Totò a colori

1952 Toto a colori 3

La serva serve, soprattutto se è bona, serve, eccome!

Antonio Scannagatti

Inizio riprese: gennaio 1952, Stabilimenti Ponti-De Laurentiis Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: - 17 marzo 1952 - Incasso lire 775.000.000 - Spettatori 6.387.539



Titolo originale Totò a colori
Paese Italia - Anno 1952 - Durata 95 min - Colore Ferraniacolor - Audio sonoro - Genere Comico - Regia Steno - Soggetto Steno da "Sketches" da "riviste" di Michele Galdieri e Totò - Sceneggiatura Steno, Age & Scarpelli - Produttore Ponti, De Laurentis per la Golden-Humanitas, Roma - Fotografia Tonino Delli Colli - Montaggio Mario Bonotti - Musiche Felice Montagnini - Scenografia Piero Filippone - Costumi Giulio Coltellacci


Totò: Antonio Scannagatti - Rocco D'Assunta: il cognato siciliano - Rosita Pisano: sorella di Antonio - Virgilio Riento: maestro Tiburzi - Luigi Pavese: editore Tiscordi - Franca Valeri: Giulia Sofia - Carlo Mazzarella: il suo fidanzato - Galeazzo Benti: Poldo di Roccarasata - Fulvia Franco: Poppy, la fidanzata - Anna Vita: un'esistenzialista - Lily Cerasoli: Patrizia - Vittorio Caprioli: tenore balbuziente - Bruno Corelli: Joe Pellecchia - Alberto Bonucci: regista sovietico - Armando Migliari: sindaco di Caianello - Isa Barzizza: la signora del vagone letto - Mario Castellani: on.Cosimo Trombetta - Guglielmo Inglese: giardiniere - Michele Malaspina: il sindaco - Primarosa Battistella: Cristina, la cameriera - Ugo D'Alessio


Soggetto

Antonio Scannagatti è un musicista squattrinato e inconcludente che abita con la famiglia della sorella nel paesino di Caianello, ma sogna una chiamata da Milano dagli editori musicali Tiscordi o Zozzogno (parodie di Ricordi e Sonzogno), che gli garantisca la gloria: è infatti convinto di essere un "genio della moseca (musica)".

Il sindaco del paese intanto tenta di convincerlo a dirigere la banda paesana, a causa dell'improvvisa inabilità del maestro, nel giorno della festa per il ritorno a casa del gangster italoamericano Joe Pellecchia, originario per l'appunto di Caianiello: Scannagatti, inizialmente indignato dalla proposta, accetta solo quando il nipote del primo cittadino, mentendo, gli promette una raccomandazione presso l'editore Tiscordi, spacciando la sua fidanzata americana Poppy per sua segretaria.

La giornata di festa si rivela un fallimento: Pellecchia vorrebbe parlare dal balcone del municipio, ma il maestro Scannagatti glielo impedisce, facendo suonare in continuazione la banda, finché l'italoamericano si infuria e va via. Il "Cigno di Caianiello" (altra auto-definizione di Scannagatti) va comunque a incassare il "premio" e raggiunge il nipote del sindaco e la sua compagna, che hanno lasciato Caianiello e sono ospiti di una bizzarra compagnia a Capri. Lì il maestro viene spacciato per un eccentrico, "Pupetto Montmartre dagli Champs-Élysées", e tra una sequela di gag ed equivoci con la padrona di casa Giulia Sofia crede di riuscire a ottenere un appuntamento con l'editore Tiscordi.

Scannagatti parte dunque per Milano. Il viaggio in treno è vivacizzato da una serie di siparietti con l'altro occupante del suo scompartimento, il deputato Cosimo Trombetta, e una signora piombata nella cabina che poi si scopre essere un'astuta ladra, che lascia entrambi i contendenti senza quattrini.

Giunto nella città meneghina, Scannagatti incontra Tiscordi in persona, a causa di un equivoco: è stato scambiato per un infermiere bravissimo in grado di fare iniezioni indolori all'editore, che ha già licenziato numerose infermiere. L'equivoco sfocia in uno spassoso alterco tra i due, finché il "Cigno" se ne va lasciando l'editore aggrappato a una libreria che poi crolla miseramente (lei non è Tiscordi, lei è Zozzogno!.. In quanto l'editore si fa trovare in mutande per l'iniezione).

Le disavventure non sono finite: Scannagatti viene intercettato dal cognato, cui ha rubato i soldi per il viaggio a Milano, il quale minaccia di ucciderlo; per placarlo, il maestro finge di aver ottenuto un contratto da Tiscordi e lo porta sì in palcoscenico, ma in un teatro di burattini. All'inizio Scannagatti riesce a ingannare il furibondo parente fingendosi una marionetta e interpretando uno spettacolo, in cui si esibisce ballando sul tema di Parade of the Wooden Soldiers. Ma il cognato lo riconosce e lo incalza con il coltello, pronto a "sbucciarlo come un mandarino". Sembra finita ma a sorpresa tutto va per il meglio: Tiscordi per caso legge e gradisce uno spartito di Scannagatti e il paese di Caianiello rende il giusto omaggio al suo "Cigno". Ma a celebrare il compositore viene mandata una sua vecchia conoscenza, l'onorevole Trombetta...

Critica & Curiosità

Totò a colori fu il secondo lungometraggio italiano a colori con degli attori, dopo Mater Dei (1950). L'uso di una pellicola a colori per quei tempi necessitava l'impiego di luci molto forti, a scapito della vista, e Totò soffriva già di problemi all'occhio sinistro; nessuno osava guardare in quelle lampade ad arco, all'epoca, per paura di danni alla retina. Si dice che la parrucca dell'attore fumasse, tanto era il caldo, e che, nel bel mezzo di una scena, questi sia addirittura svenuto.

Alcune fonti riportano anche la partecipazione, come aiuto regista, di Mario Monicelli, che in realtà non prese mai parte al progetto di Steno; questo, nonostante la coppia Monicelli-Steno fosse già più che confermata.

Il film è un'antologia dei più noti sketch del teatro di rivista di Totò: il vagone letto (C'era una volta il mondo), la marcia dei bersaglieri e, soprattutto delle sue invenzioni marionettistiche più geniali, ovvero Pinocchio (Volumineide) e il direttore d'orchestra fuoco d'artificio, che si era già visto in Fermo con le mani! (1937) e ne I pompieri di Viggiù (1949).

Nel film fa un breve cameo un giovane Lucio Fulci, a quel tempo aiuto regista di Steno, nella parte del passeggero che picchia contro la parete divisoria della carrozza letti, infastidito dagli schiamazzi tra Antonio Scannagatti e l'onorevole Trombetta.

Il film venne girato col sistema Ferraniacolor negli stabilimenti Ponti-De Laurentiis. Un'"aggiunta" invece nell'Italia Centrale e Meridionale furono Vico Equense e Capena, vicino a Roma; in particolare, a Capena è presente l'omonima via usata come location per la fittizia "piazza Giuseppe Verdi" di Caianello, ribattezzata in "piazza Antonio Scannagatti" per la presenza del personaggio interpretato da Totò, nome con cui anche dopo il film è rimasta colloquialmente nota.

Totò poliglotta

Il maestro Antonio Scannagatti incontra Poppy Winnipeg, ed esordisce con un: «Grazie, mucha gracia {sic) mucha gracia, miss!». in un misto di italiano e americano. Scannagatti scambia per straniero perfino il giardiniere del sindaco (Guglielmo Inglese), rivolgendosi a lui in francese, inglese, tedesco, spagnolo e persino russo:

[Scannagatti] - Excusez-moi, vous parlez français?
[Giardiniere] - No.
- Speak english?
-No.
- Sprechen Sie Deutsch?
- Neanche!
- Abla español? Govorite pa russky?
- Macché paruschi! Parlo italiano!
- Ah, lei parla italiano? E parli italiano, benedetto Iddio!

Anche a Milano si va dal milanese al napoletano in una sola frase... 

[Il maestro Antonio Scannagatti è a Milano. Suo cognato, in taxi con lui, chiede al tassista di accelerare, Antonio deve invece trovare il modo di non arrivare a destinazione]
[Tassista] - Ghé la nébia!
[Totò (al cognato)] - Hai sentito? Ghé la nébia! Chi, a Milàn, ghé la nébia! E periculùs, cùrer! Hai capito? Anzi, ghe penso mi! [al tassista] Giuvinòt! E periculùs! Vai chiàn’! Non corrèr! Si sguisc’!


Così la stampa dell'epoca

In Totò a colori reciteranno i tre del Teatro dei Gobbi

Totò a colori è il primo film italiano «a soggetto » che si venga girando a colori, e su pellicola italiana, dopo che la "Lettera dall'Africa", documentario a lungo metraggio, ripreso sulla stessa pellicola, ebbe dimostrato che era possibile condurre l'impresa a buon fine. Molti altri ne sono stati annunziati, ambiziosi come "La carrozza d'oro" di Renoir, o "Ulisse" di Pabst, o anche più modesti, ma sta di fatto che, nella corsa al colore, Totò e arrivato buon primo, Sono due settimane ormai che il film è stato iniziato, e che i suoi lavori sono in corso. Ricorriamo a questa espressone perché è un film che si viene facendo per strada, improvvisato di episodio in episodio. Siamo nel campo, come direbbe il nostro amico Nino Frank (che ha intitolato il suo ultimo libro, dedicato al film italiano), del « cinema dell’arte ». [...] Infatti è la prima volta che Steno, passato in questo dopoguerra dalla collaborazione dei giornali umoristici alla sceneggiatura dei film comici e da questa alla regia, insieme all'amico Monicelli, assume in proprio la responsabilità direttoriale. Gli è accanto uno dei più giovani e più bravi (Achtung! Banditi!) operatori italiani: Tonino Delli Colli.

Insieme a Totò recitano, oltre a un numero inconsueto di bravissime «spalle» (Riento, Castellani, Rocco D’Assunta, Luigi Pavese, Galeazzo Benti) e di procaci attrici giovani (Isa Barzizza e Anna Vita, dei romanzi a fumetto), i tre inventori del Teatro dei Gobbi, interpretando il meglio delle loro macchiette e caricature e del loro repertorio, ripreso e trasportato nel film di sana pianta, e cioè Franca Valeri (la Signorina Snob), Bonucci e Caprioli, con l'ottimo Mazzarella di rinforzo. A questo punto è difficile, nonostante la fretta e l'improvvisazione, sbagliare irreparabilmente, il film potrà cioè mancare di equilibrio, ma il repertorio comico teatrale di Totò e dei tre ragazzi esistenzialisti è un meccanismo collaudato.

[...]

C'è bisogno di aggiungere che, personalmente, siamo poco teneri per un simile genere di espedienti? Ma dobbiamo confessare che una cosa è raccontare una trama e un'altra vedere Totò recitare. L’attore ha fiato, nevrastenia, mezzi comici, sorprese. La sua recitazione a salti di montone e piena di imprevisti e il suo repertorio di lazzi filologici vieto ma irresistibile. C'è un solo pericolo: che Totò, usato a dritta e a rovescio in cinque o sei film all'anno, si deteriori, e i suoi spettacoli finiscano per ingenerare sazietà e noia. Ma ciò detto dobbiamo confessare di aver fatto questa profezia anche due o tre anni fa e di aver sbagliato, Totò ha continuato a fare un film dietro l’altro e la sua popolarità crescere. Ci deve dunque essere un pubblico, milioni di persene addirittura, per cui Totò ha sempre ragione. (E ora una primizia: il prossimo film di Totò verrà diretto da Rossellini).

Gian Gaspare Napolitano, «L'Europeo», anno VIII, n.4, 22 gennaio 1952


Genio e follia in «Totò a colori»

Gli ammiratori di Totò si preparino a una bella sorpresa: il loro beniamino terrà prossimamente a battesimo il cinema italiano a colori, quale protagonista di un film comico il cui titolo, più che un titolo, è uno squillante annunzio: Totò a colori, prodotto dalla Ponti - De Laurentiis e diretto da Steno. Dovrebbe essere la minima di tutte le risorse comiche del popolarissimo attore; gli sceneggiatori si son fatte venire in mente, e quando non al presentavano sono andate a cercarle col lumicino, tutte le situazioni che potessero tornare a viso dell'interprete, valendosi anche di gloriosi avanzi di rivista, di sketohes già felicemente collaudati In palcoscenico. Un «Tutto Totò», insomma; o poco meno.

[...]

Isa Barzlzza e Fulvia Franco, con Riento e molti altri, partecipano al film.

l.p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 9 marzo 1952


Per la prima volta, S. A. Antonio De Curtis è svenuto dinnanzi alla macchina da presa: anche i Principi devono dormire almeno sette ore.

Dicono che la frase di lancio del film sarà : « In ”Totò a colori” Totò ne fa di tutti i colori ». Nei bar di via Veneto, eletti a pubblico salotto dalla gente del cinema della Capitale, si è commentato con la consueta dolcezza di sentimenti che se il film sarà indovinato come la frase di lancio, varrà la pena che il cinema italiano continui ad esibirsi esclusivamente in bianco e nero per qualche anno ancora.

Comunque, bello o brutto che sia, la primavera ci porterà quest’anno, con le rondini ritardatane, il primo film a colori italiano. Italiano nel vero senso della parola, perchè italiani saranno non solo gli interpreti ed i tecnici, ma anche la pellicola, quella « ferraniacolor » di cui già abbiamo avuto qualche non disprezzabile saggio in alcuni documentari. Il primo colpo di manovella è stato dato in un teatro di, posa degli stabilimenti Ponti-De Laurentis il 2 gennaio scorso (può anche darsi che questa data passi alla storia della cinematografia italiana) Sui volti di attori e comparse, ancora pallidi per gli strascichi della veglia di Capodanno era stato passato un cerone che li rendeva più pallidi ancora. Totò sembrava uscito da un tacco di farina. I ceroni speciali per il primo film a colori italiano erano venuti apposta da Hollywood: sono l'unica cosa non nazionale del film assieme a certi schermi speciali per i riflettori. In sede di esperimento, i tecnici avevano tentato di evitare anche questo piccolo particolare « estero s; avevano provato gli effetti col cerone normale ed anche con le creme di bellezza, ma i risultati non erano stati buoni.

I produttori sapevano in partenza di tentare un esperimento rischioso: un film a colori, per quanto fatto in economia, costa più del doppio di un film normale. Non c’è nessun dato di paragone; perciò non è possibile sapere se il mercato italiano è in grado di assorbire un film così costoso e se il richiamo del colore è sufficiente a determinare incassi tali da coprire le spese.

Questo rischio di cassetta, i produttori contano comunque di affrontare con un nome di sicuro richiamo, Totò. Ma prima ancora c’erano altri rischi, di natura puramente tecnica. Sarebbero stati in grado l’operatore ed i tecnici delle luci di lavorare col colore, senza nessuna o quasi esperienza? Le riprese a colori fatte in interno richiedono una potenza di luce tre - quattro volte superiore a quella necessaria per un film in bianco e nero. Gli stessi attori non erano abituati a lavorare con riflettori cosi potenti. Alla fine del primo giorno di lavorazione Totò si mise a letto mezzo accecato, con la testa che gli scoppiava. Gli abiti che aveva indosso scottavano letteralmente per il calore emanato dai riflettori. Due giorni dopo cadde a terra svenuto dinnanzi alla macchina da presa, lui che è abituato a lavorare senza stancarsi sette ore di fila. Indubbiamente il girare una pellicola a colori richiede un allenamento che i nostri attori 'non hanno ed una vita di rinuncia che essi non si sanno imporre. Totò, ad esempio, se non fa le quattro del mattino in un noto locale notturno di Via Veneto si sente un uomo perduto.

Naturalmente, poi, con quattro o cinque ore di sonno soltanto, non si è in grado di sopportare il ritmo massacrante della lavorazione a colori. Recentemente si stavano eseguendo delle riprese in esterni: Totò doveva dirigere la banda sulla piazza del paese di Caianello — teatro d’azione del film - piazza interamente ricostruita e alla periferia di Roma. Per girare un film a colori in esterni bisogna che ci sia il sole, ma il cielo di Roma continuava impassibile a rimanere tutto coperto. Una notte Totò decise di far più tardi del solito, al night club. Ogni tanto mandava un cameriere a controllare il tempo e il cameriere ritornava annunciando invariabilmente « Pioviggina. Principe ». E Totò tranquillo: il giorno dopo non si sarebbe girato e avrebbe potuto farsi un bel sonno sino al tardo pomeriggio.

Quando Totò arrivò alla sua nuova casa dei Parioli erano già le sette del mattino. Per scrupolo diede un’ultima occhiata al cielo: tutto coperto. Allora, per essere più sicuro di dormire sodo prese due pastiglie di sonnifero. Mezz’ora dopo il sole squarciava il velo di nubi, tre quarti d’ora dopo mezzo cielo era sgombro e il telefono in casa di Totò trillava: la macchina era pronta per venirlo a prendere e portarlo agli stabilimenti di posa. Fortunatamente, quella mattina si giravano le scene della banda sulla piazza del paese, e la musica assordante degli ottoni riuscì a tener sveglio l’assonnatissimo Principe. Quando all’una, finalmente, ordinarono lo « stop », Totò dormiva già beato su una seggiola. Lo portarono a casa di peso, ancora vestito da capobanda, col pennacchio multicolore sul mento volitivo.

Forse paghi dello sforzo compiuto nel mettere in. cantiere il primo film a colori italiano, i produttori non hanno preteso che il soggetto fosse eccezionale. Il Principe De Curtis giustamente e spartanamente lo ha definito con napoletana filosofia « semplicemente un Totò ». Un soggetto, insomma fatto per permetter al comico di esibirsi con l’ausilio di alcune battute, sullo sfondo di qualche bella ragazza.

[...]

Il soggetto, come si vede, è null’altro che un pretesto per una successione di motivi diciamo così cromatici, che dovranno permettere un suggestivo sfruttamento del colore: la banda sulla piazza del paese, l’ambiente mondano di Capri, il teatro dei burattini. Sarà interessante vedere quel che l’operatore De Ili Colli ed il regista Steno avran saputo fare. Steno, il cui nome, sinora, nei successi e negli insuccessi cinematografici era sempre abbinato a quello di Monicelli, dirige il primo film tutto da solo. L’epoca dei « tandem » (Steno-Monicelli, Marchesi-Metz, Amendola-Maccari, Fellini-Pinelli) sta forse per avviarsi al tramonto. Chissà, che non sia un bene.

Oltre che un pretesto per il colore, il soggetto serve da guida alle esibizioni di un certo numero di attori di richiamo. Di Totò abbiamo già detto: è al suo ennesimo film e continua impavido al girarne uno dopo l’altro, malgrado le accuse violente dei critici cinematografici che lo vorrebbero impegnato in una produzione di qualità (tipo « Guardie e Ladri »), anziché di quantità. Finito di girare questo « Totò a colori », il principe De Curtis farà un film con la direzione di Rosse]lini. Dovrebbe essere un Totò umano, non soltanto caricatura, per quanto inimitabile caricatura.

Benché non lo confessi apertamente, la più alta aspirazione di Totò è quella che almeno uno dei suoi film venga proiettato negli Stati Uniti. Forse con il film firmato da Rossellini ci riuscirà.

Nel complesso, di questo esperimento a colori, Totò è contento, ma la policromia gli è venuta un po’ a nausea : forse per questo ha deciso che alla sua prossima cerimonia nuziale con Franca Faldini dominino due colori soltanto, il bianco e il nero. In questa decisione, Totò ha trovato un’alleata sicura nella giovane attrice che — a tempo di rècord e tra lo sbalordimento dei cronisti mondani della Capitale — sta per diventare la principessa De Curtis.

Fin da quando era semplicemente la « bella di via Veneto », Franca Faldini era nota per il suo attaccamento agli abiti neri. Quando partì per la sua breve avventura cinematografica a Hollywood Franca aveva nel suo guardaroba soltanto abiti neri e bianchi. Non sarà dunque un matrimonio in technicolor.

Franca Valeri, l’ormai famosa « Signorina snob » sarà nel film la ricca milanese di Capri, ed alla lavorazione hanno pure preso parte Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli, i due giovani attori i quali con la Valeri formano il complesso del « Teatro da camera », che a Roma continua a mietere successi. La Valeri, Bonucci e Caprioli porteranno sullo schermo alcuni degli sketches che hanno fatto la loro fortuna teatrale. Resta da vedere se, e fino a che punto, riusciranno a rendere cinematograficamente il loro stile particolare di umorismo, che si basa tutto sulla comunicativa diretta col pubblico. Il maestro di banda rivale di Totò sarà Riento, il giovane gagà figlio del Sindaco sarà Galeazzo Benti, mentre ad Isa Barzizza non mancherà il modo di far vedere le giarrettiere — questa volta finalmente a colori — in una cabina di vagone letto.

Altri due nomi completano il « cast » di « Totò a colori »: Anna Vita e Fulvia Franco. Anna Vita, che viene definita « la Greta Garbo dei « fumetti » con ironia da alcune migliaia di persone e con tutta serietà da alcune centinaia di migliaia, ha già molti requisiti per potersi ormai considerare una diva del cinema, tra cui una « 1400 », abiti molto eleganti e la convinzione di essere molto brava. Fulvia Franco — se non sono esagerate le voci che corrono — dovrebbe essere destinata a divenire la rivelazione cinematografica del 1952. E’ noto l’insuccesso della sua prima avventura cinematografica, subito dopo la sua elezione a « Miss Italia 1948 ». Poi sposò Tiberio Mitri e, da brava moglie, Fulvia si accontentò dì vivere all’ombra dei successi del marito, fin che successi ci furono. Da qualche mese ì coniugi Mitri si sono trasferiti da Trieste a Roma, dove hanno acquistato un bar.

Resistere alla tentazione di riprendere la strada di Cinecittà era, a questo punto, molto difficile per Fulvia Franco. Alfredo de Laurentis, direttore di produzione di « Totò a colori » pensò' a lei per la parte della fidanzata americana del figlio del Sindaco. Ne parlò a Steno e Steno rispose che non ne voleva sapere. De Laurentis non si diede per vinto e portò di sorpresa Fulvia Franco dinnanzi alla macchina da presa. Steno non potè fare a meno di girare e finita la ripresa, fu il primo a congratularsi con l’attrice. Era andata benissimo. Gli spettatori la vedranno con sul volto un paio dì grossi occhiali di tartaruga che — nella vita accadono le più strane cose — le donano un fascino particolare.

Totò è entusiasta della sua nuova « partner », tanto che ha chiesto di averla nuovamente al suo fianco — e questa volta nel ruolo di prima protagonista femminile — nel film che girerà con Rossellini. Questi ha esaminato Fulvia ed ha dato ragione al Principe: anche secondo lui la Franco ha la stoffa dell’attrice. Una volta di più è così dimostrato che nel cinema il primo insuccesso ha una importanza relativa. Come il primo successo.

Giorgio Berti, «Settimana Incom», 15 marzo 1952


[...] Questo comico, che pure avrebbe possibilità e capacità di rinnovarsi, non esita davanti al fastidio della ripetizione. E continua a compiacersi della sboccata platealità. Se si ride? Certamente, ma a condizione di vergognarsi, talvolta, di aver riso. L’episodio negli uffici dell’editore, dove nasce un forzatissimo equivoco alla cui base sono le iniezioni, sostituisce le nudità di Luigi Pavese a quelle di Silvana Pampanini, normale divetta del film di Totò: anche senza malizia, si può dire che il cambio è svantaggioso.

In complesso, il Totò usuale delle farse. L’esperimento del colore, con procedimento italiano, ha la discontinuità e le incertezze di tutti gli esperimenti. Qualche brano riuscito, negli esterni, non toglie che le associazioni cromatiche, negli interni, determinino stridori o fusioni male accettabili: che talvolta l'oleografia nasca da un che di anilina e talaltra il divario della messa a fuoco denunci gravi squilibri. Si farà meglio al prossimo film colorato; ma occorrerà ricorrere a toni più calmi. Non è necessario che gli uomini vestano abiti verdi per far macchia, nè che usino telefoni azzurri. Anche i colori devono esprimersi sottovoce, chi urla ha torto.

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 9 aprile 1952


Un film di cui sia interprete Totò non contempla, normalmente, altri interpreti; tutti sono messi lì, attorno a lui, per tenergli bordone. Accadeva nei film in bianco e nero, non c'è ragione alcuna perchè non debba accadere anche in Totò a colori, di Steno. Tuttavia, fra i tanti che s'incontrano In questa pellicola, ci incuriosiva specialmente il debutto cinematografico di un'attrice nota agli ascoltatori della radio e, da qualche tempo, anche ai frequentatori dei teatri: la «signorina Snob», ovvero Franca Valeri. Il regista le ha dato una parte modesta e ho l'impressione che l’operatore l'abbia mal fotografata; quanto s'è visto é sufficiente, tuttavia, per giudicare che l'avvenire della Valeri non sia legato al cinematografo.

[...]

Soltanto, stavolta cambia li condimento: i colori costituiscono la novità di questa pellicola non nuova. Tecnicamente, si tratta di una prova, con il procedimento Italiano. Si giudicherà al secondo film, quando la fase sperimentale sarà conclusa.

Art., «Corriere d'Informazione», 10 aprile 1952


Per convincere il maestro Scannagatti (Totò), genio incompreso della musica, a sostituire il direttore della banda cittadina, ammalatosi. in occasione della festa organizzata in onore di un compaesano arricchitosi e tornato dall’America, il figlio del Sindaco di un piccolo paese del meridione promette allo sdegnato maestro di usare della sua influenza presso l'editore Tiscordi. al quale Scannagatti ha mandato inutilmente chili di musica.

1952 04 12 Tempo Toto a Colori f2Galeazzo Benti e Totò. Prendono parte al film anche Rocco D’Assunta, Luigi Pavese, Virgilio Riento, Franca Valeri, Vittorio Caprioli, Alberto Bonucci. Anna Vita, Fulvia Franco, Isa Barzizza.

1952 04 12 Tempo Toto a Colori f1Totò in una scena dei film «Totò a colori», di ispirazione marionettistica.

Il maestro accetta; ma quando il giorno dopo cerca il suo protettore, viene a sapere che questi è partito per Capri insieme alla sua fidanzata.

1952 04 12 Tempo Toto a Colori f3Totò nella parte del maestro Scannagatti. La regìa del film è di Steno.

Scannagatti non si da per vinto e, appropriatosi del gruzzoletto del cognato, prende anche egli il volo per Capri. I due giovani fidanzati sono ospiti di una facoltosa signorina che in quel momento si trova in crisi amorosa e minaccia di "smobilitare" l'intera comunità di coloro che vivono alle sue spalle. Occorre trovarle un altro uomo e Scannagatti arriva proprio al momento giusto : in men che non si dica viene trasformato in tipico esemplare di "snob". Scannagatti lascia fare, forte della promessa della raccomandazione all'editore Tiscordi. Ha inizio cosi un crescendo di situazioni finché il maestro parte per Milano per parlare all’editore. In treno accadono cose dell'altro mondo e a Milano. Scannagatti passa di equivoco in equivoco, di avventura in avventura, combinando un sacco di guai con lo stesso Tiscordi, sino a che una masnada di gente urlante non lo rincorre per metterlo a mal partito. Ma, quando tutto sembra perduto, Tiscordi comprende finalmente il genio del maestro e gli offre le glorie del trionfo, prova tangibile del quale sarà un monumento nella piccola piazza del paesetto che gli ha dato i natali.

«Tempo», anno XIV, n.16, 12 aprile 1952


Per tentare le vie del colore, il cinema italiano ha fatto ricorso a Totò e dal suo antico repertorio di rivista ha tratto alcune macchiette che affidate ad un unico filo conduttore, potessero dar vita a un film a episodi abbastanza spensierato. Incontriamo così Totò nelle vesti di Antonio Scannagatti, musicista incompreso che, un giorno, dopo aver perso l'occasione di dirigere con successo la banda nel paesello napoletano in cui vive, si dà a inseguire due snob i quali, per burlarsi di lui, si sono offerti di raccomandare una sua composizione a un noto editore musicale di Milano.

[...]

L'interesse del film perciò, è tutto nelle multiformi virtù comiche di Totò e nel colore italiano con cui, per la prima volta, un nostro film ha potuto rivestire le sue immagini (un un colore che pur non essendo ancora perfettissimo, lascia già molto sperare per le sorti future del cinema italiano a colori). Isa Barzizza, Franca Valeri, Virgilio Riento, Luigi Pavese sono gli altri interpreti. La regia è di Steno, la fotografia è di Delli Colli.

G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», Roma, 13 aprile 1952


Gli ammiratori del principe Antonio De Curtis saranno felici perché potranno vedere finalmente riuniti in un unico film tutti i pezzi forti del comico napoletano; perfino quelli che si trascina fin dai polverosi (e lontani) palcoscenici dei varietà di periferia. Infatti Totò a colori è un «reader digest» del principe De Curtis, una antologia dedicata alle sue pantomime, ai suoi frizzi, ai suoi lazzi, alle sue quisquilie.

C'è Totò maestro di musica, Totò a Capri, Totò in treno, Totò burattino, Totò statua. Facciamo in maniera di conservare almeno questo film perché tra duemila anni, i posteri, pur avendo visto solo Totò a colori avranno visto tutto Totò. Forse qualche postero penserà: «Chissà come era negli altri film! ». Invece negli altri film era come in Totò a colori. Il film passa in rassegna anche tutti quei bravissimi caratteristi che hanno fatto da «spalle» del comico negli ultimi dieci anni: da Mario Castellani a Luigi Pavese e Galeazzo Benti. [...] Lo sketch più indovinato è quello di Capri. «E i colori, nel titolo, che c'entrano?» direte voi. Ben poco; il film si sarebbe potuto chiamare semplicemente Totò. I colori sono un'altra cosa. Regia di Steno.

«L'Unità», 13 aprile 1952


[...] sentiamo parlare di donne chiamate «Trombetta», le quali sposano uomini che rispondono al nome di «Bocca» sì da diventare «Trombetta in Bocca» e nemmeno l’arte di Totò riesce a risollevare trovate simili dalla loro spaventosa miseria. Il film è praticamente privo di titolo: ma la vaga etichetta «Totò a colori» serve egregiamente a denunciarne la assenza di contenuto. Sono alcuni «schetches» cuciti insieme col filo da rattoppar vele che non si legano affatto l’uno all’altro se non per il comune denominatore della volgarità. Volgarità che di tanto in tanto fa ridere, ma d’un riso puramente muscolare simile a quello ottenuto con il solletico.

Totò è meraviglioso, lo sappiamo: la sequenza in cui si traveste da burattino ed eseguisce una specie di «danse macabre», tutta scatti e movimenti disarticolati basta da sola a collocarlo al di sopra di tutti i Danny Kaye di questo mondo. Del resto ve lo ricordate in «Guardie e ladri» o nella piccola parte semiseria di «Yvonne la Nuit»? Totò è un monumento nazionale e la sua tutela dovrebb’essere affidata alla più severa delle Sovrintendenze. I nostri registi, invece, fanno di questo comico il peggior governo possibile, gettando la sua preziosa maschera nelle immondizie.

Se l’umorismo di «Totò a colori» è povero ma — in complesso — castigato, altrettanto non può dirsi di «Parrucchiere per signora», film nel quale i doppi sensi sì sprecano e le battute raggiungono un’audacia da «cinema cochon». [...]

L., «Giornale di Trieste», 15 settembre 1952


Lettere al direttore: Cinema e Moralità

Riceviamo e pubblichiamo integralmente:

Egregio signor Direttore,

Le voglio descrivere una scena avvenuta martedì pomeriggio al Cinema Vittoria dove si proiettava «Totò a colori». Studenti, genitori e ragazzi erano accorsi numerosi: e almeno suppongo che l'attrattiva sia stato Totò e non un tempo piovigginoso e freddo di autunno precoce!...

Ed ecco l'interessante: prodotto dalla stessa casa Ponti - De Laurentiis si proiettò anche un documentario di arte. Non Le so dire nulla delle parole di commento perchè un fragore di risate è scoppiato improvviso: un urlo organizzato a non finire, uno strepito e un frastuono di gente che si divertiva o protestava. Succedeva questo: venivano proiettati quadri che avevano esattamente tutto per essere pornografici, e osceni.

Signor Direttore, è lecito questo? E’ lecito cioè offendere la semplicità dei ragazzi e la serietà dei galantuomini?

Sono poi uscito dal cinema verso le 16.30 e vicino a me c'erano due ragazzi: uno guardando l’orologio ha allungato il passo perchè diceva che doveva essere a casa per le quattro, lo — mi lasci dire anche questo! — ho pensato che i genitori avrebbero perdonato facilmente il ritardo del loro ragazzo, ma più difficilmente chi produce e proietta pellicole che gli fanno del male.
Con ossequio.

(Segue firma)

«L'Azione», 19 settembre 1952


Due film comici sono apparsi contemporaneamente sugli schermi cittadini, uno italiano ed uno francese, tutti e due rappresentanti validi delle rispettive tendenze. «Totò a colori» mostra finalmente fino a quale punto possa arrivare l’idiozia integrale dei vari Steno. «Fanfan la Tulipe» si fa invece vedere come si possa far ridere la gente con intelligenza senza ricorrere alle testate, ai menti storti ed a inutili marionettisti di bassa lega.

[...]  Totò è passato in tutti questi anni da un regista cane ad uno più cane dimostrandoci come la vera direttiva della comicità italiana sia allo stato fallimentare e impedendoci nel contempo una reale valutazione delle sue possibilità di attore. Egli ha ciò che manca a molti altri: una mimica a volte irresistibile, ma non ha ancora trovato quella base contenutistica che gli permetta dei valori umani, è insomma una marionetta, forse un attore in potenza. Ma supponendo in lui l'attore è ancora più sconsolante per noi notare come un regista francese abbia saputo fare un vero film comico senza avere attori tali.

E’ questo è il sintomo chiaro di un inaridimento della nostra vena e del gioire fresco ed efficace di una nuova cinematografia francese che si va imponendo attraverso l'ostilità e l’assenteismo del pubblico.

rab., «La Nuova Gazzetta di Reggio», 28 settembre 1952


L’èra del colore si aprì con Totò

I segreti della tecnica cinematografica. Ha ventidue anni il primo film italiano a colori

Mi diceva l'altra sera un amico «Sai, sono andato a vedere un film di Totò, "Totò a colori ” e tra i titoli di testa ho trovato anche il tuo nome ”tecnico de! colore Elio Finestauri ’’». La rinnovata ondata d'interesse per i film di Totò sta infatti riportando sugli schermi la serie di film tipo «Il turco napoletano», «Miseria e nobiltà», «Il medico dei pazzi» ed altri, che il grande comico interpretò intorno agli anni cinquanta e che coincisero con la comparsa sul mercato italiano delle prime pellicole a colori.

A quell'epoca la produzione di un film a colori era un fatto eccezionale e, sul modello di quanto già da alcuni anni veniva fatto dalla Technicolor col suo «color consultant Natalie Kalmus» o dalla De Luxe col suo «color consultant Léonard Doss». anche noi sentimmo, e giustamente, la necessità di creare il «tecnico del colore», un tecnico che seguisse la lavorazione del film dall'angolo di vista del fabbricante la pellicola e da quello del laboratorio di sviluppo e stampa. E quella di «Totò a colori», il primo film italiano a soggetto a colori, fu davvero un'esperienza ricca di contenuti umani oltreché tecnici.

Era l’anno 1950 e sin'allora, di produzioni a colori s'era fatto soltanto qualche documentario che era servito di collaudo sia al personale e alle attrezzature dello stabilimento di svi luppo e stampa, sia alla stessa pellicola negativa e positiva.

Ma Dino De Laurentiis, a quell'epoca associato a Carlo Ponti nell'ormai quasi leggendaria Ponti-De Laurentiis. con la solita intraprendenza che sempre lo ha distinto, volle rompere indugi ed esitazioni che ancora esistevano, ed a ragione, sulla pratica di un lavoro nuovo per tutti, passò decisamente alla realizzazione di «Totò a colori». Il film si girava alla Vasca Navale ed il povero Totò, e gli altri attori con lui. «ardevano» letteralmente sotto il calore dei «bruti» che illuminavano il «set». Ricordo che un giorno, mentre si girava un grande ambiente, quindi con una enorme concentrazione di luce artificiale, mi sembra la scena del teatro in cui Totò interpreta. sul palcoscenico, la parte del burattino di legno, gli inservienti erano pronti con pezze bagnate ad intervenire perché non appena Totò si fermava di recitare il parrucchino che portava, per il grande calore, cominciava a fumare.

La pellicola infatti, il primo glorioso Ferraniacolor, aveva una sensibilità di appena 10 ASA (pensate che ora le pellicole a colori hanno una sensibilità intorno ai 100 ASA!), ma gli operatori, non a torto, la calcolavano prudentemente sugli 8 ASA. Il direttore della fotografia era Tonino Delli Colli, l’operatore di macchina Riccardo Pallottini. ora ultraffermati professionisti ma allora, come me, agli inizi della carriera e tutti neofiti in un campo sconosciuto. La mia esperienza di lavorazione di pellicole a colori derivava da circa un anno di pratica di sviluppo e stampa di documentari e dallo studio di rare pubblicazioni che in materia erano state scritte da qualche americano della Kodak o da qualche belga della Gevaert, però va tenuto presente che l'unico tipo di pellicola a colori che si era usato sino allora era stata quella ad inversione, quindi i problemi trattati e studiati erano alquanto diversi da quelli che interessavano noi.

La Ferrania affidò al compianto dottor Giulio Monteleoni l'incarico di affiancarmi nel superamento delle difficoltà che giorno per giorno, vorrei dire ora per ora. insorgevano nella ripresa e nel trattamento della pellicola.

I problemi di ripresa erano legati specialmente al tipo di illuminazione da dare e al tipo dei colori da scegliere. In pellicole a pochissima latitudine di posa com’erano le negative a colori di allora, una zona lasciata appena in ombra cadeva subito in sottoesposizione con sgradevoli dominanti parassite, perciò era rigorosamente vietato all'operatore lasciarsi andare a giochi di luci e ombre, e la differenza tollerata tra zona di massima e quella di minima illuminazione era di 2 a 1, un rapporto assurdo per direttori della fotografia che provenivano da una lunga pratica di riprese in bianco e nero, ove proprio con la modellazione del chiaroscuro avevano raggiunto espressioni artistiche eccelse.

I contrasti si dovevano creare, si diceva, con gli accostamenti cromatici, tra colori che riflettevano più luce e colon che ne riflettevano meno: era più facile a dirsi che a farsi, e ne uscivano fuori vere c proprie frittate di colori ove, in ogni inquadratura, c'era di tutto. L'eccitazione poi di girare il primo film a colori portava tutti, dallo scenografo al trovarobe, a colorare qualsiasi cosa di un colore brillante, dalle pareti delle stanze agli stipiti, ai mobili, ai vestiti, ai sopramobili, ai capelli stessi degli attori. Avevamo un bel dire Monteleoni ed io che tutti quei colori che ci circondavano sul «set», in una profondità spaziale ancora tollerabile, ce li saremmo poi ritrovati tutti insieme nei pochi metri quadrati dello schermo, in un concentrato cromatico ossessivo; nessuno ci dava retta, la «cromomania» aveva preso la mano a tutti.

Se confrontiamo l'aspetto artistico (e per aspetto artistico intendo un po' tutto: fotografia. scenografia, studio cromatico) di uno di quei film a colori di vent’anni fa con uno di quelli di oggi, che so io, poniamo «Detenuto in attesa di giudizio» fotografato da Sergio D'Offizi, o «Addio fratello crudele» fotografato da Vittorio Storaro, oppure «Decameron» fotografato dallo stesso Tonino Delli Colli, ci rendiamo conto di quale abisso tecnico ed artistico separa le opere di allora da quelle di adesso: la luce è tornata ad avere la stessa funzione di modellazione che aveva nella fotografia in bianco e nero, l'accostamento cromatico non è più scelto in funzione di contrasto ma in funzione di fusione e la chiave cromatica fondamentale è data dalla uniformità, cioè dalla resa dei diversi toni di grigio.

Da un punto di vista stretta-mente professionale però confesso che ho avuto due soddisfazioni rivedendo «Totò a colori» ventidue anni dopo: la prima è che il negativo del film, pur avendo perso un po’ di saturazione, ha retto bene nel tempo. Si diceva infatti allora che i negativi a colori col passar degli anni avrebbero perso le tinte e sarebbero divenuti inutilizzabili. Invece vediamo che questi negativi, se sono stati ben immagazzinati, sono ancora utilizzabili. La seconda soddisfazione, che poi è una derivazione della prima, è che in definitiva le copie di un film di ventanni fa. stampate ora, non sfigurano se paragonate a quelle stampate allora perché la più o meno leggera perdita di saturazione de! negativo è in parte compensata dal grande progresso fatto nel frattempo dalle pellicole positive da stampa.

Elio Finestauri, «Il Messaggero», 6 marzo 1972


Continua la «cavalcata» televisiva attraverso il paese dì Totò. Stasera, 21.55 sulla Rete 1, non è da perdere «Totò a colori». La storia ha poco peso qui, si narra del Maestro Scannagatti che insegue la gloria musicale tra Capri e Milano viaggiando in un vagone letto (chi non ricorda la celebre scenetta di Totò e l'on. Trombetta?). Il fatto più importante è che questo film del 1952 — il primo in Italia a colori — riunisce tutte le gag più famose del Totò principe del varietà: una carrellata, insomma, sulle sue smorfie, sui suoi gesti e sulle sue «occhiate» più caratteristiche. La regia è di Steno, gli altri interpreti Isa Barzizza e l'immancabile Mario Castellani. [...]

«L'Unità», 20 agosto 1981


Totò a colori, Italia commedia 1952. Nel 1952, quando l'uso imponeva alla critica di parlar male di Totò, uno dei massimi critici di allora relativamente a «Totò a colori» scriveva: «Non si dovrebbe nemmeno citare questo mediocre film, uno dei meno riusciti fra quelli interpretati da Totò, che pure sono già d'un livello alquanto basso, se non fosse il primo film italiano a colori».

Il critico proseguiva parlando di «fretta della realizzazione» di «Ferraniacolor» alquanto piatto e anonimo, a volte anche stucchevole» e concludendo che «stupisce soltanto che dietro alla macchina da presa ci sia un operatore come Tonino Delli Colli», dimenticando che il regista era Stefano Vanzina, in arte Steno, che il soggetto era firmato da Monicelli, Age e Scarpelli, e che il film aveva incassato 774 milioni (di allora) entrando di diritto nella hit dell'anno con una resa eccedente di 17 volte quella del contemporaneo «Sceicco bianco», ma comunque poco più alta della metà di quella di «Don Camillo». La pellicola fu prodotta dal tandem Ponti-De Laurentis, che evidentemente ne usci soddisfatto, e oltre a Mario Castellani, spalla storica di Totò, annoverava nel cast Isa Barzizza e la miss Italia Fulvia Franco, poi rientrata nell'anonimato dopo il matrimonio con il boxeur, allora sulla cresta dell'onda, Tiberio Mitri.

[...] Nei giorni scorsi, tra il resto, ad un congresso svoltosi nell'austera Montecatini è stata avanzata l'ipotesi di finanziare un monumento a Totò, ipotesi per il momento accantonata ma in grado di conferire un che di profetico e quasi drammatico alla pellicola di oggi pomeriggio.

«La Stampa», 30 aprile 1983


E se l'On. Trombetta oggi fosse della Lega?

Ecco a voi il più famoso sketch della storia del teatro leggero italiano, «l'onorevole in vagone letto», con Totò, la sua spalla abituale Mano Castellani e una splendente Isa Barzizza. Come sempre la sua trasposizione sulla carta non è che una pallida orma di quello che accade sulla scena o sullo schermo. Manca un intero armamentario di segni convenzionali per indicare le pause, te intonazioni, le sottolineature, gli appoggi, i falsetti, gli slittamenti. Senza contare le espressioni facciali, la gestualità, le controscene. Tanto è vero che a un certo punto è segnato sul copione un soggetto delle valigie, cosi come nei concerti in forma classica era segnata la cadenza per l'esecutore dello strumento solista. Ma sia pure ridotto a una pallida larva, il testo trasmette ugualmente la sua prorompente comicità. La situazione è classica: un luogo chiuso e degli estranei costretti a una coabitatone forzata. Tanto vero che nelle sue versioni cinematografiche lo sketch è girato tutto di seguito, come un piano sequenza, con un’inquadratura frontale fissa, come girava Chaplin ai tempi del muto.

Il personaggio dell’onorevole è un’invenzione geniale: tronfio, vacuo, un pallone gonfiato che rivendica i suoi privilegi. Quando lo sketch fu scritto e girato per la prima volta, l’onorevole era chiaramente un democristiano, anche se non è detto da nessuna parte, per evitare gli strali della censura L'onorevole Trombetta lo si immagina votato da quella Vandea di pecoroni che poi lo subissa di richieste e di raccomandazioni. Totò, alla notizia che l’onorevole nella vita civile faceva l’ostetrico, osserva che ha fatto bene a farsi eleggere perchè «con le ostriche si deve guadagnanare poco... Perché non si fa una bella cassetta di sigarette americane...», vendicando in tal modo l'Italia oppressa dalla democristianeria imperante. Le costruzioni censorie fanno bene alla comicità. Allo stesso modo, quando più avanti la signora Barzizza li informa che un uomo armato vuole uccidere lei e i suoi occasionali compagni di viaggio, mentre l’onorevole tromboneggia: «Ne voglio fare un'interrogazione alla Camera, parlo domani...». Totò contrappone un: «lo parlo adesso... e senza peli sulla lingua... vi dico che la paura mi frega». E via di questo passo. Rivisitandolo oro, viene la tentazione di attualizzarlo, attribuendo l'onorevole Trombetta al gruppo della Lega Nord. Per cui tutto torna, dal momento che l'onorevole precisa: «Mia sorella da signorina faceva Trombetta, adesso invece mia sorella maritata fa Trombetta in Bocca». E' consolante pensare che la sorella dell'onorevole leghista abbia sposato il fratello di Giorgio Bocca; si spiegherebbe cosi anche il mio appoggio a Formentini. Inutile poi ricordare cosa significa, fin dai tempi delle Malebolge di Dante, «fare trombetta».

Questo sketch dà modo a Totò di disegnare ancora una volta il personaggio di borghese anarchico, scompigliatore dell'ordine stabilito, irrispettoso delle convenzioni linguistiche, finto tonto per non pagare il dazio e fare il cascamorto con le belle signore. «Non cominciamo a fare camorre!», grida al conduttore del Wagon Lit che vuol farlo dormire qui. Mentre la comicità mimica di Totò è straordinaria e complessa, quella verbale è semplice, affidata al gioco dei fraintendimenti e alla ripetizione di un dettaglio avulso dal suo contesto naturale a cui Totò si appiglia come ad un’ancora di salvezza. Un esempio fra i tanti la signora Barzizza irrompe nello scompartimento e chiede ospitalità ai due occupanti perchè un uomo, che lei ha conosciuto a Rapallo, la perseguita e vuole ucciderla. Quest'uomo lei lo ha visto alla stazione e Totò precisa: «a Rapallo!». Poi lei aggiunge che l’uomo l’ha inseguita sul treno e che è armato. E Totò ripete: «a Rapallo!». Attenzione: non si tratta di un puro espediente meccanico per scatenare la risata (alla Drive In, per intenderci); quel Rapallo! rappresenta anche il desiderio assurdo del pauroso Totò che quell'uomo armato non si trovi in stazione e sul treno ma sia rimasto a Rapallo, quel Rapallo che a forza di essere ripetuto fuori dal suo contesto logico diventa pura astrazione. Certo, nessuna analisi, per quanto accanita, riuscirà mal a dare la formula per far ridere; la comicità dopo tutto è sostanzialmente una questione di tempi esatti fino alla frazione di secondo e questo stesso sketch, recitato da altri e con tempi diversi, farebbe a malapena sorridere.

Bruno Gamabrotta, «L'Unità», 28 gennaio 1993


Quando Totò chiese lo sconto ad Andreotti

L'incontro nel '57 in treno, il ministro disse no. L'attore disse al ministro delle Finanze: «Nella vita ognuno ama essere sopravvalutato ma io lo sono soltanto dal Fisco»

[...] Anche quarant'anni orsono gli artisti di grido cercavano di non pagare le tasse: e anche allora i ministri delle Finanze si davano da fare per convincerli ad aprire i cordoni della borsa. L'unica differenza è che tutto avveniva nella massima discrezione, magari in una cabina della Wagon-lit, comunque senza feste e senza televisioni. Uno di questi artisti renitenti era Totò. Il ministro delle Finanze era appunto Andreotti, l'anno poteva essere il 1957. Di sicuro il loro incontro avvenne in un vagone letto, d'estate sulla tratta Nizza-Roma. Quando sentì bussare Andreotti era già in cabina, in pigiama e giacca da camera. Aprì e si trovò di fronte il Principe Totò, in elegante tenuta da yacht man, accompagnato da Franca Faldinì, che volevano augurargli la buona notte.

Un po' si conoscevano. L'attore fu come al solito signorile, cortese e simpatico, ma probabilmente era mosso da una questione che andava un po' oltre la gentilezza. Disse che non avrebbe mai voluto approfittare del ministro in vacanza, o ancora di più in quella inconsueta situazione (un po' come Pavarotti con D'Alema durante la cena coreana del marzo scorso) per porre certi suoi urgenti problemi, ma che avrebbe gradito incontrarlo in ufficio per illustrarglieli. Si lasciò comunque sfuggire una battuta piuttosto eloquente; «Nella vita ognuno ama di essere sopravvalutato, ma io lo sono solo dal Fisco». Andreotti fissò un appuntamento per il lunedì seguente.

Ora, quell'incontro si tira appresso un che di leggendario e cinematografico: nel vagone letto è infatti ambientato uno doi più celebri e spassosi siparietti di Totò, che non a caso ha come spalla un politico, il quale a sua volta ha la sventura di chiamarsi Trombetta. Nel film questo onorevole Trombetta è costretto a dividere la carrozza con Totò, musicista incompreso, autonominatosi «il cigno di Caianiello». I due vengono subito a diverbio. A un certo punto Trombetta, arrogante, si rivela: «Io sono un onorevole!», grida «un o-no-ro-vo-le!». Ed è qui che Totò se lo guarda con aria scettica, aggiustandosi la bombetta che ha in testa. «Un onorevole?» chiede con una smorfia di disgustosa incredulità. «Si!» tuona quell'altro, sempre più altezzoso. «Ma mi facci il favore!» ribatte Totò con surreale potenza. Fine.

Secondo una leggenda cinematografica questa scena sarebbe una vendetta di Totò contro Andreotti, che proprio per via delle tasse gli avrebbe ispirato la figura spregevole dell'onorevole Trombetta. Ma il film è del 1952, mentre Andreotti arriva alle Finanze tre anni dopo.

Nella realtà, il lunedì seguente Totò fu ricevuto al ministero. Come Pavarotti si lamentò per l'esosità del fisco e come Pavarotti provò a chiedere sconti. Come Pavarotti, probabilmente che ha addirittura uno sorta di agenzia per le iniziative di charity il Principe de Curtis rivendicò la quantità di denaro da lui utilizzato per fare beneficienza. Come Pavarotti fece presente l'ingiustizia per un troppo lungo intervallo fra la produzione del reddito e gli accertamenti. Come Povarotti, infine, tirò in ballo altri migliori sistemi fiscali, in primis quello americano. Il ministro Andreotti che ha rivelato il tutto in Visti da vicino, seconda serie e di recente pure in un'intervista al Mattino - lo stette a sentire senza troppo contraddirlo. Ma alla fine, come a Pavarotti, consigliò una rateizzazione della somma. Che Totò scucì, sia pure lontano dai riflettori.

Filippo Ceccarelli, «La Stampa», 28 luglio 2000


I documenti


Totò, il neocretinismo televisivo ed altro

Totò non è soltanto eterno ma anche attuale, una risposta sempre valida alla civiltà del finto e del lezioso: su può immaginare cosa direbbe delle pubblicità che massacrano i film, delle telenovelas, del neocretinismo televisivo, dei nuovi onorevoli sempre meno nuovi e sempre meno onorevoli. Perchè naturalmente, in Italia, la parola "onorevole" è rimasta com'era, e adesso se ne fregiano quelli che vogliono abolirla. Ma ci sarà sempre, speriamo, un Totò che riserverà loro uno schiaffo, un punto esclamativo, uno sputo in un occhio. Ci sarà sempre, contro ogni potere, uno schietto, salutare "Ma mi faccia il piacere!"

Enrico Giacovelli


La traccia dello sketch del wagon-lit la scrive Michele Galdieri ma col tempo verrà ampliata e messa a punto da Totò, durante le rappresentazioni della rivista C'era una volta il mondo, ed in seguito.


Sono passati cinquant’anni da quel film. Totò a colori era il primo lungometraggio a colori ed ero completamente impreparato di fronte al nuovo sistema. La Ferrania cominciava a fare la pellicola a colori. Nessuno ci credeva, nessuno si capacitava che sarebbe venuta davvero fuori. Allora ero a contratto con Dino De Laurentiis, dovevo andare in trasferta a fare La tratta delle bianche e non mi ci mandarono più, tant’è vero che Luigi Comencini si offese con me. Mi fecero restare a Roma proprio per questo avvenimento del colore, proprio per il primo film italiano a colori, con Totò protagonista. Non so perché vollero affidare il compito a me. Tonti era impegnato e credo che gli altri operatori non avessero il coraggio di imbarcarsi nell'impresa. Mi dettero settanta metri di pellicola, facemmo dei provini, e vennero fuori colorati per davvero. Allora andai da De Laurentiis e gli dissi: «Guarda, per come dicono di fare il colore quelli della Ferrania io non sono capace, perché raccomandano di illuminare la scena come una cartolina a flash, insomma pretendono che non ci sia nemmeno un’ombra o una mezza ombra, ma tutta luce piena». Dino insistette, io d’altronde non avevo modo di controbattere le istruzioni della Ferrania, così mi misi d’accordo con Steno, lo avvertii che il materiale sarebbe venuto fuori tipo «Il Corriere dei Piccoli» e infatti lo scenografo Piero Filippone fece pure le scene alla «Corriere dei Piccoli», tutte colorate, con le porti verdi, le lenzuola azzurre. Anche perché ci dimenticammo della pellicola a colori e pensammo che sarebbe stato come nel bianco e nero, dove uno fa la biancheria gialla perché risulti bianca. Insomma, fu un casino, pratica-mente non ci preparammo per niente, c’erano solo questi tecnici della Ferrania che davano un indirizzo. Questi colori ebbero un ruolo fondamentale nella costruzione di un’atmosfera quasi surreale, più conforme al varietà che al cinema. Gli accordi con la produzione prevedevano comunque la ristampa in bianco e nero se la realizzazione del colore non fosse stata adeguata.

L’inconveniente più grosso era costituito dai riflettori. Per ottenere la quantità di luce sufficiente a impressionare la pellicola, le riprese in interni richiedono una luminosità tre-quattro volte superiore a quella necessaria per un film in bianco e nero. La nuova pellicola a colori era poco sensibile, di sole 6 ASA, mentre quella del bianco e nero era di 100 ASA. Perciò al posto di una lampada da dieci candele, ce ne voleva una da diecimila. E quindi mettemmo tante lampade una vicina all’altra per avere l’enorme luce necessaria. Per far venire fuori i colori accesi delle scenografie e dei costumi vennero utilizzati un numero enorme di riflettori. Sotto il fuoco terribile delle lampade, l’orso che Franca Valeri ha con sé nello sketch di Capri si incattivisce. Totò soffre enormemente il caldo. Alla fine del primo giorno di lavorazione si mette a letto mezzo accecato, con la testa che gli scoppia e gli abiti che scottano. Appena finita una scena, Totò cercava di scapparsene dal teatro, mi sembrava una farfalla accecata e sbruciacchiata dalla lampada. Una sera si sentì male, aveva la parrucca arroventata perché al ciak, oltre ai riflettori, attorno alla macchina da presa si accendeva una corona di lampade che era stata ribattezzata «il mostro». Così Steno gli fece mettere persino una borsa del ghiaccio sotto la parrucca, che cominciava lo stesso a fumare. Quando anni dopo si ammalò agli occhi, ripensai tante volte a quelle luci, pensai che, chissà, potevano avergli provocato un primo danno alla vista.

Pian piano cominciai a non dare del tutto retta ai tecnici della Ferrania, riuscii a calare un po’ le luci e ottenni anche qualche piccolo effetto. Ad esempio secondo loro non si poteva creare il raggio intorno a Totò quando faceva Pinocchio sul palcoscenico. Invece feci di testa mia. Costruii una luce funzionale a questa vivace recitazione, liberando Totò da ogni impaccio e permettendogli di muoversi a suo piacimento. La fotografia cattura ogni trovata dell’attore. Ho cominciato a fare qualche effetto e mi sono accorto che i risultati erano buoni anche mettendo meno luce. C’è stata un’evoluzione nel colore delle riprese, lo si può vedere facilmente, perché il film è stato girato secondo l’ordine narrativo. Le ultime scene sono illuminate in modo meno piatto, più preciso.

Tonino Delli Colli


Era un insieme di cose che aggiungeva ogni sera. Per quanto riguarda lo sternuto, aveva cominciato con un accenno, vedeva che il pubblico ci stava e allora la seconda sera lo allungava un po', però continuava a fare tutto quello che aveva fatto la sera prima. Una cosa si agganciava all'altra, con un rigore assoluto: inventava molto e, se riteneva che funzionasse, una volta che la metteva a punto non cambiava più una virgola.

Isa Barzizza


In cinema è molto divertente perchè Totò ci ha messo cose molto carine, però a teatro era un'altra cosa.

Isa Barzizza (a proposito dell' sketch del vagone letto)


Totò lo conoscevo anche privatamente perché era molto amico di Vittorio Caprioli, allora mio marito. Era una persona deliziosa; avevamo un grande argomento in comune che erano i cani, che lui adorava. L'ho visto anche in rivista, per mia fortuna. Caprioli e Bonucci, che erano stati con lui agli inizi della carriera, dicevano che era diverso in teatro, molto più vivace, e che avevano tratto degli insegnamenti enormi dalla sua capacità di condurre il pubblico con i toni di voce. Era di un’estrema cortesia e apparentemente di una grande tranquillità, come se questo suo personaggio non gli appartenesse. Non faceva pesare un’elaborazione del lavoro dei testi: veniva lì tranquillo, sembrava che avrebbe detto quello che avevano scritto, poi naturalmente quando l’avevi vicino dovevi stare in campana, perché inventava... Però io mi sono trovata molto bene. Ricordo che si divertivano tutti. Era molto amato, c’erano molti giovani, come Galeazzo Benti, e delle ragazze che volevano imparare da lui, le sue battute, le sue pause. Steno, che era considerato un regista commerciale, era molto dissacratore, molto ironico. Era uno di quei registi che apparentemente ti lasciavano fare però erano molto abili, di grande mestiere. Dovevi solo aggiungere delle battute comiche se ti venivano, però lo schema era preciso, ed è quella la cosa più importante.

Franca Valeri


Fui scritturata per Totò a colori. Ero una sciocchina che stava a Capri ma voleva andare in montagna. Avevo un orso invece di un cane e degli amici schivi che si buttavano in terra per me. Finché arrivava Totò, un fantoccio con la maglietta a righe orizzontali, e spariva l'ambiente. C’era qualcosa di surreale nella sua recitazione mescolata all’esperienza del capocomicato napoletano di sintetizzare con successo elementi opposti. Ecco cosa intendo. Un grande attore è raro che dimentichi di recitare fuori dal set o dal palcoscenico. Nel suo caso, invece, la distanza era palese. Totò aveva conosciuto abbastanza bene Vittorio Caprioli che è stato mio marito e che aveva avuto in compagnia. E per questo stringemmo una certa amicizia. Avevamo in comune una grande passione per i cani. Mi faceva tenerezza vederlo, accompagnato a volte dalla Faldini, tutto elegante, sigaretta con bocchino in una mano e un volpino nell’altra, come fosse una borsa stravagante. Ci teneva a essere un signore. E lo era per davvero. Rifare la ‘signorina snob’ non è stato difficile, perché era un personaggio, non un abbozzo; scritto, concepito come un personaggio, poteva essere anche visivo. Il testo era mio. Quello di Totò a colori era stato un pochino modificato dalla loro sceneggiatura, non era esattamente il mio ideale, era un po’ forzato, un po’ caricaturale. La situazione si era dovuta adattare alla storia del film, mentre secondo i miei canoni la ‘signorina snob’ era una veramente chic. Ma nel complesso restava un personaggio abbastanza giusto. Non ho mai fatto un film come fossi io, nella realtà; solo nei recital mi presentavo come me stessa, sempre con il mio vestitino nero di Capucci.

Franca Valeri


Con Totò ho fatto undici film e due spettacoli; perciò posso permettermi di dire che chi non lo ha visto sulla scena non ha visto nulla della sua grandezza. Quello dello schermo è un Totò al sessanta per cento perché le esigenze della regia, i movimenti della cinepresa, le costrizioni del set, lo impastoiavano, sebbene qualche suo passaggio surreale riveli come, sporadicamente e di straforo, certe libertà se le sia prese lo stesso. Tanto per fare un esempio, lo sketch del vagone letto che nasceva da una variante ideata da Michele Galdieri della farsa La camera fittata a tre, nella versione cinematografica di Totò a colori è poco o nulla rispetto a quello teatrale, benché anche lì, a farlo accanto a lui come a teatro, fummo io e Mario Castellani. la sua spalla ineguagliabile, che in palcoscenico lo intuiva al volo. Il che era un compito arduo perché Totò era imprevedibile, partiva a razzo su quanto gli frullava nella mente in quel momento e Castellani doveva tenere conto della sua mimica, delle improvvise pause, deg scatenamenti a fuoco d’artificio e dei subitanei tormentoni. Eppure, per come lo rammento io, ci riusciva sempre, quasi avesse delle antenne, ma senza ma darsi delle arie da unico attore in grado di farlo. Ricordo che al debutto in teatro, il vagone letto era nor sketch della durata di una decina di minuti; poi, via via si trasformò in una specie di atto unico, tre quarti d'ora di limpidissima comicità, perché Totò, secondo il suo costume, vi infilava ogni sera una gag diversa, lo saggiava con il pubblico e se funzionava ce la includeva. Mai più ho sentito in un teatro i boati di risate che suscitava Totò.

Isa Barzizza


In Totò a colori non era il caso di stare a fare della regia, fu come se avessi dato la macchina da presa in mano a Totò. I tempi di Totò erano perfetti, perché lui li aveva sperimentati anni e anni con il pubblico [...]. Del resto lui personalmente non aveva mai bisogno di ripetere una scena perché era prontissimo, essendo abituato dal teatro: se la sua spalla o comunque l’attore con cui lavorava dimenticava la battuta, era Totò a dargliela, risolvendo la situazione.

Steno


Più che di Ponti per Totò a colori, bisognerebbe parlare di Ferrania. Totò a colori fu fatto infatti coi soldi della Ferrania, che pagò la pellicola del primo film italiano a colori a scopo promozionale. I primi giorni venne un ingegnere della Ferrania a dirci: “Guardate, le lenzuola devono essere azzurre, i riflettori devono stare là sopra”. Tant’è vero che fu il famoso giorno in cui la parrucca di Totò cominciò a fumare. “Ma come mai le lenzuola devono essere azzurre?”, noi. “Non vi preoccupate, vedrete”, lui. E infatti in proiezione le lenzuola vennero azzurre! Nello sketch del vagone letto, io dovevo fare uno dello scompartimento accanto, che batte contro la parete perché non vuol sentire rumori. In realtà io dovevo battere quando mi accorgevo che Totò allungava troppo certe cose, perché non si ricordava. Per Ponti fu un vero affare, perché il film gli costò pochissimo. Era un insieme di vecchi sketch di rivista di Totò, bellissimi, quello che costava era solo la pellicola.

Lucio Fulci


C’era questa Ferrania che stava facendo la pellicola a colori. Nessuno ci credeva, nessuno si capacitava che sarebbe venuta davvero fuori con una pellicola a colori. Allora ero a contratto con De Laurentiis, e dovevo andare a fare La tratta delle bianche e non mi ci mandarono più, tant’è vero che Comencini si offese con me. Mi fecero restare a Roma proprio per quest'avvenimento del colore. Non so perché vollero affidare il compito a me, so che Tonti era occupato e credo che gli altri operatori non avessero il coraggio di imbarcarsi neH’impresa. Mi dettero settanta metri di pellicola, facemmo dei provini, e vennero fuori colorati per davvero. Allora andai da Dino e gli dissi: “Guarda, per come dicono di fare il colore quelli della Ferrania io non sono capace, perché loro raccomandano di illuminare la scena come una cartolina a flash, insomma pretendono che non ci sia nemmeno un’ombra o una mezza ombra ma tutta luce piena”.
Dino insistette, io d’altronde non avevo modo di controbattere le istruzioni della Ferrania, così mi misi un po’ d’accordo con Steno, lo avvertii che il materiale sarebbe venuto fuori tipo “Il Corriere dei Piccoli”, e difatti Filippone fece pure le scene alla “Corriere dei Piccoli”, tutte colorate, con le porte verdi e le lenzuola azzurre anche perché ci dimenticammo della pellicola colori e così pensammo che sarebbe stato come nel bianco e nero, che uno fa la biancheria gialla perché risulti bianca. Insomma fu un casino, praticamente non ci preparammo per niente, c’erano solo questi tecnici della Ferrania che più o meno davano un indirizzo.

Però con i sistemi di illuminazione che erano quelli del bianco e nero tutto diventava difficile perché, al posto di una lampada mettiamo da dieci candele, ce ne voleva una da diecimila. E quindi eravamo costretti a mettere tante lampade una vicina all'altra per avere l’enorme luce necessaria. Le luci furono bestiali, a Totò spesse volte gli fumava la parrucca. Poi piano piano, quando cominciai a non dare del tutto retta ai tecnici della Ferrania, riuscii a calare un po’ le luci e ottenni anche qualche piccolo effetto. Ad esempio secondo loro non si poteva fare il raggio attorno a Totò quando recitava il burattino sul palcoscenico. Invece io feci di testa mia e difatti venne bene.

Appena finita una scena, Totò cercava di scapparsene dal teatro, mi sembrava una farfalla accecata e sbruciacchiata dalla lampada. Una sera si sentì male, aveva la parrucca arroventata perché, oltre ai riflettori, attorno alla macchina da presa si accendeva, al ciak, una corona di lampade che era stata ribattezzata “il mostro”. Così gli dovettero mettere una borsa di ghiaccio in testa, perché gli era venuto una specie di colpo di calore. Quando poi anni dopo si ammalò agli occhi, io ripensai tante volte a quelle luci, pensai che, chissà, potevano avergli provocato il primo danno alla vista.

Tonino Delli Colli


Totò a colori fu girato tutto negli stabilimenti della Vasca Navale. Era il primo film a colori italiano e le luci erano spaventose. Totò fu costretto a mettersi una borsa di ghiaccio sotto la parrucca, data la violenza dei riflettori. Bene, la parrucca a un certo momento gli fumava. Con Delli Colli non ci eravamo preparati in modo particolare alla lavorazione a colori. Contavamo sul tecnico della Ferrania, onnipresente in teatro di posa. Difatti ci stupimmo molto quando vedemmo che la biancheria, che nel bianco e nero per risultare bianca è gialla, era invece azzurra. In Totò a colori, che è considerata un po’ un’antologia di Totò, molte cose le girò lui così come voleva, io non mi ritenevo autorizzato a modificarle, dato che era quasi tutta roba del suo repertorio teatrale. Come ad esempio lo sketch del vagone letto, che nessuno meglio di Totò e Castellani poteva conoscere da fuori e da dentro.

Steno


Così la critica alla "prima" teatrale della rivista C'era una volta il mondo al Teatro Nuovo di Milano; all'interno della rivista fu proposto, per la prima volta, lo sketch del vagone letto.

Ciò che Totò riesce a fare a questo punto è inaudito: si tratta forse della più completa e perfetta pagina della sua carriera e nemmeno Einstein potrebbe definire le dimensioni della sua comicità: quello sternuto mancato, quelle valigie che volano, quell'infallibile meccanica. Bisogna vederlo: egli fracassa tutti gli schemi dei nostri pensieri quotidiani, della nostra logica, delle nostre convenzioni, come altrettanti cerchi di foglio. Formidabile. La platea squassata dalle risa; urla di giubilo.

Angelo Frattini, critico teatrale, 1948


Uno sketch lungo un atto


Doveva durare dieci minuti: alla fine eravamo arrivati con Castellani, la mia spalla, a un'ora e forse più. A Foggia uno spettatore si sentì male dal divertimento, dovettero chiamare l'ambulanza. Lo chiamavano sketch, ma era un lungo atto, tutto inventato. Ma in teatro era una cosa: l'ho fatto per il cinema e tutto si è infiacchito; forse perché mancava il fiato del pubblico, quel fiato che ti scalda il collo, ti sveglia l'animo.



Uno sketch però è diventato addirittura proverbiale: quello dell'onorevole in wagon-lit, liberamente tratto dalla rivista di Michele Galdieri "C’era una volta il mondo" (1946) e poi ripreso da Totò anche in televisione, a fine carriera, nell'episodio "Premio Nobel" da Tuttototò (1967). La versione teatrale, sempre con Isa Barzizza e con l'impagabile Castellani, durava inizialmente pochi minuti; poi, nel corso delle repliche, fu a poco a poco ampliata dalle improvvisazioni di Totò e arrivò fino a quaranta-cinquanta minuti. Un vero e proprio atto unico, dunque, che cambiava ogni sera secondo le consuetudini del varietà e in cui aveva maggior spazio, rispetto alla versione cinematografica, la sezione con la Barzizza: alla fine, oortato all’esasperazione da Totò e dalla bella sconosciuta, l'onorevole si buttava giù dal finestrino.

La trasposizione cinematografica dà più spazio al duetto fra Totò e l'onorevole, con qualche piccola inutile censura. A teatro, ad esempio, l'onorevole Trombetta diceva: «Se non vi riesce di chiamarmi Trombetta, chiamatemi onorevole»; e Totò gli rispondeva: «Non posso: la mia coscienza non me lo permette». Sullo schermo si preferì eliminare questa battuta, ma finì per diventare ancora più irriverente il Totò che non crede alla vera identità dell’onorevole, che gli sghignazza in faccia e che alla fine scoppia in un «Onorevole? Ma chi? Ma mi faccia il piacere!». La frase divenne tanto proverbiale che fu poi adoperata per alcuni manifesti elettorali del Partito Comunista e per una copertina del Male. E ancor oggi non c’è chi non colleghi la parola "onorevole", del resto sempre più disonorata da chi la porta, agli spernacchiamenti e alle sghignazzate di Totò.

Lo sketch del vagone-letto come ci è stato tramandato da Totò a colori è un po' una summa dell’arte comica di Totò, e vi ritornano molte gag e molti tormentoni già noti: la frase «lo sono un uomo di mondo: ho fatto tre anni di militare a Cuneo», ad esempio, si era già sentita nell'Imperatore di Capri; sulle mani addosso e sui "tocchi e ritocchi" era già impostato il duetto fra Totò e Fabrizi in Guardie e ladri; e la trovata esilarante della maschera antigas risale addirittura al primo film di Totò, Fermo con le mani. SAa qui tutto funziona alla perfezione, ogni divagazione sembra necessaria, anche il già noto sembra ritrovare una sua verginità. E dire che il testo di partenza, privato delle improvvisazioni di Totò e compagni, sarebbe tutt’altro che eccezionale: a ben guardare non c'è neanche una trama, e l'unica vera idea narrativa (la signora che si rivela una ladra) viene esaurita in pochi secondi e poche battute.

Quello che conta è solo e soltanto il modo in cui Totò riesce a ingigantire per più di venti minuti uno spunto di partenza minimo, banale: una serie di acrobazie nel vuoto, di variazioni su un tema quasi inesistente. Come la Quinta Sinfonia di Beethoven: un’architettura sonora di trenta minuti e più poggiata su quattro semplici, banali, insignificanti note, tà-tà-tà tà. Qui più che mai trionfa l'individualismo di Totò, la sua mancanza di rispetto per i ruoli, per le cariche, per i nomi: perché è a cominciare dagli appellativi e dai cognomi che si esercita la spocchia di chi detiene il potere o crede di detenerlo. Così la pura e semplice affermazione di sé diventa senza volerlo satira politica, anzi satira antipolitica; e Totò diventa l'uomo qualunque in eterna lotta contro il nemico numero uno: il potere, l'autorità. Senza manifesti, senza programmi, senza intenzioni: semplicemente mostrando la realtà per quella che è dietro ai nomi e agli aggettivi che ce la vogliono far sembrare diversa. Totò, il candido e ignorante Totò, scambia l’uomo politico per un ladro: non sa che in Italia un mestiere vale l'altro, e forse il vero insulto sarebbe scambiare un ladro per un uomo politico.

Enrico Giacovelli


Pinocchio in technicolor


La sequenza di "Totò a colori" la girai in un piccolo teatro e fui allietato dalle risate di tanti bambini che mi applaudivano. Pensai a tutti gli altri piccoli spettatori che si sarebbero divertiti nelle sale cinematografiche e mi sentii contentissimo. Se la vita degli adulti, in genere piuttosto grigia, simile a un film in bianco e nero, avesse come colonna sonora un coro di bambini, diventerebbe subito un fantastico technicolor.

Antonio de Curtis


Tonino Delli Colli, direttore della fotografia, litiga con i tecnici della Ferrania che impongono luci fortissime diffuse in modo omogeneo; arrivato sul set senza neanche una prova tecnica di sviluppo, teme che l’esperimento non vada a buon fine. De Laurentiis, ad ogni buon conto, gli ha già detto che se dovesse andar male il film verrebbe stampato in bianco e nero, ovviamente con un titolo diverso. Per impressionare il Ferraniacolor ci vogliono luci su luci, che rendono bollente il teatro di posa. I vestiti scottano, le parrucche fumano per la condensa, l’orso che Franca Valeri si è portato dietro per lo sketch caprese s’incattivisce, si parla anche di uno svenimento del protagonista. “Appena finita una scena”, ricorderà Delli Colli, “Totò cercava di scapparsene dal teatro, mi sembrava una farfalla accecata e sbruciacchiata dalla lampada. Una sera si sentì male, aveva la parrucca arroventata perché, oltre ai riflettori, attorno alla macchina da presa si accendeva, al ciak, una corona di lampade che era stata ribattezzata ‘il mostro’. Così gli dovettero mettere una borsa di ghiaccio in testa, perché gli era venuto una specie di colpo di calore”


Fondo Mario Canale - Speciale "Tonino Delli Colli - Il pescatore della luce" - Tre brevi sequenze del film Totò a Colori intervallate dal racconto di Tonino Delli Colli

La presenza di Totò stronca sul nascere ogni possibile dibattito tecnico sul Ferraniacolor. Riviste specializzate come «Cinema», che negli anni ’30 e ’40 dedicavano pagine e pagine ai problemi tecnici e teorici del colore nel cinema, passano ora sotto silenzio il primo lungometraggio italiano a colori. Un silenzio sdegnoso e razzista a cui fa parziale ammenda uno studio sul colore pubblicato nel ’54. Fausto Montesanti, autore di uno dei saggi del libro, cita il film di Steno e scrive tra l’altro che "i primi film in Ferraniacolor in realtà vanno benevolmente considerati quali vera e propria cavia da esperimento, per quanto la scelta affrettata dei soggetti e la sciatteria di certe realizzazioni inducano la critica a considerazioni fin troppo severe".


Io sono l'Onorevole!

In Italia, qualche tempo fa, qualcuno proponeva e prometteva di abolire la parola "onorevole" davanti ai nomi dei parlamentari. Una questione di rispetto: non per i parlamentari, ma per la parola "onorevole". Non si sa che fine abbia fatto quella promessa, anche se potete più o meno immaginarlo (pensate a tante altre promesse...). Ma c'è chi la parola "onorevole" l'aveva già abolita per conto suo, molto tempo prima. Era accaduto sul vagone letto di Totò a colori, in viaggio da Napoli a Milano in una notte del 1952. Ed è un po' come se ci fossimo stati tutti, su quel vagone: svariate generazioni, quelle che fecero la guerra, quelle che hanno fatto la pace, ognuna col suo carico di onorevoli, di caporali, di commendatori, di cavalieri. Nello scompartimento di prima classe l'impagabile Mario Castellani, spalla prediletta di Totò, si fregiava della parola "onorevole" con tutta la prosopopea del caso; ma Totò gliela sgonfiava inesorabilmente, gliela svuotava di ogni significato: con un esplosivo, dirompente «Ma mi faccia il piacere!!!» (tre punti esclamativi, la differenza fra Totò e un Macario, un Rascel, un Peppino De Filippo). Da allora ogni volta che sentiamo qualche politicante o imprenditorucolo esibire parole come "onorevole", "cavaliere", "commendatore", a noi tutti non onorevoli, non cavalieri, non commendatori, ci scappa fuori incontrollabile un «ma mi faccia il piacere!». Con tutti i punti esclamativi di cui siamo capaci, perché ci vuole coraggio a distruggere il mondo senza ideologie precostituite, senza entroterra culturali, ma semplicemente a punti esclamativi.

Enrico Giacovelli


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Sgangherato e incollato alla meno peggio, ma con l’inimitabile scena del vagone-letto, nella quale Totò e Castellani danno il meglio della loro simbiosi, in un gioco di toccamenti, di equivoci e di paradossi entrato nella storia della comicità. Quasi tutto il resto, purtroppo, è nettamente sotto. Da ricordare Totò-marionetta, la trovata dell’iniezione (con Pavese) e la signorina snob fatta da Franca Valeri, che si diverte a iper-arrotare la erre.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: I leggendari tre anni a Cuneo.

  • Vera e propria apoteosi del talento di Totò e primo film italiano a colori, questa commedia di Steno rappresenta una raccolta di sketch in cui il comico napoletano è centrale e protagonista assoluto (tanto che alcuni brani del film sono continuamenti riproposti nelle antologie dedicate a De Curtis). Ancora largamente incompreso dalla critica, Totò in questo film fa ridere adoperando tecniche quasi futuristiche (le scene marionettistiche) in largo anticipo sui tempi.

  • Primo film italiano interamente girato a colori (Ferraniacolor), che sfrutta banalmente la teatralità del grande comico senza perdersi dietro una sceneggiatura particolarmente elaborata (difetto, questo, di molte pellicole interpretate da Totò). La mano del grande Steno, però, accoppiata alle improvvisazioni dell'attore (celebre -e copiata- la scenetta del vagone letto: attenzione, se notate potrete vedere anche un giovane Fulci!) riesce a conferire al film un fascino particolare. Pellicola dignitosa e divertente.

  • Nei credits del film manca la voce "sceneggiatura". Si recita a soggetto (in realtà reinventando, riciclando, rivisitando un repertorio collaudato), e grazie all'estro del Principe al suo massimo dalla scalcagnata epopea del maestro Scannagatti si cava fuori un capolavoro. Tutta la parte del treno basterebbe da sola a consegnare il film alla storia, ma non mancano altre meraviglie (compreso il Totò proto-leghista col giardiniere pugliese, "si ricordi che lei qui è ospite!"). Sublime.

  • Spassosa antologia di scenette e gag di Totò, ricucite arditamente in una trama sconclusionata: ma chi se ne importa, visto che il succo di questo film sta tutto nel’irresistibile carica comica del protagonista? Tutte le scene sono, per l’appunto, da antologia, da quelle mimiche ai giochi di parole, da quelle più futuriste a quelle da varietà, dalla parodia degli snob allo sberleffo ai politici. Mitico (anzi, ormai proverbiale) l’onorevole Trombetta.

  • E’ l’apoteosi di Totò. Qui ci sono pietre miliari, tra i suoi sketch: dall’onorevole Cosimo Trombetta massacrato dal nostro eroe con starnuti abortiti, valigie dal finestrino e dialoghi assassini, a Totò che fa il pupo siciliano, che dirige la banda o ha a che fare con dei malavitosi. Che maschera! Che tempi perfetti! Era veramente il Maradona dei comici. Imperdibile.

  • Le scalcinate vicende del Maestro Scannagatti, Cigno di Caianello, servono da flebile pretesto per incorniciare alcuni dei più celebri sketch del grande Totò, da quelli basati sulla sua fisicità da marionetta a quelli di funambolismo verbale, fra i quali naturalmente eccelle il confronto con l'onorevole Trombetta, vero fuoco d'artificio di doppi-sensi e giochi di parole. È difficile esprimere un giudizio su un film che è più che altro una antologia di scenette di rivista, però è sempre gradita l'occasione di "ripassare" tanti numeri memorabili.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Ogni limite ha la sua pazienza.

  • In pratica una serie di scenette ripescate dal magico mondo della rivista e magistralmente dominate dal Principe circondato da valenti spalle, fra cui l'indimenticabile Mario Castellani. Se la gag del vagone letto è ormai leggenda, nella memoria rimane anche la presa in giro dei ricchi, annoiati ed esistenzialisti, guidati da Franca Valeri e Galeazzo Benti. Colore squillante e sfottò feroci ancora oggi (il ritorno del "paisano") incorniciano un finale col botto.

  • Totò, coaudiuvato da una sceneggiatura all'altezza e da una regia professionale di Steno, regala un'interpretazione memorabile. Alcune gag e battute sono entrate nella leggenda (tipo quella del vagone letto, con un Mario Castellani che gli fa da splendida spalla, o quella della marionetta). Affiancato da altri efficaci attori, Totò ha così modo di dare fondo a tutto il suo straordinario repertorio di lazzi, smorfie e battute che lo rendono ancora oggi, a distanza di molti anni, inimitabile. Cult.

  • Debole il collante tra i vari sketch: Totò è incredibilmente a suo agio come al solito e, al di là della qualità degli sketch qui riuniti (molti dei quali un po' deludenti), riesce a ogni gag a strappare qualche risata anche e solo per la sua presenza. Però non gli funziona bene la spalla di D'assunta e verso il finale si hanno diverse cadute di tono. Sono simpatici Guglielmo Inglese, Castellani e la Valeri e, in ogni caso, è davvero sufficiente la scena del treno, spettacolare, a rendere memorabile il tutto.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Scusi dove ha messo le valige?" "Vicino alle scarpe".

  • Capolavoro assoluto di Totò; anche se la storia non è altro che un pretesto per dare modo al grande attore di ripetere i suoi sketch dei tempi del varietà, le risate non si contano, il ritmo è veloce e non c'è un solo momento di stanchezza. Buona la regia di Steno, ottimo il cast di contorno che trova spalle perfette per il principe: dagli assidui Castellani e Pavese alla partecipazione di grandi come la Valeri e Riento. Un film davvero imperdibile, vivace come pochi e dai colori sgargianti (tra l'altro fu proprio il primo in Italia).• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Lo sketch dell'onorevole Trombetta; Totò che finge di essere una marionetta; l'equivoco con Pavese.

  • Autentica apoteosi totoesca o quantomen indubitabile apice della sua prima maniera comica, quella in cui la spavalderia piccolo-borghese è capace spesso e volentieri di scantonar in anarchica irriverenza. Il merito di Papà Steno e del magico duo Age & Scarpelli è quello di render agile il battito del film, snodandolo attorno al personaggio di Scannagatti; il resto lo fa la principesca antologia del nostro sputatore d’occhi gagaista, del pirotecnico maestro di musica, della nostra funambolica marionetta. Il Ferraniacolor acceca e rende tutto sempre nuovo.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il duetto Totò – Guglielmo Inglese; Pavese/Tiscordi alle prese con l’iniezione; La mitologica scena del vagone letto con onorevole.

  • Il film, per il solo fatto di essere il primo girato a colori in Italia, merita una segnalazione per il suo valore storico. Il colore mette in risalto uno strano gusto di concepire, all’epoca, l’arredamento e l’abbigliamento, ma anche un modo di impostare la comicità - di derivazione quasi teatrale - non del tutto brillante e riuscito. Alcuni momenti sono da ricordare, come l’episodio del treno e della marionetta, ma in diversi sketch si tende a strafare e a sconfinare nel chiasso e nel caos. Barlumi di erotismo e qualche doppio senso. **!

  • Pellicola che può essere definita (con un po' di enfasi) epica. La fotografia è strana e sperimentale (dominano il verde e il rosso); ma, ovviamente, ciò che ne fa una perla sono la raffinatezza delle gag e la spontaneità delle interpretazioni, incastonate in una vicenda tanto pretestuosa quanto perfetta per l'esaltazione dell'estro spiritato di Totò e della sua maschera. La scena dello sputo nell'occhio è da museo del cinema comico.

  • Secondo film a colori italiano dopo Mater Dei di Emilio Cordero del 1950, ma sicuramente il film di Totò che è fornito del più alto tasso di comicità in assoluto. Un vero assolo del Principe della risata che ripropone davanti alla cinepresa, uno tira l’altro, i migliori numeri del teatro dell’avanspettacolo e della rivista italiana. Nulla è la storia, tutto è Totò. Il film è teatro filmato e Totò in esso si trova perfettamente a suo agio. Egli si libera dai nodi realistici di un personaggio e vola verso i cieli dell'astratezza e del sublime senza tempo.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La scena del Wagon Lit é ormai un classico (con Fulci che interpreta il viaggiatore che vuole dormire).

  • Uno dei punti più alti della vasta cinematografia di Totò. Certo la trama non c'è, visto che si tratta semplicemente di una carrellata di divertentissimi sketch ben realizzati, di una comicità davvero molto alta e irresistibile. Tante sono le scene memorabili, tra cui quella del vagone letto. Totò è in forma a dir poco smagliante, così come anche il resto del cast contribuisce in modo egregio, in particolare Pavese e Castellani. Da vedere!
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò nel vagone letto con l'On Trombetta; L'iniezione a Pavese; Totò e il giardiniere....

  • Tutto è destino, avrebbe detto qualcuno. Primo lungometraggio italico a colori, Totò, Steno, Age e Scarpelli, un corollario di attori feticcio per i film del principe. Il film è spassossissimo, no, di più, scoppiettante esempio di comicità senza tempo. A conferma di ciò, vi ricordo che, negli anni '80, il film è stato riproposto nelle sale, io c' ero, che ve lo dico a fare, con gran successo di pubblico. Il cigno di "Caianiello", come diceva Totò, colpisce sempre.

  • Totò si ritaglia un posto nella storia del nostro cinema anche grazie a questo film, il primo a colori (girerà anche il primo in 3D con fortuna completamente diversa). La storia alterna momenti entrati nell'immaginario collettivo (Totò e l'On. Trombetta, Totò direttore d'orchestra, Totò esistenzialista, anche se la parte della canzone è inguardabile) a momenti di esagerazione (il cognato troppo violento stona per lunghi tratti del film). Resta comunque un film complessivamente godibile ed esilarante, grazie anche agli ottimi comprimari.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il viaggio con l'On. Trombetta, l'equivoco con Tiscordi che si mette in mutande per "ascoltare l'opera" di Scannagatti, il balletto della marionetta.

  • Festa di Totò, che ripropone i suoi più famosi sketch teatrali (ideati da Michele Galdieri, che non a caso compare tra gli sceneggiatori). E questa fortunatissima pellicola va davvero interpretata come una festa tra amici, in cui godere dei lazzi del festeggiato (che si diverte a dirigere orchestre, vestirsi da marionetta, improvvisare al pianoforte) e della sua combriccola (Valeri, Castellani, Inglese). Steno confeziona impeccabilmente il ricevimento, tanto che gli si può perdonare un soggetto assai raffazzonato.

  • L'odissea di Scannagatti è il pretesto per riunire storici sketch teatrali del Principe: in questo consiste il valore e il limite del film, che rimane un pezzo da antologia della storia dello spettacolo. Il Principe lascia un segno profondo ed eterno: sa sfruttare in modo impareggiabile le leggi della comicità "mediterranea" cogliendone sfumature e profondità: rapporto vittima-carnefice, sberleffo a potenti e boriosi, astrazione surreale, critica dei varii linguaggi. Grandi Valeri, Castellani e gli altri comprimari di lusso.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Ogni limite ha una pazienza"; Pupetto Montmartre de Camps-Elysées.

  • In assoluto il film più divertente di Totò. Steno punta sulla scorrevolezza della trama riuscendovi senza incappare in scene girate al solo scopo di allungare il metraggio. Il principe è il factotum della pellicola e la scelta delle "spalle" o dei caratteristi per le scene principali è azzeccata. Nella scena del vagone letto è presente un cameo dell'allora venticinquenne Lucio Fulci, che interpreta il ruolo del passeggero dello scompartimento accanto, il quale protesta perchè non riesce a dormire.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La nevrosi mattutina del cognato e l'indifferenza di Totò; Il dialogo con il giardiniere; Il "premio" per l'autore del quadro; Pavese in mutande.

  • Capolavoro surreale e futuristico del principe della risata con sequenze ormai entrate di diritto nella storia del cinema. Totò si avvale della sua spalla per eccellenza, il grande Castellani, con cui dà vita alla celeberrima scenetta nel vagone letto. Indimenticabile lo sputo nell'occhio al colpevole autore del quadro futurista e sempre straordinaria Franca Valeri a capo di un gruppo di esistenzialisti.

  • Il film comico che preferisco. Foriero di apprezzabili tocchi di classe come il fatto che Scannagatti si auto-definisca "un genio della moseca" o "il cigno di Cajaniello". Molte gag sono riprese da precedenti film di Totò, ma il film nel suo dipanarsi fiabesco riesce ad armonizzarle. Totò è perfetto nel ruolo e seppur in secondo tono è visibile un'ironia rivolta su alcune classi sociali (politici, ricchi snob, malavitosi, produttori presuntuosi). Impareggiabile la sequenza con l'On. Trombetta!
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Quando a Scannagatti viene riferito che un suo collega ha avuto una disgrazia, lui ribatte: "Povero Chopin"; Il riferimento a Carlo D'Erba.

La censura

Documenti Censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali - Direzione Generale per il Cinema


Le incongruenze

 

  1. Verso la fine Totò sale in macchina per essere festeggiato e notate che le sue parole sono dette pari pari dall'autista dell'auto (autista sulla sinistra e Totò sulla destra dello schermo).
  2. All'inizio della scenetta del treno il controllore, rispondendo all'on. Trombetta, gli comunica che l'altra cuccetta (quella che poi si scoprirà essere di Totò), è stata prenotata fin dalla sera precedente. Impossibile: il maestro Scannagatti (Totò) aveva deciso nel pomeriggio dello stesso giorno di partire per Milano.
  3. Il treno che si vede correre sui binari è un comune trenino giocattolo per bambini.
  4. Secondo quello che Totò dice all'onorevole Trombetta, il treno arriverà a Milano alle 10:00. Eppure Totò si presenta dall'editore Tiscordi a Milano un attimo dopo che l'orologio dell'ufficio del suddetto editore indicava le ore 8:25.
  5. Quando Totò è a Capri, intrattiene la padrona di casa (Valeri) con delle trovate. Tra queste ci sarebbe pure una battuta che probabilmente è stata tagliata, perché vediamo la gente ridere e la stessa padrona di casa congratularsi per una battuta, che però non si vede e non si sente.
  6. All'inizio del film, la cameriera porta al Maestro Scannagatti il caffè; lui beve dalla tazzina, fa due lunghe sorsate e alza il gomito e inclina la tazzina come per vuotarne le ultime gocce, facendo anche un leggero risucchio. Insomma, si vede che ha finito di bere il caffè; c'è uno stacco, primo piano del maestro poi la telecamera si sposta sul fondoschiena della cameriera chinata, che ha distratto il Maestro...nuovo stacco e Totò sta di nuovo girando col cucchiaino il caffè che in realtà aveva finito poco prima.
  7. La segretaria del commendator Tiscordi appoggia la penna sul tavolo per andare a presentare Totò che è appena arrivato. La penna inizialmente è al centro del foglio, poi è sul bordo.
  8. All'inizio del film, durante le prove della banda diretta dal maestro antagonista di Totò, ad un certo punto i musicisti cominciano a sbagliare e a suonare male. Quando viene inquadrato il trombettista, si vede che questi fa uno sforzo notevole per suonare una nota bassissima, e per simulare lo sforzo gli viene acceso un bel faro rosso in pieno viso per farlo arrossire. Il trucco si nota benissimo, anche perché viene illuminato di rosso anche ciò che è vicino al viso dell'attore.
  9. All'arrivo dell'americano campeggia lo striscione "Benvenuto a CAIANIELLO", invece quando è Scannagatta ad essere festeggiato, alla fine, uno striscione "Viva il cigno di CAIANELLO"... E' cambiato il nome del paese!
  10. Nella famosa scena del vagon lits quando Totò e Castellani vengono inquadrati all'opposto dei letti ci sono due evidenti errori: 1) Si nota fin troppo l'accecante luce dei riflettori di scena sul muro dato che per un film a colori ne servivano moltissimi all'epoca 2) Nella precedente inquadratura controcampo lo spazio della camera era molto più piccolo e si nota anche che per far spazio al campo visivo il letto superiore è stato eliminato.

www.bloopers.it


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo

Totò a colori

Totò a colori

La piazza di Caianello intolata a Giuseppe Verdi e che viene ribattezzata Piazza Antonio Scannagatti (Totò), in onore e alla presenza dello stesso, in realtà è Via Capena a Capena (Roma)

Totò a colori

Totò a colori

La targa con la nuova denominazione era posto sotto il drappo rosso, proprio dove c’è la targa di Via Capena.

Totò a colori

Totò a colori

Il paesino di Caianello, nel quale abita il protagonista Antonio Scannagatti (Totò) è Vico Equense (Napoli), mentre le riprese nel paesello sono state, in realtà, effettuate a Capena (Roma). Nel fotogramma si riconoscono la chiesa di Santa Maria del Toro e una galleria della linea ferroviaria Napoli - Sorrento (Circumvesuviana).

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01 Dic 2015

Bonucci Alberto

Bonucci Alberto (Campobasso, 19 maggio 1918 – Roma, 5 aprile 1969) è stato un attore italiano, attivo sia in cinema che in radio e televisione. Biografia Dopo aver recitato in varie…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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01 Dic 2015

Caprioli Vittorio

Caprioli Vittorio (Napoli, 15 agosto 1921 – Napoli, 2 ottobre 1989) è stato un attore, regista e sceneggiatore italiano. Biografia Diplomatosi all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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09 Apr 2014

Castellani Mario

Castellani Mario (Roma, 2 luglio 1906 – Roma, 26 aprile 1978), è stato un attore di teatro e di cinema, per quaranta anni circa a fianco di Totò. Incontrai Totò nel 1927. Lui proveniva dal…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
9177
01 Dic 2015

Cerasoli Lilli (Luisa)

Cerasoli Lilli (Luisa) Lilli Cerasoli, talvolta indicata come Lili Cerasoli; vero nome Luisa Cerasoli (Roma, 30 gennaio 1932 – Malpais (Costarica), 10 Febbraio 2022), è stata un'attrice…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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28 Nov 2015

Corelli Bruno

Corelli Bruno (Bologna, 20 agosto 1918 – Tunisi, 17 febbraio 1983) è stato un attore italiano. Biografia Appassionato di teatro, dopo aver recitato in una filodrammatica della sua città si…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
2779
18 Nov 2015

D'Alessio Ugo (Pasquale)

D'Alessio Ugo (Pasquale) All'anagrafe Pasquale D'Alessio (Napoli, 26 agosto 1909 – Napoli, 16 febbraio 1979), è stato un attore italiano. Biografia Proveniente da una famiglia napoletana di…
Eduardo Paola, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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17 Nov 2015

D'Assunta Rocco

D'Assunta Rocco (Palermo, 7 febbraio 1904 – Roma, 27 gennaio 1970) è stato un attore italiano. Biografia Attivo sia in teatro che nella prosa radiofonica dagli anni trenta ai sessanta.…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
3251
17 Giu 2019

De Laurentiis Dino (Agostino)

De Laurentiis Dino (Agostino) All'anagrafe Agostino De Laurentiis (Torre Annunziata, 8 agosto 1919 – Beverly Hills, 10 novembre 2010), è stato un produttore cinematografico italiano,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
2208
28 Ott 2019

Delli Colli Tonino (Antonio)

Delli Colli Tonino (Antonio) All'anagrafe Antonio Delli Colli[1] (Roma, 20 novembre 1923[2] – Roma, 16 agosto 2005[3]), è stato un direttore della fotografia italiano, considerato uno…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
1571
21 Lug 2020

Di Giacomo Franco

Di Giacomo Franco (Amatrice, 18 settembre 1932 – Roma, 30 aprile 2016) è stato un direttore della fotografia italiano. Biografia Ha partecipato a più di ottanta film in sessant'anni di…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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21 Nov 2015

Ferrara Paolo

Ferrara Paolo (Stilo, 17 ottobre 1892 – Roma, 1965) è stato un attore italiano. Biografia Dopo la licenza liceale s'interessa di teatro e con varie compagnie recita dai primi anni dieci…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
3432
13 Nov 2015

Franco Fulvia

Franco Fulvia Fulvia Franco (Trieste, 21 maggio 1931 – Roma, 15 maggio 1988) è stata un'attrice italiana. Biografia Nel 1948 la conquista del titolo di Miss Italia nella finale di Stresa la…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
7037
10 Nov 2016

Galdieri Michele

Galdieri Michele (Napoli, 18 novembre 1902 – Napoli, 30 novembre 1965) è stato un commediografo, paroliere e sceneggiatore italiano. Biografia Figlio del poeta e drammaturgo Rocco Galdieri,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
3744
02 Dic 2015

Girard Amedeo

Girard Amedeo (Napoli, 14 febbraio 1893 – Napoli, 12 febbraio 1972) è stato un attore italiano. Biografia Nato da Giacomo, anch'egli attore e da Ersilia Pappalardo, artista della compagnia…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
4677
17 Nov 2015

Inglese Guglielmo

Inglese Guglielmo (Napoli, 24 novembre 1892 – Milano, 1 gennaio 1972) è stato un artista comico e attore caratterista. Biografia Figlio di attori del varietà di origini pugliesi, calca le…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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13 Dic 2016

L'Onorevole in vagone letto

L'Onorevole in vagone letto All'interno della rivista «C'era una volta il mondo», presentata in "prima" al Teatro Valle di Roma il 21 dicembre 1947, viene presentato per la prima volta il…
Enrico Giacovelli, Daniele Palmesi, Federico Clemente
16042

La maschera di Totò

La maschera di Totò Il 16 aprile scorso, alle ore 3,30 del mattino, si spegneva a Roma l’attore Antonio De Curtis, in arte Totò, l’attore e insieme il personaggio comico più eccezionale…
Leandro Castellani, «Rivista del Cinematografo», n.6, giugno 1967
1984
10 Dic 2019

Magnanti Elda

Magnanti Elda (in Laurenti) Parrucchiera di scena, moglie del truccatore di scena Giuliano Laurenti, lavorò in molti film con Totò. Di seguito, i suoi ricordi. Mi chiamo Elda. Una Elsa…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
2247
18 Nov 2015

Riento Virgilio (D'Armiento Riento Virgilio)

Riento Virgilio (D'Armiento Riento Virgilio) Nome d'arte di Virgilio Riento D'Armiento (Roma, 29 novembre 1889 – Roma, 7 settembre 1959), è stato un attore italiano di teatro e di cinema.…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
3685
09 Apr 2014

Steno (Vanzina Stefano)

Steno (Vanzina Stefano) Roma, 19 gennaio 1915 – Roma, 13 marzo 1988 Quando con Monicelli abbiamo fatto Totò cerca casa abbiamo trovato la stessa troupe che aveva lavorato ne L'imperatore di…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
6342
10 Apr 2014

Supertotò (1980)

SUPERTOTÒ (1980) Titolo originale SupertotòPaese di produzione Italia - Anno 1980 - Durata 98' - Colore e B/N - Audio sonoro - Genere Commedia, film di montaggio - Regia Brando Giordani,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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Totò contro l'onorevole napoletano

Totò contro l'onorevole napoletano Il dileggio che il teatro della rivista rivolge agli “onorevoli” ha dato origine a una nuovissima sfida. Ma i rivali, accortisi d’essere entrambi…
Benny Lai, «Tempo», anno XI, n.24, 11-18 giugno 1949
1110
20 Gen 2024

Totò critico d'arte

Totò critico d'arte Il 15 aprile 1967 moriva uno dei maggiori interpreti del teatro e del cinema italiani. In queste pagine ne ripercorriamo la camera di «pittore» e «scultore» Il…
Vincenzo Trione, «Corriere della Sera», 5 marzo 2017
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10 Mag 2016

Totò e... Age

Totò e... Age La parodia era la sua forza Breve biografia Nome d'arte di Agenore Incrocci, sceneggiatore, nato a Brescia il 4 luglio 1919. Insieme a Furio Scarpelli, con il quale ha…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
3469
04 Giu 2016

Totò e... Furio Scarpelli

Totò e... Furio Scarpelli Eravamo totoizzati Un'essenza "totoistica" dava una forma naturale ai dialoghi che scrivevamo . Si può dire che noi giovani sceneggiatori eravamo "totoizzati", nel…
Orio Caldiron, Franca Faldini, Goffredo Fofi
2787
30 Apr 2016

Totò e... Isa Barzizza

Totò e... Isa Barzizza Diventava un altro Con Totò ho lavorato la prima volta nell'estate del '47 in "I due orfanelli" di Mattoli. Quell'anno facevo teatro con Macario e Mattoli venne a…
Orio Caldiron, Alberto Anile, Simone Riberto
8384
21 Nov 2016

Totò e... Lucio Fulci

Totò e... Lucio Fulci Un grande comico atellano Antonio de Curtis spesso non sopportava la parte più crudele del “pubblico”, sempre pronta a far sfoggio di denti. Mi ricordo in macchina, io…
Daniele Palmesi, Orio Caldiron, Franca Faldini, Goffredo Fofi
3610
10 Gen 2017

Totò e... Luigi Pavese

Totò e... Luigi Pavese Fratello maggiore di Nino Pavese, esordì al cinema giovanissimo, interpretando, nel 1916, due film muti diretti da Roberto Roberti: La peccatrice e La vampa. Nel 1921…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
5847
07 Giu 2016

Totò e... Mario Castellani

Totò e... Mario Castellani Un improvvisatore nato Per quarant’anni gli sono stato vicino nella vita e sul palcoscenico. Ho avuto l’onore di essere la sua « spalla » prediletta. Ci…
Orio Caldiron, Davide Morganti, repubblica.it, Alessandro Nocera, Giuseppe Grieco
11459
13 Feb 2017

Totò e... Michele Galdieri

Totò e... Michele Galdieri Nato a Napoli, 18 novembre 1902 e morto a Napoli, 30 novembre 1965, è stato un commediografo, paroliere e sceneggiatore italiano. Galdieri, operò per…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
3070
28 Mag 2016

Totò e... Steno

Totò e... Steno Fatti su misura Quando con Monicelli abbiamo fatto Totò cerca casa abbiamo trovato la stessa troupe che aveva lavorato ne L'imperatore di Capri di Comencini, entrambi i film…
Orio Caldiron, Enrico Vanzina, cinematografo.it, Franca Faldini, Goffredo Fofi
5476
28 Dic 2017

Totò la marionetta che diventa Pinocchio

Totò la marionetta che diventa Pinocchio La tematica del «manichino» era quella del teatro delle marionette. Era la storia dell'uomo della strada che, per colpa della politica, diventa una…
Aldo Marzi, Roberto Escobar, Goffredo Fofi, Ruggero Guarini, Archivio famiglia Clemente
7578

Totò, il comico irripetibile

Totò, il comico irripetibile Di Totò — scomparso il 16 aprile scorso ancora in piena attività (stava girando le prime scene de Il padre di famiglia di Nanni Loy, che furono poi rigirate con…
Ernesto G. Laura, «Bianco e nero», anno XXVII, n.6, giugno 1967
1266

Totò, serio discorso di un attore comico

Totò, serio discorso di un attore comico Dopo quarantacinque anni da lui dedicati allo spettacolo — cominciò nel 1920 a mietere allori casalinghi partecipando alle «periodiche napoletane» —…
Angelo L. Lucano, «Rivista del Cinematografo», n.1, 1 gennaio 1966
1901
10 Apr 2014

Totò, une anthologie (1978)

TOTÒ, UNE ANTHOLOGIE (1978) Titolo originale Totò, une antologie - Anthologie de Totò Lingua originale Italiano - Paese di produzione Italia, Francia - Anno 1978 - Durata 112' - B/N, colore…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
4666

Totò: la sua comicità e i comici dopo di lui

Totò: la sua comicità e i comici dopo di lui Da «I due orfanelli» a «Uccellacci e uccellini»: alla televisione una selezione di film interpretati dal popolare attore Roma, marzo Disse una…
Giuseppe Sibilla e Salvatore Piscicelli, «Radiocorriere TV», anno 50, n.13, 25-31 marzo 1973
1892
24 Giu 2017

Un salotto a Capri

UN SALOTTO A CAPRI Scena dello sketch tratta dal film "Totò a colori" (1952) Lo sketch è tratto dalla rivista "C'era una volta il mondo" di Galdieri (1946-1948). Fu ripreso, modificato e…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
3544
18 Nov 2015

Valeri Franca (Maria Norsa Franca)

Valeri Franca (Maria Norsa Franca) Pseudonimo di Alma Franca Maria Norsa (Milano, 31 luglio 1920 – Roma, 9 agosto 2020), è stata un'attrice e sceneggiatrice italiana, di teatro e di cinema,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
5111


Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "L'avventurosa storia del cinema italiano", Franca Faldini e Goffredo Fofi, Cineteca di Bologna, 2011
  • Isa Barzizza e Franca Valeri, interviste di Alberto Anile, "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998, pag. 156
  • Fausto Montesanti,Alberto Anile, "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998, pag. 159
  • "L’avventurosa storia del cinema italiano, vol. 1", (Franca Faldini - Goffredo Fofi), Edizioni Cineteca di Bologna, Bologna 2009
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • Intervista aTonino Delli Colli di Chiara Supplizi
  • "Totò, un napoletano europeo" (Valentina Ruffin), Ed. Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1996
  • Documenti Censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali - Direzione Generale per il Cinema
  • "Poi dice che uno si butta a sinistra", (Enrico Giacovelli), Gremese Editore, 1994
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
  • Gian Gaspare Napolitano, «L'Europeo», anno VIII, n.4, 22 gennaio 1952
  • l.p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 9 marzo 1952
  • Giorgio Berti, «Settimana Incom», 15 marzo 1952
  • lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 9 aprile 1952
  • Art., «Corriere d'Informazione», 10 aprile 1952
  • «Tempo», anno XIV, n.16, 12 aprile 1952
  • G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», Roma, 13 aprile 1952
  • «L'Unità», 13 aprile 1952
  • L., «Giornale di Trieste», 15 settembre 1952
  • «L'Azione», 19 settembre 1952
  • rab., «La Nuova Gazzetta di Reggio», 28 settembre 1952
  • Elio Finestauri, «Il Messaggero», 6 marzo 1972
  • «L'Unità», 20 agosto 1981
  • «La Stampa», 30 aprile 1983
  • Bruno Gamabrotta, «L'Unità», 28 gennaio 1993
  • Filippo Ceccarelli, «La Stampa», 28 luglio 2000