Totò Tarzan
La mia età? Quattro eclissi, due alluvioni e un pediluvio. Lo so, non dimostro i miei anni, nella foresta mi danno tutti un pediluvio in meno.
Antonio Della Buffas
Inizio riprese: settembre 1950, Stabilimenti Titanus, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 28 ottobre 1950 - Incasso lire 385.900.000 - Spettatori 3.710.577
Titolo originale Totò Tarzan
Paese Italia - Anno 1950 - Durata 78 min - B/N - Audio sonoro - Genere Comico - Regia Mario Mattoli - Soggetto Vittorio Metz - Sceneggiatura Vittorio Metz, Age & Scarpelli, Marcello Marchesi, Mario Mattoli - Produttore Cdi, Roma - Fotografia Mario Albertelli - Montaggio Otello Colangeli - Musiche Armando Fragna dir.Felice Montagnini - Scenografia Piero Filippone - Costumi Mario Rappini
Totò: Antonio Della Buffas - Marilyn Buferd: Iva - Mario Castellani: Stanis - Tino Buazzelli: Spartaco - Alba Arnova: Sonia - Adriana Serra: Giacomina Roy - Luigi Pavese: il procuratore Roy - Luisa Poselli: la maestrina - Guglielmo Barnabò: colonnello - Nico Pepe: avvocato Micozzi - Galeazzo Benti: addestratore parà - Carlo Croccolo: lo sposino - Alberto Sorrentino: usciere Anselmo - Giacomo Furia: cuoco vagone ristorante - Bianca Maria Fusari: Marta - Aldo Giuffrè: paracadutista - Riccardo Billi: capostazione - Guglielmo Inglese: capostazione pugliese - Ughetto Bertucci: capostazione romano - Nino Vingelli: capostazione napoletano - Enrico Luzi: avvocato Finotti - Rino Tognaccini: Bongo - Clara Bindi: signora col cappello - Mario Siletti: maggiordomo dei Rosen - Bruno Corelli: portiere albergo - Eduardo Passarelli: controllore - Ciro Berardi: commissario - Toto Mignone: ferroviere - Sofia Lazzaro Sophia Loren: fan circolo Tototarzanista - Rita Andreana - Paola Bertini - Rina Franchetti - Vira Silenti - Anna Fallarino - Paolo Modugno
Soggetto
Vive nella jungla un essere misterioso, di etnia bianca, che gl'indigeni chiamano "la scimmia bianca". È il figlio di un ricchissimo esploratore che l'ha lasciato nella jungla quand'era ancora bambino. Ora il padre è morto e a quest'essere semi-selvaggio spetta di diritto un patrimonio valutato miliardi. Tre avventurieri, due uomini ed una ragazza, si recano nella jungla e riescono a catturare ed a portare in Europa il bianco selvaggio, confidando di potersi impadronire delle sue ricchezze. Essi cercano di farsi affidare dal tribunale la tutela del selvaggio; ma alla loro richiesta s'oppone un parente del defunto esploratore, padre di tre belle figliole, il quale, avendo scoperto nel selvaggio un grande interesse per la bellezza femminile, intende trarne partito per i suoi fini. Questa situazione è il punto di partenza di una serie di comiche avventure, che portano infine ad un accordo tra i due gruppi rivali: il selvaggio verrà soppresso e i malviventi se ne divideranno le spoglie. Ma quando il truce disegno sta per essere eseguito, il selvaggio viene salvato dalla fanciulla, che avendolo conosciuto nella jungla, ha finito per innamorarsi di lui.
Critica e curiosità
TotòTarzan è considerato da molti critici il punto più basso della parabola cinematografica sia di Totò che del regista Mario Mattoli. È un film che si offre, come un paziente stremato sul lettino dello psicoanalista, alle nostre analisi più impietose e giocose. Qui non si tratta tanto di criticare, quanto di sezionare con ironico bisturi un’operazione che trasforma Totò da re della risata a caricatura di sé stesso, una sorta di cartoon semovente, controllato dai fili poco ispirati di Metz e Marchesi, con l’appoggio (non ancora brillante) di Age e Scarpelli, qui più portaborse che penne affilate.
Eppure, proprio in mezzo a questa giungla di scelte scellerate, c’è un piccolo germoglio di storia: TotòTarzan è il primo set frequentato da un giovanissimo Ettore Scola, allora appena diciannovenne e ancora vignettista del Marc’Aurelio. Un battesimo del fuoco – o della liana – avvenuto grazie a una battuta memorabile del nostro Tarzan napoletano: «Io Tarzan, lei Cheeta, tu... bona». E già qui si capisce il tono generale dell’opera: una comicità che oscilla tra il cabaret di avanspettacolo e il doposcuola delle medie.
Il soggetto originario nasce da Metz, che aveva deciso di parodiare la saga hollywoodiana di Tarzan, l’uomo allevato dalle scimmie e ideato nel 1912 da Edgar Rice Burroughs. Una saga che, con Johnny Weissmuller in costume e grido gutturale, aveva fatto le fortune del cinema d’avventura fin dal 1932. Metz pensò bene di mescolare questo mito con la commedia teatrale L’ultimo Tarzan, messa in scena da Totò nel 1939. Insomma, una parodia di una parodia già parodizzata: un cortocircuito comico che annuncia da subito le sue intenzioni di non prendersi mai sul serio, ma nemmeno sul comico.
C'è, nelle intenzioni degli autori, un’eco lontana dell’originaria “critica ecologica” dell’opera di Burroughs: il buon selvaggio, puro e incontaminato, contrapposto alla civiltà degenerata e pigra. Ma questo sussurro filosofico si perde ben presto in un vortice di gag scollegate e pupazzi di cartapesta. Il gorilla Bongo, ad esempio, è talmente finto da far tenerezza: Rino Tognaccini lo interpreta con il carisma di una tenda da campeggio. E la giungla è talmente finta da sembrare allestita per una recita scolastica, con modellini di treni e aerei degni di una fiera del modellismo, esibiti senza alcun pudore. Altro che cinema: siamo nella zona franca tra Cinecittà e il teatrino dei burattini.
La trama, poi, imbocca i soliti sentieri da commedia degli equivoci: un’eredità ambita da loschi figuri privi non solo di scrupoli, ma anche di una dignitosa caratterizzazione. Mattoli dirige tutto come una successione di scenette, veri sketch da varietà, senza alcuna colla narrativa. Sembra quasi di assistere a un cabaret teatrale travestito da pellicola. Ecco quindi l’episodio paracadutistico, l’aereo traballante, e infine il club delle Tototarzaniste, dove tra le fan in gonnellino riconosciamo la giovanissima Giovanna Ralli. Tra le altre attrici compare brevemente Anna Fallarino, all'epoca giovane sconosciuta e in seguito protagonista di cronaca rosa e nera, di fatto la sua unica esperienza nel cinema. Da non dimenticare tra le comparse, nel ruolo di una Totò Tarzanista, quella che diventerà una delle attrici più popolari italiane: Sophia Loren, che allora si faceva chiamare Sofia Lazzaro.
Il film pesca a piene mani da altri lavori di Totò, riproponendone temi e situazioni in un collage un po’ stanco: la giungla di Due cuori fra le belve, l’eredità de I due orfanelli, il matrimonio imposto di Fifa e arena, la comicità infantile di Totò cerca casa, e l’albergo anarchico de L’imperatore di Capri. Ma qui tutto appare come un’eco sbiadita, un déjà vu che non trova nuova linfa.
Il clima creativo del film lo riassume bene una frase di Marchesi, riportata da Alberto Anile: «Totò non ha bisogno di due poeti, ha bisogno di due complici». E complici, in effetti, ce ne sono tanti, ma nessuno sembra sapere esattamente di cosa.
Totò, dal canto suo, gioca il ruolo di trickster con la solita energia sovversiva: è un portatore di caos che rovescia ogni ordine, infastidisce portieri d’albergo, assale cameriere, allaga stanze, firma muri, appiccica purè sulle teste, e trasforma la bombetta in un feticcio grottesco, indossandola anche quando è vestito solo della pelle di leopardo. Ogni gesto è un piccolo attentato al buon senso, ogni scena un sabotaggio dell’autorità. È il clown anarchico che irride le convenzioni, ma che qui sembra costretto a farlo in un circo semivuoto.
In conclusione, TotòTarzan è un film tanto fragile quanto interessante da osservare sotto la lente deformante della satira. Non è un’opera riuscita, non è nemmeno un film brutto nel senso godibile del termine: è piuttosto un tentativo maldestro di tenere insieme Totò e Tarzan, la giungla e Cinecittà, la commedia e la farsa. Ma proprio nel suo fallimento risiede la sua curiosità. È l’equivalente cinematografico di una barzelletta raccontata male, ma che ci fa sorridere lo stesso perché detta da Totò, l’unico in grado di trasformare un disastro in gag.
Ecco un approfondimento dettagliato delle scene più memorabili di TotòTarzan, un film che, pur barcollando tra i generi e le intenzioni, offre numerosi spunti di analisi — comica, grottesca e talvolta persino sociologica. Pur trattandosi di uno dei film meno celebrati di Totò, alcune scene restano impresse per la loro assurdità, il loro spirito slapstick e per la straordinaria presenza scenica dell’attore, che riesce a portare il caos anche nei contesti più sconnessi.
🛫 La scena dell’aereo: farsa in quota
Il film prende il volo – si fa per dire – con una delle scene ambientate su un aereo diretto verso l’Africa. È qui che viene introdotto il tono farsesco dell’intera pellicola: Totò-Tarzan si muove come un bambino ipercinetico in un giocattolo troppo costoso per lui. Il velivolo è un set claustrofobico, pieno di tipi bizzarri, che reagiscono con un misto di stupore e disprezzo alle continue marachelle del protagonista.
Totò distribuisce fastidio in ogni direzione: armeggia con cinture di sicurezza come fossero cinture per pantaloni, si intrufola nei vani portaoggetti, provoca incidenti di galateo e, naturalmente, insulta il concetto stesso di volo civile. È una di quelle scene in cui il realismo è sospeso: l’aereo potrebbe tranquillamente essere una carrozza ferroviaria o il retrobottega di un barbiere. È la gag che domina lo spazio, non il contrario.
🪂 L’episodio dei paracadutisti: addestramento alla Totò
Il passaggio nella base dei paracadutisti è un altro sketch scollegato dalla narrazione, ma straordinariamente significativo sul piano del nonsense. Totò si ritrova coinvolto in un addestramento militare che non ha né capo né coda, e l’intera sequenza si svolge come una versione militarizzata della slapstick comedy: ordini urlati, errori di posizione, armi brandite come giocattoli.
Come sempre, Totò è un corpo estraneo che sabota l’ordine. In mezzo a uomini in divisa che tentano di eseguire comandi, lui inciampa, sbaglia, trasforma tutto in farsa. Il paracadute finisce aperto nel momento sbagliato, le esercitazioni diventano pantomime. Se ci si chiede perché questa scena esista, la risposta è semplice: per il puro gusto del caos.
💃 Il club delle Tototarzaniste: fan club preistorico
Una delle sequenze più assurde del film è quella del club delle Tototarzaniste: un ritrovo di giovani entusiaste del “buon selvaggio” Totò-Tarzan. In questa scena, le ragazze – tra cui spiccano le giovanissime Sophia Loren (ancora Sophia Scicolone) e Giovanna Ralli – ballano e si dimenano in un tripudio di piume, costumi e idolatria pre-pop.
Il tono è grottesco, ma il sottotesto è affascinante: Totò diventa oggetto di culto, simbolo erotico-parodico, fusione tra uomo e mito. L’ambiente sembra una parodia del teatro di rivista, e lo sguardo del protagonista — a metà tra l’incredulo e il compiaciuto — mette a nudo l’assurdità dell’intera costruzione.
È una delle rare scene in cui l’ambientazione fittizia (la finta giungla del club) e la comicità visiva si sposano bene, offrendo un momento quasi “meta”: Totò che interpreta Tarzan e al contempo si guarda interpretare Tarzan.
🚿 Totò all’hotel: disastro a cinque stelle
Il soggiorno in albergo è forse il cuore comico del film. Qui Totò sfodera il suo repertorio più classico e devastante, in un crescendo di azioni assurde e dispetti. Le gag si susseguono senza tregua: tira cravatte, solleva gonne, sputa sul pavimento, allaga la stanza e firma le pareti con la disinvoltura di un writer impazzito.
In una scena emblematica, sostituisce due uova al burro con due pesche sciroppate: è un piccolo gesto, ma simbolico della sua poetica comica, basata sullo scarto e sulla sostituzione assurda dell’ovvio. Un altro momento memorabile è quando spalma il purè di patate sulla testa calva di un cliente. È una comicità fisica, quasi infantile, ma che si carica di potenza grazie alla mimica impeccabile dell’attore.
Il caos culmina con la devastazione della camera d’albergo: piume che volano, acqua che scorre ovunque, mobili rovesciati. Una specie di apocalisse domestica che fa il paio con quella vista in L’imperatore di Capri — ma qui senza la regia salda o il contesto narrativo a tenere le fila. È pura energia entropica.
🦧 Il gorilla Bongo: uomini-scimmia da sagra paesana
Quando il film tenta di riportarci nella giungla, lo fa con un tocco da sagra di paese. Bongo, il gorilla, è talmente mal realizzato che lo spettatore non è neppure chiamato a sospendere l’incredulità: deve solo ridere. Interpretato da Rino Tognaccini, è un costume in pelo sintetico con la mobilità di una poltrona sgonfia.
Il confronto tra Totò e Bongo è un balletto surreale. Il primo è tutto tic e movimento, il secondo è una presenza statica, più minacciosa per la scenografia che per il protagonista. Ma l’intento non è mai realistico: è la pantomima che regna, il gioco che ricalca la giungla come fosse un parco giochi sgangherato.
🚂 Il treno dirottato: western surreale
In un’altra delle sequenze “da nulla”, Totò finisce per dirottare un treno. Anche qui, modellini visibilissimi, prospettive da teatrino e zero tentativi di nascondere la finzione. Ma è proprio questo che fa sorridere: il gioco sfacciato con le convenzioni. Totò prende il controllo del convoglio come un bambino che si impadronisce della locomotiva del plastico natalizio.
Il treno diventa un simbolo: quello della “civiltà” che Totò-Tarzan disprezza e manipola, come a dire che il selvaggio, tornato nel mondo moderno, può solo seminare confusione. Il momento in cui lega Spartaco come un cane e rinchiude in gabbia il barone Rosen e Stanis è il trionfo del suo ruolo di trickster: colui che sconvolge gli equilibri e ride nel farlo.
🎩 La bombetta e la pelle di leopardo: totem e parodia
Un dettaglio apparentemente marginale ma denso di significato è l’uso della bombetta da parte di Totò, anche quando indossa solo la pelle di leopardo. È un cortocircuito visivo che ci riporta alle sue origini teatrali e alla figura dell’omino grottesco, borghese e deriso, che porta con sé tutto il bagaglio del varietà italiano.
La bombetta diventa un oggetto totemico: non è solo un cappello, è un segno identitario, un marchio comico, la testimonianza che Totò — anche in mezzo alla giungla più fasulla del mondo — resta sempre Totò.
Considerazioni finali
Le scene memorabili di TotòTarzan non lo rendono un grande film, ma sono spie accese di una comicità in transizione, di un attore che, pur dentro un progetto mediocre, riesce a imporsi grazie a una forza personale inimitabile. Ogni scena è una variazione sul tema del disordine: Totò è un elemento destabilizzante, un sabotatore di narrazioni lineari e spazi ordinati. Il film, per quanto debole, lo lascia scorrazzare liberamente, ed è proprio lì che — pur tra le rovine — brilla.
Così la stampa dell'epoca
📰 Accoglienza Critica: Il tonfo dei leoni nella giungla cartapesta
All’epoca della sua uscita, nel 1950, TotòTarzan non fu accolto con entusiasmo dalla critica cinematografica, anzi: venne generalmente stroncato con una certa dose di severità, a volte anche con una punta di sarcasmo. I recensori dell’epoca, già allora divisi tra chi apprezzava Totò come genio comico e chi lo liquidava come espressione di una comicità “bassa”, videro in TotòTarzan un esempio lampante di involuzione artistica, tanto dell’attore quanto del regista Mario Mattoli.
Le critiche principali si concentravano su alcuni elementi ben precisi:
- Struttura narrativa debole: La stampa non tardò a sottolineare come il film si presentasse più come un’accozzaglia di sketch scollegati che non come un’opera coerente. Un montaggio da rivista teatrale piuttosto che da commedia cinematografica. Una sequenza di trovate, gag, situazioni surreali, senza una vera spina dorsale.
- Sceneggiatura inconsistente: L’intervento ancora acerbo di Age e Scarpelli, qui alle prime armi, non bastò a salvare una scrittura piatta e monocorde. La parodia della figura di Tarzan – che pure aveva potenziale – viene svilita in una barzelletta allungata per novanta minuti.
- Effetti scenici rudimentali: La critica più “seria”, soprattutto quella legata a pubblicazioni come Cinema o Bianco e Nero, fece notare con un certo sgomento l’assoluta povertà di mezzi visivi. Il gorilla finto, i modellini di treni e aerei, i fondali da teatrino amatoriale furono bollati come elementi amatoriali e imbarazzanti, anche per gli standard di una produzione comica leggera.
- Totò sprecato: Forse la critica più dolente fu proprio questa: Totò ridotto a caricatura di sé stesso. Un genio della scena confinato in una giungla di cartapesta, circondato da comprimari svogliati o fuori registro. Come scrisse un critico del Giornale d’Italia: «Totò si dimena, ma non decolla».
In sintesi, la critica giudicò TotòTarzan una pellicola pigra, commerciale, con pretese di parodia mai pienamente realizzate, e lo definì uno dei punti più bassi della carriera di Mattoli, e non certo un titolo memorabile della filmografia totiana.
🎟️ Accoglienza del Pubblico: Risate, ma senza entusiasmo
Diversamente dalla critica, il pubblico popolare dell’epoca fu – come spesso accade – più indulgente. TotòTarzan non fu un flop al botteghino: incassò sufficientemente bene, specialmente nei circuiti cinematografici delle periferie urbane e nei paesi di provincia, dove il nome di Totò bastava spesso a riempire le sale.
Ma è importante sottolineare alcuni aspetti del rapporto tra il pubblico e il film:
- La fama di Totò era già all’apice, e questo da solo garantiva una soglia minima di successo. Il solo nome dell’attore in locandina attirava spettatori fedeli, curiosi di vederlo in qualsiasi salsa — anche travestito da selvaggio con bombetta.
- La giungla esotica, anche se finta, offriva un certo appeal escapista. In un’Italia ancora segnata dalle macerie della guerra, anche una farsa ambientata tra piante finte e scimmie d’attore poteva rappresentare una boccata d’evasione.
- Le gag visive – per quanto prevedibili – funzionavano con una parte del pubblico, specialmente il più giovane o il meno esigente, ancora affezionato ai ritmi del varietà e dell’avanspettacolo.
- Reazioni tiepide nel tempo: Col passare dei mesi, però, il film fu dimenticato piuttosto in fretta. Non entrò mai davvero nel pantheon delle opere più amate di Totò, e nelle riproposizioni successive (nelle arene estive, nei cineclub, in TV) fu sempre considerato un “riempitivo”, mai un cult. Anche i cinefili più indulgenti tendono a saltarlo nelle retrospettive dedicate al Principe della risata.
🎬 Confronto con film contemporanei: un'anatra zoppa tra delfini
Nel 1950, Totò stava vivendo un momento di enorme produttività, ma anche di discontinuità qualitativa. Accanto a TotòTarzan escono o sono appena usciti film come:
- L’imperatore di Capri (1949) – Caos geniale, comicità travolgente, scenografia paradossale ma coesa.
- Totò cerca casa (1949) – Commedia amara, quasi neorealista, con inserti poetici e satira sociale.
- Totò le Mokò (1949) – Altro esempio di parodia, ma più centrata e più “professionale” nella realizzazione.
In questo contesto, TotòTarzan apparve vecchio già al momento della sua uscita. Era un film che guardava indietro, alla struttura teatrale degli anni '30, mentre altri titoli stavano aggiornando la comicità di Totò ai gusti e ai problemi dell’Italia del dopoguerra.
📚 Considerazioni successive e rivalutazioni (rare)
A posteriori, TotòTarzan è stato raramente rivalutato. Se oggi viene citato nei saggi o nei documentari dedicati al comico napoletano, è quasi sempre come esempio di “bassa ispirazione” o “comico da catena di montaggio”.
Critici come Alberto Anile o Orio Caldiron vi vedono al massimo un’occasione di studio sul ruolo di Totò come trickster, simbolo di anarchia comica, ma sempre con una postilla di delusione rispetto alle potenzialità sprecate.
Unica vera curiosità moderna: l’apparizione della giovanissima Sophia Loren (ancora Scicolone), che ha fatto inserire il film in alcune retrospettive biografiche a lei dedicate.
🧾 Conclusione
TotòTarzan fu un film che divise pubblico e critica, ma senza entusiasmare davvero nessuno. Troppo fragile per diventare un cult, troppo popolare per essere ignorato del tutto. È rimasto un esperimento sbilenco, una parodia della parodia, utile oggi più come documento storico che come intrattenimento riuscito.
Un’operazione che si regge (malamente) sulle spalle di Totò, che si muove come un funambolo sopra un copione inconsistente, regalandoci comunque — qua e là — lampi della sua grandezza. Ma per vederli, bisogna avere la pazienza di cercarli tra le foglie finte di una giungla in cartapesta.
IL SECOLO, l'anno, il paese, infine la stagione e la temperatura nella quale viviamo sono ormai tali, che certamente nessuno dei romani che transitavano per Piazzale Flaminio in una calda mattina della scorsa settimana si sarà stupito vedendo, a un certo punto della lunga teoria di autocarri, automobili a moto-scooters, comparire un folto gruppo di elefanti. Né maggiore meraviglia sarà stata causata dalla sostituzione del vigile urbano con un uomo seminudo avvolto in in una pelle di leopardo. Si trattava in realtà, di una troupe cinematografica di ritorno dal lavoro, e di un noto e popolare attore: Totò, impegnato questa volta con uno dei totem della nostra infanzia: Tarzan.
«La Settimana Incom Illustrata», anno III, n.32, 12 agosto 1950
Mentre si ripresenta, in edizione italiana, la «Manon» di Cloutot, che nella primavera scorsa si proiettò per quasi un mese nella versione originale, ecco che spunta un nuovo Totò. Un Totò con la coda, questa volta. Stabilito che tocchi a lui il compito di fare la parodia delle correnti maniere del cinema, fino a quando altri non farà lo parodia di Totò, prima o poi doveva capitare a questo comico d'imbattersi con Tarzan. Era una facile caricatura: il soggettista Metz e il regista Mattoli, che non rinunciano volentieri alla fatiche facili, hanno immaginato e realizzato, in questo «Tototarzan», il travisamento allegro del casi dell'uomo della foresta. [...] Penso come sarebbe stato divertente restare nel tema, parodiando veramente Tarzan, con i suoi elastici salti tra forre e boschi, sul filo delle liane: ma per questo sarebbe occorso un Totò ginnasta o, almeno, si sarebbe dovuto sopperire con piacevoli trucchi.
Sarebbe stato un pochino più difficile e il regista Mattoli, già detto più su, non è uomo da impegnarsi troppo, quando situazioni e battute piene di scollacciate allusioni ottengono, sia pure più volgarmente, il consenso di una buona parte del pubblico
lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 11 novembre 1950
«Un film di Totò alla settimana», è diventato il motto più desiderabile degli esercenti. Difatti, il notissimo comico partenopeo non manca di apparirci sullo schermo sempre con più frequenza, nelle più disparate avventure. Questa volta è diventato nientedimeno che Tarzan, il re della jungla. Le avventure di questo moderno e spassosissimo Tarzan alle prese con il mondo civile formano la trovata base di tutto il film. Le situazioni che da questo spunto scaturiscono (Il nostro Tartan è continuamente sorvegliato per via di una eredità) sono abbastanza spassose ed esilaranti.
Totò continua ad essere il beniamino della risata e a resistere al tempo. Ogni suo film è una promessa di buonumore, quasi sempre mantenuta nel migliore del modi. Il nuovo film di Mattoli è sufficientemente leggero, divertente, irresistibile. Ottima la partecipazione degli altri attori che fanno da contorno al Principe De Curtis: Marilyn Bufer, Tino Buazzelli, Galeazzo Benti, Luigi Pavese, Alba Arnova.
«Cine Sport», 11 novembre 1950
[...]Quesito: quanta parte del meriti del film di Totò é sua e quanta parte è invece dello belle ragazze? Le quali, come risulta da questa pellicola, sono accuratamente scelte fra quelle che non sono in grado di pronunciare una sola battuta, ma non è la recitazione che si esige da loro, bensì il costume da bagno. Sono le ragazze che, più tardi, andranno in giro a dire di «aver lavorato per il cinematografo» e chiederanno d’essere considerate attrici. In quanto al film, la sua formula è quella nota; ai lazzi di Totò e alle grazie delle comparse femminili si aggiungono alcuni momenti di comicità-brivido secondo i canoni delle vecchie farse: Totò che casca dal cielo con il paracadute, Totò che sta per essere tagliato a fette da una macchina, Totò che guida un treno a mille all’ora o poco meno. «A me questi film che non fanno pensare piacciono» ha detto ieri sera uno spettatore. E perchè no? «Film che non pensano per pubblico che non pensa».
Art., «Corriere d'Informazione», 12 novembre 1950
«TOTARZAN», di Mario Mattoli — Questa sarà scema, ma se non la scrivo mi ammalo e deperisco. Ecco: sapete la differenza che passa fra la Jugoslavia e il cinematografo italiano? Non v’affaticate, ve la dico io: la Jugoslavia vive in regime titoista e il cinematografo italiano, da un po’ di tempo in qua, vive in regime totoista. Non lo farò mai più, giuro.
Però è vero: nel 1950 ci siamo visti finora almeno una mezza dozzina di Totò in varie salse. «Totò imperatore di Capri», «Totò cerca casa», «Totò cerca moglie», «Totò le Mokò», «Totò Figaro ecc.». Un Totò ogni due mesi scarsi. Senza contare le prestazioni minori: da «Yvonne la nuit» a «Napoli milionaria». E adesso — ma sembra che per quest’anno non sia ancora finita — «Tototarzan». Se non è totoismo questo, ditemi voi come lo debbo chiamare. [...] E’ un Totò di grana piuttosto grossa dove, evidentemente a corto di fiato, soggettista sceneggiatori regista e interprete ripiegano disciplina temente sulle più antiche e collaudate posizioni del film comico: besciamella in faccia e barzellette mimate. Ve sempre bene, d’accordo, ma alla lunga uno trova che è un po’ poco.
g.c., «Gazzetta del Popolo», 11 novembre 1950
Farsa birbona, questo «Totò Tarzan», condotta a tutto vapore, per voltate a secco, sulla falsariga delle comiche del buon tempo antico. Del molti film che produttori e registi nostrani vanno ricavando dall'inesauribile comico napoletano, questo di Mattoli è uno dei più scatenati, rapidi e ricchi di trovate, comprendendo sotto questo nome anche quelle di seconda e terza mano. Anche questa volta, però, è più la celluloide del fiato; ed è un peccato che l'imperativo commerciale della durata di un'ora e mezzo, abbia imposto al film passi stiracchiati e stanchi. Comunque, gli ammiratori di Totò sono anche oggi serviti e bene. Troveranno il loro attore in veste e funzione di Tarzan, un Tarzan molto meno atletico, ma certo più spiritoso di quello vero.
Una eredità che fa gola a due combriccole dà lo spunto alla farsa: [...] Marilyn Buferd primeggia graziosamente nell'immancabile stuolo di belle donnine.
l.p. (Leo Pestelli), «Nuova Stampa Sera», 12 novembre 1950
[...] Le strampalate, gratuite e incongruenti avventure che mettono Totò in lotta con i suoi persecutori, ce lo mostrano via via ballerino, paracadutista, capo di una tribù di naturisti e infine ferroviere. Con l'aiuto di uno scimmione e di colei che doveva servire di richiamo per spogliarlo di ogni sostanza. Totò riesce a vincere la partita e a tornare nella foresta lontano dalle lusinghe e dalle trappole del mondo civile. Il pubblico ride agli sberleffi di Totò che è circondato da un folto gruppo di attrici e attori noti: Marilyn Buferd, Bianca Fusari, Tino Buazzelli, Alba Arnova, Luigi Pavese, Mario Castellani , Guglielmo Barnabò. La regia, se così si può dire, è di Mattoli.
E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 24 novembre 1950
Tototarzan era miliardario
Preso lo spunto dalle chilometriche gesta di Tarzan, il primitivo eroe della foresta amico degli animali e del bel sesso. Questo disinvolto film, che vede Totò nella succinta pelle di leopardo ancora una volta assoluto protagonista, raggiunge felicemente il suo scopo per uno spiccato sapore satirico più che umoristico. Soventi infatti sono gli accenni e le battute contro la organizzatissima civiltà del nostro tempo, tristemente meschina nei confronti di chi come Tarzan ha avuto la fortuna di viverne lontano. Se poi il beato Tarzan possiede la scanzonata vivacità d'ingegno tutta partenopea di un Totò in vena, non è difficile intuire quale terribile personaggio salti fuori a compromettere la rassegnata quiete dei così detti uomini civili. [...] Il regista Mattoli, impegnandosi in una maggiore cura dei particolari e della recitazione, è riuscito a migliorare sensibilmente il tono e la qualità della serie infinita dei film con Totò.»
Guglielmo Morandi, «Momento Sera», 24 novembre 1950
I film di Totò si rassomigliano tutti: quindi o li si accetta in blocco o in blocco li si rifiuta.[...] Ne succedono di tutti i colori da Tarzan paracadutista a Tarzan guidatore di elettrotreno In compagnia di Bongo, lo scimmione che lo ha seguito in Europa: come abbia fatto nessuno lo sa. E Bongo ne combina di tutti i colori. Che Totò qui sia più bravo o meno bravo di altre volte qui non diremmo. E' sempre lui, con le sue battute equivochette, con le sue mosse, con le sue smorfie e le lepidezze che a noi non danno solletico alcuno, mentre alle spalle nostre due giovanotti e due signorine elegantissime, trovavano che non vi era niente di più sublime di quanto Totò andava facendo.
Mattoli e i suoi finanziatori sanno che di questi giovanotti e di queste signorine in Italia ce ne sono milioni, e allora sfornano in serie queste che noi definiamo insulsaggini ma che probabilmente non lo sono, se milioni di cittadini d'ambo i sessi pagano largamente per gustarle. Ci sono pure le solite ragazze seminude. Ma potrebbe questo settore anche essere peggio. Perciò ci accontentiamo del... pudore di cui ci è dato un saggio e concludiamo la tiritera dicendo che si potrebbe - noi pensiamo - tra «Il cammino della speranza» e il «Tototarzan» scegliere una via di mezzo.
C. Tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 24 novembre 1950
L'epidemia dei film di Totò imperversa da più di un anno. Ad ogni film della serie la critica spera sempre che si sia toccato il fondo e che non si possa andare più oltre l'insipienza e nel cattivo gusto. Ogni volta, invece, la delusione si rinnova e, se non si penserà a presto ad un rimedio, nessuno può dire dove si andrà a finire.
Con questo film di oggi, intanto siamo al gradino più basso toccato fin qui dai «Totò»: lo spunto, alla sua vicenda, è dato da una parafrasi più o meno libera delle vicende di Tarzan:[...] Tutto è grossolano, rozzo, senza spirito, tutto è così piatto e dozzinale che non potrebbe trovar posto nemmeno più corrivo dei giornali umoristici. Tra gli interpreti, oltre a Totò, questa volta piuttosto a disagio nella sua singolarissima parte, Marilyn Buferd, Tino Buazzelli, Luigi Pavese. Regia di Mario Mattoli.
G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 24 novembre 1950
Ormai il fenomeno Totò - una specie di febbre gialla che ha contagiato la maggior parte dei nostri produttori - sta diventando preoccupante. Tuttavia non possiamo, ogni volta che viene programmato un film interpretato dal popolare attore, ripetere gli stessi concetti e le identiche lamentele. Quindi non ci resta che seguire il decorso di questa "malattia", la quale, come ogni malanno di questo mondo, dopo aver toccato l'acme della crisi, finirà col concludersi con la guarigione del malato. E ieri il quadro clinico della epidemia, ha registrato un nuovo «focolaio di infezione»: Il focolaio Tototarzan diretto da Mario Mattoli su soggetto di Metz e Marchesi. [...] Figurano nel film, oltre il solito Totò, Alba Arnova, Marylin Buferd, Vinicio Sofia, Luigi Pavese, ecc
caran. (Gaetano Carancini), «La Voce Repubblicana», Roma, 26 novembre 1950
f. d., «Giornale d'Italia», 26 novembre 1950
Figlio d'un barone esploratore Totò è cresciuto in Africa fin da bambino, in compagnia d'un gorilla. La sua pace selvaticaa è turbata però dall'arrivo d'una spedizione decisa a catturarlo per fargli riscuotere una favolosa eredità in Europa. Totò segue la compagnia, ma rimare assai scontento dei benefici della «civiltà» la quale lo costringe perfino a fare il soldato, cosa estremamente spiacevole. Così il novello Tarzan, rimpatrierà al più presto portandosi una bella sposina.
Questa è là storia e chi se la sente di giocare al «Tototarzan» vincerà un'ora di risate.
Vice, «Pese Sera», 27 novembre 1950
Dopo lo spunto iniziale felice, il povero Totò viene abbandonato esclusivamente alle sue risorse. Il motivo che genera il film non è stato sfruttato che in minima parte [...] Una volta visto Totò non doveva essere più possibile pensare a Tarzan senza ridere. Tale è la missione di equilibrio affidata al comico: portare il sorriso sopra le cose troppo serie. [...] Totò è, probabilmente, il solo comico che abbiamo. Molti sono buoni a fare della comicità, mille espedienti aiutano per farne, ma il comico genuino è come il poeta, un fatto naturale [...]. Musco o Totò si nasce. E non è una natura facile, in quaranta anni di Hollywood i comici si contano sulle dita di una mano. Natura in cui l'arte contribuirà con i suoi benefici sviluppi, ma se in fondo quel seme non c'è, non c'è arte che ce lo possa mettere. [...] Totò è apparso all'orizzonte come un arcobaleno dopo il temporale.
Aldo Palazzeschi, «Epoca», Milano, 9 dicembre 1950
Quando un principe diventa «Totò Tarzan»
Nel film di stasera appare anche la bella Alba Arnova, una ballerina che forse pochi oggi ricordano, ma che, alla fine degli anni ’50, fece scandalo per una sua apparizione TV in calzamaglia
Sulla Rete 1 alle 22 quinto appuntamento della serie «Totò tredici» con «Totò Tarzan». Il film è stato diretto da Mario Mattoli nel 1950 e interpretato, oltre che dal principe De Curtis, da Mario Castellani, Alba Arnova, Vira Silenti e, soprattutto, dal grande Tino Buazzelli. [...] Ma, a parte la trama, vai la pena di ricordare una persona che appare in questo film e che fece parlare di sè a quel tempi.Si chiama Alba Arnova, era molto bella e, come ballerina, anche molto brava, dal momento che, appena ventiduenne, era diventata la «stella» del corpo di ballo del teatro «Colon» nella natia Buenos Aires. Alba Arnova è oggi una placente signora di cinquantanni, moglie felice del musicista e direttore d'orchestra Gianni Ferrio, noto specialmente nel campo televisivo.
La Arnova fu la protagonista del primo «scandalo» della neonata televisione italiana. Verso la fine degli anni Cinquanta per necessità di scena comparì sul video (allora si trasmetteva «in diretta») con una calzamaglia che, ovviamente, non poteva che essere aderente e nel suo caso, abbastanza conturbante. Alba Arnova, dai dirigenti di allora, ebbe un richiamo cui segui una accesa polemica anche giornalistica al termine della quale l'artista preferì abbandonare il piccolo schermo per dedicarsi ancora per un po’ al cinema prima di ritirarsi del tutto.
Di questa attrice nel pieno della suo maturità fisica e artistica i telespettatori vedranno un'immagine in «Totò Tarzan»; al suo fianco, oltre a un Totò in grande forma, potremo vedere due cari attori scomparsi. Tino Buazzelli e Mario Castellani, e un’altra famosa bellezza, Marilyn Buferd, splendida ventiduenne giunta in Italia con il titolo (meritatissimo) di «Miss America» e rimasta sui nostri schermi per qualche anno. Il tempo che durò il suo matrimonio con un italiano.
«Corriere della Sera», 6 agosto 1981
🎞️ Flani pubblicitari: Totò al cinema, a caratteri di piombo 🎞️
I flani pubblicitari erano piccoli annunci a pagamento, pubblicati su quotidiani e riviste specializzate, che anticipavano l’uscita del film. Alcuni recavano titoli alternativi, errori di stampa, o locandine diverse da quelle ufficiali. In questa galleria abbiamo raccolto le versioni più rare e curiose riguardanti Totò.
La censura
Alla censura dell'epoca passa inosservata una scena di nudo dell'attrice Adriana Serra, è la sequenza in cui Totò tornato dalla giungla vede la donna indossare una pelliccia di leopardo, le salta addosso le strappa i vestiti ma lo fa con un tale impeto da strapparle oltre al vestito anche il corpetto lasciandola a seno nudo. Non e' dato sapere se la scena passi inosservata alla censura o ci siano state altre motivazioni, e anche se passa velocemente è comunque presente nel film.
I documenti
📼 Edizioni in VHS
1. Collana "Il Grande Cinema di Totò" – Fabbri Editori (anni '90)
- Formato: VHS
- Editore: Fabbri Editori
- Caratteristiche: Parte di una collana dedicata ai film di Totò, con copertine personalizzate e numerazione progressiva.
- Distribuzione: Vendita in edicola e libreria.
2. Edizione francese "Comédie italienne rare en VF" (anni '90)
- Formato: VHS
- Lingua: Doppiaggio in francese
- Caratteristiche: Versione rara destinata al mercato francofono, con copertina minimalista e titolazione semplificata.
- Distribuzione: Circuiti collezionistici e mercatini dell’usato.
💿 Edizioni in DVD
1. Edizione italiana "Il Grande Cinema di Totò" – RHV / Mustang Entertainment (circa 2010)
- Formato: DVD
- Editore: RHV (Ripley's Home Video), distribuito da Mustang Entertainment
- Caratteristiche:
- Restauro digitale dell’immagine
- Audio mono originale
- Contenuti extra: trailer originali, interviste e curiosità
- Distribuzione: Vendita in libreria, online e in edicola.
2. Edizione internazionale (2024)
- Formato: DVD
- Editore: Distribuzione internazionale (es. iMusic.dk)
- Caratteristiche:
- Copertina con illustrazione vintage
- Audio in italiano
- Sottotitoli in inglese
- Distribuzione: Mercato europeo e online.
La breve carriera di Ranocchia
Anna Fallarino fa la comparsa nel film "Totò Tarzan". Solo due brevi battute ne film. Totò: «Come ti chiami?». Lei: «Ranocchia». E lui: «Allora senti Ranocchia, andiamo a fare un girino». La carriera cinematografica di Anna Fallarino finisce qui.
Ho iniziato prestissimo, a tredici anni, perché dopo la guerra c’era la possibilità di andare a Cinecittà a fare le comparse. Con Sophia Loren, con cui ho pochi mesi di differenza, le prime cose che ho fatto al cinema sono stati i film con Totò. Nelle Sei mogli di Barbablù eravamo dentro la vetrina, facevamo le sei mogli, stavamo lì ferme, niente di più. In Tototarzan Sophia aveva il gonnellino di banane, io le foglie di ficodindia; mi vergognavo come una matta, con Sophia che mi diceva “Dai, non fare la stupida!”: mi incoraggiava, mettermi in due pezzi era una cosa di cui proprio mi vergognavo. E così ho conosciuto Totò, che era veramente un uomo straordinario. Dico straordinario perché eravamo delle ragazzine spaventate, lavoravamo non tanto perché si avesse la vocazione d’attrice ma proprio perché avevamo bisogno di lavorare, sia Sophia che io. Totò aiutava tutte le persone che avevano bisogno e più di una volta ha aiutato anche noi: invece di prendere le tremila lire al giorno come comparse, ci faceva dare la paga come generiche; oppure ci mandava a chiamare nei film che faceva, perché era così, un uomo stupendo.
Giovanna Ralli
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Il peggior Totò che io conosca (*). Tutto pare improvvisato (nel senso deteriore del termine) o rinzaffato a viva forza nella pseudo-trama (la parte militare con Galeazzo Benti è incredibile). Ci sono cose assolutamente illogiche anche se inserite nello spirito di grana grossa: basterà dire che dapprima di punto in bianco il protagonista cambia carattere e capacità espressiva senza uno straccio di spiegazione e che poi, da incapace guidatore di treno, si trasforma misteriosamente in impeccabile pilota che porta il convoglio alla base. Tremendo.
- Diretto dal fido Mario Mattioli, Totò è impegnato in un'operazione farsesca sul personaggio di Tarzan. L'eroe di Burroughs si presta poco ad un operazione del genere per quanto effettuata dal grande attore partenopeo e il film si limita ad un umorismo piuttosto grossolano con battute scontate. Certo si ride come in tutti i film di Totò ma questo rappresenta un episodio decisamente minore della filmografia di De Curtis.
- Il mito eroico di Tarzan viene rivisto prevalentemente in chiave comica (garanzia data dal solo physique du rôle tototarziano) resa irresistibile per via di situazioni e dialoghi paradossali. Oltre al registro ironico, però, fa la breve comparsa una vena "sociologica" atta a valutare in chiave "seriosa" anomali comportamenti di una popolazione che si vuole umanamente evoluta: l'uomo di "oggi" visto con gli occhi della purezza (l'arcaico Della Buffas). Totò è affiancato da grandi caratteristi (Furia, Giuffrè, Sophia Loren ed il fido Castellani).
- Molto divertente Totò nei panni di Tarzan, che dalla giungla vera e propria si trova ad affrontare la giungla metropolitana (molto più insidiosa). Sicura la regia di Mattoli, ottimo il cast di contorno, le musiche e le scenografie. Buona parodia in sostanza.
- Un irresistibile Totò nei panni di Tarzan, personaggio creato da E. R. Burroughs, naturalmente in salsa ironica. Ci si diverte alla grande con le battute di Totò che ne fa di tutti i colori, facendo perdere la testa a chi lo vuole "usare". Tutto questo si perde nel finale, che risulta mieloso ed un po' noioso. Da vedere.
- Anche se è sempre il solito Totò che tira la carrozza e la tira molto bene, il film non funziona. Diventa noioso e lento nonostante sia di breve durata. Buone le scene al centro Commando per paracadutisti e dal procuratore, il resto è poca cosa. Se non ci fosse il comico napoletano non avrebbe ragione di esistere. Da vedere... ma solo per fare quattro risate con Antonio De Curtis.
- Follia comica nella quale Totò impersona un novello Tarzan alle prese con biechi sfruttatori e la tanto decantata civiltà. Si ride veramente molto, per quanto tutta la sceneggiatura sia implausibile e demenziale. La regia di Mattoli sfrutta al meglio la verve del protagonista, che si scatena in gesti e battute di anarchia pura. Bene anche i comprimari, con un fantastico Buazzelli (con i lui i duetti migliori) e un Benti in un ruolo per lui abbastanza anomalo. Da vedere.
- Totò nelle vesti del mitico personaggio di Burroughs è piuttosto improbabile, ma proprio per questo e per le possibilità che ne nascono di lasciare ampio spazio di manovra al grande comico risulta divertente. La predilezione per la bellezza femminile, da parte del Tarzan nostrano, è l'altro punto indovinato che arricchisce il film di giovani ragazze, tra cui si riconoscono future attrici di successo. In una scena, abbastanza spinta per l'epoca (Totò strappa i vestiti alla Serra), la censura lascia passare (o non si accorge) di un seno al vento.
- L'ho sempre associato al più tardo (e riuscito) Totò baby di Alessi. Anche in questa farsa del personaggio di Burroughs infatti il Principe deborda, fino ad esser lasciato quasi alla deriva di sè stesso; più che la follia però emerge la scioccheria. Le corde comiche toccate dal nostro in pelle di leopardo e bombetta son epidermiche ma necessarie. Filmicamente poco da segnalare se non la mano da sarto cinese del grande e sveltissimo Mattoli, mentre la premiata ditta Metz/Marchesi relega ancora in secondo piano i giovani Age/Scarpelli. Bona Isa Barzizza.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il capostazione pugliese di Guglielmo Inglese; L'apparizione della Lazzaro Sofia; "Son uomo di foresta sa: un forestiero".
- Siamo al di sotto della parodia perché l’affare di Tarzan è solo un pretesto che sparisce dopo qualche decina di minuti. Si tratta di alcuni sketch messi assieme in malo modo a cui gli sceneggiatori non hanno dato una parvenza di decenza. Totò fa quello che può mettendo in funzione il suo istrionismo e la capacità dialettica, ma è difficile anche per lui cavare il sangue dalle rape. Tra le amazzoni si intravede a stento una Sophia Loren appena sedicenne. Tra i peggiori esempi di come venne utilizzato Totò.
- Pur non avendo mai amato il personaggio creato da E. R. Burroughs, non mi dispiace affatto questa parodia, della quale curiosamente ricordo e apprezzo soprattutto certi particolari marginali (l'arrivo di Totò al grande albergo con conseguente fuga sull'autobus e innaffiamento degli inquilini del palazzo; la frenetica fuga in treno - sebbene trattasi di idea non molto originale, poiché ispirata a un'analoga sequenza del film I cowboys del deserto dei fratelli Marx...).
- Uno dei remake comici girati dal Principe in un periodo in cui faceva dieci film all'anno. Come si conviene in questi casi bisogna dimenticare la trama, imbarazzante e godersi Totò in un momento di forma strepitosa, che strappa risate di cuore, di testa e di stomaco, ben alimentato da un poker di sceneggiatori di livello assoluto. Questi film, anche se si facevano per i soldi, sono lo specchio di un'Italia che voleva ridere per dimenticare in fretta quello che era successo. Senza film come Tototarzan oggi saremmo tutti un po' più tristi.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La scimmia Bongo; La scena nel treno; La segheria.
- Film composto di barzellette sceneggiate legate tra loro da un filo esilissimo e che ci racconta di un uomo bianco (Tototarzan) vissuto lontano dalla civiltà e che si ritrova a disagio con le “comodità” della vita moderna. La comicità scatta quando Totò, a causa della sua innocenza e ingenuità, produce guai e incidenti a non finire. Mattoli firma una pellicola modesta, raffazzonata, girata di fretta e senza curare la verosimiglianza scenica. Totò si limita alle smorfie ai lazzi di una marionetta slegata. Film molto invecchiato.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Tra le "Tototarzaniste" si riconosce, oltre a Sophia Loren, anche Giovanna Ralli.
La collana "I FUMETTI DI TOTÒ" è stata pubblicata nel 1953 dalle Edizioni Diana s.r.l. di Roma.
Il numero 5 della serie era ispirato a Tarzan e si intitolava "Totò, Tarzan e le belve"
Le incongruenze
- La moglie del procuratore viene assalita da Totòtarzan perché indossa una pelliccia di leopardo. Viene spogliata, e in un piano americano si intravvede che Totò riesce a denudarla ad un punto tale che un seno dell'attrice (Luisa Poselli) viene completamente messo a nudo. Nell'inquadratura immediatamente successiva però (un campo più largo), i seni dell'attrice sono ancora coperti dal body.
- L'aereo dei superparacadutisti ha come portello una comune saracinesca da garage!!! Un po' giocata al risparmio....
- Nelle scene sull'aereo dei superparacadutisti, ad un certo punto il pilota fa delle manovre azzardate per costringere Totòtarzan a lanciarsi. Inclina vistosamente l'aereo, però si nota che solo gli uomini si muovono da una parte e dall'altra, mentre alcuni fili che penzolano dal soffitto rimangono sempre perpendicolari al pavimento! Infatti, ovviamente, era solo la cinepresa che si inclinava, e gli attori assecondavano il suo movimento per dare l'impressione che fosse tutto l'aereo a rollare.
- Vogliamo parlare degli intermezzi sul treno alla fine del film? A spezzoni in cui vengono filmati dei treni veri, si alternano altri filmati su un ridicolo plastico, con i trenini giocattolo... troppo vistoso per non segnalarlo!
- Scena in cui Totò viene inseguito da un serpente e da un leone: quest'ultimo è solo un pupazzo che scorre su un carrello, e che ad un certo punto cade rovesciandosi su un fianco, completamente inerte.
- Nella scena della locomotiva, il macchinista del rapido per Bari inizia a svenire qualche attimo prima di uno dei colpi che gli venga dato...
- Nella scena in cui Totò è legato e la scimmia aziona la moto sega, le lame gli si avvicinano ai capelli e nelle inquadrature da vicino si vede chiaramente una chioma chiara, che viene appena segata, mentre in realtà i capelli veri di Totò (anche nel film) sono neri. Sarà stata usata una parrucca o una controfigura con (e non se ne capisce il motivo) i capelli di un altro colore.
- Nella scena dove Totò è legato al tronco, si nota benissimo che il tronco a volte si allunga a volte si accorcia anche se già è stato tagliato dalla motosega.
www.bloopers.it
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Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo |
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L’albergo nel quale viene condotto Antonio Della Buffas (Totò) subito dopo esser stato prelevato nella giungla, dove viveva allo stato brado da quando era bambino, e portato in Italia si trovava in Via Lisbona a Roma. Per arrivare all’hotel dobbiamo seguire il percorso dell’auto nera che sopraggiunge da Via Lima per svoltare subito dopo in Via Lisbona e fermarsi davanti all’ingresso dell’hotel | |
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La palazzina antistante l’ingresso dell’albergo (con fermo davanti l’autobus sul cui tetto è salito Totò) è proprio nel tratto di Via Lisbona verso il quale aveva svoltato l’auto nera. Nel terzo fotogramma, nel controcampo, l’unica inquadratura esterna dell’albergo | |
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Così era nel 1943. Non si capisce bene cosa ci fosse lì davanti. Visto così pare un teatro di posa l'esterno. Nel fotogramma dell'autobus si vede qualcosa dietro alla gente che guarda, che fa capire che ci sia un edificio. |
Totò Tarzan (1950) - Biografie e articoli correlati
“Siamo uomini o caporali?” (Roma, 1952): prefazione autografa, satira sociale e ricezione critica dell’epoca
Aldo Palazzeschi su Totò (Epoca, 9 dicembre 1950): dal teatro alla commedia cinematografica, un profilo tra ironia e realtà
Alivernini Umberto
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Articoli & Ritagli di stampa - 1930-1939
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Meniconi Mario
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Totò all'inferno (1955)
Totò e... Age
Totò e... Carlo Croccolo
Totò e... Eduardo Passarelli
Totò e... Furio Scarpelli
Totò e... Giacomo Furia
Totò e... Luigi Pavese
Totò e... Mario Castellani
Totò e... Mario Mattoli
Totò e... Tino Buazzelli
Totò, une anthologie (1978)
Vingelli Nino (Salvatore)
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998 (Intervista a Giovanna Ralli)
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Totò attore", Ennio Bispuri - Gremese, 2010
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «La Settimana Incom Illustrata», anno III, n.32, 12 agosto 1950
- lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 11 novembre 1950
- «Cine Sport», 11 novembre 1950
- Art., «Corriere d'Informazione», 12 novembre 1950
- g.c., «Gazzetta del Popolo», 11 novembre 1950
- l.p. (Leo Pestelli), «Nuova Stampa Sera», 12 novembre 1950
- E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 24 novembre 1950
- Guglielmo Morandi, «Momento Sera», 24 novembre 1950
- C. Tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 24 novembre 1950
- G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 24 novembre 1950
- caran. (Gaetano Carancini), «La Voce Repubblicana», Roma, 26 novembre 1950
- f. d., «Giornale d'Italia», 26 novembre 1950
- Vice, «Pese Sera», 27 novembre 1950
- Aldo Palazzeschi, «Epoca», Milano, 9 dicembre 1950
- «Corriere della Sera», 6 agosto 1981