Miseria e nobiltà

1954 Miseria e nobilta 7

Lei è ignorante? Bravo, bravo. Viva l'ignoranza! Tutti così dovrebbero essere. E se ha dei figliuoli, non li mandi a scuola, per carità! Li faccia sguazzare nell'ignoranza.

Felice Sciosciammocca

Inizio riprese: gennaio 1954, Studi Ponti - De Laurentiis
Autorizzazione censura e distribuzione: 2 aprile 1954 - Incasso lire 562.975.000 - Spettatori 4.021.122



Titolo originale Miseria e nobiltà
Paese Italia - Anno 1954 - Durata 95 min - Colore - Audio sonoro - Genere farsa - Regia Mario Mattoli - Soggetto Dalla commedia omonima di Eduardo Scarpetta - Sceneggiatura Ruggero Maccari - Produttore Carlo Ponti, Dino De Laurentis per la Excelsa Film, Roma - Fotografia Karl Strass, Alberto Boccianti - Montaggio Roberto Cinquini - Musiche Pippo Barzizza - Scenografia Piero Filippine, Alberto Boccianti


Totò: Felice Sciosciammocca - Dolores Palumbo: Luisella, la sua compagna - Enzo Turco: Pasquale, il fotografo ambulante - Valeria Moriconi: Pupella, sua figlia - Franca Faldini: Nadia, la bella modista - Liana Billi: Concetta, moglie di Pasquale - Franco Sportelli: Vincenzo, il maggiordomo di don Gaetano - Gianni Cavalieri: Il ricco cuoco don Gaetano - Sophia Loren: Gemma, sua figlia - Carlo Croccolo: Luigino, suo fratello - Giuseppe Porelli: "Bebè" ossia il marchese Ottavio - Franco Pastorino: il marchesino Eugenio, innamorato di Gemma - Franco Melidoni: Peppeniello, figlio di Felice - Giulia Melidoni: Bettina, moglie di Felice - Enzo Petito: don Gioacchino - Dino Curcio: Biase - Nino Di Napoli: il portinaio - Nicola Maldacea jr.: lo sposino - Franco Caruso: un cafone - Leo Brandi: un cafone


Soggetto

Felice Sciosciammocca è uno squattrinato popolano di Napoli, che vive alla giornata facendo lo scrivano e condividendo la casa con il figlio Peppiniello, la compagna Luisella, l'amico Pasquale, di professione fotografo ambulante, con la rispettiva moglie Concetta e la figlia Pupella.

Un giorno il marchesino Eugenio bussa alla loro porta per chiedere un favore; egli è innamorato della bella Gemma, di professione ballerina, ma la sua famiglia si oppone all'unione, poiché la ragazza non è una nobile. Il padre della ragazza invece, Don Gaetano, ex cuoco divenuto molto ricco avendo ereditato i beni del suo padrone, è felice di consentire al fidanzamento poiché imparentarsi con dei nobili sarebbe il suo sogno, ma pretende di conoscere i parenti del giovane. Il marchesino dunque chiede a Felice e Pasquale con moglie e figlia di travestirsi e fingere di essere i suoi nobili familiari e di presentarsi con lui a casa di Gemma. La situazione si complica poiché Peppiniello, stufo dei rimproveri della matrigna, e soprattutto spinto dalla fame, va a lavorare come cameriere proprio a casa di don Gaetano, presso il quale lavora il suo compare Vincenzo, in qualità di maggiordomo, che accetta di tenerlo con sé fingendo che sia suo figlio. Don Gaetano non si rende conto della messa in scena, e non solo cede la mano della figlia ma riesce (ovviamente con facilità) ad ottenere il "privilegio" di avere i nobili parenti del marchesino a pranzo, al quale partecipa anche Luigino, suo figlio, innamorato di Pupella.

Ma i colpi di scena sono imminenti; donna Bettina, cameriera personale di Gemma, è la moglie di Felice, che anni prima lasciò, stufa dei suoi tradimenti. Felice si riappacifica con Bettina, mostrandole il loro figlio Peppiniello dopo tanto tempo (dopo aver scoperto con sorpresa che lavorava in quella casa). Come se non bastasse donna Luisella, che non aveva preso parte alla finzione, si presenta a sorpresa, litigando con Felice e facendo scoprire l'inganno.

Sarà un colpo di scena a risolvere la situazione: Gemma è corteggiata da tempo dal signor Bebè, che altri non è se non il marchese Ottavio Favetti, padre di Eugenio. Il marchesino scopre la doppia identità del padre e lo costringe ad acconsentire al suo fidanzamento con Gemma. Così don Gaetano benedice l'unione tra i due giovani, oltre che quella di Luigino e Pupella, e la riunione di Felice e Bettina.


Così la stampa dell'epoca

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Toccò a Scarpetta l'eredità di Pulcinella Il grande attore comico napoletano, che creò la maschera di Don Felice Sciosciammocca, è stato commemorato con un'eccezionale rappresentazione del suo capolavoro “Miseria e Nobiltà”, alla quale hanno preso…
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25 anni fa moriva a Napoli Don Felice Sciosciammocca Venticinque anni fa — il 29 novembre 1925 — spariva dalla scena della vita un grande comico napoletano, Edoardo Scarpetta, c moriva con lui l’ultima delle maschere italiane: Don Felice…
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E' morto Vincenzo Scarpetta, "'na criatura sperduta" Figlio del celebre Eduardo, il comico napoletano era l'unico superstite della grande epoca teatrale partenopea. Sarà ricordato come l’eccezionale creatore di “Miseria e nobiltà’" Napoli, agosto…
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11 Feb 2024

Cent'anni dalla nascita di Eduardo Scarpetta

Cent'anni dalla nascita di Eduardo Scarpetta Il primo ottobre, a Napoli, per iniziativa del quotidiano «Il Giornale», è stato celebrato il centenario della nascita di Eduardo Scarpetta, con una rappresentazione di Miseria e nobiltà che tra le…
Federico Frascani, «Il Dramma», 15 novembre 1953
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C'era un sipario — al Teatro S. Carlino — dipinto da Giuseppe Cammarano, che rappresentava una compagnia di comici napoletani condotti ad Apollo da una Musa. La scritta che illustrava tale ardita allegoria era la seguente:

Ad Apollo, Talia con volto lieto
le maschere presenta del Sebeto.

Laddove si vedeva il Musagete accogliere con sguardo contegnoso la coorte pulcinellesca che, per nulla intimorita dalle inedite visioni del Parnaso, pareva volesse aggiungere alla presentazione una definitiva presa di possesso: Hic manebimus optime. Il vecchio sipario fu tolto da Eduardo Scarpetta, quando nel 1880 egli rinnovò il S. Carlino. Ma la visione di quella allegoria, con i quattro allampanati guittacci parte cibi alle mense di Zeus dovette imprimere certo al suo subcosciente una spinta segreta, se otto anni dopo, il motivo dominante di « Miseria e nobiltà » resta lo stesso: proletari alla scalata della musa olimpica, battaglia di forchette.

Eduardo Scarpetta poteva parlare con la stessa competenza sia della miseria che della nobiltà. A sentire i termini della sua prima apparizione nella farsa « Feliciello Sciosciammocca mariuolo de na pizza » c'è già da antivedere in nuce la estetica tra affamata e furiosa che animerà Sciosciammocca negli anni seguenti, con un seguito di variazioni gastriche ed esofagee da fare invidia ai più famosi esegeti dell'appetito, da Tucklite a Rabelais, da Teofilo Folengo a Fabio Tombari. Per diciassette lire l'esordiente attore aveva firmato con l'impresario del S. Carlino un contratto dove sobbligava a «...ballare, sfondare, volare, fornirsi di basso vestiario all’oltremontana, tingersi il volto, esser sospeso in aria e cantare nei cori ».

Ma a forza di descrivere miseria, Scarpetta aveva intuito la scorciatoia dell'Olimpo. E dopo appena dieci anni ria quel contratto i bilanci del suo repertorio divennero tanto grassi che « ...lo si vide capitare alle prove e alle recite del San Carlino in una elegante carrozza privata c si seppe che Sciosciammocca si faceva fabbricare un palazzo ». Sono parole corrucciate di Salvatore di Giacomo. Ma Scarpetta facendo — come suol dirsi — manichetto al corruccio, liquidò in due stagioni l'allora esorbitante bilancio di trentamila lire ed entrò con fermo e deciso passo nell’Olimpo dei Borghesi.

Non gli mancarono le lotte. Lo accusavano di avere soppresse le maschere per lasciarsi tentare dalla Musa discinta del vaudeville e i critici dei giornali partenopei auspicavano resipiscenze campanilistiche. Le lotte tra Hennequin e Pappo divennero il fatto del giorno. La città si divise in nuovi guelfi e ghibellini. Il 24 Gennaio 1881 il grande rivale di Scarpetta parve segnare un trionfo recitando: « Na mazziata morale fatta da Pulcinella a Sciosciammocca, ovvero l'apoteosi della maschera napoletana. » Ma fu vittoria di Pirro. Scarpetta aveva dalla sua il nuovo secolo, col salvacondotto della mondanità incipiente. Mentre apparivano all'orizzonte i cavalli di Andrea Sperelli e i levrieri di Elena Muti, il povero Pulcinella — ultimo cireneo — spariva — col suo fagottino di stracci — da questa valle di lacrime.

E, al pulcinellicida, vennero il plauso dei pubblici di tutta Italia, le lodi dei principali centri della Penisola, l'onorificenza del Governo, che nominò Scarpetta, su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione, Cavaliere della Corona d'Italia. La Compagnia di Viviani ha dato di « Miseria e nobiltà » una riesumazione ironica e stilizzata. Come a dire Pergolesi trascritto da Strawinski.

«Tempo», 21 settembre 1940


Il primo ottobre, a Napoli, per iniziativa del quotidiano «Il Giornale», è stato celebrato il centenario della nascita di Eduardo Scarpetta, con una rappresentazione di Miseria e nobiltà che tra le moltissime commedie scritte dal famoso attore, è quella che storicamente inquadra un periodo particolarmente fecondo di idee del teatro napoletano. La celebrazione ha assunto, teatralmente, l‘ impegno di un fatto nazionale per la partecipazione di Eduardo De Filippo allo spettacolo, come attore e come regista. Era la prima volta che Eduardo interpretava la celebre «maschera» di Felice Sciosciammocca.

1953 11 01 Il Dramma Eduardo Scarpetta f1

E' bastato che «Il Giornale», nel centenario della nascita di Eduardo Scarpetta, si rendesse promotore di una solenne celebrazione di lui, con lo scoprimento di una lapide (la cui iscrizione è stata dettata da Ernesto Grassi) ed una rappresentazione di Miseria e nobiltà, perchè da ospiti parte affluissero i consensi calorosissimi. Gli attori hanno dato l'esempio e, primo di tutti Eduardo De Filippo che, con una nobile lettera, inviata a Carlo Zaghi, direttore de «Il Giornale», si è offerto di interpretare il ruolo famoso di Felice Sciosciammocca in Miseria e nobiltà, e di curare la regia dello spettacolo. Nel giorno stesso in cui sono stati messi in vendita i biglietti per questa rappresentazione il botteghino ha dovuto registrare il «tutto esaurito». E la sera in cui essa ha avuto luogo la sala era gremita come non si era mai visto in questo dopoguerra.

Tutto questo ha dimostrato che Eduardo Scarpetta è riuscito finora a vincere il tempo. Sono trascorsi ventitré anni dalla mattina di dicembre in cui un carro monumentale, seguito da una folla immensa, lo accompagnò all’estrema dimora, ed il ricordo di lui è più vivo che mai. E’ il ricordo di un uomo che aveva donato per cinquant'anni agli spettatori ore di letizia indimenticabile, che aveva la commedia nel sangue e, dopo averla fissata sulla carta, la riplasmava sulla scena per un prodigioso istinto di attore del quale era creativo ogni gesto, ogni espressione del volto e persino il silenzio, riuscendo egli talvolta a suscitare il riso, a comunicare con il suo pubblico, ancora prima di avere aperto bocca.

Chi ebbe la ventura di vederlo recitare, sia pure una volta sola, non ha potuto dimenticarlo ed inoltre ha sentito di tanto in tanto il bisogno di ricordarlo ai giovani. Anche per questo Eduardo Scarpetta è ancora oggi a Napoli personaggio attuale. Si ricordano le sue battute, si ricordano le sue polemiche, si ricordano i casi divertenti o patetici della sua vita. In certo senso egli è entrato un po’ nella leggenda di Napoli. Credo che in ogni casa di questa città, negli anni trascorsi dalla data della sua morte, qualcuno abbia commemorato almeno una volta senza saperlo Eduardo Scarpetta. E così, circa tre decenni non hanno scalfito la immensa popolarità di cui egli godette. E questo è prodigio grande ed è una grande vittoria per il Teatro.

Come è noto, egli fu non soltanto attore inimitabile ed autore acclamato, ma anche un innovatore fortunato. Durò trentanni la polemica tra Eduardo Scarpetta e quegli scrittori i quali sostenevano che il di lui teatro non avesse il diritto di essere considerato napoletano, perchè composto di opere che erano soltanto la traduzione in dialetto di modelli francesi. Oggi tutto questo è lontano. E, qualsiasi giudizio si voglia dare del teatro di Scarpetta, non si può disconoscere all’intera sua personalità di attore-autore il merito di aver rinnovata una tradizione gloriosa che, partendo dalla farsa cavaiola, aveva accentrato il meglio di sé sulla scena del «San Carlino». Pulcinella sopravviveva ormai stancamente a se stesso, anche se sorretto dall’arte grandissima di Antonio Petito; si era fatto sempre più lontano dalla realtà e dalla sensibilità di una Napoli nella quale la borghesia era divenuta una classe determinante. Ed accanto alla maschera declinante, Edoardo Scarpetta fece sorgere il suo Felice Sosciammocca, dotato di irresistibile comicità ed interprete e simbolo di quei mutamenti sociali che a Napoli si andavano verificando.

Nel fare questo Eduardo Scarpetta non voltò le spalle alla tradizione popolare nella quale la sua arte affondava le radici, non spezzò i legami che lo univano ai comici del «San Carlino», come i grandi attori goldoniani non avevano spezzato i legami che avevano con la Commedia dell'Arte.

I suoi contemporanei scrissero che in lui non si poteva disgiungere l’attore dall’autore. E fu questo un modo di troncare la polemica sul teatro dialettale in quanto arte; polemica che, insieme al processo intentatogli da D’Annunzio per la parodia innocente Il figlio di Jorio, diede le maggiori amarezze ad Eduardo Scarpetta. Avevano partecipato a questa polemica Di Giacomo, Verdinois, Petriccione, Bovio, Saverio Procida e tanti altri, tutti schierati contro il creatore di Felice Sosciammocca. Croce non vi aveva partecipato, ma aveva scritto a Scarpetta: «Credo di aver detto altre volte che io reputo vane le dispute sul cosiddetto teatro dialettale d’arte. Per me non esistono "teatri", ma solo individui dotati di genialità artistica e questi, secondo i loro temperamenti, faranno arte comica o arte tragica, faranno ridere o faranno piangere. Gli altri, quelli non dotati da natura, faranno ridere o piangere su se stessi. Quando gli artisti veri spariscono decade il loro "teatro"». Queste parole, solo qualche anno fa, furono ritenute profetiche da Maria Scarpetta che, oltre ad essere autrice di talento ed acuta intenditrice di teatro, conosceva Eduardo Scarpetta, commediografo e uomo, assai meglio di ogni altro, per essere sua figlia.

viviani in miseria e nobilta di scarpetta 1939 CCRaffaele Viviani in "Miseria e nobilta", 1939

«Dopo la morte di Scarpetta — scrive Maria Scarpetta in Felice Sosciammocca mio padre — il suo "teatro" cominciò a decadere ed a morire, se pure mio fratello Vincenzo si sforzasse di continuare e serbare fedelmente, come un soldato che sa di andare al sacrificio, una tradizione destinata a dissolversi. 

«Ma dal solco profondo tracciato dal linguaggio dello scomparso sono germogliati quei frutti prepotenti di genialità che sono i De Filippo. Eduardo, raccogliendo da Scarpetta come legittima eredità la fiaccola di Petito, ha dato fuoco ad un nuovo potente rogo, proprio in tempo perchè la fiammella definitiva non si spegnesse. E poiché il teatro napoletano, con la sua tecnica, la sua poesia ed il suo linguaggio, è quasi tutto generosamente disseminato in ogni parte del mondo teatrale, questo rogo assicura al Teatro, per almeno altri cento anni, il calore e la luce». 

Sono parole assai belle e piene di verità, ma oggi abbiamo dovuto constatare che, per il gusto di un pubblico popolare, non è ancora decaduta anche quella parte del repertorio di Scarpetta che non è di invenzione originale, come dimostra il successo delle recite scarpettiane dirette da Vittorio Viviani, che quest’anno dai primi di settembre, per più di un mese, hanno fatto gremire ogni sera il vasto teatro all’aperto sorto per Piedigrotta nella Villa Comunale di Napoli. E, a chi usi un metro criticamente valido, questa Miseria e nobiltà che Eduardo De Filippo ha messo mirabilmente in scena per la rappresentazione commemorativa, non può non apparire una "rande commedia. Ferdinando Martini scrisse che il primo atto di essa avrebbe potuto firmarlo Molière. Oggi, a più di sessantanni dalla nascita di Miseria e nobiltà, tale affermazione può non apparire esagerata. Ed inoltre gli altri due atti del lavoro sono sorretti da una fantasia comica che non conosce stanchezza, condotti con un magistrale senso del teatro. E l’intera commedia, agli occhi di sensibili spettatori di oggi, acquista particolare significato per quel tema ricorrente della fame dei suoi personaggi che è come il lievito amaro della umanità dei tre atti e della loro travolgente comicità. 

Il lavoro porta la data di nascita del 1887. Eduardo De Filippo ha voluto ambientarlo nell’epoca attuale per dimostrarne meglio la validità umana, artistica e scenica. L’ardito esperimento ha dato risultati felicissimi. Miseria e nobiltà, snellita in qualche sua scena un po’ ridondante, liberata di qualche battuta soverchiamente insistita, è apparsa opera prodigiosamente viva nella verità dei suoi personaggi e nella sua teatralità. La regìa di De Filippo è risultata ispirata, fedele, e creativa nei punti in cui il testo si limita a dare dei suggerimenti alla fantasia. Al principio del secondo atto quando Eduardo si è presentato al pubblico come «Principe di Casador», è stato applaudito prima che aprisse bocca. Il «montgomery» di pelo di cammello che indossava, il basco che s’era adattato sul capo, ed i baffoni che gli spiovevano ai due lati della bocca, facevano di lui la caricatura addirittura sarcastica di uno spiantato blasonato dei nostri giorni. E non si poteva guardarlo senza ridere. 

Eduardo De Filippo è entrato, in questa occasione, per la prima volta nel famoso personaggio di Felice Sosciammocca. Fu ripetutamente scritto che tale personaggio era morto con Scarpetta. Questa rappresentazione ci ha dimostrato invece che è finita con l’attore la sua interpretazione di quel personaggio, ma non il personaggio stesso, ancora vivo e vitale. Sosciammocca può rinascere come ogni grande personaggio, purché un vero attore gli presti la sua arte. Eduardo De Filippo, nel sostenere il ruolo del protagonista di Miseria e nobiltà, ha offerto certamente una delle prove più degne di ricordo della sua carriera di interprete illustre. Recitando con una sobrietà, una incisività, una intensità esemplari, egli ha ottenuto effetti di una comicità irresistibile ed ha sottolineato come meglio non si poteva la umanità del personaggio scarpettiano. Al suo fianco Titina De Filippo è stata nella parte di «Concetta» quella grandissima attrice che è, magistralmente animando e definendo il ruolo affidatole dal fratello; Enzo Turco ha caratterizzato la figura di «Pasquale» assai bene e la Palumbo ha fatto un po’ numero a sé, prestando al tempestoso personaggio di «Luisella» il suo magnifico temperamento, con uno slancio ed una schiettezza che l’hanno fattu applaudire a scena aperta. Anche gli altri, dal Girard al Pennetti, dal Veglia a Jole Fierro, dal Siletti al piccolo Stefano Brandi, sono apparsi in stato di grazia sulla scena. Eredi, chi più e chi meno, di una grande tradizione, si trovavano a loro agio, recitando Scarpetta, come chi dopo un lungo distacco ritorni ad una realtà familiare ed amata. Il pubblico imponente che ha assistito alla indimenticabile rappresentazione ha applaudito con entusiasmo alla fine di ogni atto e, più volte, a scena aperta. In prima fila tra gli spettatori che battevano le mani con maggior calore era Valentine Tessier, l’interprete francese di Filume* na Marturano. Il notevolissimo ricavato dello spettacolo, al quale Remigio Paone ha voluto aggiungere con generoso slancio centomila lire, è stato devoluto interamente da «Il Giornale» a beneficio degli attori poveri. Davvero Eduardo Scarpetta non poteva avere più degna commemorazione. 


Ernesto Grassi, critico drammatico e commediografo, condirettore del giornale «Roma» di Napoli, ha dettato le parole che sono state incise sulla lapide collocata sulla facciata dello stabile in via Vittoria Colonna 4, dove Eduardo Scarpetta visse e morì. L’epigrafe è questa: «Qui Eduardo Scarpetta — rinnovatore del teatro napolitano — attor comico eccelso —  ispirato dal mimo antico — si appartò innanzi tempo — irridendo al trionfo — sola compagna d’arte — la gloria. — Nel centenario della nascita 1855-1953. Ad iniziativa del quotidiano "Il Giornale"».


Eduardo De Filippo, acclamato e festeggiato con tutti i suoi compagni, alla fine dello spettacolo, vista l’insistenza del pubblico nel chiamarlo alla ribalta, ha detto con commozione ed estrema semplicità, queste parole: «Noi tutti: attori, critici, letterati e pubblico, abbiamo commemorato Eduardo Scarpetta, rara e complessa figura del mondo teatrale, che ancora si staglia nitida ed incisa sull'eterno schermo dell'arte nostra. Essa, cent’anni fa, per il potere assoluto di madre natura, fu proiettata miracolosamente sulla terra napoletana. Miracoloso davvero era il suo apparire in palcoscenico. Miracolosa davvero fu In sua forza intellettiva, con cui riuscì a trasformare il pensiero altrui. L’ineguagliabile senso umano del suo essere, il suo tormento interno, riempirono di amarezza e di cuore i testi più freddi, più superficiali, più inconsistenti. Questa forza divenne umorismo, umana commedia, tragica farsa. La vitalità del testo di Miseria e nobiltà (suo componimento originale) ci dice nettamente che noi stasera ci siamo stretti intorno ad un Maestro sia della mimica scenica che della penna. E’ toccato a me parlarvi di Lui. Ne sento onore». 

Federico Frascani, «Il Dramma», 1 novembre 1953

«Cinema», 10 aprile 1953


Totò non si discute più, si accetta. E questo avviene da un pezzo. E’ nello stesso tempo il trionfo e la fine di un comico. Ogni film di Totò fa piovere in cassetta quel tanto d’oro che basta a compensare largamente le spese della messinscena, gli onorari degli attori, lo sperpero di fantasia e di intelligenza che ormai, in verità, è quasi sempre pochino; ma a quanto pare vige una legge per cui gli incassi dei films d’un certo tipo, con certe garanzie fisse e consuetudinarie come potrebbe essere appunto la presenza di un comico alla moda o la cui moda non è ancora passata grazie all’inerzia del grosso pubblico, sono inversamente proporzionali all’originalità e allo sforzo mentale. Tutto, anche in quest’ultimo film diretto allegramente da Mattoli, poggia sulla presenza di Totò al quale non si potrebbe certo negare una originaria e persistente forza comica di antica tradizione pulcinellesca, che sprizza irresistibilmente ad ogni sua smorfia, alle più semplici battute. Raramente sono battute di spirito, ma fanno ridere come il solletico.

L’argomento, derivato dalla celebre commedia di Edoardo Scarpetta, non è nuovo: Totò con una congrega d’altri guitti è assoldato da un marchesino per fare la parte del nobile parente e dovrà presentarsi nella casa di un borghesuccio arricchito, della cui figliola il marchesino è innamorato, allo scopo di varare il matrimonio che non riscuote l’approvazione del parentado vero. La situazione base è dunque questa: il poveraccio che si trova, sia pure provvisoriamente e per commedia, a vivere in un mondo ricco, dove i frutti proibiti sono a portata di mano, la fame cessa di essere un incubo e il solo scotto da pagare è la simulazione d'una certa finezza o arroganza di maniere. Da tutto questo, tra un ammiccamento e l’altro dello sperimentato comico, il quale ormai si permette il lusso di giocare a carte scoperte, vengono fuori effetti comuni ma sicuri. E il pubblico si fa un’oncia di buon sangue.

«Gazzetta del Popolo», 20 aprile 1954


1954 04 25 Noi Donne Miseria e nobilta f0In una squallida casa di Napoli, al principio del 1900, vivono due famiglie. L'una è quella di Don Felice Sciosciammoca (Totò), scrivano pubblico, con la sua amica Luisella e il figlio Peppinello, avuto dalla moglie Bettina, da cui vive separato. L’altra è quella di Don Pasquale (Enzo Turco) fotografo ambulante, con la moglie Concetta e la figlia Pupella.

1954 04 25 Noi Donne Miseria e nobilta f1I rapporti tra le due famiglie, a causa della convivenza forzata, sono sempre molto complicati. Tra Don Felice e Don Pasquale sono continue liti. Inoltre la miseria in cui tutti vivono è causa di molte, vivaci discussioni. Ma il problema più urgente per tutti, e soprattutto per Don Felice, è quello della fame.

1954 04 25 Noi Donne Miseria e nobilta f2Pupella ha uno spasimante, Luigino. Questi un giorno, rendendosi conto della fame delle due famiglie, si precipita ad ordinare per loro un sostanzioso pranzo: l’abbondanza sembra far capolino nella povera casa, e tutti si impegnane in una singolare e gradita gara per terminare enormi piatti di pastasciutta.

1954 04 25 Noi Donne Miseria e nobilta f3Qualche tempo dopo il Marchesino Eugenio, il quale conosce Don Pasquale per averlo beneficiato altre volte, vieL'idea del marchesino è che Don Michele, Don Felice, Concetta e Pupella, lo accompagnino in casa di Gemma e assumano la parte dei suoi aristocratici parenti. Don Pasquale e Don Felice sono dapprima riluttanti, ma poi, di fronte alla promessa del marchese che si mangerà molto, accettano.ne a chiedere uno strano favore. Egli racconta di essere innamorato di una ballerina, Gemma (Sophia Loren), ma che suo padre, il marchese Ottavio, ostacola le nozze. Bisogna quindi escogitare la maniera più adatta a risolvere la situazione.

1954 04 25 Noi Donne Miseria e nobilta f5L'idea del marchesino è che Don Michele, Don Felice, Concetta e Pupella, lo accompagnino in casa di Gemma e assumano la parte dei suoi aristocratici parenti. Don Pasquale e Don Felice sono dapprima riluttanti, ma poi, di fronte alla promessa del marchese che si mangerà molto, accettano.

1954 04 25 Noi Donne Miseria e nobilta f6Ecco tutti nella sontuosa dimora di Don Gaetano Semmolone, un ex cuoco arricchito, il quale è fuori di sè dalla gioia di ricevere i parenti del futuro sposo della figlia. E qui comincia una girandola di situazioni assurde e divertenti: Don Felice incontra sua moglie, cuoca di Don Gaetano.

1954 04 25 Noi Donne Miseria e nobilta f7Ben presto le cose si complicano ancor più. Giunge in casa l'amica di Don Felice, e lui si trova al centro di spassosi equivoci. E si scopre anche che il padre del marchesino è, sotto mentite spoglie, un assiduo corteggiatore di Gemma.

1954 04 25 Noi Donne Miseria e nobilta f7Le cose si avviano ad una soluzione. Il padre del marchesino deve concedere il suo consenso al matrimonio. Don Felice si riconcilia con la moglie. Miseria e nobiltà è tratto da una commedia del teatro napoletano di E. Scarpetta.

«Noi Donne», anno IX, n.17, 25 aprile 1954


Il successo riportato dalla popolare commedia di Scarpetta nella ripresa eseguita l’autunno scorso da Eduardo De Filippo, ha suggerito questo adattamento cinematografico di Mario Mattoli: Il cinema manca troppo di fantasia per rinunciare spesso a scegliere i propri argomenti e prenderli belli e fatti di rimbalzo. E proprio il successo teatrale deve aver consigliato regista e riduttori a lasciare pressoché immutato li testo, fotografandone la rappresentazione come se fosse recitata su un vecchio teatrino di provincia, e a servirsi di alcuni attori usati da De Filippo. Nonostante la vitalità scenica della vicenda nella quale si ritrovano i succhi e i temi farseschi del teatro comico di ogni tempo, la mancata rielaborazione della commedia, specialmente del dialogo riprodotto con tutte le sue prolissità e senza cercare equivalenza cinematografiche di sviluppi e di effetti, ha reso il film verboso e lento accentuando quanto c'è di frusto e di vecchio. L’interpretazione è vivace e colorita: Totò ripete gustosamente sè stesso nella parte di Sciosciammocca ben coadiuvato da Gianni Cavalieri, Enzo Turco, Sophia Loren, Dolores Palumbo ai quali vanno aggiunti il Porelli, il Pastorino e il Croccolo.

E. C. (Ermanno Contini) «Il Messaggero», 23 aprile 1954


"Miseria e nobiltà" era certo una delle più solide e piacevoli commedie di Eduardo Scarpetta. [...] Sulla scena la vicenda, imbastita secondo gli schemi più brillanti del teatro ottocentesco francese, ma tutta ravvivata da un'intima vitalità genuina, rivelava un clima che, nonostante qualche cedimento, solo raramente denunciava un'atmosfera farsesca, Mario Mattoli, invece, traducendo la commedia per lo schermo, l'ha francamente risolta secondo le cadenze più aperte e più vistose della farsa, accentuando all'infinito le situazioni comiche e mettendo sempre nel massimo rilievo quanto poteva offrire al pubblico occasione di divertimento immediato. Il malizioso sapore dell'antica commedia è cosi scomparso quasi del tutto, ma il film è parso egualmente raccogliere abbondanti risate: per merito, forse, di Totò che, nelle vesti di don Felice Sciosciammocca, prima affamato e poi finto principe, ha allegramente dato iI via a una serie multiforme di colorate caratterizzazioni. Al suo fianco Sophia Loren, Franca Faldini, Dolores Palumbo, Enzo Turco, Carlo Croccolo. Ferraniacolor.

G.L.R. (Gian Luigi Rondi) «Il Tempo», 23 aprile 1954


Non è questa la prima volta che il binomio Totò-Mattoli si cimenta nel repertorio di attore ed autore di Eduardo Scarpetta. Oggi è di turno il migliore lavoro ideato è realizzato dal commediografo napoletano: "Miseria e nobiltà". Sia il regista che l'attore, portando sullo schermo questa avventura di Don Felice Sciosciammocca, il protagonista delle diverse incarnazioni dell'anima napoletana come la vedeva lo Scarpetta, si sono preoccupati con evidenza di restare il più possibile fedeli al concetto dell'autore. A mio parere, essi sono riusciti nell'intento. Totò, infatti, in questa riduzione cinematografica è, come al solito, comico e talvolta addirittura caricaturale, ma anche contenuto. Ha saputo, cioè, sorvegliare le sue speranze ed anche se ha riempito la scena di sè lo ha fatto con modestia, oserei dire con reverenza nei riguardi dello Scarpetta, facendo ottenere, in tal modo, alla sua maschera una maggiore comicità e comunicando gli spettatori colpi di ilarità che hanno determinato un nuovo successo del suo allegro dinamismo. Se il film ha qualche negligenza di dettaglio essa dovuta più che altro al fatto che è stato girato interamente in studio, ma si può affermare che la cosa non da fastidio. Buono il risultato del Ferraniacolor.

Luigi Tupini, «Momento Sera», 24 aprile 1954


Retrospettivo. In certo senso, anche "Miseria e nobiltà", di Mario Mattoli qui, però, l’ispirazione viene dal vecchio teatro dialettale. La commedia che Edoardo Scarpetta scrisse e recitò nel 1887, e fu la più fortunata delle tante di questo scrittore-autore napoletano, torna, sullo schermo In un'edizione quasi integralmente fedele ai testo. Mattoli, prudente, non ci ha messo nulla di suo, o quasi nulla; e ha lasciato briglia sciolta a Totò, il quale ha ripetuto, con felicità di estro, nella parte dello scrivano Felice Sciosciammocca, gli atteggiamenti comici che tanto piacquero in Scarpetta, più di sessantanni fa. [...]

Anche le battute del lavoro originale sono quasi sempre riportate nel film, che è a colori; e a cui Totò, come doveva, ha dato, con la sua maschera grottesca, i toni e le invenzioni della commedia dell’arte. Il vecchio canovaccio acquista nuova lucentezza grazie a lui e grazie ai suoi compagni, Enzo Turco e Dolores Palumbo e Carlo Croccolo e Gianni Cavalieri specialmente. Sophia Loren e Franca Faldini s'accontentano d'apparire procaci. Le scenografie sono troppo visibilmente di carta; autentici, invece, gli spaghetti e i polli e i salami di cui si fa grande consumo. Questa é la commedia del lunghi appetiti e delle voraci spanciate; tutto vi si traduce in masticazione; usciamo dal cinema come se avessimo partecipato alla crapula, sazi sino al disgusto. Stasera si digiuna.

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 29 aprile 1954


"Miseria e nobiltà" è del puro e semplice teatro in scatola, quindi ci interessa assai poco. La vicenda [...] riesce a farci sorridere solo vagamente anche perchè il regista Mario Mattoli ha rinunciato a restituirci la caratteristica aura della commedia di Eduardo Scarpetta. Tutto appare falso ed abborracciato; tratti veristici e anche patetici (il bimbo cacciato di casa) si alternano con disinvoltura a passi di una stravagante buffoneria. Il gran problema dei due compari e delle loro donne è quello di trovare il modo di «calare» gli spaghetti nella pentola; che è un po’ poco, a questi lumi di luna. Totò ha, al solito, qualche momento felice.

P.B., «Corriere d'Informazione», 30 aprile 1954



Dopo il successo del volgarissimo e raffazzonato Il turco napoletano (1953) di Mario Marioli, sembra che le farse di Eduardo Scarpetta siano considerate veicoli ideali per Totò e strumenti infallibili per incrementare i borderò. Ecco quindi la più celebre e notevole fra tutte, Miseria e nobiltà (1887) che lo stesso Mario Marioli ha trasferito sullo schermo, in base ad un non dissimile, grossolano e mal inteso senso dello spettacolo. Il film (in "Ferraniacolor”) ricalca da vicino il testo scenico, ma senza preoccuparsi di valorizzarne le trovate più vive (vedi il finale del primo atto, con il famoso arrivo della cena in casa degli affamati e la colluttazione intorno agli spaghetti) e limitandosi invece ad affidarsi all’iniziati va personale di Totò.

Questi tende naturalmente a ridurre la proverbiale figura dello scrivano don Felice Sciosciammocca alla propria più corrente misura farsesca, anzi che studiarsi di costruire, con una ricerca sul piano del gusto "storico”, la maschera del "mamo” illustre, pietra di paragone per i grandi interpreti della scena napoletana, ultimo fra essi Eduardo De Filippo.

Giulio Cesare Castello, «Cinema», Milano, 15 maggio 1954


Roma, mercoledì sera

Antonio De Curtls, in arte «Totò», è stato interrogato dal giudice Corrias in merito alla causa intentata contro di lui e contro la Società cinematografica Ponti - De Laurentiis dal commerciante Piperno, assistito dall'avv. Roberto Ascarelli. Il Piperno si è ritenuto diffamato da una frase pronunciata dal popolare attore nel film «Miseria e Nobiltà». In tale pellicola figura un personaggio con il suo stesso nome e cognome che, secondo quanto afferma Totò, «si sarebbe messo d'accordo con i suoi aguzzini per non pagare le tasse».

«Stampa Sera», 16 giugno 1954


Totò recita Scarpetta

Chi persiste, giustamente (è ovvio), nella ammirazione per Totò rivede il grande comico nella riduzione, operata dal regista Mattoli, di una antica commedia di Eduardo Scarpetta, con l’apporto di Dolores Palumbo, Franca Faldini, Enzo Turco, Sofia Loren (da poco nel cinema), Croccolo e Sportelli. [...] Una farsa, ma di vera classe, con un tour de force del protagonista da apprezzare in ogni momento. 

«Corriere della Sera», 21 dicembre 1988


Farsa di classe con Totò

Miseria e nobiltà (Raiuno, ore 21.40).

E’ assai arduo sottrarsi alle lusinghe di questa pellicola che il regista Mario Mattoli ha estratto nel 1954 da una celebre, antica commedia di Eduardo Scarpetta. C’è Totò in forma smagliante, con un gruppetto di comprimari affiatatissimi: Sofìa Loren (da poco nel cinema), la Palumbo e Turco. Cavalieri e Sportelli, Croccolo e Franca Faldini e (sia pure un poco in ombra) Valeria Moriconi. [...]

DURATA: 1 ora e 35 minuti.

«Corriere della Sera», 10 luglio 1990


Il calligrafo Gennaro Esposito

«Io, maestro di scrittura. L'idea me l'ha data Totò»

«Miseria e nobiltà» è un classico della commedia napoletana, portato al cinema da Totò che interpretava la parte di uno scalcagnato scrivano che sul suo banchetto scriveva per strada le lettere agli analfabeti. Il figlio di Felice Sciosciammocca (il nome di scena di Totò) era un ragazzino brillante e pasticcione. Oggi quel ragazzino ha 42 anni, si chiama Gennaro Esposito e si è inventato un lavoro: il calligrafo. Proprio la stessa professione di «suo padre» Totò in «Miseria e nobiltà».

«Del passato preferisco non parlare — si schermisce Esposito —, quella coi principe De Curtis è stata una bella esperienza ma ora bisogna guardare al futuro e alle possibilità di sviluppo dell’arte calligrafica. Anch’io, come il personaggio del film, scrivo lettere d’amore, biglietti d’auguri e attestati di qualifica, ma lui sfruttava il fatto che allora la maggior parte della gente non sapeva scrivere. Io invece ho perfezionato lo stile gotico di scrittura e lo utilizzo per chi cerca l’originalità».

Lo scriba napoletano ha iniziato la sua attività nel ’94, si è ricavato un ufficetto in casa e gira per i quartieri di Napoli distribuendo volantini che promozionano «Penna e calamaio», il nome della sua ditta. «Molte cartolerie hanno già preso i miei biglietti di auguri tutti fatti a mano. Ma i clienti sono anche privati: attualmente, ad esempio, sto consegnando un bel numero di partecipazioni di nozze».

Gennaro Esposito, comunque, non si dedica solo alla bella scrittura ma anche all’araldica, una disciplina che a Napoli affonda le radici fino al periodo borbonico. [...] Parafrasando Totò, «scriba si nasce». E lui, modestamente, lo nacque.

Isidoro Trovato, «Corriere della Sera», 17 dicembre 1999


"Miseria e nobiltà" sul palco del Canelli

Altro appuntamento con "Tempo di teatro" a Canelli, questa volta con un'opera di Eduardo Scarpetta: Miseria e nobiltà, perla regia di Daniela Cenciotti. Saliranno sul palcoscenico del teatro “Balbo”, mercoledì 16 febbraio alle 21, oltre alla regista, Carlo Croccolo, Dario Bucci, Marco Corpo, Antonio De Rosa, Geppy di Satasio, Antonio Friello, Maria Lauria, Antonio Lubrano, Nino Lubrano, Loredana Piedimonte, Roberta Sanzò ed Antonia Truppa. Miseria e nobiltà è un testo conosciutissimo da tutti, giovani ed anziani, sia per le varie edizioni teatrali che per una straordinaria trasposizione cinematografica interpretata mirabilmente da Totò, ma anche perché una più attenta lettura rivela aspetti incomprensibili ad un primo superficiale esame. È questa una commedia indiscutibilmente comica, dove i giochi linguistici sono a getto continuo, e dove ogni personaggio, anche il più piccolo, è guardato con grande ironia. I personaggi sono legati alle due differenti realtà sociali che, comunque, rappresentano una borghesia decadente quanto disincantata e inerte.

Il vero protagonista della storia è Gaetano Semolone, che ha la sola ingenuità di rispettare e di cercare la “nobiltà”, quella d'animo e morale, ma che con la sua abnegazione e il suo lavoro (fa il cuoco) ha faticosamente guadagnato la possibilità di vivere bene. Nei panni di Semolone ci sarà Carlo Croccolo (già presente al fianco di Totò; in quest'occasione festeggia i 50 anni di attività teatrale), che è garanzia di sicura riuscita e divertimento, oltre che di avvenimento teatrale eccezionale ed irripetibile. Dopo lo spettacolo seguirà il consueto incontro tra pubblico ed attori al dopoteatro presso la foresteria “Bosca”, dove si potranno gustare le specialità dei pasticceri canel-lesi accompagnate da ottimo vino locale.

Il prezzo dei biglietti è di 35.000 lire per gli interi, mentre i ridotti 25.000 lire (giovani fino a 25 anni e over 65). Per informazioni e prenotazioni, rivolgersi a “Il Gigante viaggi" di Canelli (telefono 0141-83.25.24).

Fabio Gallina, «La Gazzetta di Alba», 9 febbraio 2000


I documenti


Non ho mai sentito il disagio della macchina da presa, mi è sembrato sempre di stare su un palcoscenico, anche perché mancava poco che le maestranze facessero degli applausi a scena aperta, e alla fine della scena applaudivano, era veramente come a teatro. Si vedevano molti macchinisti, elettricisti, sarte, che schiattavano per non farsi sentire ridere, si tappavano la bocca, durante la scena vedevi proprio le lacrime che scendevano per il tanto ridere.

Aldo Giuffré


L’idea della serie scarpettiana di Totò fu di Vincenzo Talarico. Ce la disse nello studio di Ponti: "Perché non fate questo?”. L’idea era ottima, perché i soggetti soliti per Totò, con la trovatina banale, non erano più sufficienti, mentre lì c’era un contenuto, una trama, dei personaggi. Tutte le volte che il teatro ha potuto collaudare una cosa, questa cosa si valorizza enormemente. Tant’è vero che nei film di Totò quelli che sono un po' meno riusciti sono quelli dove l’idea iniziale è un po’ troppo banale o troppo elevata. Totò esercitava un certo potere su Libassi, Broggi, questo tipo di produttori, e allora i giornalisti dicevano di lui che era un attore sciupato, rovinato, e lui: “Qui bisogna fare per forza un bel film”, e si fece una commedia francese, con attori importanti, si fece Sua Eccellenza si fermò a mangiare, che era una cosa rodata, buona. È per questo che Scarpetta andava benissimo. Quando si faceva per esempio un Totò Tarzan, non c’era una vera costruzione, c’era solo un’idea, che si logorava velocemente.
Miseria e nobiltà è nato in un momento felice. Totò non sempre era dello stesso tipo di sentimenti nei miei confronti. Si irritava con me quando proponeva una cosa che io non mi sentivo, in buona fede, di accettare, perché lui ogni tanto si metteva in testa (non so se era qualcuno della corte che aveva intorno che glielo suggeriva) delle cose costosissime, difficoltosissime, e che io sapevo per esperienza che non avrebbero funzionato. C’era il clan Bragaglia che per esempio gli suggeriva cose in polemica con me... La scena lunghissima degli spaghetti è nata in una giornata di grazia, il merito credo fosse suo ma, non lo dico per falsa modestia, anche un po' mio, perché c’erano in quei tempi difficoltà tecniche incredibili, lo avevo fatto per esempio, per via del colore, un “fine del primo tempo” su un pezzettino di un quadro che sale. La commedia c’era, funzionava, con dei personaggi, con dei costumi giusti, la fotografia era di un ottimo operatore, mi pare che fosse Struss.

Mario Mattoli


La scena di caro Giuseppe compare nipote è inquadrabile nel filone delle grandi scene comiche legate alla dettatura ed alla scrittura di una lettera. Ricordiamo tra queste scene, la più famosa, quella della Lettera alla malafemmina con protagonisti Totò e Peppino, e quella, più recente, della Lettera al Savonarola con protagonisti Massimo Troisi e Benigni (il film è Non ci resta che piangere).

Il "teatro" di Caro Giuseppe compare nipote sono i portici del Teatro San Carlo, dove Don Felice svolge la sua attività di scrivano. I clienti latitano e la fame è tanta! Don Felice si è fatto accompagnare al lavoro dal figlio Peppiniello.

(Il ruolo di Peppiniello nella commedia Miseria e nobiltà è sempre stato un ruolo particolarmente importante per le varie compagnie Scarpetta- De Filippo; infatti vi era l’abitudine di far interpretare il ruolo di Peppiniello al ragazzino della famiglia che si intendeva avviare all’arte del teatro).

Pasquale: Qua si mangia pane e veleno.
Felice: Pasqua': Qua si mangia solo veleno!

Pasquale: Io sono nato per fare il fotografo.
Felice: E quello è stato il tuo errore: tu non dovevi nascere.

Concetta: Ma come già qua è finita l'acqua? Non si fa in tempo ad andarla a prendere che finisce??
Pasquale: È inutile che guardi me: io non mi lavo!

Pasquale: Non pigliare la pasta grossa che non la digerisco.
Felice: Pasqua', tu con questa fame digerisci pure le corde di contrabasso.

Vincenzo: Senti un po' Peppinie', se noi vogliamo riuscire a farti entrare in questa casa bisogna che tu dici che sei mio figlio, hai capito? Mi devi chiamare papà.
Peppinello: Don Vince', basta che mi fate mangiare io vi chiamo pure mamma.


La fame, la miseria e la falsa nobiltà

Miseria e Nobiltà, Eduardo Scarpetta (1888)

La tragica situazione, il pericoloso modo di vivere e la fame, soprattutto la fame, dei più infimi strati del ceto medio, sono ancora oggi quelli di sessantasei anni or sono. Eduardo De Filippo ha presentato quindi Miseria e nobiltà come l'avrebbe scritta oggi Edoardo Scarpetta . Proprio qui è l'intelligenza artistica di Eduardo; proprio qui è il suo devoto omaggio alla grande memoria di Scarpetta: nel mostrare, cioè, quale sostanza viva e vitale, quale umanità, quale capacità di affrontare i drammi di più generazioni vi siano nel testo scarpettiano. Da allora ad oggi, soprattutto nel Mezzogiorno, ciò che [...] è restato immutato è la fame, la fame, la fame. Ricordate il celebre finale del primo atto? Tutta la famiglia del salassatore e quella dello scrivano siedono muti, accasciati, perchè ogni tentativo di procurarsi da mangiare è fallito. Improvvisamente un cuoco e due sguatteri entrano [...] portando ogni ben di Dio [...] nessuno si chiede donde provenga quella grazia [...] contemporaneamente, scattano come molle e si avventano sui maccheroni fumanti. E' scena che rappresenta e riassume in termini di grottesco non il dramma di due famiglie, ma la secolare tragedia di un popolo.

Giulio Trevisani, «L'Unità», Milano, 3 ottobre 1953


Mentre si stava girando vidi con la coda dell'occhio il tecnico del suono che si tappava la bocca. Poi mi giro ancora meglio, vedo gente cianotica perché non poteva ridere, alzo lo sguardo e vedo che Totò si era alzato, era salito sopra il tavolo e s'era invitato di mettersi gli spaghetti nelle tasche. Chissà la scena quanto sarebbe andata avanti, e invece il regista (Mario Mattoli) fu costretto a dare lo stop perché mentre infilava questi spaghetti dentro le tasche, Totò aveva preso anche uno zampirone messo dentro la pasta per fare del fumo, e questo zampirone si stava bruciando la tasca. Girammo unico ciak, quello inserito nel film.

Valeria Moriconi


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Gradevole, anche se la fama supera il valore. Grandissimo Totò (formidabile quando vuole consegnare la lettera già scritta per la bisogna), comprimari bravi e meno bravi (divertente Cavalieri nella parte del cerimonioso arricchito). Molto meglio il secondo tempo, con la commedia degli equivoci e degli scambi di persona.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La dettatura della lettera.

  • Capolavoro del cinema italiano brillante, il film è tratto da una celebre commedia di Eduardo Scarpetta e appare chiara la sua origine teatrale. Ricchissimo di situazioni e momenti brillanti (alcune sequenze sono entrate nelle storia del cinema italiano), Miseria e nobiltà è interpretato da un cast strepitoso sia nei ruoli principali che in quelli secondari. Ben diretto da Mario Mattioli.

  • L'immagine di Totò, che infila - con vigorosa furia - manciate di spaghetti in tasca, è rimasta ancorata al film. Ch'è un film riconosciuto come tra i più riusciti, per via dei contenuti che sovrastano la (blanda) comicità. Non è stato - e non sarà - particolarmente apprezzato dal pubblico, nonostante la presenza della (allora) bellissima Loren. Nè lo si ricorda per contenuti comici, che latitano a dispetto dell'ottima prestazione offerta dal grande attore napoletano. Ma va visto, almeno una volta, per assistere al registro "drammatico" di Totò.

  • Classica commedia di equivoci, con i poveri che si travestono da ricchi per fare un piacere al marchesino che deve fidanzarsi. Bel testo teatrale di Scarpetta, ben realizzato (mantenendone la struttura scenica) da Mattoli, che mette in evidenza le capacità istrioniche di Totò anche all'interno di una drammaturgia "chiusa" nella logica della trama. Memorabile l'abbuffata di spaghetti, ciliegina sulla torta di un film ricco di scene efficaci e divertenti.

  • E’ praticamente una rappresentazione teatrale. Bravo Totò (già il cognome, Sciosciamocca, fa ridere), ma anche Enzo Turco non gli è da meno, pur restando nei limiti della spalla. La parte migliore è quella dove si fingono nobili, anche se la scena più famosa è certamente quella in cui si abbuffano di pasta (Totò se la mette persino in tasca). Un po’ scarno di idee, il film resta comunque efficace e scorre piuttosto fluidamente, dando spazio alla bellona Loren (a teatro), ma privilegiando, fortunatamente, la parte comica. Da vedere.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La lettera che Totò scrive sotto dettatura, che si conclude con: "Non ho neanche i soldi per pagare chi sta scrivendo questa lettera".

  • Sulla nota farsa di Scarpetta viene strutturata una gustosa commedia degli equivoci che sfrutta al meglio le capacità di mattatore di Totò, ancor più valorizzate quando interagisce con i suoi numerosi comprimari, specialmente Turco e Cavalieri. L'opera conserva intatta la sua teatralità sia nelle scenografie che nella confezione: all'inizio e alla fine è infatti presentata come un'esibizione teatrale entro un film.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La dettatura della lettera. La foto agli sposi. Il gelato.

  • Estremamente divertente. L'origine teatrale è talmente dichiarata che non si può nemmeno parlare di limite; anzi, il film forse trae persino vantaggio dalla poca verosimiglianza della rappresentazione... una compagnia di attori come quella di "Miseria e Nobiltà" non si può certo discutere, ed il film è ancora oggi uno di quelli che fa buoni ascolti in tv, nonostante sia stato trasmesso centinaia di volte. Un vero e proprio classico, insomma; e l'ingresso di Totò in abiti da "nobile" è un momento di comicità da tramandare ai posteri.

  • Riduzione cinematografica della celebre commedia teatrale di Scarpetta dal titolo omonimo. Il risultato è discreto, grazie alla professionalità dell'insieme ed in particolare ad un ottimo cast di attori in cui, ovviamente, spicca Totò. Non manca di divertire, ma a teatro fa tutto un altro effetto.

  • Impianto teatrale per una celebre commedia di Scarpetta; nel senso che si vede l'asse del palcoscenico. Eppure, nonostante ciò e nonostante la veneranda età, il film sgattaiola dinamico dall'inizio alla fine. Un Totò in palla accompagnato da colleghi scafatissimi e una giovane, giunonica Loren francamente a suo agio. Indimenticate la scena degli spaghetti in tasca (la fame domina la carriera di Totò...) e i qui pro quo dei falsi nobili. In rigoroso Ferraniacolor!

  • Film vecchissimo eppure ancora divertente; certo la maggior parte del merito va a Totò, Enzo Turco e tutti gli altri comprimari, ma si ricordano anche le coloratissime scenografie e in genere tutta l'ambientazione teatrale, che dona un'aria di favola e leggerezza a tutta la narrazione.

  • Ogni volta che lo rivedo non mi stanca: battute difficili da dimenticare, con personaggi interpretati in modo ottimo (Totò su tutti). La Loren, qui molto giovane, anche se si vede poco, dà prova della sua bravura. Il teatro napoletano è questo, ed è difficile che non piaccia.

  • Genere teatrale (e l'introduzione lo fa capire). Tantissime le battute indimenticabili e le gag (se così si possono chiamare) sono geniali. Totò è grande e così lo è stato il seguito sulla scena. Come in molte di queste opere si riesce a sdrammatizzare sulle condizioni di vita disagiate. Brava e bella la Loren.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il ballo sul tavolo con gli spaghetti in mano.

  • Ottima trasposizione della commedia di Scarpetta: Mattioli decide di dare allo spettatore la sensazione di un vero spettacolo teatrale e l'idea è sicuramente vincente. Sciosciammocca trova in Totò il suo perfetto interprete, grandioso nella scena della lettera e nei duetti con il bravo Enzo Turco. Buone le musiche, folto il cast di contorno con la simpatica Palumbo e un giovane Croccolo e ancora con la Loren (poco incisiva però). Imperdibile.

  • Da un testo teatrale di Scarpetta una piacevole commedia degli equivoci con il principe della risata protagonista assoluto con battute e mimica fulminante. Sempre appropriato il cast di contorno, che si avvale di una giovane Loren. Rivisto dopo anni non perde il suo fascino.

  • Unico film in cui Totò, anche senza avere al suo fianco una delle solite spalle, riesce comunque ad esprimersi ad altissimi livelli. Segno che in questa trasposizione cinematografica della famosa commedia teatrale tutto funziona come dovrebbe. Dal cast alla storia vera e propria. Anche qui sketch e battute memorabili come gli spaghetti in tasca o quando impersona il Principe di Casador. La bellezza di film come questi è che anche dopo averli rivisti decine di volte, si ride sempre e sempre si carpisce una battuta nuova sfuggita precedentemente.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Quando si azzuffano le due donne. Luisella a Concetta: "Funicolare senza corrente!" E Pasquale risponde: "Mia moglie la corrente ce l'ha".

  • Ben congegnata, questa messa in scena dell'omonima commedia con l'espediente della "visione" teatrale. La prima parte nella miseria è più spezzettata ma più ruspante dal lato umano per via della fame perenne. Maggiormente filante il seguito, dove il ritmo è tenuto alto dai continui scambi di battute tra il gruppo a palazzo. Totò non esagera e tiene testa con puntuale ilarità; la Loren è acerba e un filo altezzosa per un ruolo da ballerina. Un intrattenimento piacevole, anche per riascoltare gli ossequi e i rispetti ormai scomparsi dalla comune parlata.

  • Non c’è solo Totò, ma un gruppo di attori che funzionano alla perfezione in un tutt’uno capace di esaltare la divertente opera teatrale di Scarpetta. La messa in scena è minimale e ridotta a poche ambientazioni, proprio perché di estrazione teatrale, ma non ci si accorge di nulla grazie al carisma di tutti e alla storia che funziona. Difficile non farsi coinvolgere dalla travolgente simpatia che dilaga per tutta la pellicola.

  • Si ride parecchio ogni volta che Totò conquista la scena con i suoi siparietti comici oramai da antologia. Più divertente la seconda parte, in cui il gioco dell'equivoco prende corpo e si assiste ad una coralità recitativi coinvolgente. Ovviamente la messa in scena è tipicamente teatrale, quindi manca un po' di ampio respiro, ma il film merita per il solo fatto di aver consegnato dei momenti storici al cinema italiano.

  • Apice della "trilogia scarpettiana" di Totò. Il suo Felice Sciosciammocca è insieme malizioso (come il Turco napoletano) e credulone (come Il medico dei pazzi); ma tra equivoci ingenerati e subiti non è né un perdente né un vincente (maschera atavica, non ragiona in quest'ottica): se approfitta della situazione non lo fa tanto per sé, quanto per il pubblico (che è presente come tale, all'inizio e alla fine). È anche l'episodio in cui detta cornice meta-teatrale funziona al meglio, grazie alla scansione in atti che sfrutta l'unità dei luoghi.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Enzo Turco manda Totò "dallo charcutière"; la lettera allo scrivano; la foto agli sposini.

  • Per chi ha una formazione teatrale riguardo questa celebre commedia di Scarpetta, una qualsiasi trasposizione cinematografica, subendo tempi diversi di realizzazione, potrà apparire frettolosa. Però questa è fatta veramente bene, non per nulla molti degli attori presenti provengono dal teatro e lì non ce ne sono effetti speciali computerizzati: se si è capaci di recitare bene, sennò... Complimenti quindi a Mattoli, che mette in scena un bello spettacolo e agli attori, nessuno dei quali appare fuori ruolo. ***• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La lettera allo scrivano.

  • Bellissima anche da rivedere oggigiorno, in tempi di crisi, questa divertente e intelligente commedia di impronta teatrale che vede Totò protagonista (al fianco di altri validissimi attori e caratteristi, tra i quali anche una giovane Sophia Loren). Tanti gli spunti e i momenti comici, mai volgari, che sono stati ripresi e copiati in seguito da altri. Quanto talento! Splendida la prima parte, forse un po' scontata e prevedibile la seconda.

  • Bellissima trasposizione teatrale del capolavoro di Scarpetta, che è forse una delle migliori rappresentazioni del carattere napoletano, in cui gli stereotipi vengono corretti dalla realtà drammatica di una città e un popolo sui generis. Il copione solido esalta Totò nella sua prova da attore che trova una magica alchimia con gli altri interpreti, i quali ne reggono efficacemente il gioco. Splendida la Loren, mentre trovo azzeccatissima la scelta di portare anche fisicamente il teatro al cinema. Un imperdibile pezzo di storia del cinema italiano.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: I battibecchi fra Totò ed Enzo Turco con l'intervento delle rispettive famiglie; La scena degli spaghetti.

  • Mario Mattoli con la collaborazione di Maccari alla sceneggiatura mette in scena una delle commedie più celebri di Scarpetta, affidando al solito Totò il ruolo di mattatore. La regia dal taglio teatrale è fin troppo statica e nei momenti in cui Totò non è in scena il film perde mordente. Memorabili diversi momenti (la pastasciutta, la lettera, l'abbraccio di Totò alla prosperosa Loren). Gustosa la prova di Franca Faldini nel ruolo della vicina piemontese.

  • Tratto dall'omonima opera teatrale di Eduardo Scarpetta, il film è una classica commedia degli equivoci che funziona perfettamente grazie agli straordinari attori che fanno squadra nel recitare i serrati dialoghi e le spassose gag. Ovviamente tutto ruota intorno al grande Totò, ma il gruppo di comprimari è di livello assoluto (Turco, la Palumbo, i giovani Croccolo e Loren...). Alcune scene sono entrate nella storia del cinema italiano. Impossibile non ridere anche dopo la duecentesima visione.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò mangia gli spaghetti con le mani; Il paletot di Napoleone; "Vincenzo m'è padre a me"; "Uè, funicolare senza corrente!"; "Qui si mangia pane e veleno!".

  • Forse il miglior esempio italiano di cinema teatrale in assoluto. Mattoli firma una versione estremamente fedele del capolavoro di Scarpetta, sottolineando cinematograficamente, con piani fissi, soprattutto interi, qualche carrello laterale, con riprese interamente in interni, montaggio limitato e colori caldissimi in ferraniacolor, il testo originario che vede il pulcinelliano Felice Sciosciammocca e famiglia alle prese con la Fame, quella ancestrale, potente, ossessiva che ha quasi una dimensione onirica. Film di comicità tragica, feroce e selvaggia.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Formidabili tutti gli attori: in primis Totò ma anche il grande Enzo Turco, Dolores Palumbo, Titina Di Filippo, Carlo Croccolo e la fresca Sophia Loren.

  • Una delle migliori interpretazioni di Totò, diretto da un ispirato Mattoli e affiancato da un cast di prim'ordine. Pochade all'italiana dove si succede a ritmo serrato tutto il campionario della commedia brillante. Totò come detto raggiunge probabilmente il vertice della sua dilagante comicità. Sicuramente un cult-movie del cinema italiano.

  • Decisamente la migliore trasposizione cinematografica del grande classico di Scarpetta. Interpreti magistrali, scenari eccellenti, colorati e volutamente teatrali, location statiche. Non osa registicamente come tutte le riprese di spettacoli teatrali, ma si lascia apprezzare. Eccezionali Enzo Turco e Totò, gli altri fanno dignitosamente il loro lavoro ma è chiaro che la commedia poggia tutto sull'estro dei due grandi attori.

  • Nonostante la trama semplice e anche piuttosto scontata (i soliti equivoci che alla fine vengono scoperti), questo film è un pezzo di storia del cinema italiano. Vuoi per la rappresentazione simile a uno spettacolo teatrale, vuoi per alcune scene memorabili come quella degli spaghetti, merita sicuramente di essere visto. ***

  • Classica commedia degli equivoci che gode della freschezza di un cast azzeccatissimo sul quale svetta, ovviamente, l'immenso Totò ben sorretto soprattutto da Enzo Turco. Alcune scene di questo film (la dettatura della lettera, la foto agli sposi, gli spaghetti in tasca, il gelato) sono davvero monumentali e annoverate tra le migliori dell'intera filmografia del comico napoletano. Unico neo una bella e giovane (ma già insopportabile) Sofia Loren. Non si può non vederlo almeno una volta.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Vincenzo m'è padre a me!!!".

  • Tra i primi film di Totò che vidi e che me ne fecero "innamorare". Il Principe è totalmente padrone della pellicola, tanto che, quando non è in scena, il film sembra crollare tra la noia. Enzo Turco fa da degno compare, nella "fame", nei "corteggiamenti" e nella farsa propinata al povero Semmolone, padre della sposa credulone e alquanto citrullo. Ottimi anche gli altri personaggi, ad eccezione di una Sofia Loren troppo fredda in alcuni momenti. Irresistibile.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: L'entrata in scena dei falsi nobili, la tarantella con gli spaghetti in mano e in tasca.

  • Uno dei migliori film con Totò, in cui le gag non sono create appositamente per il Principe della risata come (troppo) spesso è successo altrove a discapito della trama: la pellicola risulta così molto godibile dall'inizio alla fine. Infatti qui Totò non è il mattatore assoluto, anzi; e proprio per questo quando egli compare sulla scena il tutto assume (ovviamente) ancora più valore. Notevole poi il contorno attoriale: Enzo Turco è molto più di una semplice spalla, Sophia Loren bella e austera, Valeria Moriconi in disparte ma incantevole.

  • Tratto da una commedia di Scarpetta. Totò e la sua compagnia riescono a mettere su, grazie anche al regista Mattoli, un film che in fondo è fatto a teatro, con il risultato di dare vita a un capolavoro del genere, che oltre a una infinita serie di situazioni per ridere e sorridere (anche dopo mille visioni) porta con sé il messaggio triste ma vero di una impossibilità di sfuggire alla miseria per il tramite di espedienti o artifizi. La recitazione è quella tipica del teatro e quindi si può perdonare qualche virtuosismo. Memorabile.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Noi mangiamo sempre gelati, ogni giorno"; "600.000 lire, ma cosa sono 600.000 lire, ma chi li ha visti mai?!... in contanti"...

  • È la commedia teatrale italiana per eccellenza! Tutti gli attori (comici) hanno sognato di interpretare Felice Sciosciammocca almeno una volta in vita loro! La parte di Peppeniello (il figlio di Felice) è stata scritta da Scarpetta proprio per far debuttare sul palco il figlio Eduardo, che poi la metterà in scena nel '55 per onorare il padre... Totò è senza dubbio lo Sciosciammocca più indovinato della storia italiana! La maschera inventata da Scarpetta sembra scritta su misura per lui! Mitico!• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Peppeniello che dice a Don Gaetano: "Vincenzo m'è padre a me!".

Le incongruenze

  1. Quando Sciosciammocca (Totò) e' al lavoro al suo banchetto per scrivere le lettere a pagamento,un signore gli chiede un informazione, nelle inquadrature immediatamente successive si può vedere una penna che appare e scompare infilata nel calamaio.
  2. L'attore Enzo Turco entra nel teatro dove lavora come ballerina Gemma (Sophia Loren) e chiede di poterle consegnare un biglietto del suo spasimante, una lavorante gli indica Gemma dicendo "e' quella alta ,la bionda". Peccato che la Loren in questo film sia rossa di capelli.
  3. Sciosciammocca (Totò) deve fare la guardia alla macchina fotografica del suo compare e ne approfitta per tentare di fare una foto a due sposini. In questa scena l'obbiettivo della macchina a soffietto prima guarda in basso poi in alto poi ancora in basso senza che nessuno lo tocchi.
  4. Il giovane nobile va a chiedere aiuto alle due famiglie squattrinate perche gli interpretino i suoi famigliari. Nella scena Totò cade due volte nella seggiola spagliata, nella seconda da sotto il tavolo si vede le mani congiunte in grembo di Valeria Morriconi e immediatamente dopo (cambio di angolazione) le ha sopra il tavolo.
  5. Quando Totò ed Enzo Turco sono dalla Piemontese, Totò nasconde nella mano un biscotto dietro le spalle. Poi Enzo Turco comincia a morderlo e nel farlo morde anche la mano di Totò. Quest'ultimo ha dei sussulti ad ogni morso. Però il primo sussulto di Totò avviene troppo in anticipo... quando Enzo Turco ancora doveva dare il morso al biscotto. E' un errore di sincronismo fra i due attori.
  6. Totò è impegnato a fare il sostituto fotografo, quando fa scappare i due sposini, perché maltratta il cliente. In una inquadratura ha ricollocato a posto l'obbiettivo della macchina fotografica, che prima aveva staccato, ma nella scena successiva lo ha ancora in mano.
  7. All'inizio del film, sul palco del teatro, l'uomo fa comparire in primo piano il programma dello spettacolo all'improvviso, da un'inquadratura all'altra.
  8. Il padre di Gemma, appena arrivato il principe (Totò), gli dice che il fatto di vederlo gli fa credere che sia un giorno di festa. In realtà è veramente festa, proprio lui poco prima non si era arrabbiato con il cameriere tonto, proprio perché era festa.
  9. Il padre di Gemma raccoglie da per terra il cilindro di Totò, lasciando per terra il bastone, ma nell'inquadratura successiva ha entrambi gli oggetti in mano.
  10. Il cameriere tonto porge il cilindro ed il bastone a Totò. In un'inquadratura ha il cilindro nella mano destra ed il bastone nella sinistra, mentre nell'inquadratura seguente gli oggetti sono invertiti.
  11. All'arrivo nell'atrio della casa il padre di Gemma, Totò abbraccia la ragazza (proprio perché lei gli aveva detto che lo poteva fare solo in presenza del padre). In un primo piano entrambe le mani di Totò sono sulla schiena della ragazza, nel campo lungo la mano sinistra è sul braccio.
  12. Nella scena in cui un cuoco e due aiutanti arrivano a casa di Totò portando ogni ben di Dio, si vede che le mani di Luisella sono dapprima unite sulle gambe, nell'inquadratura successiva la donna ha le braccia conserte e in quella ancora successiva ha di nuovo le mani sulle gambe!
  13. I cuochi servono la pasta con tanto di sugo, ma quando Totò la mette in tasca e poi la tira fuori per fare finta di ballare, è completamente bianca.
  14. Quando il giovine nobile assegna le parti, decide che Enzo Turco Sarà suo padre e Totò suo zio, il "principe di Casador". Infatti quando il cuoco presenta Sua figlia Gemma (Sophia Loren) ai nobili, Totò dice rivolto a Turco "Che bel pezzo di nuora ti sei fatto!". Quando però, a tre quarti del film, il giovane nobile è all'esterno della casa del cuoco e si sta chiarendo col suo vero padre (lo spasimante della Loren), arriva il cameriere che dice "Signorino, suo padre il principe di Casador la desidera". Ma allora ha sbagliato ad assegnare le parti? Totò deve fungere da padre o da zio?!
  15. In molte scene ambientate in esterna, che poi in realtà simulano un ambiente esterno perchè sono girate all'interno di un teatro di posa, è possibile notare come le scenografie, gli sfondi siano in bianco e nero mentre il film è a colori. Lo si nota in particolare osservando gli sfondi delle scene che simulano i palazzi eccetera. Questo probabilmente è dovuto al fatto che il film fu girato originariamente in bianco e nero e "colorato" successivamente. Ho osservato attentamente le scene, particolarmente i primi 15 minuti del film, e mi sembra proprio che gli sfondi e le scenografie siano in banco e nero...

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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • Aldo Giuffrè, intervista di Alberto Anile, "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • "Miseria e nobiltà" e la fame degli italiani - Cinefilia ritrovata
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
  • «Tempo», 21 settembre 1940
  • Giulio Trevisani, «L'Unità», Milano, 3 ottobre 1953
  • Federico Frascani, «Il Dramma», 1 novembre 1953
  • «Cinema», 10 aprile 1953
  • «Gazzetta del Popolo», 20 aprile 1954
  • «Noi Donne», anno IX, n.17, 25 aprile 1954
  • E. C. (Ermanno Contini) «Il Messaggero», 23 aprile 1954
  • G.L.R. (Gian Luigi Rondi) «Il Tempo», 23 aprile 1954
  • Luigi Tupini, «Momento Sera», 24 aprile 1954
  • lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 29 aprile 1954
  • P.B., «Corriere d'Informazione», 30 aprile 1954
  • Giulio Cesare Castello, «Cinema», Milano, 15 maggio 1954
  • «Stampa Sera», 16 giugno 1954
  • «Corriere della Sera», 21 dicembre 1988
  • «Corriere della Sera», 10 luglio 1990
  • Isidoro Trovato, «Corriere della Sera», 17 dicembre 1999
  • Fabio Gallina, «La Gazzetta di Alba», 9 febbraio 2000