Totò terzo uomo
Pietro
Inizio riprese: aprile 1951, Stabilimenti Ponti - De Laurentiis
Autorizzazione censura e distribuzione: 7 agosto 1951 - Incasso lire 426.380.000 - Spettatori 3.795.781
Titolo originale Totò terzo uomo
Paese Italia - Anno 1951 - Durata 100 min. - B/N - Audio sonoro - Genere Comico - Regia Mario Mattoli - Soggetto Mario Pelosi - Sceneggiatura Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Age & Scarpelli, Mario Pelosi- Produttore Ponti-De Laurentis, Roma - Fotografia Tonino Delli Colli - Montaggio Giuliana Attenni - Musiche Armando Fragna - Scenografia Alberto Boccianti
Totò: Pietro-Paolo-Totò - Franca Marzi: Caterina, domestica di Paolo - Elli Parvo: Teresa, moglie di Paolo - Carlo Campanini: Oreste - Aroldo Tieri: Anacleto, il sarto - Alberto Sorrentino: Giovannino - Mario Castellani: Mario - Fulvia Mammi: Anna - Carlo Romano: commendatore Buttafava - Franco Pastorino: Giacometto - Ada Dondini: nonna di Giacometto - Diana Dei: Clara - Ughetto Bertucci: Ughetto - Aleardo Ward: assistente del comm. Buttafava - Bruno Lanzarini: pretore - Gugliemo Inglese: cancelliere - Gustavo Vecchi: maresciallo - Enzo Garinei: segretario comunale Cicognetti - Bice Valori: moglie di Piero - Pina Gallini: cameriera del sindaco - Aldo Giuffrè: l'avvocato - Toto Mignone- Liana Billi - Gino Cavalieri
Soggetto
In un piccolo paesino vivono Pietro e Paolo (entrambi interpretati da Totò), due fratelli gemelli diversissimi tra loro; Pietro, sindaco del paese, è burbero, preciso, pignolo tutto d'un pezzo e non lascia mai parlare la moglie (Bice Valori); totalmente diverso dal fratello è Paolo, che ama la bella vita, le belle donne, come la moglie dell'oste Oreste (Carlo Campanini) a discapito della moglie. La diatriba tra i due fratelli si ripercuote su tutto il paese, perché la costruzione del nuovo carcere, che darà pane e lavoro a tutti, sorgerà su un terreno di proprietà di Paolo e nonostante già ci sia la delibera comunale all'acquisizione del terreno da parte del comune, Pietro si rifiuta di portare avanti la transazione col fratello, bloccando così l'inizio dei lavori, perché tema si possa pensare che faccia favoritismi al fratello. A tentare di approfittare della situazione ci proverà Anacleto (Aroldo Tieri), sarto più bravo ad imbastire truffe che vestiti, che in galera ha conosciuto Totò, terzo fratello gemello segreto di Pietro e Paolo e una volta uscito di galera lo ha istruito per entrare a casa di Pietro, spacciandosi per quest'ultimo e farsi dare i soldi spettanti a Paolo per la vendita del terreno. La messa in scena genera una serie di equivoci, perché Toto, nelle vesti di Pietro, si comporterà in modo totalmente diverso dal burbero sindaco, generando non pochi equivoci, ma uscendone a mani vuote perché i soldi sono stati direttamente consegnati dal messo comunale a casa di Paolo. Per recuperarli Totò entra pure a casa di Paolo, spacciandosi per quest'ultimo creando altri equivoci con la moglie di quest'ultimo, senza però recuperare i soldi per l'arrivo del vero Paolo. Pietro e Paolo, convinti rispettivamente che l'altro sia entrato a casa sua spacciandosi per lui, si denunciano al procuratore; così mentre va in scena un processo surreale senza capo né coda, Totò viene rapito dall'oste Oreste che credendolo Paolo, vuole farlo fuori per gelosia; Totò riesce a salvarsi grazie all'aiuto dell'ubriacone del paese, l'unico che aveva visto sia Totò che Paolo uscire da casa di quest'ultimo, ma non era stato creduto perché sempre ubriaco. Intanto in tribunale, tra la confusione generale, qualcuno inizia a sospettare che possa esistere un terzo fratello col giudice pronto a mangiarsi il suo sigaro se saltasse fuori, Pietro a regalargli il suo capanno da pesca e Paolo il suo fucile e i suoi cani da caccia; proprio in quel momento Totò raggiunge il tribunale rivelando la verità.
Critica e curiosità
Totò terzo uomo non è un film, è un esperimento alchemico che mescola, con la disinvoltura di uno scienziato pazzo sotto effetto di Fernet, elementi di parodia, teatro greco, pochade, musical e farsa da bar di paese, ottenendo un composto audiovisivo che non esplode solo grazie al fatto che Totò, con le sue tre maschere, riesce a tenerlo insieme come Atlante reggeva il mondo: con una spalla sola e l’altra a sistemarsi il cilindro.
GENESI DI UN TITANIC COMICO
Correva l’anno 1951, e dopo aver appena messo in barattolo Guardie e ladri, Mattoli, Ponti e De Laurentiis – una triade più esplosiva dei tre gemelli del film – decidono di fare il gioco delle tre carte col pubblico: girano Totò terzo uomo in aprile e lo fanno uscire prima del precedente. Più che distribuzione cinematografica, è prestidigitazione.
Il titolo è un bluff dichiarato: fa l’occhiolino a The Third Man di Carol Reed – quello del noir viennese e della ruota panoramica – ma di Orson Welles non c'è neanche l’ombra. Al suo posto, una versione tricolore del concetto di “terzo uomo”, cioè tre Totò per il prezzo di uno, con tanto di citazione sonora di Anton Karas per i più attenti (o i più confusi). Il riferimento dura quanto un soufflé in una sauna, ma fa scena.
SCENOGRAFIA: SANTA SERENELLA, IL BORGO IDEALE DOVE IL CERVELLO VA IN VACANZA
La vicenda si svolge nella placida Santa Serenella, località inventata ma non troppo, poiché richiama Santa Marinella, vera perla del litorale laziale, trasformata per l’occasione nella Disneyland della comicità demenziale. Il paese è un tripudio di serenità, ma anche di provincialismo, dove la felicità è di rigore, l’amore è giovane e le carceri sono (si spera) futuribili.
Il linguaggio è un’altra marmellata geniale: napoletano, barese e romagnolo convivono in una Babele mediterranea, dove ogni battuta è un'esplosione dialettale e il pretore non capisce nemmeno la metà di quello che gli viene detto – ma tant’è, il bello è proprio lì.
PLOT: TRIPLO TOTÒ PER TRIPLO DIVERTIMENTO (E QUALCHE GRATTACAPO)
La trama? Semplice come un trattato di filosofia quantistica scritto in calabrese arcaico: ci sono tre gemelli, ovviamente separati alla nascita, ovviamente ignari l’uno dell’altro e ovviamente tutti interpretati da Totò, che qui sfoggia il suo repertorio completo come se stesse partecipando a un esame finale per il diploma di Totologia Applicata.
C’è il sindaco Pietro: autoritario, inflessibile, con la rigidità di un armadio del ‘700. Poi Paolo, il cavaliere, raffinato come una piadina in frak, narcisista e latin lover di periferia. Infine Totò (sì, proprio lui), ex carcerato e vagabondo, ma con un cuore anarchico che batte forte sotto la giacca lisa.
Quando questi tre iniziano a incrociarsi, scambiarsi, confondersi e imitarsi a vicenda, il film si trasforma in una giostra ipercinetica di equivoci da cui non si scende mai – se non per vertigini. Le porte si aprono e si chiudono a ritmo di polka, i personaggi si accavallano come tessere del domino ubriaco e lo spettatore è trascinato in un gioco di specchi che nemmeno Escher nei suoi giorni migliori.
UNA REGIA CHE NON DISTURBA (E NEANCHE SI SCOMODA)
Mattoli, che qui più che un regista è un manovratore di carrozzone, non ha pretese autoriali. Niente realismo, niente introspezione, niente messaggi sociali forti. L’unico obiettivo è far ridere e intrattenere, con un budget modesto e uno sguardo sornione. E ci riesce, eccome. La sceneggiatura di Metz e Marchesi è un marchingegno di precisione che parte col botto e va avanti da sé come una pentola a pressione dimenticata sul fuoco.
UNA GALLERIA DI TIPI, TIC E TÒPES COMICI
Oltre ai tre Totò, ci sono il pretore pittore (che invece di giudicare, acquerella), il brigadiere simpatico (rarità antropologica), il pazzo del villaggio (che qui è il più lucido di tutti), due giovani innamorati come da regolamento e il commendator Buttafava Borelli, esempio plastico di corruzione con sorriso. Quest’ultimo cerca di corrompere il sindaco con sigari truccati da banconote e trova sponda nel segretario comunale, tutto intento a farsi una cresta sul milione. Una mazzetta light, quasi da Mulino Bianco.
IL FENOMENO SANREMO E LA VERSIONE "POP" DI TOTÒ
Nel frattempo, l’Italia è impazzita per Sanremo e Totò, sempre con l’orecchio al popolo, non si fa pregare: canta, suona, si lancia in motivetti che paiono usciti da un juke-box di Cinecittà. Nel film Totò interpreta la sua poesia Gnornò, nun si 'na femmena che per l'occasione ha musicato e cantato. Durante la lavorazione del film a Formia Totò annota su un pacchetto di Turmac le parole di una canzone divenuta poi famosa in tutto il mondo: Malafemmena.
FEMMINISMO? NO, GRAZIE. QUI SI TORNA ALL’ANTICO
L’universo femminile, nel film, è quello delle caricature da barzelletta da caserma: mogli mute o petulanti, figure decorative o mendicanti di attenzioni. La moglie del sindaco non parla da vent’anni (e forse è grata per questo), quella di Paolo aspetta ancora un bacio e il massimo dell’uguaglianza di genere è far ballare la polka in tribunale con la stessa foga dei maschi.
BATTUTE, AFORISMI E GEMME TOTOLOGICHE
Il repertorio comico di Totò qui esplode come una fiera pirotecnica:
- «La serva serve» – aforisma zen che illumina l’inutilità dell’esistenza come solo un cameriere frustrato può fare.
- «Vecchia paraninfa!» – offesa d’altri tempi che oggi farebbe cadere a terra qualsiasi nonna, anche di spirito forte.
- «Ho confuso la tosse monarchica con quella repubblicana: un lapsus tussis.» – un gioco di parole così sofisticato che andrebbe inciso sul marmo.
Il monologo sul penitenziario modello, con le sue arrampicate logiche e le battute visionarie sul "carceratino", è un gioiello da antologia, degno del miglior teatro dell’assurdo.
IN SINTESI? UNA GIOSTRA SURREALE CHE FA RIMA CON SPETTACOLO
Totò terzo uomo è un film-fenomeno che, sotto la patina di leggerezza e comicità, nasconde la vera sfida: mostrare cosa può fare un attore comico con tre ruoli diversi, senza mai cadere nel banale, senza mai smettere di essere se stesso – ovvero Totò, maschera irripetibile, mito vivente, genio in controluce. È uno spettacolo da guardare come si guarda un fuoco d’artificio: con la bocca aperta, il cervello spento (ma in pace), e il cuore leggero.
Approfondimento molto dettagliato delle scene più memorabili del film Totò terzo uomo, selezionate per il loro impatto comico, simbolico o per l’esemplare utilizzo delle tre maschere interpretate da Totò.
🎭 Il primo incontro-scontro tra i gemelli Totò, Pietro e Paolo
Questa scena è il motore comico dell'intero film. Si apre con una serie di scambi di persona che manderebbero in crisi perfino Sherlock Holmes. Pietro, il sindaco bacchettone e serioso, viene confuso con Paolo, il cavalier seduttore; quest’ultimo viene a sua volta scambiato per Totò, il terzo fratello vagabondo. Il pubblico, già messo alla prova dai dialetti locali e dalla narrazione volutamente frammentaria, si trova trascinato in un crescendo di battute incrociate, fraintendimenti e “ma tu chi sei?” che diventano mantra grotteschi.
La genialità della scena sta nel ritmo serrato: porte che si aprono e si chiudono in sequenza da pochade, personaggi che entrano di corsa in una stanza per uscirne senza aver capito nulla, e un gioco di specchi in cui Totò si imita da solo, parodiando se stesso come sindaco autoritario, come dongiovanni o come finto fesso. È teatro dell’assurdo con la regia di un prestigiatore da fiera di paese.
🚪 La scena delle porte girevoli: commedia degli equivoci in overdose
Un omaggio dichiarato alla pochade francese ma con un’anima partenopea. Siamo dentro una casa che sembra progettata da un architetto sadico: ogni porta si apre su un equivoco, ogni uscita è un ingresso per un altro scambio d’identità. I tre Totò – sindaco, cavaliere e vagabondo – ruotano nello spazio come pianeti impazziti in un sistema solare di battute e rivelazioni mancate.
Il vertice comico viene raggiunto quando Totò-vagabondo si finge Paolo, ma viene trattato come Pietro, con esiti tragicomici: viene schiaffeggiato, lodato, aggredito e baciato, tutto nel giro di due minuti. È un carosello comico che non lascia scampo nemmeno allo spettatore più smaliziato.
🛶 Il rapimento in barca: surrealtà da mare calmo
Sembra il preludio a un thriller, ma diventa subito una farsa. Totò viene rapito da Oreste (Campanini) e portato in barca. I due ondeggiano sull’acqua in una conversazione grottesca in cui si citano esplicitamente Il terzo uomo, Anton Karas viene fischiettato come colonna sonora, e Totò si lascia rapire con la stessa compostezza con cui si aspetta un caffè al bar.
È una scena doppiamente memorabile: per l’atmosfera surreale (chi mai organizza un rapimento via mare in un paesino da cartolina?) e per la sua carica metanarrativa. È come se Mattoli dicesse: “Sì, lo sappiamo che stiamo prendendo in giro un capolavoro del cinema inglese. E allora?”. E lo fa con stile.
💼 La mazzetta nella scatola di sigari: la corruzione ridens
Il commendator Buttafava Borelli regala al sindaco Pietro una scatola di sigari. All'interno: un milione di lire. Una mazzetta d’epoca, in carta e celluloide. La scena è grottesca e volutamente caricaturale: il sindaco, più che indignato, appare infastidito da tanta poca finezza; il segretario Cicognetti invece scalpita per ottenere la sua parte, con la voracità di un impiegato ministeriale che ha letto troppo Gadda.
È la satira più pungente del film, ma lo fa con il sorriso sulle labbra: la corruzione non è ancora sistemica, è episodica, quasi ingenua, un vizietto da barone di provincia.
🎶 Totò canta “Gnornò, tu nun si’ ‘na femmina”
Totò nei panni del cavalier Paolo siede al pianoforte e canta. Il brano – improbabile, martellante, apparentemente insensato – diventa un tormentone nel film. Totò lo esegue con quel misto di serietà accademica e ironia devastante che solo lui sapeva dosare. È una scena che anticipa l’uso della musica nei film comici successivi, in cui la canzone non è più solo un momento di pausa, ma parte integrante del comico.
La melodia, la voce stonata ma sentita, la mimica da divo del varietà: tutto concorre a costruire un momento che resta in testa e nello stomaco, come un motivetto ascoltato in loop sul treno da uno sconosciuto con la radio accesa.
🧱 Il monologo sul carcere misto: Totò vs la demografia penitenziaria
Un vertice assoluto di comicità surreale e critica sociale imbellettata da nonsense. Totò propone la costruzione di un carcere misto, in cui maschi e femmine possano "fraternizzare" liberamente. La battuta clou: “Se anche ci dovesse scappare un carceratino, non guasta. Diamo incremento alla demografia carceraria.” È follia pura, mascherata da logica, è Aristofane che fa da ghostwriter a Karl Valentin.
Totò qui si lancia in uno sproloquio che ha la stessa coerenza di un piano urbanistico scritto da un poeta ubriaco, ma proprio per questo è indimenticabile. L’ossimoro “demografia carceraria” è da manuale.
🕺 La danza finale in tribunale: il trionfo dell’assurdo
Si arriva in tribunale per chiarire tutto, e invece tutto si smonta con una polka. Il pubblico si alza in piedi e balla come se fosse a una sagra. Il giudice non emette sentenze ma si lascia trasportare dalla musica. Il finale del film è un sabba laico, un rovesciamento totale della logica e del potere.
In questa scena, Mattoli distrugge il realismo con un colpo di danza, dimostrando che, alla fine, l’unica vera giustizia è la risata.
🧠 La triplice caratterizzazione di Totò: Pietro, Paolo e... Totò
Il confronto tra i tre Totò è in sé una scena continua. C’è Pietro, l’autoritario “tiranno da salotto”, che si esprime con frasi imperiose come: «Se casca il mondo io faccio così e tiro dritto per la mia strada». Poi Paolo, egoista e vanitoso, che dice alle donne: «Era per una che non l’ha voluto. Lo vuoi tu?». Infine Totò, il terzo, che è il più vicino alla maschera classica del comico napoletano, ma con sfumature nuove, ironia sapienziale, e battute fulminanti come: «Ha acconsensato», «queque» per “chèque”, «Lei opina», e la storica: «La serva serve».
Ogni personaggio è costruito su un registro comico distinto, ma alla fine le tre personalità confluiscono in un'unica figura: Totò. L’uomo, l’attore, la maschera che contiene tutte le altre.
👤 ANALISI COMPARATA DEI TRE TOTÒ
🧱 Pietro Frittelli – Il Sindaco: il Totò del Potere
Postura e tono:
Dritto come un palo della luce, baricentro fermo, passo deciso. Parla come un commilitone reduce da una battaglia persa, con quella retorica da podio fascistoide che oscilla tra il paternalismo e il patriarcato puro.
Frase ricorrente:
«Se casca il mondo io faccio così e tiro dritto per la mia strada.»
Una vera dichiarazione di autonomia arrogante, simbolo del sindaco che si crede infallibile, impermeabile a dubbi, al buon senso, e perfino alle donne (infatti la moglie non parla da vent’anni, e lui pare trovarsi benissimo).
Funzione narrativa:
Rappresenta il Potere locale, quello di provincia, goffo ma convinto. È l’incarnazione dell’uomo delle istituzioni che usa la legge come una clava e i cittadini come comparse.
Tic e vezzi:
Non ride. Mai. E quando lo fa è peggio. Ogni parola è pesata come fosse un decreto. Si indigna con la stessa passione con cui un impiegato firma moduli. È il “tiranno casalingo” che si autoconvince di essere giusto solo perché urla più forte degli altri.
🎩 Il cavalier Paolo – Il Narcisista: il Totò delle Apparenze
Postura e tono:
Ondeggiante, rilassato, tronfio. Si muove come se avesse sempre un’aureola di profumo attorno, e parla come se ogni sua frase fosse un aforisma degno di Oscar Wilde (in realtà è più da Gino Bramieri in giornata no).
Frase ricorrente:
«Bellezza mia!»
Ripetuta in loop come un disco rotto in uno di quei juke-box da balera, è la sintesi del suo personaggio: apparenza, adulazione, egocentrismo.
Funzione narrativa:
È l'uomo delle relazioni pubbliche, delle promesse, dei regali con retroscena. Rappresenta la borghesia furbetta e seduttiva, tutta forma e niente sostanza.
Tic e vezzi:
Regala anelli, lancia occhiate languide a donne che non ne vogliono sapere e parla come se fosse perennemente a un ricevimento, anche quando è da solo. Ride delle sue battute come se fosse in compagnia, il che lo rende ancora più tragico.
🎭 Totò – Il Vagabondo: il Totò dell’Anarchia Comica
Postura e tono:
Irregolare, destrutturato, “scassato” in senso teatrale. Cammina con la leggera goffaggine di chi conosce il mondo e non gli interessa più nulla. Parla in modo disordinato, ma con lampi di genialità logica. È l’uomo che ha capito tutto ma finge di non capire niente.
Frase emblematica:
«La serva serve.»
Un micro-trattato di filosofia applicata alla condizione umana, alla gerarchia sociale, e alla poetica del nonsense.
Funzione narrativa:
È la mina vagante che fa esplodere l’ordine sociale e familiare. Porta scompiglio, smonta le certezze degli altri due, li imita, li surclassa, li confonde e li mette a nudo. È il comico per eccellenza, il guastatore.
Tic e vezzi:
Fischietta, cambia voce, sbaglia i termini (“queque” per “cheque”), confonde la storia con la geografia e fa battute che sembrano insensate, ma che sono bombe a orologeria di senso. È lo specchio deformante della realtà, il pagliaccio che vede più lontano di tutti.
🗣 GUIDA ALLE BATTUTE PIÙ EMBLEMATICHE
🧠 «Il detenuto ha bisogno di ossigeno.»
Contesto: Monologo sul carcere misto rivolto al commendator Buttafava.
Significato: Totò ribalta il concetto di carcere come punizione e lo propone come occasione di socialità (fra generi, per giunta). La chiusura sul “bisogno di ossigeno” è uno schiaffo al senso comune, ma anche una riflessione surreale su come trattiamo gli “esclusi”.
💍 «Era per una che non l’ha voluto. Lo vuoi tu?»
Contesto: Paolo offre un anello a una donna con nonchalance.
Significato: Totò smaschera, con cinismo e ironia, il consumismo dei sentimenti: l’anello diventa un oggetto riciclato, come una cravatta regalata a Natale. Una battuta amarissima, travestita da galanteria.
🗯 «Confondevo la tosse monarchica con la tosse repubblicana. È stato un lapsus tussis.»
Contesto: Dialogo nonsense che coinvolge la politica e la salute.
Significato: È il trionfo del gioco di parole, un piccolo capolavoro di linguistica applicata al delirio. In una sola frase: parodia, satira politica e nonsense da manuale.
🛎 «Vecchia paraninfa!»
Contesto: Rivolta alla madre del fidanzato della figlia.
Significato: Offesa d’altri tempi, tanto arcaica quanto potente. Paraninfa era la donna che organizzava i matrimoni; qui diventa epiteto velenoso da lanciare come un guanto in faccia.
🥴 «Ha acconsensato.»
Contesto: Totò si corregge da solo, da “ha dato il consenso” a “ha acconsensato”.
Significato: Una gag linguistica che gioca con l’iper-correttismo grammaticale, trasformando un errore in una nuova parola. Un tipico esempio del suo umorismo fondato sulla deformazione logica del linguaggio.
🥀 «Queste donne… beh, quando c’è la salute…»
Contesto: Commento criptico su un’osservazione femminile.
Significato: Detto con l’aria di chi ha appena enunciato una verità assoluta, è in realtà una non-frase, una “sentenza” che non significa nulla ma sembra dire tutto. Totò la usa per uscire dalle situazioni imbarazzanti come un illusionista.
CONCLUSIONE
Questi tre personaggi non sono solo una vetrina per le doti trasformiste di Totò: sono tipologie dell’italiano medio postbellico, caricature funzionali, specchi deformanti della società. Totò li interpreta con tale varietà di registri da trasformare una commedia degli equivoci in un’opera-totale, dove la farsa diventa linguaggio, la maschera diventa critica sociale e la battuta diventa filosofia.
Così la stampa dell'epoca
Come fu accolto Totò terzo uomo da critica e pubblico all’epoca della sua uscita (1951), tenendo conto del contesto culturale, delle dinamiche produttive, dei gusti del pubblico postbellico e del posizionamento di Totò nel panorama comico italiano.
📰 Critica: tra indulgenza bonaria e puzza sotto il naso
✍️ La critica ufficiale? Perplessa ma non ostile
Nel 1951 la critica italiana era ancora profondamente divisa tra due tendenze:
- da un lato, il realismo impegnato, figlio diretto del neorealismo, che cercava nel cinema una funzione civile, morale, persino pedagogica;
- dall’altro, il cinema di consumo, ritenuto “minore” o persino “volgare” da buona parte degli intellettuali.
Totò terzo uomo, con il suo impianto farsesco, teatrale, parodico, sembrava non interessarsi minimamente a “dire qualcosa” sul reale. Questo lo rese immediatamente sospetto agli occhi dei critici di sinistra (che volevano un Totò engagé) e anche ai borghesi, che tolleravano Totò finché rimaneva “buffone”, ma lo snobbavano se provava ad essere arte.
Tuttavia, molti riconobbero la solidità tecnica del film, la brillantezza della sceneggiatura di Metz e Marchesi e soprattutto la straordinaria prova attoriale di Totò, che qui interpreta tre personaggi con un’agilità camaleontica degna di nota. Alcune recensioni di giornali come La Stampa o L’Unità sottolinearono l’efficacia comica dell’opera, pur rimproverando a Mattoli la totale assenza di ambizione stilistica e contenutistica.
“Un film che diverte senza pretese, ma che si muove dentro schemi logori,” scrisse un recensore dell’Avanti!
“Totò è irresistibile, il resto è contorno,” sintetizzava Il Popolo.
🛏️ Il peccato originale: non essere abbastanza “cinema”
Un altro punto critico ricorrente fu la sua vicinanza all’avanspettacolo. Nonostante Mattoli e i produttori Ponti & De Laurentiis avessero tutto l’interesse a far sembrare il film moderno e “di cinema”, la struttura teatrale, la divisione in quadri e le battute da varietà rendevano l’opera, per molti critici, figlia legittima del palcoscenico, non del grande schermo.
In pratica: Totò era troppo Totò. Troppo comico, troppo farsesco, troppo parodico per piacere davvero agli esegeti del cinema come arte visiva. Non c’erano piani sequenza à la De Sica, né inquadrature morali à la Rossellini. Solo gag, travestimenti e nonsense. Un teatro filmato, dicevano i più severi.
🍿 Il pubblico: affetto, entusiasmo e biglietti venduti
👨👩👧👦 Totò amato dal popolo, più che mai
Al contrario della critica, il pubblico accolse il film con entusiasmo caloroso, sebbene senza quella frenesia da culto che avrebbe investito opere successive come Miseria e nobiltà o I soliti ignoti.
L’elemento che colpì di più gli spettatori dell’epoca fu la triplice interpretazione: il Totò sindaco, il Totò cavaliere e il Totò vagabondo rappresentavano tre tipi umani perfettamente riconoscibili nella vita quotidiana degli italiani.
- Il sindaco autoritario ricordava il podestà del ventennio, ancora fresco nella memoria collettiva;
- il cavalier Paolo era il piccolo imprenditore arricchito, vestito bene ma con poca sostanza;
- il Totò vagabondo incarnava lo spirito libertario, irridente e ribelle che tanto faceva presa sull’Italia che usciva dalla guerra e voleva ridere dei propri guai.
In un’Italia ancora ferita dal conflitto e divisa tra monarchici e repubblicani, tra DC e PCI, tra povertà e desiderio di riscatto, Totò terzo uomo offriva una risata che univa, senza schierarsi, senza polemizzare, senza moralizzare.
📈 I numeri del botteghino: dignitosi, senza clamori
Il film fu un buon successo commerciale, pur senza diventare un blockbuster del tempo. In parte, ciò fu dovuto alla concorrenza con Guardie e ladri, girato dopo ma uscito subito dopo questo film, e che riscosse molta più attenzione per via del mix più raffinato di comicità e malinconia.
Totò terzo uomo ebbe però un ciclo vitale lungo nelle sale di seconda visione, nei cineclub popolari e nei cinema estivi, e divenne col tempo uno dei film più amati da chi preferiva la versione più buffonesca e anti-sistema di Totò.
🎼 La colonna sonora e il tormentone musicale: Totò superstar anche al piano
La canzone Gnomo, tu nun si’ ‘na femmina – ideata da Totò stesso – venne accolta con curiosità e risate. La sua ripetitività, l’assurdità del testo e l’interpretazione volutamente esagerata ne fecero un piccolo cult canoro.
In un’Italia dove il Festival di Sanremo aveva appena acceso la miccia del nazionalpopolare, Totò si inseriva nel filone a modo suo: prendendolo in giro, ma finendo per diventarne parte integrante.
📚 Nel tempo: una rivalutazione lenta ma costante
Negli anni successivi, e soprattutto a partire dagli anni ’70 e ’80, la critica cominciò a rivalutare il film, soprattutto per il valore filologico e attoriale della prova di Totò.
- Alcuni studiosi, come Orio Caldiron e Gianni Canova, hanno sottolineato la funzione del film come archivio vivente delle maschere italiane, con i tre gemelli che riassumono il potere, il piacere e la povertà.
- Altri critici hanno invece posto l’accento sull’intelligenza della struttura farsesca e sull’equilibrio tra il comico “alto” (linguistico, logico) e quello “basso” (slapstick, equivoci, travestimenti).
Insomma, ciò che nel 1951 sembrava una semplice commediaccia, oggi è letto anche come un laboratorio linguistico e teatrale, in cui Totò si mette a nudo e si moltiplica.
📌 Conclusione: un film mediano, ma fondamentale
Totò terzo uomo non fu il film della consacrazione di Totò, né quello della sua riscoperta critica. Fu un film di mezzo, nel senso più nobile: un ponte tra l’avanspettacolo e la commedia all’italiana, tra la maschera teatrale e il personaggio cinematografico, tra la gag estemporanea e la costruzione narrativa.
Il pubblico lo amò subito, la critica lo capì molto dopo, ma oggi lo si può considerare una tappa fondamentale per comprendere l’evoluzione della comicità italiana, e soprattutto la versatilità tragica, farsesca e poetica di un genio assoluto come Totò.
Ecco una timeline dettagliata della ricezione critica e culturale di Totò terzo uomo nei decenni successivi alla sua uscita, utile per comprendere come il film sia passato da essere una “commedia dimenticabile” a un oggetto di interesse per storici del cinema, studiosi di Totò e appassionati della comicità italiana.
🗓️ 1951 – L’uscita del film: accoglienza tiepida, Totò salva la baracca
- Critica: Il film viene recensito con moderata indulgenza. Totò è apprezzato, ma il film viene giudicato “poco cinematografico”, più simile a una farsa teatrale che a un’opera moderna. La triplice interpretazione viene riconosciuta come prova di bravura, ma la regia di Mattoli è accusata di essere piatta e funzionale.
- Pubblico: L’accoglienza è decisamente migliore. Totò attira al cinema le masse popolari e le famiglie. Il successo non è clamoroso, ma costante. Il film piace soprattutto nelle sale di provincia e nelle repliche estive.
🗓️ Anni '50 – Successo popolare, oblio critico
- Rete di distribuzione popolare: Totò terzo uomo diventa un classico da programmazione pomeridiana nei cinema minori e nei cineclub.
- Totò personaggio “popolare” ma poco “nobile”: La critica lo cataloga come comico da varietà, senza spessore autoriale. La filmografia viene guardata con sospetto dalle riviste culturali e dai festival. In pratica: grande amore dal pubblico, grande snobismo da parte dell’élite.
🗓️ Anni '60 – L’inizio della mitizzazione di Totò (ma non di questo film)
- L’apice della popolarità di Totò coincide con una nuova stagione cinematografica (la commedia all’italiana): i nuovi mostri (Gassman, Sordi, Tognazzi) conquistano la scena. Totò viene un po’ accantonato come “vecchia scuola”.
- Film come Totò, Peppino e la… malafemmina o I soliti ignoti sono rivalutati, ma Totò terzo uomo resta ai margini.
- Ritrasmesso nei circuiti secondari e nei cineforum scolastici per via del suo tono comico e “innocuo”.
🗓️ Anni '70 – Le prime monografie su Totò: “Totò attore” diventa oggetto di studio
- Appare la prima saggistica su Totò, grazie a studiosi come Orio Caldiron e Goffredo Fofi.
- Totò terzo uomo viene menzionato come esempio di film farsesco ben congegnato, ma non viene ancora analizzato a fondo.
- Si afferma la teoria della “maschera comica unitaria”, e il film è citato come banco di prova per osservare Totò alle prese con tre caratterizzazioni distinte.
🗓️ Anni '80 – Rivalutazione accademica della comicità popolare
- Il cinema comico italiano comincia a essere studiato anche nelle università, con seminari su avanspettacolo, varietà e comicità dialettale.
- Totò terzo uomo entra nei repertori bibliografici sul cinema popolare italiano.
- Critici come Enrico Giacovelli e Tatti Sanguineti ne sottolineano la dimensione meta-teatrale e la ricchezza linguistica.
🗓️ Anni '90 – Il ritorno nostalgico: Totò diventa patrimonio nazionale
- Televisione e VHS: le raccolte di film di Totò cominciano a spopolare in edicola. Totò terzo uomo viene riscoperto per la sua “leggerezza” e diventa parte del consumo familiare.
- Ciclo “Totò al cinema” su Rai 3: favorisce la visione integrale del film, con presentazioni critiche a cura di Ghezzi e altri cinefili.
- Criteri di lettura più raffinati: si analizzano i riferimenti al fascismo, al potere corrotto, al maschilismo caricaturale. Il film inizia a essere visto anche come documento sociale, non solo come prodotto comico.
🗓️ Anni 2000 – Totò “autore involontario”, il film come laboratorio comico
- La triplice interpretazione viene studiata con attenzione psicologica e semiotica. Si parla di “tripartizione dell’identità italiana nel dopoguerra”.
- Totò terzo uomo viene proposto in rassegne dedicate alla commedia italiana e in corsi universitari sul linguaggio cinematografico.
- Alcuni saggi sottolineano l’influenza del teatro classico e della commedia dell’arte nella costruzione dei tre personaggi.
🗓️ Anni 2010 – Digitale, YouTube e meme: il film diventa “citabile”
- Il monologo sul carcere misto, le battute nonsense, i tormentoni dialettali diventano virali in rete, anche in forma di meme o clip isolate.
- Alcuni canali YouTube dedicati a Totò lo propongono in forma restaurata o rielaborata.
- I fan riscoprono le finezze linguistiche, le battute paradossali e il sottotesto satirico.
- Totò viene studiato anche in ambito di “comunicazione crossmediale”.
🗓️ Oggi – Riscoperta storica e pedagogica
- Il film è considerato un esempio fondamentale della “fase farsesca evoluta” di Totò, in cui l’attore usa la maschera per criticare, non solo per divertire.
- È studiato come preludio al Totò più anarchico e satirico, quello che emergerà con Monicelli e Steno in modo più strutturato.
- Alcuni lo propongono come testo ideale per comprendere il rapporto tra comicità e identità nazionale, con riferimenti al potere, alla corruzione, al provincialismo.
🧾 Conclusione
Da film marginale e “di passaggio”, Totò terzo uomo è diventato un’opera-rifugio per studiosi e appassionati, utile per osservare:
- l’evoluzione della comicità italiana,
- le tecniche attoriali di Totò al massimo della forma,
- la trasformazione della maschera comica in strumento critico.
Un’opera sottovalutata alla nascita, ma che oggi brilla nella galassia dei “film-totem” dell’identità italiana postbellica.
Il trecentesimo uomo
Era dal parrucchiere quando su un giornale lesse l’annuncio dell'ultima pellicola di Totò. Ed esplose indignato, addirittura: «Ma guarda cosa si ha da leggere: un'altra pellicola di Totò! Vorrei sapere che va a vederla! Ah, io no di sicuro: il mio tempo lo impiego meglio. E poi questi cineasti stancano; non hanno proprio fantasia; ma possibile che in Italia non riescono a fare una pellicola umoristica, senza ricorrere a Totò… Il bello è che il giornale ne parla bene!» [...] Lo rivedremo ieri, il nostro uomo, nuovamente in coda: come dal parrucchiere. Era sotto i portici di via Viotti; dinanzi aveva una folla di almeno 300 persone, dietro di lui altri aspettavano tranquilli. Incuriositi per questa fila insolita di gente, ci avvicinammo. Il nostro uomo teneva ancora cattedra: «Io al cinema ci vado di rado. Ma quando c'è qualcosa di nuovo ed è veramente interessante non so rinunciare. Cosa volete: ho un debole per Totò. Le sue pellicole le ho viste tutte e credevo di averne a sazietà. Ma questa è una... cannonata! Sì, “Totò, il terzo uomo”. Pensate, l'ho già vista l'altro ieri! Non mi sono mai divertito tanto e oggi sono ancora qui! C'è quella scena in cui Totò incontra Totò e crede di trovarsi invece con Totò, che è uno spasso: c'è da morire dal ridere.»
Insomma, ero il trecentesimo uomo della fila che dinanzi al Cinema Astor aspettavo il suo turno per rivedere «Totò, il terzo uomo.» [...] Neppure ai tempi di Charlot. Si tratta di un autentico «fuoriclasse» del genere; un film di cui si parlerà ancora fra decenni. E sempre con il sorriso sulle labbra!
«La Stampa», 22 settembre 1951
Totò uno, due e tre: Totò Paolo, Totò Pietro e Totò Totò. Ce n‘è di che soddisfare il totoista più esigente. [...] E’ il solito film di Totò, da cui chiunque sa già che cose aspettarsi; nè più spiritoso nè più fiacco del normale; e siccome è il primo della stagione lo si vede con indulgenza
p.g., «L'Unità», 28 settembre 1951
Alla buon'ora, riecco Totò; rieccolo ad alzare di giri l'alquanto sfiatato motorino del film comico Italiano. Chi lo va a vedere direttamente, può trovarci, e con ragione, da ridire; ma se, come noi per mestiere facciamo, siete passati prima da altre botteghe d'ilarità, dovete riconoscere che la ditta Totò non ha per ora rivali e che la sua insegna brilla di vivissima luce in notte buia. Totò e il suo profeta Mattoli, che ancora una volta gli ha apprestato il film adatto, il film che sia pure a scosse e tra tetri annuvolamenti, fa ridere e In qualche punto sbellicare. [...] Due prosperose bellezze — Franca Marzi e Elli Parvo — lo fiancheggiano, con la graziosa Fulvia Mammì, l'immancabile Tieri, Alberto Sorrentino e altre valide briscole del nostro cinema giocoso.
l.p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 28 settembre 1951
Uno dei più vetusti spunti da farsa (gli equivoci dovuti a due sosia) è stato messo a servizio dell' infaticabile Totò con l'aggiunta di un terzo sosia, il quale non accresce, come si potrebbe credere, le risapute risorse del soggetto, in quanto l'esistenza dei due sosia principali è conosciuto da tutti e la presenza del terzo, operante ora con uno ora con l'altro, non riesce ad arricchire le situazioni inerenti al tradizionale binomio. E’ un ripiego di comodo per intensificare il dinamismo del film senza soverchio sforzo inventivo punto è che una autentica fantasia comica non abbia contribuito a ravvivare la meccanicità dell'intreccio è dimostrato dall'insufficiente caratterizzazione dei personaggi (e soprattutto dai tre sosia) e dalla mancanza di imprevisto nello sviluppo dei loro casi.
[...]
Il film è meno divertente degli altri anche perché offre al esilarantissimo Totò non molte possibilità di mettere in evidenza la sua arte punto è inutile ripetere qui le lodi di questo attore unico che sa passare da una travolgente comicità metafisica ad una sincera, toccante umanità; basterà ricordare che salvo poche eccezioni ("Totò cerca casa" in un senso, "Yvonne La Nuit" et "Napoli milionaria" in un altro), egli è stato male usato e aspetta ancora l'occasione di dare allo schermo quanto può e sa. Ad ogni modo, per quanto tarpato e soffocato, Totò riesce sempre a divertire ed ha, infatti, divertito. Con lui hanno recitato nel film la Marzi, la Parvo, il Campanini, il Pieri, il Castellani.
E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 4 ottobre 1951
Totò terzo uomo di Mario Mattoli
Le acque del cinema italiano erano ormai ferme e limacciose come uno stagno di pece: il fisco aveva fatto man bassa nelle casseforti dei produttori, i produttori non trovarono più un capitalista disposto a finanziare un film in economia e a questo punto giunse Totò e divenne, nel giro di pochi giorni, un taumaturgo quanto mai magro e buffo da vedere, ma ineguagliabile come salvatore momentaneo delle finanze cinematografiche nazionali.
Ecco oggi questo suo ferzo uomo, che è poi il suo primo film della lunga serie in programma per la nuova stagione. Trama imbrogliatissima, ma non importa. Nel films burleschi di questo mattatore della smorfia, la sola cosa che conta è la smorfia con la risata che può suscitare. Qui si tratta di due gemelli che si odiano a morte da venti anni nel paese di S. Marinella. Sono ricchi ma hanno un modo opposto di impiegare i loro marenghi. Sindaco il primo e tirchio come uno strozzino; allegrone il secondo e gaudente come un dongiovanni strapaesano. Come si vede, il pretesto della farsa non è affatto nuovo. Plauto fece ridere alla stessa maniera i rozzi soldati latini di due millenni fa. Nuovo vorrebbe essere l'intervento di un terzo fratello: personaggio sconosciuto dai primi due, malvagio come il diavolo, ma purtroppo non ugualmente portentoso per quel che se ne vede sullo schermo.
In realtà Totò anche in questa sua ultima fatica, spara tutte le cartucce della sua inesauribile vis comica, ma anche questa volta raggiunge raramente il bersaglio che più ci preme: il cinema. Comico teatrale, egli non ha trovato ancora il regista che sappia restaurarne intelligentemente le naturali attitudini mimiche In funzione di uno spettacolo tutto visivo ed in movimento. Non resta dunque che da registrare il successo del film e U caducità delle sue baldorie. Regista, per modo di dire, Mario Mattoli. Molta belle figuranti, Totò sempre al centro dell'adunanza.
al. or. (Alfredo Orecchio), «Paese Sera» Roma, 5 ottobre 1951
[...] Pietro, Paolo e il terzo uomo sono sempre l'inesauribile Totò le cui trovate, la cui spassosa recitazione e la cui mimica riempiono il film conferendovi una continua comicità. Non ci voleva nulla di più adatto alla regia di Mario Mattoli, alla quale bisogna ascrivere anche la divertente scena finale di uno strambo processo nella cui aula si raccolgono, oltre le fila dell'assurda vicenda, i principali personaggi che agiscono nel film, ciascuno recandovi un suo maggior o minor contributo: Elli Parvo, Franca Marzi, la Mammì, Campanini, Tieri, Sorrentino, Inglese, Romano.
Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 10 ottobre 1951
Totò batte il record degli incassi
Altro grande successo della settimana è stato «Totò terzo uomo» di Mario Mattoli (Juventus film - Cinema Margherita). Un Totò piacevolmente intelligente e garbato. Le peripezie comiche di tre gemelli non sono campo nuovo per l'attività del vivace comico napoletano (ricordiamo un altro film del genere da lui interpretato anni orsono), ma questa volta egli ha saputo creare, tra le tre, la figura di un sindaco barboso e pignolo che vale, da sola, tutto il film.
Non mette conto di raccontare la trama, questi sono film che vanno visti per poter gustare battute e situazioni, diremo solo che, questa volta, Totò è in grado di accontentare, oltre che gli amatori della risata pura e semplice, anche quelli del divertimento artistico.
«Cine Sport», 24 ottobre 1951
Il sindaco di Santa Serenella, Pietro (Totò), odia il fratello gemello Paolo, che è un tipo allegro e amante delle donne, e gli nega quindici milioni per un suo pezzo di terra che il comune dovrebbe acquistare. Esiste però un terzo gemello, Totò (Totò), scomparso quando era bambino e reduce dalla prigionia. Totò, istigato da un maniaco dei furti perfetti (Aroldo Tieri), dovrà rubare i quindici milioni giacenti in casa di Pietro.
Ma viene scambiato per Pietro. Il colpo fallisce ed è ritentato ai danni di Paolo, che ha ricevuto, per errore, il denaro. Anche a casa di Paolo, Totò,è scambiato per Paolo e perde ancora una volta la somma interessandosi alla moglie di Paolo (Elli Parvo). I due fratelli si denunciano, l’uno per furto, l'altro per adulterio, mentre il responsabile è Totò, della cui esistenza ancora nessuno sospetta. Nasce un grosso processo che s’imbroglia sempre più, finché Totò, terzo gemello, compare in udienza e tutto si chiarisce. Pietro diventerà buono, Paolo tornerà da sua moglie, e Totò potrà finalmente realizzare il suo sogno d’amore con Caterina, la procace donna di servizio di Paolo (Franca Marzi).
«Confidenze», anno VI, n.44, 28 ottobre 1951
I documenti
Panoramica dettagliata delle edizioni home video di Totò terzo uomo, dal formato VHS alle più recenti uscite in DVD. Queste informazioni sono state raccolte da fonti affidabili come Amazon.it e eBay.
📼 Edizioni VHS
1. VHS Fabbri Editori – Collana “Il Grande Cinema di Totò” (Anni '90)
- Distribuzione: Fabbri Editori
- Caratteristiche: Parte di una collana dedicata ai film di Totò, con copertine illustrate e fascicoli allegati
- Contenuti speciali: Nessuno
2. VHS Cinehollywood – Collana “I Grandi Comici” (Anni '90)
- Distribuzione: Cinehollywood
- Caratteristiche: Edizione economica con copertina fotografica
- Contenuti speciali: Nessuno
💿 Edizioni DVD
1. DVD “I Maestri della Comicitá” – Edizione Standard (Anni 2000)
- Distribuzione: General Video
- Caratteristiche: Copertina con fotogrammi del film
- Contenuti speciali: Nessuno
2. DVD “Totò Terzo Uomo” – Edizione Limitata 1000 copie (2021)
- Distribuzione: Bloodbuster
- Caratteristiche: Copertina illustrata, numerazione progressiva
- Contenuti speciali: Nessuno
3. DVD “Totò Terzo Uomo” + “Totò all’Inferno” – Edizione Doppio Film (2022)
- Distribuzione: Bloodbuster
- Caratteristiche: Due film in un unico cofanetto
- Contenuti speciali: Nessuno
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Lo straripante Totò si divide in questo film addirittura in tre personaggi (ovviamente fratelli). La commedia diretta da uno dei registi prediletti del comico napoletano, Mario Mattioli presenta una trama molto complicata, sulla base della classica pochade degli equivoci. Tutto sommato però trama e sceneggiatura sono solo meri pretesti per dare vita ad innumerevoli numeri comici (non sempre riuscitissimi in verità) che vedono l'attore protagonista assoluto.
- Classica commedia degli equivoci, stavolta con ben 3 gemelli, tutti con personalità e ruoli diversi (il sindaco, il donnaiolo e il truffatore) e tutti interpretati gustosamente da Totò, ben contornato da ottimi caratteristi. Il film galleggia a un livello medio nella filmografia dell'attore napoletano, con un discreto lavoro di sceneggiatura, pur nella prevedibilità costante, ma anche marcato dall'impasse di non riuscire a far vivere la storia per conto suo, al punto da aver bisogno di voci fuori campo di spiegazione (pessimo!). Vedibile.
- Uno dei migliori film interpretati dal mitico attore napoletano. Qui, per una volta, con uno straccio di copione degno del suo carisma. Dividendosi in tre personaggi, Totò da il meglio di sè, regalando sprazzi di comicità e recitazione ad alto livello. Buono anche il resto del cast, con i fedelissimi Tieri, Castellani e Garinei su tutti. Bella regia di Mattoli.
- Un Totò movie stanco e noiosetto, sicuramente il più lasco e meno divertente di quelli girati dal solitamente ben in poppa Mattoli. E dire che le premesse della buona riuscita non mancavano: la sceneggiatura della premiata ditta Age Scarpelli (con Metz e Marchesi) e un Principe in versione una e trina. Ogni riferimento al film di Reed e Welles invece si mostra ben presto velleitario, mentre l'istrionismo del nostro si incarna in personaggi che restan sempre a bagnomaria senza mai esplodere. Non brillan nemmen i caratteristi. Totò canta "Nun si na femmena".
- La tipica commedia basata sugli equivoci che dovrebbe divertire ma che finisce per annoiare e trascinarsi stancamente verso la fine per carenza di idee. Totò carica troppo i personaggi, la sua recitazione a volte è eccessivamente sopra le righe e, anche se le spalle svolgono onestamente il proprio compito, forse è lasciato troppo solo. Comunque da vedere almeno una volta per ammirare tutto il suo estro e la capacità di interpretare più personaggi contemporaneamente.
- Tre personaggi interpretati oramai con il pilota automatico da Totò che riproporrà l'esperienza in Totò Diabolicus. Qui il vero problema è la sceneggiatura, che continua a zoppicare con situazioni assurdamente telefonate (tutto il racconto finale del truffatore è riassunto dall'irritante voce narrante) e la messa in scena risulta datata a partire dalla colonna sonora. La pochade viene raccontata in maniera molto confusa e ingarbugliata con fastidiosi spiegoni. Comunque qualche sorriso lo si strappa e il tutto si lascia pesantemente vedere.
- Non ho mai capito perché questo ottimo film del principe della risata sia reiteratamente definito un "Totò minore". Non è "minore" per niente, trattasi piuttosto di uno degli sforzi migliori di Mario Mattoli tout-cort. Il regista di Tolentino in questa pellicola non manca perfino di una certa raffinatezza formale. L'espediente dei tre gemelli, pur non essendo certo originale, è sviluppato con brio e consumata abilità da Totò e da uno stuolo di ottimi comprimari (Campanile, Tieri, Romano, Valori, Garinei, Mammi, il povero Pastorino).
- Una delle migliori prove di Totò, che interpreta tre fratelli molto diversi tra loro con straordinaria attenzione a ogni dettaglio fisico e psicologico. La storia una volta tanto di stampo classico (con rimandi alla fabula Atellana e alla Commedia dell'Arte) è scritta in punta di penna dai più grandi sceneggiatori del periodo. Ritmo elevatissimo e continui colpi di scena, non tutti telefonati. Grande cast di supporto con molte spalle storiche del Principe (Castellani, Tieri, Giuffré, Inglese) e presenze femminili non solo decorativa. Merita!
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Da domani non bevo più, non fumo più, non gioco più" (Pastorino) "Bravo fesso e che campi a fare?" (Totò); "Vecchia paraninfa!".
- Uno dei migliori film di Mattoli con Totò. Sono chiare le radici plautine della “commedia degli equivoci” dovute alla somiglianza dei personaggi come è chiara l’ambientazione (che anticipa quella di Pane, amore fantasia) della farsa in un luogo idilliaco e provinciale dove i difetti umani sono guardati con un sorriso bonario e con tolleranza. Film imperdibile nel quale possiamo gustare un Totò eclettico che interpreta tre personaggi differenti fornendo loro tre caratterizzazioni diverse: autoritaria, da gagà e clownessca. Film col passo della pochade.
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Totò e... Mario Castellani
Totò e... Mario Mattoli
Valori Maria Bice (Bice)
Ward Aleardo
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Totò attore" (Ennio Bispuri) - Gremese, 2010
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «La Stampa», 22 settembre 1951
- p.g., «L'Unità», 28 settembre 1951
- l.p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 28 settembre 1951
- E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 4 ottobre 1951
- al. or. (Alfredo Orecchio), «Paese Sera» Roma, 5 ottobre 1951
- Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 10 ottobre 1951
- «Cine Sport», 24 ottobre 1951
- «Confidenze», anno VI, n.44, 28 ottobre 1951