Siamo uomini o caporali
Totò Esposito
Inizio riprese: febbraio 1955, Studi Ponti - De Laurentiis
Autorizzazione censura e distribuzione: 2 agosto 1955 - Incasso lire 730.134.000 - Spettatori 5.000.918
Titolo originale Siamo uomini o caporali?
Paese Italia - Anno 1955 - Durata 94' - B/N - Audio sonoro - Genere Commedia / Comico - Regia Camillo Mastrocinque - Soggetto Antonio De Curtis - Sceneggiatura Antonio De Curtis, Camillo Mastrocinque, Vittorio Metz, Mario Mangini, Francesco Nelli - Produttore Alfredo De Laurentiis - Fotografia Aldo Tonti, Riccardo Pallottini - Montaggio Gisa Radicchi Levi - Musiche Alessandro Cicognini - Scenografia Piero Filippone - Costumi Gaia Romanini - Trucco Giuliano Laurenti
Totò: Totò Esposito, l' "uomo" - Paolo Stoppa: il "caporale" nei vari personaggi (Meniconi il capocomparsa, il fascista, il colonnello nazista Hammler, il colonnello americano Mr. Black, il direttore di Ieri, oggi, domani, il piccolo imprenditore lombardo) - Fiorella Mari: Sonia - Nerio Bernardi: lo psichiatra - Vincent Barbi: il segretario di mr. Black - Agnese Dubbini: la madre di Mimì - Mario Passante: il sergente tedesco - Henri Vidon: il medico tedesco - Gino Buzzanca: il regista del film su Nerone - Loris Gizzi: il tenore - Giacomo Furia: Nerone - Franca Faldini: Gabriella, la redattrice di "Ieri, oggi, domani" - Rosita Pisano: Filomena Ossobuco - Vinicio Sofia: Cesarino Ossobuco - Gildo Bocci: un testimone - Salvo Libassi: un redattore di "Ieri, oggi, domani" - Gianni Partanna: altro redattore di "Ieri, oggi, domani" - Sylva Koscina: l'aspirante attrice - Gina Rovere: una ballerina - Nicola junior: primo poliziotto
Soggetto
Totò Esposito è una comparsa teatrale che, stanco delle angherie che subisce quotidianamente dall'amministratore del teatro di posa in cui occasionalmente lavora, minaccia di uccidere il suo superiore: viene però bloccato e sbattuto in una clinica psichiatrica, perché considerato pazzo.
Allo psicanalista Totò racconta la storia della sua vita e di tutti i soprusi che gli sono capitati. La sua "odissea" - come la definisce lui stesso - inizia durante la guerra, quando sbarca il lunario mettendosi al servizio di quanti non vogliono o no possono attendere nelle lunghe file davanti ai pochi negozi aperti: Totò, per passare avanti agli altri clienti, ricorre a piccoli trucchi (li distrae verso un inesistente "puntino nero", suscitando in loro il dubbio che si tratti di un aeroplano; si traveste da gerarca fascista o da ufficiale nazista), ma viene scoperto da un milite fascista, che lo fa arrestare dai tedeschi.
Imprigionato in un campo di concentramento, Totò compie un furto al magazzino dei viveri degli ufficiali, distribuendo poi il cibo agli altri prigionieri, incluse le donne, che si trovano in un settore separato (addestra, a tale scopo, un pastore tedesco, che porta il cibo in un sacco alle prigioniere). Tra queste c'è anche Sonia, amica di Totò, il quale ne è innamorato e con la quale comunica ogni sera con un rudimentale telefono a barattoli. Dopo aver scoperto il furto, il colonnello nazista Hammler fa condurre tutti i prigionieri sulla piazza del campo di concentramento. Dopo una pernacchia che interrompe il suo discorso, dà un ultimatum di 15 secondi al colpevole della pernacchia, dopo i quali farà fucilare cento di loro. Totò si fa avanti, ma, un attimo prima di essere fucilato, è richiesto da un ufficiale scienziato, che ne ha bisogno del corpo per un esperimento. Lo scopo dello scienziato è quello di realizzare una macchina in grado di rendere gli uomini velocissimi, così da trasformare l'esercito tedesco in un'armata invincibile. L'esperimento crea però una grande confusione, e Totò ne approfitta per fuggire con Sonia.
I due giungono a Roma, dove Totò vive in una modesta baracca, il giorno in cui la città viene liberata dagli Alleati (4 giugno 1944). I due si stabiliscono nella baracca, dove Totò prova a far capire a Sonia l'amore che prova per lei, cantandole la canzone, scritta appositamente per la propria amata, "Còre analfabbeta". Sonia, tuttavia, non manifesta interesse, ma intanto i due vengono assunti al teatro gestito dai soldati americani, sotto la direzione del colonnello Black. Il colonnello punta soprattutto a Sonia, di cui si invaghisce: dopo lo spettacolo (im cui, con Totò, recita nella celebre "E llevate 'a cammesella"), la chiama nel suo ufficio, a prima vista per congratularsi con lei, ma, in realtà, per insidiarla. Totò, insospettitosi, interviene appena in tempo e i due lasciano, nauseati, il teatro americano.
Poco dopo, Totò viene contattato dal direttore di un periodico (Ieri, oggi, domani), il quale lo convince a firmare un memoriale nel quale asserisce di essere stato testimone oculare di un delitto avvenuto tempo prima, delitto a cui, in realtà, Totò non ha mai assistito. Il direttore e i suoi stretti collaboratori cercano di sfruttare l'ingenuo Totò per incrementare la vendita delle copie del periodico, ma Sonia gli fa capire la verità. Per evitare che ritratti, il direttore e gli altri giornalisti sequestrano Totò nella camera dell'hotel dove alloggia, lasciandolo in sola biancheria. Totò riesce però ad entrare, passando per il cornicione e poi attraverso la finestra, nella camera accanto, dove trova un abito da donna. Uscito in strada, viene scambiato per una prostituta e portato al commissariato per accertamenti. Qui, proprio mentre cerca di chiarire l'equivoco con il commissario, giunge il direttore di Ieri, oggi, domani, che, giocando abilmente sul travestimento che ha addosso Totò, lo fa passare per persona poco credibile e lo denuncia per truffa, così facendogli scontare alcuni mesi di carcere.
Al termine del colloquio, il medico capisce le angherie che il povero Totò ha subito in vita e lo lascia andare via. All'uscita, Totò trova inaspettatamente Sonia, con la quale, dopo l'uscita dal carcere, si era perso di vista. La gioia di aver ritrovato la propria amata è però subito spezzata quando lei gli presenta suo marito, un ricco industriale milanese: per Totò è l'ennesima beffa della sua vita.
Critica e curiosità
Paolo Stoppa interpreta tutti i "caporali": il direttore del teatro, il soldato fascista, il criminale nazista, l'ufficiale americano, il giornalista senza scrupoli e l'imprenditore lombardo. Inizialmente avrebbe dovuto interpretare la stessa persona nelle diverse vesti professionali e sociali assunte dal fascismo al dopoguerra, come sarà per Totò, che infatti è sempre lo stesso, ma la censura temette che in tal modo si sarebbe raffigurata la classe dominante come opportunista e trasformista, ancor più senza scrupoli, capace di cambiare colore a ogni giro di boa.
L'Italia degli anni cinquanta aveva assunto la legge del 1923, senza avervi apportato modifiche importanti. Le sceneggiature venivano consegnate dai produttori cinematografici, prima che il film avesse inizio. Le motivazioni sono comprensibili: evitare il danno causato dall'eventuale censura o dall'aver urtato la suscettibilità di parte della classe politica di governo e di opposizione.
Siamo uomini o caporali, nonostante i tagli, se letto attentamente, conserva la forza della satira. Sono numerose le scene tagliate, sia quelle di «signore nude, indossatrici semi svestite» ma anche di frasi come: «questi ministri (...) sono brutti, brutte espressioni, brutti visi»; mentre la frase «si stava meglio quando si stava peggio» è riuscita a sopravvivere nella versione finale del film
Nel film Totò canta la canzone Còre analfabbeta, da lui composta, e quella d'avanspettacolo E llevate 'a cammesella. Il titolo del film nasce da un'espressione usata sei anni prima in Totò le Mokò. Venne sottovalutato dalla critica dell'epoca che non ne riconobbe il talento, vedendo solo la figura comica, senza riuscire a comprendere come la comicità potesse, anche, essere un espediente, come lo era già stato nell'avanspettacolo.
È uno dei primi film italiani, visto l'anno della sua uscita, il 1955, a trattare, seppur nel breve spezzone e con sarcasmo, la tragica realtà del lager. Basti pensare che Kapò è uscito nel 1959.
Così la stampa dell'epoca
Nell'estate del '54 l'attore annuncia che Franca e lui avranno presto un erede: lo battezzeranno col nome Massenzio o di Teodora, dai nomi dei gloriosi antenati bizantini. Massenzio nasce prematuro, il 12 ottobre '54 e vive solo poche ore. Per Franca e Antonio, perseguitati anche dalla condanna dei perbenisti, sono settimane di disperazione. Per qualche tempo Totò evita i teatri di posa. Quando torna sul set, il suo lavoro sembra risentire di una nuova tristezza. Siamo uomini o caporali?, diretto da Mastrocinque tra febbraio e marzo del '55, vorrebbe essere il suo film-manifesto e non a caso porta lo stesso titolo della sua malinconica autobiografia.
Alberto Anile
In 'Siamo uomini o caporali' Totò ha un poco ritrovato se stesso, dopo essersi perduto dietro a tutta una serie di farse scucite e sciatte, prestandosi ad esibirsi nei lazzi più risaputi. [...] Certo, il soggetto, che è dello stesso Totò, si poteva prestare a ben altro tipo di satira [...]
Aldo Scagnetti, 1955
Il più recente, e non tra i peggiori, film di Totò è questo «Siamo uomini o caporali» (1955) che il regista Mastrocinque ha diretto con particolare cura forse per farai perdonare i peccati di tanti film raffazonati assai disinvoltamente. Il soggetto è dello stesso Totò che, gli sceneggiatori Metz, Nelli e Mangini aiutando, vuol riproporre l'eterno contrasto tra chi ubbidisce e chi comanda, o se volete, tra i fessi e i furbi: insomma, per dirla con Totò, tra gli «uomini» e i «caporali». In chiave farsesca naturalmente, ma non senza una sua spicciola filosofia, amara come la conclusione che vuole l’uomo soccombente di fronte al caporale. Ed ecco Totò, preso per pazzo, raccontare allo psichiatra tutti i suoi guai per cui in guerra, in campo di concentramento, nella vita civile, e persino in amore, ha sempre finito per trovarsi alle prese con i «caporali» e per averne ogni volta la peggio.
Il film non nasconde le ambizioni satiriche che vediamo esercitarsi anche contro aspetti attualissimi del nostro costume (Totò, «figlio del secolo», coinvolto in una vicenda che potrebbe anche ricordare II caso Montesi). Ma la satira rimane a fior di pelle e non sempre è di buon gusto; e, per strappare la risata, si preferisce ricorrere a trovate ed espedienti già collaudati. Però — e anche qui si nota un progresso — ci s'affida meno alla volgarità e lo stesso Totò, efficacemente sostenuto da Paolo Stoppa che via via impersona i vari «caporali», appare meno convulso ed esagitato del solito. In alcuni momenti il suo viso si atteggia in una maschera cosi umana che fa rimpiangere le occasioni perdute da questo grande attore comico.
«La Stampa», Torino, 27 agosto 1955
"IMBECILLISMO E CAPORALIMO"
Petrolini e Totò filosofi
Diceva Gustavo Flaubert che «l'imbecillità è una fortezza inespugnabile: qualunque cosa v'urti contro invariabilmente si spezza». Imbecilli si nasce imbecilli ai cresce; imbecilli si va all’altro mondo. E tuttavia la vita vi dimostra che no gli imbecilli, molte volte troppe volte, ad aver ragione. I meno dotati sono coloro i quali navigano col vento in poppa. Gli intelligentissimi, novanta volte su cento, sono soltanto dei poveri naufraghi. Una spiegazione? Difficile darla. Forse la provvidenzialità di Madre Natura, la quale conferisce il bernoccolo della «praticità» a coloro che non dotò il cervello sopraffino. «Caporalismo», come sinonimo accettato di ottusaggine, di grossolanità, di zoticume, di balordaggine spinta al parossismo l’ha centrato un comico illustre, che ha fatto sganasciar dalle rìsa tutto il mondo. L'ha centrato in pieno Totò. Totò filosofo dice : «Siamo uomini o caporali!».
Petrolini alla sommità del suo «imbeclllismo», supremamente geniale e lapidatore, aveva issato il «perchè si» di Fortunello, che rispondeva a tutti i «perchè» di questo mondo Petrolini sapeva essere sulla scena supremamente imbecille quando la macchietta, quando il personaggio lo esigevano. Perchè, per saper essere imbecilli a comando, bisogna essere superlativamente intelligenti. Non c’è imbecille autentico che sappia far l'intelligente, mentre è vero il contrario.
Dunque: uomini o caporali, tout court. Ripensiamo ai casi nostri. Avevamo sedici anni, eravamo all'ultimo anno della «grande» guerra e voi, che avete fatto l'imbroglietto alle verità anagrafiche, siete riusciti ad arruolarvi volontario. Il dragoncello, il soldatino semplice lo avete fatto, in guarnigione, pochi giorni. Quant'è bastato perchè un caporale classico, ignorante come una cocuzza, un bel giorno, vedendovi «fuori ordinanza», sapendovi un «fringuellino» studente di liceo, il quale di sua propria volontà era venuto alle armi e aveva chiesto di partir per il fronte con «un altro» squadrone in partenza, vi «schiaffa» in iscuderia. E voi doveste obbedire perchè il caporale era «un vostro superiore e basta!» Al fronte, il capitano comandante lo squadrone (che non aveva cervello) raccoglie gli «studentini» volontari e dice loro: « Non avete mani per fare un buon servizio dì uomini di truppa. Avete il titolo di studio il vostro posto è al Corso Allievi Ufficiali. Sarete ufficiali eccellenti: sareste pessimi dragoni di truppa». Un tenente colonnello contabile vi incontra poi un giorno (mentre eravate a Roma in attesa di nomina a sottotenente), in attillata divisa di allievo e con la «cravache» in mano. Vi chiama vi «cicchetta» in pubblico per la «cravache».
Era, benché, tenente colonnello, un eterno caporale, che perfino non capiva come in Cavalleria si potesse andare... anche a cavallo. E questo, proprio questo vuol dimostrare Totò col suo soggetto che — mi dicono — vi farà conoscere un Totò attore quale mai lo avete veduto, inteso, supposto. Siamo uomini o caporali? E’ vero: a un certo momento tutti vi sarete trovati di fronte a un cervello grosso di caporale, anche fuor delle armi. Il vostro «principale» in ufficio, una testa dura come un macigno, il quale v'ha obbligati a fare cose supremamente imbecilli e dannose addirittura per l'ufficio. E, se voi gli avete detto «Badi, Cavaliere, io credo che,..», quello vi avrà fatti licenziare in quattro e quattr’otto. Un Totò che cerca lavoro perchè la fame lo assilla: e, quando lo trova, un «caporale» (tutti i suoi antagonisti caporali avran la perspicacia, di un Paolo Stoppa) gli attraversa la strada. E' un timido e disgraziato, questo protagonista «uomo»: è innamorato alla follia di una bella figliola, a cui dà vita Fiorella Mari. e mai saprà dirle che l’ama. S’adatta a far la comparsa e un «caporale» lo perseguita; perfino, per opera di un «caporale», sarà condannato dai tedeschi (un inciso dell’ultima guerra) alla fucilazione. E un Santo lo salva. Tutt'una vita «attraversata » dall'imbecillità prepotente dei caporali e, quando finalmente crede di aver migliorato un po’ il suo destinaccio, trova la forza per decidersi a dichiarare il suo amore alla bella figliola, ecco che che lo ultimo «caporale», un giovanottone di più o meno belle speranze, gliela porta via.
Ho evocato Petrolini : «Peppe er Pollo» o « Chicchignola»? Certo è che una fotografia di Totò, il quale suona la chitarra accanto a colei che ama in «Uomini e caporali», vi dà una maschera di Totò così umana, cosi sofferta e, nel tempo stesso dissimulante per necessità di «pathos» da richiamarvi la maschera del grande Ettore quando, cieco, nel «Cortile» di Fausto Maria Martini, contava una dolorosa serenata alla sua bella : «Ohi Marì, ohi Marì, quanto suonne aggio perso pe’ te !... »
Leone Latino, «La Nuova Gazzetta di Reggio», 28 agosto 1955
«Noi Donne», anno X, n. 34, 28 agosto 1955
LA TRAMA
Totò, creduto pazzo, racconta allo psichiatra come, durante tutta la sua vita, egli è stato vittima dei prepotenti, ch’egli chiama « caporali ». Era stato proprio un caporale, egli racconta, a denunciarlo ai tedeschi, durante la guerra, e a farlo finire in un campo di concentramento. Qui Totò s’innamora di una ragazza, Sonia, e riesce a procurarsi nascostamente un po’ di cibo, finché un altro caporale, il comandante del campo non lo condanna alla fucilazione. Un contrordine, dato da altri « caporali », fa di Totò una vittima per gli esperimenti atomici. Finita la guerra Totò e Sonia, miracolosamente sopravvissuti, raggiungono Roma occupata dagli alleati. Qui Totò trova lavoro, dopo molte peripezie, in uno spettacolo destinato alle truppe, ma un nuovo * caporale », il manager, insidia Sonia, che si ribella. Cosi essi tornano in miseria. Venuta poi l’epoca dei memoriali Totò si lascia convincere a firmarne uno, ma un altro « caporale », un direttore di giornale, lo caccia in un mare di guai. Raccontando cosi al medico tutte le sciagure della sua vita Totò lo convince che è perfettamente savio. Viene lasciato uscire dalla clinica, ma qui una sorpresa lo attende: Sonia ha trovato un altro, un «caporale».
«Vie Nuove», anno X, n. 34, 28 agosto 1955
E’ l'ultimo film di Totò prodotto da Alfredo De Laurentis per la Lux Film su soggetto di Antonio De Curtis (Totò). Prendendo lo spunto da una famosa battuta già sfruttata in un suo spettacolo di rivista, Totò narra la storia di un uomo che deve combattere nella vita contro i «Caporali» coloro cioè che par si divertano ad opprimere i poveri diavoli col peso della loro autorità.
Storia patetica e spassosa nel medesimo tempo.
Colla regia di Mastrocinque, e colla brillante sceneggiatura di Vittorio Metz, Nelli e Mangini, Totò e Camillo Mastrocinque ci troviamo di fronte alla brillante interpretazione del bravo Totò, di Paolo Stoppa, di Fiorella Mari, Franca Faldini, Nerio Bernardi, Agnese Dubbini, Gino Buzzanca e Loris Gizzi.
Un film da vedere per farsi un po’ di buon sangue in questi tristi tempi del giorno d’oggi.
«Corriere Biellese, 1 settembre 1955
Le trombe squillarono, i littori alzarono i loro fasci, mentre due schiave aprivano la pesante tenda, annunciando: « L’imperatore! ». L'ometto che apparve al sommo della scala, non aveva proprio nulla di regale e, oltre a tutto, non era affatto vestito da antico romano: portava ,un modesto vestito dei nostri giorni e teneva in mano un cappello in segno di saluto.
« Chi è quell’imbecille? », gridò il regista, interrompendo la scena del film che stava girando sui fasti dell’antica Roma.
« Sono io! », rispose Totò Esposito, l’ometto. « Scusino tanto, non sapevo che fosse occupato ».
« Pezzo d’animale, delinquente, incosciente», sbraitò il regista. « Ma lo capisci o no che ci hai rovinato la scena? Ma che sei venuto a fare? ».
« Mi hanno detto che occorrevano delle comparse per il film di Napoleone, ed eccomi qua. Non c’è mica bisogno di arrabbiarsi tanto, sa! Tutti abbiamo una casa, poi, in fondo! ».
Venne subito chiamato il capogruppo Meniconi, addetto alle comparse di Napoleone.
« Ma caro Meniconi, stiamo attenti! Qui c’è una comparsa del suo gruppo che, dopo aver rovinato una scena, si permette pure di rispondere-», disse il regista.
« Mo’ lo scarico subito. Ahò, ma che sei matto? Chiedi scusa al dottore, vie’ via! », cominciò a gridare Meniconi, afferrando Totò per il bavero della giacca.
« Giù le mani, giù le mani. Un po’ di rispetto, perbacco! Voi non sapete con chi parlate. Io sono un grande attore! Non bisogna approfittare della crisi del teatro! I miei successi sono proverbiali: alla Scala di Milano:.: all’Ippodromo di Londra!».
« Ma che me ne frega! Scusate, dottò, non succederà più », disse Meniconi, afferrando Totò.
Il povero Esposito si aspettava di essere cacciato sui due piedi, ma Meniconi, con tono sufficiente di superiorità, gli disse: « Io ti vorrei scaricare dopo quello che hai fatto oggi. Ma sono buono, de core, io conosco tutti e te vojo perdonà », e gli ordinò di andare a indossare la divisa da guardia napoleonica.
« Che bellezza, sono caporale. Anch’io sono caporale! », esclamò Totò, fregandosi le mani, quando si fu vestito.
Ma era destino che dovesse guastare l’ingresso dell’imperatore romano, infatti ancora una volta sbagliò teatro di posa, rovinando la scena. Meniconi, subito accorso, investì il malcapitato che cercava di giustificarsi.
« Ma io te scarico da qui, te scarico da tutti gli stabilimenti d’Italia », sbraitava contro Totò. « Ohè, ohè, tutti possiamo sbagliare, perbacco! ».
« Ma io ti faccio arrestare, capito? ».
« Ah, sì, ma io ti ammazzo », urlò Totò, fuori di sé, estraendo lo spadone dal fodero. « Abbasso i caporali, abbasso i caporali! ».
Ia conseguenza di tutto questo fu il suo ricovero immediato all’infermeria dello stabilimento cinematografico. Il dottore gli provò i riflessi, notando, stupito, che, picchiando su una gamba, era l’altra che si alzava. Quando i due infermieri furono usciti, il dottore, con tono amichevole, invitò il suo strano paziente a raccontargli che cosa si sentisse e che cosa gli era capitato.
« Perché lei è saltato addosso a quel disgraziato, che non le aveva fatto alcun male? ».
« Uhm, lo dice lei. Dottore, deve sapere che da sempre il caporale mi perseguita ».
« Il caporale? Era suo caporale sotto le armi, forse? E allora perché lo chiama caporale? ».
« Perché ha la faccia del caporale! Dottore, mi spiego. L’umani.. tà io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e Caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza. Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare tutta la vita come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama. I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno, li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque. Dunque, dottore carissimo, ha capito? Caporali si nasce, non si diventa. A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi... pensano tutti alla stessa maniera ».
« Perbacco », approvò il dottore.
« La sua definizione è esatta... non ci avevo pensato ».
« Lo vede dottore? Sono pazzo? ».
«Pazzo? Più savio di così, si rischia d’impazzire », disse il dottore, scuotendo la testa. « Ha proprio ragione. Maledetti caporali! Senta, quello che lei mi stava dicendo è molto interessante. Continui ».
« Dunque », cominciò a raccontare Totò, « la mia odissea s’inasprì durante la guerra. C’erano i tedeschi, ma non c’era niente da mangiare. Davanti a quei pochi negozi aperti, si faceva la fila... ».
Totò si era specializzato nel fare la fila per gli altri, dietro modico compenso, ed era abilissimo nel passare avanti, mediante ingegnosissimi trucchi. Sulla porta del negozio stava il milite che regolava l'afflusso dei compratori, e ogni tanto minacciava qualcuno di galera, con la tracotanza, appunto, di un caporale!
Totò aveva appena fatto la fila per un cliente, quando venne avvicinato da una signora, che gli disse: « Sentite, io ho visto che c’è molta gente e ho paura di non fare in tempo per l’olio, me lo potete prendere voi? Non ci vorrà molto tempo? La fila è lunga! ».
«Nooo! Signora, io da borghese sono attore, ho i miei sistemi. Conosco i miei trucchi. Vengo subito! », si allontanò e tornò poco dopo con un vistoso berretto da gerarca sul capo, un impermeabile chiaro, e un paio di gambali lucidi. Entrò nel negozio senza fare la fila, salutato romanamente dal milite, e ne uscì con i fiaschi d’olio. La signora lo ringraziò vivamente e gli presentò una sua amica che voleva anche lei l’olio, senza fare la fila. Totò si allontanò nuovamente per tornare di lì a poco, dopo aver sostituito il berretto fez con un berretto da ufficiale tedesco. Ma questa volta non gli andò liscia. Scoperto dal ”caporale”, venne immediatamente arrestato.
Inviato in un campo di concentramento tedesco, vi aveva conosciuto una prigioniera, Sonia, e aveva preso a proteggerla, procurando a lei e alle sue compagne il cibo che riusciva a sottrarre agli stessi tedeschi.
« Sei troppo imprudente », l’ammoniva la ragazza. « In fondo cosa sono io per te? Una semplice compagna di sventura, conosciuta tra i reticolati ».
« Cosa vuol dire questo, cara Sonia, io mi sono seriamente affezionato a te ».
« Anch’io mi sono affezionata a ;e. Sono sola al mondo, lo sai? ».
« No, Sonia cara! Tu non sei più sola, ci sono io per te, anch’io so-
no solo al mondo. Senti... quando saremo liberi, se lo saremo, tu verrai a Roma con me, eh? A casa mia. Non è una reggia, è una bella casetta piena di comodità e poi c’è una vista meravigliosa, tu vedessi. Vuoi? ».
«Sì, caro! Se tu vuoi così!».
In questa atmosfera quasi idilliaca, un giorno si intromise il solito "caporale”, questa volta sotto le spoglie di un colonnello tedesco. Dopo aver radunato tutti i prigionieri nel cortile, tenne questo discorsetto: « Qualcuno di voi forse ancora non mi conosce! Avrà certamente sentito il mio nome: io sono il colonnello Hammler! Al solo nome di Hammler, in tutti i campi di concentramento nazisti passa un brivido di terrore. Dei fatti inauditi sono avvenuti qui, qualcuno di voi, per sua fortuna ancora non individuato, ha osato persino rubare dei viveri destinati alle truppe germaniche; vi avverto però che d’ora in poi in questo campo sarà mantenuto il regime più duro e spietato; e se qualcuno di voi si permetterà ancora di violare i regolamenti, conoscerà a sue spese il metodo deH’inflessibile colonnello Hammler! ».
Aveva appena finito di parlare che una potente pernacchia fece eco alle sue parole. Il colonnello si infuriò e urlò che se non fosse venuto fuori subito il colpevole, avrebbe fucilato cento uomini. Alla minaccia, Totò si fece avanti.
Preso immediatamente tra due soldati, venne portato davanti al muro di cinta del cortile per essere fucilato. Ma, quando ormai sembrava che non ci fosse più bulla da fare, un capitano medico si avvicinò ai colonnello e confabulò con lui. Il risultato di questo colloquio fu che Totò venne portato in una baracca. Ma non era stato graziato, come lui pensava, bensì era stato prescelto per alcuni esperimenti atomici. Venne fatto sedere su una poltrona da cui partivano numerosi fili e manopole e venne innestato il contatto. Ma, miracolosamente, l’uomo, non solo rimase indenne, ma atomizzò i suoi aguzzini e, approfittando della confusione creatasi, corse da Sonia e fuggì con lei. Attraversarono campi, valicarono monti, si servirono dei mezzi di locomozione più svariati e, dopo tutte queste peripezie, arrivarono finalmente a Roma, nel momento in cui la città veniva liberata dagli alleati.
Giunti a casa, Sonia non riuscì a nascondere un moto di delusione: sapeva che non era una reggia, ma quella era proprio una baracca. In ogni modo era sempre qualcosa, per una che non aveva niente. Totò le fece da guida, mostrandole le comodità, con visibile orgoglio; poi prese una chitarra dal muro e le cantò una graziosa canzone che aveva composto per lei. Quand’ebbe finito, la fece accomodare nel suo letto, e lui andò a dormire nella cuccia col cane.
Ormai si sentiva arrivato, pieno di coraggio. E nei giorni che seguirono, cercò disperatamente lavoro. Bussò a tutte le porte e finalmente una mattina ricevette un espresso in cui lo si invitava a presentarsi in un teatro dove si allestivano spettacoli per le forze armate americane.
« Ci siamo », annunciò a Sonia, felice. « Gli americani hanno scritto. Il contratto, io e te, lavoriamo
a teatro: Totò e Sonia, duettisti ».
« Teatro? Ma io non so fare niente in teatro ».
« Cosa vuol dire. Non ti preoccupare, ci penso io. T’insegnerò io.... Tu ballerai, canterai, farai tutto! ».
Nella sala d’aspetto del teatro, c'era molta gente che aspettava impaziente. Totò era seduto proprio vicino a un donnone che aveva accompagnato la figlia assai avvenente.
«Sono artisti anche loro?», chiese il donnone. «Coppia di ballo? ».
« No, duettisti. Facciamo i duetti », rispose Totò.
« Meno male, perché mia flglia è ballerina, ballerina solista. Fa il classico e il moderno... Mimi alzati! Fai vedere le gambe al signore! ».
« No, no, signora », protestò Totò, imbarazzato. «Lasci fare! Magari un altro giorno, veda! ».
Ma la donna fu irremovibile e fece mostrare alla figlia le sue magnifiche gambe.
« Con queste gambe è un’ora che stiamo facendo anticamera! ».
« Signora, ci vuole pazienza ». disse Totò, distogliendo a fatica
lo sguardo dalle gambe di Mimi. «Veda, anch’io, con queste gambe, faccio l’anticamera ».
Finalmente venne il loro turno e vennero introdotti nell’ ufficio del capitano Black, "caporale” di turno.
L’ufficiale, quando vide Sonia, si entusiasmò e si prodigò in mille complimenti, ignorando completamente il povero Totò e i suoi tentativi di farfugliare l’inglese.
La sera del debutto, il teatro era gremito di soldati che acclamavano a gran voce le ballerine che si esibivano sulla scena. Sonia tremava per la paura.
« Totò, ho tanta paura! ».
« Ho tanta paura, ho tanta paura! Cominciamo col dire che sei in errore, perché la paura non fa ottanta... la paura fa novanta. E poi paura di che? E poi, guarda
il pubblico... quattro soldati che vogliono solo divertirsi ».
E infatti il loro duetto ebbe un successo clamoroso. Mentre, in camerino, si struccavano, entrò l’americano che fungeva da segretario al capitano e invitò Sonia a recarsi dall’ufficiale.
« Shall I go? », chiese la ragazza.
« Come in, come in », insistette l’altro.
« Ci ha la gotta? », intervenne Totò, « Ah, ho capito, io sì, scusi tanto è un po’ emozionata, sa il debutto... », poi rivolto a Sonia, le spiegò: « Dunque dice così: che la comare di mister Black ci ha la gotta... Vai, vai... L’americano in fondo non è poi difficile ».
Sonia si recò dal capitano che, quando la vide, senza perdere tempo, tentò di abbracciarla. Alle grida della ragazza accorse Totò, infuriato.
« Non ti arrabbiare », gli disse Black, infilando una mano in tasca. « Io capisco tutto, no, fare affare, sì? », e fece l’atto di dare del denaro all’uomo.
«Per chi ci ha preso?», gridò questi. « Cosa crede che siamo noi? Sì, è vero, siamo della povera gente, ma questo non l’autorizza a mancarci di rispetto... Si vergogni... Ci può far picchiare, ci può fare arrestare, può fare quello che vuole,’ tanto il capo è lei, qui... ma si ricordi che qualunque cosa faccia, rimane sempre quel porco che è ».
Black, seccato, li mandò via, poi dal suo segretario si fece portare un’altra ragazza, che gli si sedette sulle ginocchia, senza perdere tempo.
Passarono alcuni anni e la storia di Sonia e Totò rimase confusa
con quella di tanti altri. Si ricostruiva, pian piano sparivano le tracce della guerra. Per molti era il ritorno alla normalità, per Totò furono anni difficili. La ragazza gli fu compagna in lunghi periodi di sconforto, di ansie, di speranze vane. Si giunse così all’epoca degli scandali e dei memoriali.
Una intraprendente giornalista della rivista ”Ieri - Oggi - Domani -Rivista di Attualità e Verità”, lo aveva invitato a recarsi alla direzione del giornale.
«Capirà, una foto su un rotocalco ». disse una ragazza formosa e attraente. «Può darsi che con questa faccenda io sfondi nel cinema ».
«Eh, questa ragazza nel cinema sfonda », assentì Totò, prendendola per una mano e facendola girare su se stessa.
Quando venne fatto entrare nell’ufficio del direttore, dall’aspetto inconfondibile del "caporale”, c’era anche un giornalista, che lo accolse con un mugolìo.
« Che spavento! Ma che vò? », chiese l’uomo.
« Non ci faccia caso, sa », spiegò la giornalista. « Il mio collega è muto ».
« Un giornalista muto? Che strano però! », notò Totò.
Il direttore lo colmò di attenzioni e, alla fine, venne al sodo.
« Dunque lei abita proprio vicino al luogo del famoso delitto. Bel posto, quello. Una vista magnifica, aria pura... E così la famosa notte del dodici marzo, lei ha visto passare una macchina nera ».
« Beh, vede, veramente io ho già detto alla signorina... ».
« Come? Lei non ha visto passare una macchina nera? Ma dico, signor Esposito, si rende conto della gravità di quello che dice? Lei mi sta sconvolgendo tutto il corso delle indagini. Signor Esposito, lei sta affermando che quella notte nessuna macchina nera é passata in quel posto ».
« Ma no, io non asserisco che non sia passata... Che io non l’ho veduta! ».
«Lei non può dichiarare di avere visto passare una macchina nera? ».
« No! ».
«Ma perché, scusi, lei nella sua vita, non ha mai visto macchine nere? ».
« Suvvia, signor Esposito, non menta! », intervenne la giornalista.
« Beh, si, ne ho viste tante ».
« Ah! Lei ha visto passare la macchina nera! », esclamò trionfante il direttore. E con quel sistema riuscì a fare ammettere a Totò di avere sentito anche un .urlo invocante aiuto e di avere visto il cadavere. Poi gli diedero da firmare un lungo memoriale e gli diedero anche un assegno. Quando Totò se ne fu andato, il direttore chiamò i suoi collaboratori e diede gli ordini.
« Signori, il nostro uomo ha firmato il memoriale! Provvedete che sia immediatamente installato in un grande albergo, che sia rimesso a nuovo, restauro generale. Dobbiamo fare di lui l’uomo del giorno, creandogli attorno un’atmosfera di mistero. Mi raccomando la massima sorveglianza, che nessuno l’avvicini fino all’uscita del memoriale, qualcuno potrebbe aprirgli gli occhi. Per la pubblica opinione, da questo momento è nato il figlio del secolo! ».
Da quel giorno Sonia e Totò abitarono in un magnifico albergo. Ma una sera, mentre erano a pranzo, due sposi, che avevano letto il memoriale sulla rivista, si avvicinarono per avere .un autografo. Fu cosi che Totò scopri quello che avevano scritto e pubblicato a nome suo.
« Adesso capisco il perché dei soldi, dell’albergo, del vestito... », disse Sonia. Totò si limitò a esclamare: « Perbacco! », poi si alzò e si avviò verso l'uscita. Ma le sue mosse erano state spiate dalla giornalista che lo fermò, proprio mentre stava per recarsi al Commissariato più vicino. Con l’aiuto di alcuni uomini che erano stati
assoldati per quel compito, la giornalista immobilizzò il povero Esposito e lo fece portare al giornale. Qui, per evitare che fuggisse, gli vennero tolti tutti i vestiti e fu chiuso a chiave in una stanza. Ma Totò riusci a scappare dalla finestra e andò a finire in un atelier, dove si stava svolgendo una sfilata di modelli. Indossato un abito femminile, pur di non dovere girare in mutande, Totò fu costretto a sfilare in passerella, cosa che fece con la massima disinvoltura. Poi uscì in strada, ma venne fermato e caricato sul carrozzone, dalla Squadra del buon costume, che lo aveva scambiato per una peripatetica. Venne portato al Commissariato, dove cercò di spiegare ogni cosa al funzionario di servizio.
«Dunque, deve sapere, dottore, che nei pressi della mia casa, è successo il delitto, ma la macchina nera, io però non l’ho vista. Lui mi diceva che in vita mia una macchina nera, avrei potuto vederla, non solo, ma sentire anche un urlo invocante aiuto... Eh, io dicevo di no, lui diceva di sì, sa queste cose come vanno a finire... mi ha fatto firmare un memoriale, dandomi anche dei soldi, perché io vedessi il cadavere... Dunque... Vivo con una ragazza che proteggo, e il cadavere nemmeno l’ho visto. Visto sì qualche macchina nera, e chi è che in vita sua non ha mai visto macchine nere. Scommetto anche lei chissà quante macchine nere ha visto, dottore, lo ammetta... ».
« Ma sì, lo ammetto, e poi? ».
« Oh, viva la faccia. Dunque che cosa è successo? Che siccome io ho visto delle cose, insomma che sono vicino al fiume, la casa perché io m’affaccio e vedo il mare, cioè il mare non lo vedo, ma vedo l’acqua del fiume che può essere come un mare... Tutto questo adesso hanno scritto sul giornale, che io sono testimone oculare della tragedia... Lei, dottore, di tutta questa faccenda, mi dica la verità e mi guardi negli occhi, che cosa ne pensa? ».
« Penso che la vittima sono io, perché non ho capito una parola di quello che ha detto ».
« Dottore, lei non è solo... ».
« Perché? ».
« Perché non ho capito niente neanche io ».
In quel momento entrò nell’ufficio il direttore del giornale, che era riuscito a rintracciare il suo uomo. Per paura che Totò lo denunciasse per la faccenda del memoriale estorto, corse ai ripari e denunciò lui il poveraccio, dicendo che gli aveva venduto delle notizie, risultate poi false.
« Signor Commissario, costui ha venduto al nostro giornale un memoriale, asserendo delle falsità sul delitto del fiume, qualificandosi testimone oculare, pretendendo e
intascando ,un esoso compenso, mettendo per condizione di essere alloggiato in un grande albergo. E quando ha capito di essere stato scoperto, per sfuggire alla giusta punizione, ecco con quale travestimento tentava la fuga. Sporgo denuncia per truffa con raggiro, millantato credito, abuso di fiducia, appropriazione indebita... ».
E fu cosi che, per colpa del famigerato "caporale”, mi feci " anche tre mesi di carcere. Questa è la mia storia, dottore, nella quale credo che non ci sia niente di nuovo », concluse Totò. « Storia che si ripeterà finché sulla faccia della terra esisteranno gli uomini e i caporali ».
« La sua teoria non fa una grinza », ammise il dottore. « Ho imparato più da lei che in vent’anni di professione. Sono veramente lieto di questo incontro ».
Totò uscì dallo stabilimento cinematografico e trovò Sonia ad aspettarlo. Da quando era stato messo in galera, non l’aveva più vista; quasi cinque mesi, ormai. Lei l’aveva cercato, quella sera, ma nessuno aveva saputo dirgli dove era finito.
« Credevo che tu mi avessi dimenticato », disse l’uomo. « Ma lasciati guardare! Come sei elegante, come sei chic ».
«Tante cose sono cambiate, sai? Anzi, devo dirti una cosa che ti farà piacere... Vieni, ti presento mio marito », e lo portò vicino a una lussuosissima macchina americana, al volante della quale stava il "caporale”.
« Sai, Totò, l’ho conosciuto... ».
« Non mi dire niente, non mi dire niente, vai, hai fatto bene ».
« Lei deve venire in villeggiatura a Portofino, quest’estate », lo invitò il marito.
« No », rispose secco Totò.
« Ma perché? ».
« Mah! ».
« Beh, se passa di là, ci venga a trovare », disse il caporale, mettendo in moto la macchina.
« Arrivederci, Totò », salutò Sonia.
Totò Esposito non rispose nemmeno, rimase a guardare la macchina che si allontanava, con una espressione di infinita tristezza negli occhi.
Stefania Mauri,«Novellefilm», n.402, 3 settembre 1955
Meglio elaborato del soliti film con Totò, questo "Siamo uomini o caporali", di Mastrocinque, che prende le mosse dall'interrogativo reso di nuovo famoso dal popolare comico, stavolta però il protagonista non interroga, ma asserisce: siamo uomini o caporali. Ed afferma che gli uomini si dividono in due categorie. Una esigua minoranza di «caporali» ed una moltitudine di uomini qualunque che li subiscono. Poi narra le sue peripezie ad uno psichiatra, dai tempi difficili della guerra, quando aveva da fare con caporali autentici, italiani e tedeschi, agli anni successivi durante i quali quegli esseri abominevoli portavano altre uniformi.
Ma «caporali» nell'animo se ne trovano anche fra i borghesi, e Totò ne incontra uno sotto forma d'un direttore senza scrupoli d'un giornale scandalistico, il quale lo trasforma in «figlio del secolo», destinato a finire in gattabuia. Tutti questi «caporali» che rendono grama l'esistenza di Totò, hanno il ghigno di Paolo Stoppa. Entrambi in ottima forma, costituiscono una coppia riuscita, alla quale si unisce la graziosa Fiorella Mari. La quale, adorata dall'uomo qualunque, finisce naturalmente fra le braccia del «caporale». Finale patetico, ma senza dubbio coerente, d’un film esilarante.
«Corriere della Sera», 3 settembre 1955
Il mondo è costituito nella grandissima maggioranza di deboli, i quali si imbattono sempre in qualcuno più fortunato o più furbo per averne la peggio. Questi tartassatori sono i «caporali» della vita, quelli che comandano ai poveracci. In tutti i campi e In tutte le circostanze. L'ingiustizia e la fatalità ispirano il film «Siamo uomini o caporali» nel quale Totò è vittima dei soprusi della immancabile figura del gallonato dell’esistenza riuscendo talvolta a fargliela, ma a cui finisce per soccombere durante e dopo la guerra, mandato in un campo di concentramento e persino in manicomio.
[...]
Se non che il film, diretto da Camillo Mastrocinque, si sperde presto in una commedia comica nella quale il tema Iniziale riaffiora soltanto alla fine, commedia interpretata nelle parti principali anche da Fiorella Mari, da Nerio Bernardi e da un Paolo Stoppa al quale riescono ottimamente le molte trasformazioni di personaggio.
«Corriere dell'Informazione», 3 settembre 1955
Il pubblico si è trovato di fronte a una opericciola con gusto e bonario compiacimento ironico-satirico, senza gravi cedimenti, ma anzi congegnata su una serie di trovatine, se pure non eccessivamente originali, tuttavia sufficientemente estrose e piacevoli. Alle facili battute del dialogo il pubblico ride e si diverte, non dimenticando, nel suo spasso, l'interpretazione gustosa e sapida del suo beniamino Totò.
Vice, «La Voce Repubblicana», Roma, 4 settembre 1955
«Il mondo - dice Totò - è diviso in due grandi parti: gli uomini e i... caporali. I primi sono la maggioranza, i secondi la minoranza ma vogliono ugualmente comandare facendo la “faccia feroce”». Così, nel film “Siamo uomini o caporali”, diretto con brio da Camillo Mastrocinque, [...] Il film, che ha un finale patetico, vuol essere, come si vede, una satira. Ma è una satira che non va avanti solo in chiave di farsa: ci sono annotazioni e situazioni dolorose nelle quali Totò si rivela un grande attore.in altre parti è il solito ”mimo” che conosce l'arte di far ridere. Certa lentezza di ritmo nella regia è superata da una recitazione accurata di tutti i personaggi a cominciare dal dinamico Paolo Stoppa che appare sotto molteplici aspetti... caporaleschi.»
Vice, «Momento Sera», 4 settembre 1955
Siamo uomini o caporali non è evidentemente per Totò, autore del soggetto e collaboratore alla sceneggiatura, soltanto una battuta, esprime bensì una teoria che il popolare comico, capitato in un manicomio dopo aver combinato un sacco di guai a Cinecittà, ha modo di chiarire col dottore che lo esamina. Non si tratta dei terribili "caporali di giornata", ma di tutti quegli uomini che, qualunque posto nella vita occupino, (e generalmente sono quelli di comando), vanno avanti con la mentalità del caporale che è così tipica, così definita che, qualunque posto nella vita e una vittima in ogni contingenza umana; e, nel film in questione Stoppa è il caporale, Totò è la vittima e le situazioni sono varie, a Cinecittà, durante il periodo bellico, in un campo di concentramento tedesco, durante l'occupazione Americana a Roma, nel periodo del dopoguerra caratterizzato dall'uscita dei "memoriali".
Lo spunto era abbastanza buono, come pure le intenzioni satiriche che ne sono alla base, ma di questa materia ben poco convincente è riuscito a farne Mastrocinque, qui non perdoniamo quel finale così dichiaratamente chapliniano, risolto in maniera del tutto infelice e con molto poco gusto. Saper copiare, almeno! Un discorso a parte va invece fatto per gli interpreti: bravissimo Stoppa nelle varie caratterizzazioni misurato e sufficientemente comico Totò, spontanea e suadente la brava Fiorella Mari, un po' acerba in verità, ma ricca di buone possibilità.
«Il Tempo», 5 settembre 1955
Secondo una semplicissima teoria che Totò espone in questo film il genere umano si divide in due categorie: quella degli uomini e quella più ristretta dei caporali. I primi lavorano, si affaticano e sono tiranneggiati per tutto il corso della loro esistenza; gli altri sono quelli che comandano e che - dotati di una naturale faccia tosta - riescono sempre a dominare incontrastati.
Qui l'uomo e Totò e il suo caporale Paolo Stoppa, che lo tiranneggia e lo segue come un'ombra durante il periodo fascista nelle vesti di un caporale della milizia, nel campo di concentramento dove è diventato un colonnello tedesco durante l'occupazione quale capitano delle truppe americane, capo gruppo degli studi cinematografici e infine quale ricco industriale che porta via al povero Totò la ragazza che amava. Resta così al nostro «uomo» soltanto l'amarezza di sentirsi tale e di aver trascorso una vita intera come schiavo.
Il film che vuole riecheggiare in tono minore un altro film presentato alcuni mesi fa, senza approfondire alcuno dei temi proposti, è ricco soltanto degli sberleffi di Totò. Paolo Stoppa ha reso bene nei vari personaggi.
«L'Avanti», 6 settembre 1955
Da questa frase, detta e ripetuta da Totò in più di un film o scenetta di rivista, è stata tratta la briosa pellicoletta che ha per protagonista lo spassoso comico napoletano. Questi impeversa, è la parola, dal principio alla fine in una serie di differenti macchiette e scene e battute, alcune delle quali verarnenfe notevoli. Nei suoi vari travestimenti, da milite romano a soldato della Whermacht, Totò non manca di strappare risate e consensi, ben coadiuvato anche da Paolo Stoppa e Fiorella Mari.
«Il Monferrato», 23 settembre 1955
La celebrità, talvolta, fa perdere il senso delle proporzioni. Solo con questa considerazione si può spiegare — e giustificare — la mania di Totò di voler esporre una sua ''filosofia” della vita. Da anni, i suoi film ci avevano abituato a questa domanda in apparenza sibillina: siamo uomini o caporali? Oggi, lo stesso Totò ha scritto un soggetto in cui sono sviluppati su un piano vagamente satirico i concetti della sua filosofia spicciola. Per Totò, il mondo si divide in due categorie: della prima fanno parte gli uomini per antonomasia, cioè i buoni e i poveracci. I caporali, invece, sono gli sfruttatori e coloro che rendono la vita impossibile agli -'uomini qualunque” (non a caso nel film è usata questa espressione, nel corso di una lunga tirata programmatica del protagonista). La trama del filmetto — diretto alla meno peggio da Mastrocinque — sviluppa codesta semplicistica e non documentata suddivisione in buoni e cattivi. Totò è sempre buono, Paolo Stoppa è sempre caporale. Nei vari episodi. si assiste di volta in volta alle disavventure di Totò con un aiuto-regista autoritario, con un milite fascista, con un colonnello tedesco in un lager, con un ufficiale americano nella Roma dell'immediato dopoguerra, con il direttore di un grande settimanale in cerca di testimoni oculari di un delitto. Nell’ultima inquadratura, Totò si vede portar via la fanciulla del cuore da un industriale milanese, ultimo e definitivo caporale (sempre Paolo Stoppa, particolarmente efficace nelle singole caratterizzazioni).
Ridendo e scherzando, c’è la storia di quindici anni di vita italiana, minimizzata in una serie di scenette inconcludenti. Il solo episodio del milite fascista ha una certa forza satirica, ma subito dopo la scena del lager è di cattivo gusto mentre l’episodio del delitto
— presa in giro del caso Montesi
— tende a sottovalutare con un paio di innocue risate la gravità e i retroscena di uno scandalo clamoroso.
Concludendo, Siamo uomini o caporali? è uguale a tanti altri film di Totò, con l'aggravante del tema ambizioso sfruttato in maniera sbagliata.
Vice, «Cinema Nuovo», Milano, 10 ottobre 1955
In una lettera, «i gradi di caporale», il guardiano di un ospedale è tacciato di rigida osservanza di sapore borbonico perché è stato ligio ai regolamenti. Non ritengo che sia di buon gusto mettere alla ribalta i «gloriosi gradi di caporale». Troppo spesso, forse per una battuta infelice dei comico Totò, si ridicolizzano le funzioni del caporale, dimenticando che detto grado è la base costruttiva delle forze armate. Io, da parte mia, posso, per diretta conoscenza, senza tema di smentita, dimostrare quanto hanno saputo distinguersi i caporali nei momenti delicati sia in guerra che in pace.
Ten. col. Pietro Ruggia (Milano) - «Corriere della Sera», 6 ottobre 1973
Siamo uomini o caporali?
Regìa di Camillo Mastrocinque. Con Totò, Paolo Stoppa, Franca Falciini, Loris Gizzi. Comico, Italia, 1955. Raitre, ore 20.30.
Era una mania di Totò citare i «caporali» come contrapposizione, secondo lui, ai veri uomini. «I caporali — ha scritto in un'autobiografia — sono coloro che muniti di una autorità immeritata e forti di una disciplina che impone ai sottoposti l’obbedienza senza discussioni, esercitano tali loro meschini poteri». Il film è un susseguirsi di angherie che l'umile Totò è costretto a patire e che egli elenca allo psichiatra di un manicomio in cui è stato ricoverato per aver reagito a un capo-comparse di Cinecittà.
DURATA: 1 ora e 34 minuti.
«Corriere della Sera», 2 settembre 1992
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La censura
L'Italia degli anni cinquanta aveva assunto la legge del 1923, senza avervi apportato modifiche importanti. Le sceneggiature venivano consegnate dai produttori cinematografici, prima che il film avesse inizio. Le motivazioni sono comprensibili: evitare il danno causato dall'eventuale censura o dall'aver urtato la suscettibilità di parte della classe politica di governo e di opposizione.
Siamo uomini o caporali, nonostante i tagli, se letto attentamente, conserva la forza della satira. Sono numerose le scene tagliate, sia quelle di «signore nude, indossatrici semi svestite» ma anche di frasi come: «questi ministri (...) sono brutti, brutte espressioni, brutti visi»; mentre la frase «si stava meglio quando si stava peggio» è riuscita a sopravvivere nella versione finale del film
Duplicato del verbale (datato 2 agosto 1955) della Commissione Revisione Cinematografica datato 20 marzo 1972
(Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema)
I documenti
Il caporale marziano
«Ci sono e ci saranno guerre, sovvertimenti, cataclismi, ma ci sono e ci saranno sempre "uomini" e "caporali", quelli che obbediscono e quelli che comandano, quelli che soffrono e quelli che godono. E anche negli altri pianeti, statene sicuri... si vede che è una legge di natura.»
Il finale del film «Siamo uomini o caporali?» doveva essere di carattere fantascientifico, ben lontano dal clima di "drammatica farsa" che avvolgeva il film: Totò, dimesso dal manicomio, veniva rapito da extraterrestri per poi essere trasportato in un'altra galassia, dove avrebbe trovato l'ennesimo caporale. Ma non se ne fece di niente...
Ricordate quella mia battuta: "Siamo uomini o caporali?". Ebbene, arrivato a questa età mi accorgo che al mondo di caporali ce ne sono tanti, ma di uomini pochissimi.
- Scusi, ma i caporali di che opinione sono?
- I caporali non sono di opinione... i caporali sono di giornata.
La filosofia di Totò (dal film "Siamo uomini o caporali", 1955)
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Non male la prima parte, scarsa la seconda, con momenti palesemente tirati per le lunghe per arrivare a un metraggio decente. La "serietà" talora va a detrimento del film, che ha invece freschezza nella parte ambientata nei set cinematografici, ove peraltro Totò, in un colpo solo, imita - in casacca militare - due volte Stanlio, marciando a passo sbagliato e, impedito a vedere, seguendo la fila scorretta. Bravi, ovviamente, il protagonista e il grande Paolo Stoppa. Gli altri manco si notano, ad eccezione di Vincio Sofia, che finisce "inchiostrato". **
- I caporali, ovvero i prevaricatori, i prepotenti, gli omuncoli che sfruttano il loro potere per umiliare e comandare i poveri uomini, come Totò. E’ questo il filo conduttore del film. Peccato che non tutto funzioni e che alcune parti siano un po’ lente. Totò è sempre bravo (sarà caporale per pochi secondi, come comparsa in un film, ma aveva sbagliato divisa), anche se non riesce a salvare completamente una pellicola un po’ troppo lacunosa. Bene Stoppa. Nel complesso, vedibile.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Tutta la scena della distribuzione dei viveri (Totò indica un punto nel cielo alle persone e intanto avanza nella fila).
- Il testamento esistenziale di Totò, amaro e veritiero nelle sue constatazioni – la metaforica divisione in “uomini” e “caporali” è sotto gli occhi di tutti – è letto sotto forma di gag di esito alterno: alcune inutilmente lunghe e ripetitive (Cinecittà, il lager), altre alquanto divertenti (il numero di avanspettacolo, l’autografo), altre ancora più mirate e satiriche (la spregiudicatezza del giornalismo). De Curtis spartisce il palco con Stoppa che dà volto alle diverse personificazioni dell’archetipo del “caporale”: prepotente, arrogante, approfittatore, mendace, viscido e snob.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il numero di avanspettacolo con lo strip-tease: «E levati le mutande…!».
- Commedia amarognola, scritta in pate dallo stesso Totò, che presenta una serie di situazioni sì farsesche ma che riescono a essere specchio di un periodo del dopoguerra e soprattutto del comportamento dei cosiddetti "caporali" (che a ben pensarci esistono e son proprio così). L'andamento è discontinuo (con la noiosa parte dell'esperimento nel lager) ma la sceneggiatura sa offrire ottimi spunti di riflessione, mentre Totò e Stoppa (in sei parti!) gareggiano in bravura, delineando benissimo il confine tra umanità e antipatia. Notevole.
- La suddivisione dell'umanità in "uomini o caporali" fatta dal principe De Curtis è attualissima e penso sempre lo sarà, a meno di uno tsunami biologico nella natura umana. E' un Totò serioso, tragicomico e perdente, anche se i momenti divertenti non mancano e qualche rivincita il personaggio se la prende. Mette tutti i prepotenti alla berlina: che appartengano a una fazione o a un'altra, i caporali indossano qualsiasi casacca. Il finale è degnp e prevedibil, coronazione di come poi le cose continueranno ad andare. Un Totò diverso.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Paolo Stoppa in tutte le sue caratterizzazioni.
- La teoria dell'umanità secondo il principe della risata in una narrazione lineare con punte di grande poesia. Le situazioni che s'accaniscono contro il malcapitato protagonista sono numerose e alcune esilaranti. Totò canta due canzoni e con la Mari é protagonista di un simpatico siparietto teatrale. Sempre a tono l'interpretazione di Stoppa.
- Nonostante sia uno dei film a cui il Principe De Curtis teneva di più, quello che già dal titolo lascia intendere una filosofia a cui era molto legato è anche uno di quei film del grande Totò poco conosciuti e che le tv private trasmettono malvolentieri. Forse perché a tratti è troppo serioso e lontano dai soliti canoni, forse perché ancora oggi è un tema attualissimo. Sta di fatto che rispetto ad altri tipo Malafemmina o Signori si nasce passa come un lavoro di secondo piano. Bravissimo Stoppa, non sempre all'altezza il resto del cast.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò e il memoriale con le false testimonianze che ancora oggi ricorda quelle trasmissioni che rimestano nel torbido degli omicidi.
- La sceneggiatura nasce da uno spunto filosofico di Totò, cioè suddividere l’umanità nelle categorie degli uomini e dei caporali in base al loro modo di essere e comportarsi. È quindi un Totò quasi impegnato, melodrammatico e dal volto rassegnato, ma che riesce lo stesso a strappare qualche sorriso grazie alla sua intramontabile verve. Il viso di Paolo Stoppa è la maschera perfetta del caporale di turno, odioso, ambiguo e infimo fino al midollo. C’è tanta amarezza che straripa per tutto il film.
- Mastrocinque questa volta riesce a portare Totò oltre la sua stessa maschera, incastrandolo in una storia che lascia poco spazio alle smorfie e ai lazzi di sempre per dispensare risate spesso amare. Un film superiore rispetto alla maggior parte degli altri del Principe, che perde ai punti anche il duello con il grande Paolo Stoppa, ma che guadagna il merito di averci regalato un personaggio che, purtroppo, continua a essere più che mai attuale. Da vedere!• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La scena della fila con Totò che cambia ogni volta cappello. "A noi!" - "A voi".
- Il Principe Antonio De Curtis e il comico Totò erano due persone differenti che non si frequentavano; l’uno abitava in una casa signorile ai Parioli, l’altro bazzicava i palcoscenici disadorni dei teatri d’avaspettacolo o i modesti set di film di serie B. Questa volta ci deve essere stato un errore: questo film l’ha interpretato il Principe De Curtis mentre Totò è rimasto a casa. La filosofia spicciola di vita e il buon senso educato fanno a cazzotti con l’estro caustico, lo spirito corrosivo e la comicità anarchica del burattino Totò. Deludente.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò in versione didattica è malinconico e pessimista; Paolo Stoppa ha la faccia e il ghigno giusto per riassumere tutti i "caporali" di questo mondo.
- Uno dei film più celebri di Totò, una commedia semplice e di buoni sentimenti che al tempo stesso sviluppa temi ancora oggi attuali. È anche il racconto di un'Italia che cambia, dalla fame alle vacanze a Portofino. Molto valido anche il cast. La bella in questo caso era Fiorella Mari, attrice ritiratasi negli anni 50. Totò intona anche una canzone.
- Un film esopico con un grande Totò e uno straordinario Paolo Stoppa. Tante favolette con morale: ci sono uomini buoni e ingenui che si fanno vessare e abbindolare (gli agnelli, i buoi, i cammelli, gli asini di Esopo) e quelli che pare che il fine ultimo della loro vita sia la prevaricazione sul prossimo (i lupi, le volpi, i leoni), e questo film sempre attuale ne è il manifesto lampante. Sarà capitato a tutti incontrare importuni, arroganti e prepotenti ai quali va sempre tutto bene e alla fine soccombere come l'amaro finale del film dimostra.
Partitura del brano “Core analfabeta” (Totò) cantata da Totò nel film Siamo uomini o caporali (1955)
L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza. Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama. I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque. Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengono, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera!
Le incongruenze
- Il caporale che regola la fila alimentare, in realtà ha il grado di camicia nera della Milizia.
- La camicia nera indossa, in tempo di guerra, una divisa non regolare.
- Le matite del portapenne sul tavolo del medico della clinica cambiano posizione al cambiare dell'inquadratura.
- Sulla scrivania, il berretto del capitano Brown cambia posizione da solo ad un cambio d'inquadratura.
- Il postino consegna la lettera espressa a Totò senza fargli firmare la ricevuta.
- Nel primo flash-back Totò dà ai signori del "puntino nero" (solo a loro) del LEI, cosa molto improbabile in periodo fascista, dove dalla fine anni '30 era stato abolito e sostituito dal VOI, che difatti si da in tutta questa parte del flash-back.
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Gli stabilimenti cinematografici nei quali Totò Esposito (Totò) lavora come comparsa quando sarà prelevato e portato in una clinica psichiatrica per aver tentato di uccidere il capo comparsa Meniconi (Stoppa), stufatosi delle sue angherie, sono gli ex studi Ponti-De Laurentiis, situati in Via della Vasca Navale 5 a Roma ed oggi sede dell’Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione "Roberto Rossellini" | |
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Più avanti nel film, gli esterni degli studi sono stati utilizzati per un’altra scena, quando Totò Esposito (Totò) lascia alla chetichella, travestito da donna, l’albergo nel quale alloggiava a spese del periodico “Ieri, oggi, domani”, che lo aveva assoldato come finto testimone di un delitto per vendere più copie, e sarà arrestato dai carabinieri perché scambiato per una prostituta. Nel fotogramma ecco il momento nel quale, lasciato l’hotel dall’uscita di servizio (alle spalle della macchina da presa), Totò attraversa in pelliccia la strada antistante l’albergo (nella realtà è il vialetto interno agli ex studi, che parte dal cancello su Via della Vasca Navale) | |
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Il negozio dove, spacciandosi prima per gerarca fascista e poi per ufficiale nazista, Totò Esposito (Totò) riesce a superare la fila di clienti in attesa (almeno fino a quando non verrà smascherato da alcuni clienti e da un milite fascista / Stoppa) si trova in Piazza delle Cinque Scole 22 a Roma ed oggi ospita un’agenzia di viaggi. Prima di arrivare al negozio riconosciamo la piazza dove si dilunga la fila di clienti in attesa, furbescamente “sorpassata” da Totò (che se ne stava nascosto dietro il camion, dove effettuava i cambi d’abito) | |
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La fila vista dalla prospettiva opposta, con il negozio (C) posto all’angolo con Via Monte de' Cenci. | |
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La piazzetta dove, dopo esser stato scoperto mentre tentava di aggirare per l’ennesima volta la fila al negozio, Totò Esposito (Totò) tenta vanamente di sfuggire all’arresto girando attorno ad un albero (che poi utilizzerà come “paravento” per travestirsi da “cieco anteguerra”) non si trova a Roma, come lascerebbe intuire la precedente scena del negozio, girata in Piazza delle Cinque Scole: siamo invece, come segnalato anche su questo sito, ad Albano Laziale (Roma), nello slargo costituito dall’intersezione di Via dei Travoni con Via Don Luigi Minzoni. | |
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La clinica psichiatrica dove Totò Esposito (Totò) viene ricoverato dopo aver tentato di uccidere il capo comparsa Meniconi (Stoppa) è l’Hospice “Villa Speranza”, che già si chiamava così all’epoca delle riprese, situato in Via della Pineta Sacchetti 235 a Roma.Oggi l’edificio è difficilmente riconoscibile a causa delle importanti modifiche strutturali che ha subito e si riconosce solo perché, per qualche secondo tagliata dal margine del fotogramma, veniva inquadrata la targa sul pilastro con la scritta “Villa Speranza” |
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Il controcampo, ripreso attraverso il cancello dal quale stava uscendo Totò, ci permettere di scorgere gli edifici antistanti, uno dei quali presentava ancora le impalcature del cantiere che lo stava erigendo | |
La baracca dove abita Totò Esposito (Totò) ha doppia natura. Se “fisicamente” si tratta di un edificio fasullo, di chiara origine “teatrale” (nel senso che è sicuramente una ricostruzione in studio)... | |
...il panorama che Totò ha quando si affaccia alla finestra è realissimo ed è stato ripreso dalle pendici di Monte Mario a Roma, poco sopra questa casetta (A) di Via Trionfale, abbracciando uno scorcio della capitale oggi urbanisticamente stravolto. Addirittura sopra la casa sembra notarsi uno tratto del Tevere e che, invece, è un’area ancora spoglia di edifici, posta esattamente a lato del gruppo di stabili nei quali si trova anche la chiesa B. | |
La casetta A e tutti gli edifici che gli sono stati costruiti davanti tra il 1955 e i giorni nostri. La freccia indica la direzione della veduta panoramica (foto 1) |
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Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005
- Documenti censura - Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema
- «Vie Nuove», anno X, n. 34, 28 agosto 1955
«Noi Donne», anno X, n. 34, 28 agosto 1955 - Il cineracconto di Stefania Mauri,"Novellefilm", n.402 del 3 settembre 1955