamo raccolto le versioni più rare e curiose riguardanti Totò.


I documenti

Ecco una panoramica delle principali edizioni in VHS e DVD del film Le sei mogli di Barbablù (1950), con dettagli su anni di uscita, editori e contenuti speciali:

📼 VHS

  1. Fonit Cetra Video – Collana “Totò – Film Classici e Inediti”
    • Anno di uscita: Anni '90
    • Formato: VHS PAL
    • Distribuzione: Fonit Cetra Video
    • Note: Edizione italiana dedicata ai collezionisti, con grafica distintiva e titoli in stile illustrato.
  2. Capitol International Video – Distribuzione USA
    • Anno di uscita: Anni '80–'90
    • Formato: VHS NTSC
    • Distribuzione: Capitol International Video
    • Note: Versione destinata al mercato americano, con audio in italiano e sottotitoli opzionali.
  3. Edizione doppia VHS (USA) – “Animali pazzi” / “Le sei mogli di Barbablù”
    • Anno di uscita: Anni '90
    • Formato: VHS NTSC
    • Distribuzione: Non specificata
    • Note: Cassetta contenente due film di Totò, destinata al pubblico americano, con audio in italiano e sottotitoli opzionali.

💿 DVD

  1. Ripley's Home Video – Edizione 2023
    • Anno di uscita: 2023
    • Distribuzione: Terminal Video
    • Lingua: Italiano
    • Contenuti extra:
      • “I ricordi di Isa Barzizza”
      • Trailer originale
      • Curiosità
      • Biofilmografia di Carlo Ludovico Bragaglia
    • Note: Edizione restaurata con extra di valore storico e cinefilo.
  2. EBOND – Edizione editoriale
    • Anno di uscita: Non specificato
    • Distribuzione: EBOND
    • Lingua: Italiano
    • Note: Edizione semplice, priva di contenuti speciali, destinata al mercato editoriale.
  3. Fabbri Editori – Collana “Il Grande Cinema di Totò”
    • Anno di uscita: Anni 2000
    • Distribuzione: Fabbri Editori
    • Lingua: Italiano
    • Note: Edizione da edicola, parte di una collana dedicata a Totò, con fascicolo allegato.
📺 Streaming (2025)
  • Amazon Prime Video
    • Disponibilità: Il film è stato disponibile in streaming su Prime Video.
    • Lingua: Italiano
    • Note: La disponibilità può variare in base alla regione e al periodo.

Vedendo Le sei mogli di Barbablù ricordo di aver avuto dei brividi, anche se pensavo di essere rotto a tutto, andava veramente un po’ al di là. Era un film nato male, su una di quelle idee balorde che non quadrano mai per quanti sforzi si facciano e per quante nuove teste si chiamino a consulto.

Agenore Incrocci (Age)


Ho iniziato prestissimo, a tredici anni, perché dopo la guerra c’era la possibilità di andare a Cinecittà a fare le comparse. Con Sophia Loren, con cui ho pochi mesi di differenza, le prime cose che ho fatto al cinema sono stati i film con Totò. Nelle Sei mogli di Barbablù eravamo dentro la vetrina, facevamo le sei mogli, stavamo lì ferme, niente di più. In Tototarzan Sophia aveva il gonnellino di banane, io le foglie di ficodindia; mi vergognavo come una matta, con Sophia che mi diceva “Dai, non fare la stupida!”: mi incoraggiava, mettermi in due pezzi era una cosa di cui proprio mi vergognavo. E così ho conosciuto Totò, che era veramente un uomo straordinario. Dico straordinario perché eravamo delle ragazzine spaventate, lavoravamo non tanto perché si avesse la vocazione d’attrice ma proprio perché avevamo bisogno di lavorare, sia Sophia che io. Totò aiutava tutte le persone che avevano bisogno e più di una volta ha aiutato anche noi: invece di prendere le tremila lire al giorno come comparse, ci faceva dare la paga come generiche; oppure ci mandava a chiamare nei film che faceva, perché era così, un uomo stupendo.

Giovanna Ralli


 Cosa ne pensa il pubblico...

I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Totò coinvolto in una simpatica avventura che ricorda quasi le incursioni horror parodistiche di Gianni e Pinotto. Questa commistione tra la comicità a suon di storpiature e giochi di parole del grande attore e l'atmosfera lugubre e misteriosa mi ha sempre colpito e affascinato. Si ride spesso e l'ambientazione della seconda parte nelle segrete del castello è riuscita. Ottimo l'apporto di grandi caratteristi come Buazzelli, i "soliti" Castellani e Pavese, un Ninchi splendidamente in parte. Buono.

  • Da Barbablù a Sherlock Holmes, Totò le attraversa tutte utilizzando le risorse della maschera che lo ha reso celebre, soprattutto i giochi di parole e le movenze da marionetta. Nell’ultima parte si aggiunge un retrogusto horror-gotico, edulcorato e parodiato, ma pur sempre inusuale per Totò. Tutt’attorno c’è tanto mestiere, dai validi comprimari a una regia lesta. La storiella, però, è piuttosto esile e in più frangenti soffre la mancanza di spunti interessanti e la zampata vincente che lo faccia uscire dall’ordinaria amministrazione.

  • Bragaglia conosce bene Totò, sa che deve lasciarlo recitare, soprattutto quando i comprimari sono quelli di sempre (fra cui una bravissima Isa Barzizza e il fido Castellani, oltre a un Buazzelli molto in parte). Il risultato è un film frizzante che strappa tante risate. Sceneggiatura assente (ma forse è un vantaggio), da segnalare anche la fotografia di Albertelli con bella scelta di chiaroscuri. Totò in un incontenibile stato di grazia regala una delle migliori versioni della sua maschera e vale un pallino in più al film.

  • Un guazzabuglio colto, un film in movimento provvisto di un’energia quasi futurista. Scambio di persona, fuga dal matrimonio, camuffamenti, influenza delle letteratura alta e bassa, Sherlock Holmes insieme a Landru, Monsiuer Verdoux accanto a Jack lo Squartatore, parodia, farsa e horror vanno braccetto nel solito spettacolo surreale e astratto, lontano dal realismo della vita tipico del cinema di Bragaglia. Un cinema che conserva sempre il suo scatto giovane e che non svela mai le rughe. Totò al meglio; con la brillantina e la riga dei capelli in mezzo è in linea con il clima tra il comico e il funereo del film.

  • Parte abbastanza bene questa pellicola, con gli inverosimili modi in cui Totò cerca di sfuggire alla sua insopportabile sposa. L'idea dello scambio di identità, spesso adoperata con buoni risultati nella filmografia del Principe, ha un ottimo potenziale. Peccato che, dall'inizio delle indagini, la storia si afflosci velocemente e Totò venga abbandonato del tutto a se stesso (nonostante Castellani, Pavese e Ninchi). Interessanti citazioni horror nel finale, ma il film, complessivamente, non convince. Non il peggior Totò, ma nemmeno memorabile.

Le incongruenze

  1. Nella sequenza dei titoli (che riprende una scena che avviene piu' avanti nel film) Toto' si aggira per le segrete di un castello. Quando a schermo compare il nome di Isa Barzizza vediamo il Principe avvicinarsi a passi felpati a una serie di inferriate. Le sbarre gettano l'ombra verso il corridoio percorso da Toto', ma al cambio inquadratura viceversa le ombre sono proiettate all'interno della sala.
  2. Scena del matrimonio: Domenica porge alla sposa un gran mazzo di fiori; sullo sfondo a seconda del tipo di inqudratura la "guardia del corpo dello sposo" tiene la mano sulla tracolla della lupara ad altezza variabile.
  3. Toto' se la fila dal matrimonio e tutti gli corrono dietro. La sposa mollata all'altare grida "Toto'! Totoooo'!", ma al secondo "Toto'!" l'attrice non muove le labbra, al massimo avrebbe potuto gridare uhm...."To" ?
  4. Nella esilarante sequenza (Toto' pinguino e' da applausi...) in cui Carmela insegue Toto' in giro per il mondo, durante piu' di una inquadratura (l'esterna della barca indiana, la danza dell'indigeno...) il lato basso del frame e' visibilmente sporcato da sporcizia e filamenti vari accumulatasi sulla lente dell'obiettivo (riscontrato nel dvd Ripley's Home Video, ma se osservate la dimensione allucinante del pelucco presente nel filmato antartideo e' abbastanza chiaro che non si tratta di un problema aggirabile posizionando diversamente il "mascherino").
  5. Quando Amilcare apre il sacco che contiene Toto', il sacco piu' a destra sullo sfondo e' perfettamente illuminato nell'inquadratura stretta dell'imboccatura che viene slegata, mentre viceversa era in piena ombra nello shot precedente.
  6. Quando Mario Castellani nella stiva chiede "E perche'?" Toto' non voglia tornare in Italia, si tampona con il fazzoletto il gozzo. Cambio subitaneo di inquadratura e il gesto e' stato troncato bruscamente, la mano dell'attore e' all'altezza dello stomaco.
  7. Il capitano si aggira nella stiva n°3 e dice "Senza pieta' eh, affonda!" a uno dei suoi marinai che stanno pungolando i sacchi per scovare i clandestini. Poco prima che ci sia lo stacco di inquadratura potete notare che uno dei 2 sacchi in primo piano...si muove! Due sacchi tali e quali a quelli in cui sono nascosti Toto' e Amilcare, che pero' nel prosieguo della scena sono imboscati in un punto diverso della stiva! Evidentemente in una prima versione della scena i due venivano scoperti subito...
  8. Nel corso della conversazione di fronte all'auto che viene a prendere "Nick Parker" e socio al molo il labiale di Toto' piu' volte non corrisponde al doppiaggio e appare da esso slegato quando non semplicemente fuori sincrono.
  9. A casa della sesta vittima i poliziotti sono in subbuglio in attesa di Parker. Nella inquadratura che apre la scena osservate la porta: niente ombre sul battente (anzi, una piccolissima nell'angolino). Entrano nella stanza e l'illuminazione del set e' chiaramente cambiata, ora la porta ha su di se' una netta zona d'ombra.
  10. Toto' fa girare su se stessa la cameriera : le tiene la spalla nello shot ravvicinato ma al ritorno al totale del tavolo da pranzo la sta tenendo per il polso.
  11. Durante il primo incontro tra Toto' e Barbablu' , cosa ha steso il mostro nel fuoricampo facendolo finire a terra schiacciato? Il quadro che egli stesso ha sollevato (si vede chiaramente che Toto' non glielo spinge contro, e' LUI a prenderlo in mano) o il pesantissimo oggetto che il "parte-nopeo e parte napoletano" gli lancia e cioe'.....un cuscino?
  12. Dopo che Toto' e' sfuggito al primo incontro con Barbablu' scende le scale trafelato. I poliziotti tranquilli e beati gli dicono che l'avevano cercato dappertutto ma era sparito "senza lasciare traccia" e non avevano la minima idea di dove fosse. Ma Toto' era scappato da una stanza completamente messa a soqquadro, col balcone aperto e miliardi di cocci ai piedi di una scaletta... Dove l'hanno cercato i poliziotti allora?

www.bloopers.it


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo

1950-Le sei mogli 02

Il castello dell'editore (Buazzelli) ove i finti sposini Totò e la giornalista (Barzizza) trascorrono la notte di nozze è la Rocca del Borgo medievale di Torino, nel Parco del Valentino. Con un divertente espediente il regista ci mostra il posto attraverso una foto pubblicata su un quotidiano (nel film il castello non viene ripreso, si vedono solo interni)

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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998 (Intervista a Giovanna Ralli)
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "Totò, un napoletano europeo" (Valentina Ruffin), Ed. Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1996
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
  • Gianni Casieri, «Cine Sport», 10 gennaio 1950
  • Marco Ramperti, «Film d'Oggi», 25 ottobre 1950
  • E. C.. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 11 novembre 1950
  • V.S., «Il Popolo», 11 novembre 1950
  • G.L.R.. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 11 novembre 1950
  • Guglielmo Morandi, «Momento Sera», 11 novembre 1950
  • caran. (Gaetano Carancini), «La Voce Repubblicana», 12 novembre 1950
  • f. d., «Il Giornale d'Italia» 12 novembre 1950
  • Lamberto Sechi, «La Settimana Incom Illustrata», anno III, n.46, 18 novembre 1950
  • vice, «La Stampa», 24 novembre 1950
  • «Corriere della Sera», 1 dicembre 1950
  • «Il Lavoro», 22 dicembre 1950
  • «Gazzetta di Reggio», 19 gennaio 1951