Totò, Vittorio e la dottoressa

1957 Toto Vittorio e la dottoressa 7

Ma vi pare giusto che uno alza la testa e dal cielo gli arriva uno sputnik nell'occhio?

Michele Spillone

Inizio riprese: novembre 1957, Stabilimenti Titanus Farnesina, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 6 dicembre 1957 - Incasso lire 572.703.000 - Spettatori 3.760.362


Titolo originale Totò, Vittorio e la dottoressa
Paese Italia - Anno 1957 - Durata 98' - B/N - Audio sonoro - Genere comico - Regia Camillo Mastrocinque - Soggetto Vittorio Metz, Marcello Marchesi - Sceneggiatura Vittorio Metz, Marcello Marchesi - Fotografia Gabor Pogany, Alvaro Mancori,Manuel Berenguer - Montaggio Roberto Cinquini, Juan Pison - Musiche Carlo Innocenzi - Scenografia Gianfranco Cuppini - Costumi Luciana Marinucci


Totò: Michele Spillone detto Mike - Vittorio De Sica: marchese Vittorio de Vitti - Abbe Lane: dottoressa Brigitte Baker - Tecla Scarano: Ada Barbalunga - Agostino Salvietti: Gennaro - Luigi Pavese: capo dell'agenzia investigativa - Titina De Filippo: madre del marchese de Vitti - Sandro Pistolini: Sandrino - Franco Coop: maitre del locale La Conchiglia - Arturo Bragaglia: signore al comizio - Amedeo Trilli: malato di mente della clinica Villa Valeria #1 - Giulio Calì: malato di mente di Villa Valeria #2 - Dante Maggio: cameriere del La Conchiglia - Teddy Reno: se stesso - Pierre Mondy: Romeo - Darry Cowl: Egisto - Amalia Pellegrini: Ida - Amilcare Pettinelli: - Fulvia Franco: Caterina - Antonio Acqua: Professore clinica - Nicola Maldacea Jr.: Marcello


Soggetto

Michele e Gennaro lavorano come inservienti dell'agenzia investigativa "Nulla sfugge". Quando il loro capo è costretto ad assentarsi dall'ufficio per seguire un'indagine, i due decidono di prendere il suo posto e si fingono abili investigatori dinanzi a due vecchie sorelle, venute in agenzia per chiedere loro di indagare sulla moralità della moglie del loro unico nipote, una dottoressa americana di Boston.

La dottoressa è chiamata a sostituire il noto prof. Vagoni e a prendersi cura dei suoi pazienti, tra i quali figura anche il marchese De Vitti, un nobile "sciupafemmine" che in realtà è stato impallinato nel fondoschiena da un mezzadro di cui aveva cercato di sedurre la moglie. Il marchese De Vitti non vuole essere curato da una dottoressa donna, bensì da un dottore maschio ma è troppo pudico per dirlo. Ci si trova davanti così ad un intreccio comico in cui i due investigatori credono che il marchese sia l'amante della dottoressa e forniscono delle presunte prove che cercano di dimostrare alle due sorelle il tradimento della dottoressa.

Per provare le loro "deduzioni" Michele e Gennaro si fingono rispettivamente medico e paziente in attesa di essere operato di appendicite e si fanno ricoverare nella clinica "Villa Valeria" in cui lavora la dottoressa, nella quale, nel frattempo, si era fatto ricoverare anche il marchese De Vitti per risolvere il suo annoso problema. Finalmente, nella clinica, l'inettitudine di Michele e Gennaro viene smascherata e la storia si conclude a lieto fine.

Critica e curiosità

⏳ Un ritorno teatrale tra convalescenza, cliniche e miraggi napoletani

Siamo nel 1956, anno in cui Antonio de Curtis in arte Totò decide di fare un gran ritorno a teatro con la rivista “A prescindere”, titolo che è già una dichiarazione di poetica: tutto il resto non conta. Ma il destino, come sempre, ama spuntarla con cinismo da rivista nera: una grave ricaduta agli occhi lo costringe a mollare le scene nel maggio del '57. Segue una penosa e lunga convalescenza di sette mesi, che per Totò, ipercinetico e immortale, devono essere sembrati sette secoli egizi sotto sciroppo. Solo a novembre i medici, con lo stesso entusiasmo di chi firma la licenza per una gita scolastica a Chernobyl, gli permettono di tornare a lavorare… ma con mille precauzioni, luci basse, toni sommessi, e sempre sotto la minaccia della retina che sciopera.

Eppure Totò torna, stremato ma miracoloso, in un film che avrebbe fatto meglio a non accoglierlo così stanco, dato che tutto – sceneggiatura, regia, ritmo – pare essere stato scritto durante un’abbioccata in sala d’aspetto.

🎬 Una Napoli senza napoletani: geografia immaginaria del nonsense

Il film si svolge in una Napoli astratta, dove nessuno parla napoletano, tutti sembrano diplomati alla Crusca, si muovono come manichini teleguidati da una regia sonnacchiosa, e l’unica cosa viva è la macchietta linguistica di Totò, che combatte da solo contro una città dove non succede nulla se non per sketch riciclati e decontestualizzati, come fossero numeri da sagra paesana messi in fila a casaccio.

Il copione, firmato da Metz e Marchesi, è una raccolta di barzellette senza punchline, cucite tra loro come un patchwork di grembiuli scolastici. La regia di Mastrocinque, che in altri tempi aveva saputo valorizzare Totò, qui si limita a portare a termine la pratica, come un notaio scocciato.

🗣️ La sagra del calembour: l’arte gloriosa del fraintendimento

Totò gioca come sempre con il linguaggio, suo vero regno e campo minato, regalandoci perle di nonsense come:

  • “sotto semaforo” per “sotto metafora”
  • “parocchia” per “parecchi”
  • “Corèa” per “correa”
  • “fotografi” per “fedi grafi”

È l’eterno incastro tra il clown Augusto e il grammarnazi smarrito, un funambolo che trasforma ogni parola in una trappola semantica. In questo film, però, sembra giocare da solo, senza spalla, come un violinista davanti a un muro.

🥄 Sketch vecchi come il seltz (che però ancora fanno “psss”)

Uno dei momenti “memorabili” (le virgolette sono d’obbligo) è quando Totò, vestito da cameriere, finge di far funzionare un sifone facendo semplicemente “psss” con la bocca, giustificandosi con l’immortale scusa: “me lo ha insegnato la mia mamma da bambino”.
Uno sketch riciclato da “Fifa e Arena”, “Totò le Mokò” e pure “Totò sexy”, ovvero l’enciclopedia della riutilizzazione sistematica.

Un’altra gag, quella del chirurgo improvvisato, proviene direttamente dalla rivista teatrale “Fra moglie e marito… la suocera e il dito” – già il titolo è una garanzia che ci troviamo nel territorio tra il circo e il confessionale.

👨‍⚕️ Clown triste con camice d’ordinanza

Tutto il film, di fatto, è una specie di avanspettacolo filmato, un canovaccio alla Ridolini, senza ritmo, senza conflitto, ma con barelle, cliniche e ristoranti infestati da gag. Alla fine si fugge in ospedale con tanto di marcetta in sottofondo: il realismo è rimasto imbottigliato nel traffico della sceneggiatura.

Totò, pur relegato al rango di “macchietta professionale”, non rinuncia mai alla sua padronanza scenica. È un clown Augusto costretto a fare da solo il numero completo, mentre Salvietti, clown bianco appesantito e stanco, lo accompagna più per dovere che per energia comica.

🎩 La bombetta e la detective story alla camomilla

Dal primo fotogramma Totò si presenta con la bombetta, residuo fossile della sua maschera originaria, collegamento diretto con i tempi in cui la maschera serviva a coprire il caos del mondo.

Il personaggio si chiama Michele Spillone, storpiatura parodica di Mike Spillane, re del noir americano: così il film finge di essere una parodia del genere giallo, ma in realtà è solo un siparietto posticcio con un titolo da detective story e una trama da cartella clinica.

🤹‍♂️ Totò senza Peppino: lo squilibrio dell’universo comico

Se confrontato con i film precedenti (sempre di Mastrocinque), in cui Totò e Peppino si elevavano a coppia da Commedia dell’Arte moderna, qui il vuoto lasciato da Peppino è un cratere comico. La differenza è palpabile: con Peppino il nonsense diventava sistema; con Salvietti è solo solitudine d’attore.

Questo confronto mette in luce quanto Totò abbia bisogno di una controparte vera, reattiva, capace di gestire i tempi, i ritmi, i silenzi, e soprattutto le derive imprevedibili del linguaggio. Peppino era la partitura, Salvietti appena lo spartito.

🎤 Un cast che si incrocia ma non si incontra

Il titolo promette un duo d’eccezione: Totò e Vittorio De Sica. Ma la realtà è ben più modesta: i due non condividono neanche una scena. È come comprare un biglietto per i Beatles e trovare sul palco Ringo e un manichino. Titina De Filippo, madre di De Sica nel film, aveva appena tre anni più di lui: un casting da teatro dell’assurdo. E poi c’è Teddy Reno che canta, perché quando la trama scompare, la canzone è sempre dietro l’angolo.

🏥 Napoli? Roma. Ospedale? Montesacro. Ma il titolo era sbagliato.

Pur ambientato a Napoli, il film è stato girati quasi interamente a Roma. La clinica Villa Valeria (che nel film sembra una clinica partenopea) è invece a Montesacro.
Un’illusione geografica degna di un film dove Napoli non è Napoli, Totò non è Totò, e De Sica non è lì.

🎞️ Conclusione: anatomia di un Totò in convalescenza

In sintesi, questo film è una performance miracolosa e triste allo stesso tempo: Totò combatte contro la malattia, contro una sceneggiatura vuota, contro una spalla inadatta, e riesce comunque a tenere in piedi una baracca traballante solo con la forza della maschera, della lingua e del gesto.

È un Totò in tono minore, ma pur sempre Totò: involontariamente struggente, ferocemente clownesco, ostinatamente vivo.

A prescindere dal film, resta lui: l’Uomo che ride anche quando dovrebbe piangere.


Le scene più celebri e memorabili di questo film poco fortunato ma comunque intriso del genio comico di Totò, anche se in forma attenuata. La pellicola, pur debole nel suo insieme, offre alcuni momenti che, isolati dal contesto, conservano il sapore della grande arte del nonsense e dell’avanspettacolo.

🍽️ Il sifone che fa “psss”: il trionfo dell’assurdo casalingo

Questa scena è forse la più celebre dell’intero film, un piccolo gioiello di nonsense domestico. Totò, travestito da cameriere, si trova a servire in un ristorante in cui, a un certo punto, il sifone del seltz non funziona. Ma ecco il colpo di genio: fa il rumore con la bocca, un semplice “psss”, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Alla perplessità dei clienti, risponde serafico:

Me l’ha insegnato la mia mamma da bambino.

Il momento funziona perché Totò lo gioca con estrema naturalezza, senza mai uscire dal personaggio. È una lezione di comicità antica e immortale: il gesto minimo, la spiegazione assurda, il viso impassibile. È una gag già vista in “Fifa e Arena” e “Totò le Mokò”, ma qui ha ancora il sapore della sorpresa infantile e dell’assurdo quasi poetico.

🩺 Lo sketch del chirurgo improvvisato: Totò a bisturi libero

In un’altra scena significativa, Totò si ritrova finto chirurgo in una clinica (in realtà la Villa Valeria di Montesacro, Roma), in uno sketch ripreso direttamente dalla rivista teatrale “Fra moglie e marito... la suocera e il dito”.

Qui il gioco è quello del bluff da commedia dell’arte: il personaggio è un impostore che simula competenza, con risultati catastrofici. La sala operatoria si trasforma in un palcoscenico slapstick, dove le battute, le finte operazioni e gli equivoci creano una baraonda al limite del surreale. Totò prende in giro la scienza e l'autorità con la sua solita grazia da giullare: non guarisce i pazienti, ma li disorienta fino alla risata.

🎩 La presentazione con bombetta: l'incipit simbolico

Fin dal primo fotogramma, Totò compare con la bombetta in testa, un’immagine potentissima per chi conosce la sua storia artistica. È un richiamo alla sua maschera primordiale, quella del clown Augusto mescolato al gentiluomo decaduto, un po’ Charlot e un po’ guitto da vicolo.

L’entrata in scena con la bombetta non è solo un costume, ma un atto metateatrale: Totò ci dice subito che sta per interpretare sé stesso, o meglio la caricatura di sé stesso, il suo “io” cinematografico standard, come una firma visiva che precede qualsiasi azione.

👔 La gag al ristorante: travestimenti e confusione

Altro momento centrale è la scena al ristorante dove Totò e Salvietti, per ragioni narrative che sfumano tra la farsa e il sogno, si travestono da camerieri e scatenano il caos.

Non c’è una vera motivazione logica, ma il senso è chiaro: creare una baraonda da avanspettacolo, con piatti che volano, clienti che si indignano, ordini invertiti, salse nei cappelli e fraintendimenti continui. Una scena alla Ridolini, che si basa più sull’energia scenica che sulla coerenza narrativa. Totò è il direttore d’orchestra del disordine, mentre Salvietti segue con affanno.

🏃 La fuga finale in ospedale: marcia e parodia

Il film si chiude con una fuga all’ospedale, accompagnata da una marcetta che accentua il tono farsesco. È un finale in minore, ma coerente con l’anima del film: non si cerca una chiusura narrativa, bensì una dissolvenza musicale nella farsa.

La comicità si mescola con l’assurdo sanitario, e l’ospedale si trasforma in un labirinto buffonesco, un anti-luogo dove tutto è ridicolo e nessuno è davvero malato… tranne forse la sceneggiatura.

🕵️ Il nome Michele Spillone: la parodia noir mancata

Non è una vera e propria scena, ma una gag di fondo: il personaggio di Totò si chiama Michele Spillone, storpiatura italiana del celebre Mike Spillane, scrittore americano di romanzi hard boiled.
Questa scelta è una promessa di parodia, che però rimane in gran parte inespressa. Il film avrebbe potuto giocare con le regole del noir, il detective, il caso da risolvere, gli equivoci da svelare… invece si accontenta di qualche riferimento formale, lasciando il titolo a sostenere da solo una suggestione.

👨‍👩‍👦 Totò senza Peppino: la gag che non c’è

Tutte le scene in cui Totò è affiancato da Salvietti fanno implicitamente sentire l’assenza di Peppino De Filippo. E questo è in sé una “scena invisibile” ma fortemente presente.
Quando Totò tenta un duetto e l’altro non gli sta al passo, non lo incalza, non lo contrasta, ci troviamo in una sorta di monologo travestito da dialogo, dove l’energia scenica si smorza come un soufflé davanti a una finestra aperta.

🎙️ Teddy Reno canta: la musica come pausa comica

Infine, le esibizioni di Teddy Reno, che intona “'A sunnambula” e “Questa piccolissima serenata”, sono momenti di pausa che fungono da riempitivo musicale, più adatti a uno spettacolo televisivo che a un film. Eppure, hanno il sapore vintage di un’epoca in cui il varietà contaminava il cinema con leggerezza e un pizzico di sentimentalismo.

In conclusione, le scene più memorabili del film non sono memorabili per originalità o inventiva narrativa, ma per la forza comica che Totò riesce a infondere in ogni gesto, in ogni stortura linguistica, in ogni gag già vista. Sono frammenti di bravura incastonati in un film stanco, perle di nonsense logorato che brillano ancora solo grazie alla maschera eternamente viva di Antonio de Curtis.


Spesso, nei dialoghi con persone straniere, Totò usa mescolare l'italiano con altre lingue che come assonanza racchiudano il concetto del dialogo: spesso ne vengono fuori esilaranti gag che, unite alle sue incredibili espressioni, esprimono il massimo della sua comicità fatta di parole e di mimica:


[Totò (a Gennaro)] - Mister John!
[Gennaro] -Please...
[Ada] - Ma loro sono americani?
[Totò] - Oriundi! Lui è nato a Caserta, io a Secondigliano. Mister John...
[Gennaro] - Please?
[Totò] - You like, no smoking, bisiniss, Telefunken?
[Gennaro] - It’s all righi, o.k. !


[Ada (diffidente)] - Ma non è italiana?
[Nipote] - No, è di Boston!
[Ada (allarmata)] - Tedesca? Hideriana?


Così la stampa dell'epoca

L’accoglienza del film da parte di critica, pubblico e censura dell’epoca.

📰 La critica: tra malcelata pietà e disappunto strutturale

La critica dell’epoca, già allora abituata a vedere Totò oscillare tra capolavori comici e operazioni commerciali “di transizione”, non fu tenera con il film. Le recensioni dei giornali specializzati e generalisti manifestarono un disincanto diffuso, ma anche una certa compassione nei confronti dell’attore, reduce da una gravissima malattia oculare che ne aveva limitato la capacità visiva e quindi la possibilità di modulare pienamente il suo repertorio espressivo.

I principali rimproveri rivolti al film furono:

  • Sceneggiatura sfilacciata, piena di sketch scollegati (definita da alcuni critici come "una collana di vecchi numeri da avanspettacolo cuciti insieme con lo spago");
  • Regia anodina di Mastrocinque, considerata passiva e priva di ritmo, quasi un semplice accompagnamento visivo alle gag di Totò;
  • Ripetitività della maschera: Totò – pur grandioso – venne accusato di aver esaurito le sue cartucce più efficaci, riproponendo giochi linguistici, mimiche e gag già viste e riviste in film precedenti;
  • Scarsa alchimia con il partner Salvietti, giudicato fiacco, macchinoso, statico: fu notata con insistenza la differenza abissale tra i duetti con Peppino De Filippo e quelli con l’anziano e appesantito clown bianco Salvietti.

Molti critici però salvarono Totò dal naufragio artistico, notando che, nonostante l’impianto farraginoso e i limiti produttivi, lui da solo riusciva a creare momenti comici memorabili, soprattutto grazie alla padronanza gestuale e fonetica che restava intatta anche con problemi di vista e acciacchi fisici. Un noto recensore dell’“Unità” lo definì «un guitto solitario in un teatro vuoto, che riesce ancora a far ridere il pubblico evocando solo la propria ombra».

👥 Il pubblico: una fedeltà che resiste (ma scricchiola)

Il film ottenne un discreto successo di pubblico, soprattutto nelle sale del Sud Italia, dove il nome di Totò bastava da solo a riempire le platee. Tuttavia, i dati al botteghino non furono eclatanti. Si parlò di incassi modesti ma dignitosi, superiori alle aspettative per un film “minore” e senza vera trama, ma nettamente inferiori a quelli registrati da altri titoli coevi come Totò, Peppino e la malafemmina o La banda degli onesti.

La percezione generale fu che si trattasse di un film di transizione, quasi un “recupero fisico” per Totò, che veniva al cinema per affetto, per fedeltà o per tradizione familiare. Il pubblico rideva comunque, ma si rideva di riflesso, per inerzia, per nostalgia.

Molti spettatori dell’epoca segnalarono il senso di déjà vu: le stesse battute, le stesse posture, le stesse scene da ristorante disastroso o da clinica farsa erano già apparse in film precedenti, rendendo l’esperienza prevedibile, se non stanca. Eppure, Totò funzionava ancora come fenomeno culturale: per tanti italiani degli anni ’50, vedere Totò significava riconnettersi con una comicità familiare, rassicurante, anche quando i contorni artistici si sfocavano.

✂️ La censura: silenzio-assenso e auto-ridimensionamento

Sorprendentemente, il film non suscitò grandi problemi con la censura, almeno rispetto ad altre pellicole coeve che trattavano temi più audaci, politici o erotici. Questo probabilmente per due motivi principali:

  1. L’ambientazione totalmente surreale, astratta, infantile, senza riferimenti espliciti a poteri, istituzioni o sessualità;
  2. Il tono farsesco e l’assenza di contenuti realmente provocatori.

Nonostante alcune scene ambientate in cliniche mediche, con finti interventi chirurgici e gag ambigue, la censura del tempo (più preoccupata da sottane, doppi sensi e battute politiche) non intervenne. Il film uscì senza tagli rilevanti, con regolare nulla osta.

Tuttavia, si può parlare di una sorta di autocensura comica: la comicità di Totò qui si fa morbida, disinnescata, privata del suo mordente surreale, come se lui stesso, debilitato dalla malattia, avesse scelto di restare sul piano del puro varietà, evitando ogni rischio contenutistico. Non ci sono attacchi al potere, né satire sociali o politiche, né allusioni sessuali: solo giochi linguistici e parodie caricaturali, perfettamente digeribili da una censura ancora molto presente e severa.

📉 In prospettiva storica: un film di passaggio, un Totò vulnerabile

Oggi, questo film è visto come un documento umano più che artistico. Nonostante il valore oggettivamente modesto dell’opera, i critici moderni e gli storici del cinema rivalutano il film come testimonianza commovente di un attore che non si arrende, che torna sul set a dispetto del dolore, della malattia, della solitudine artistica.

Il Totò di questo film è più fragile, meno esplosivo, ma anche più umano, quasi una maschera che ride con le lacrime dietro le palpebre irritate. La pellicola viene spesso citata come esempio emblematico di quel periodo di “resistenza artistica” tra il 1956 e il 1959, quando Totò combatteva la cecità incipiente e una progressiva marginalizzazione del suo stile comico classico nel nuovo cinema italiano post-neorealista.

In questo senso, il film fu un fallimento estetico, ma un atto di coraggio personale. E non è un caso che alcune delle scene peggiori restino comunque impresse, proprio perché eseguite da un attore che non vuole mollare, che sbatte sul palco le sue battute anche quando il copione è scarico.

📌 In sintesi: accoglienza moderata, affetto incondizionato

  • Critica: fredda, ma rispettosa verso Totò, severa con il film in sé;
  • Pubblico: caloroso ma meno numeroso, divertito ma disincantato;
  • Censura: assente, disinteressata o addormentata;
  • Valutazione attuale: documento prezioso della resilienza artistica di Totò, più che film da riscoprire per la trama.

Un film dimenticato che ricorda la forza di chi non vuole farsi dimenticare.


A rendere ancora più triste il ritorno di Totò al cinema è la concomitante crisi del cinema italiano. I produttori, afflitti dalla concorrenza americana, cercano la salvezza nelle coproduzioni con partner francesi e spagnoli. Le pellicole che nascono da questa situazione sono di solito scipite, ibridi costruiti intorno a un cast eterogeneo, compromessi fra le differenti esigenze delle platee francesi, spagnole e italiane. Tra il '57 e il '59 Totò si ritrova fianco a fianco con Fernandel, Pablito Calvo, Abbe Lane e Louis de Funès, ma difficilmente esce arricchito dal confronto, perché spesso i registi e gli sceneggiatori scelgono di puntare i riflettori sui suoi partner; la recitazione di Totò, già appannata a causa della malattia, viene poi azzerata dall'approssimazione con cui vengono tratteggiati i suoi personaggi. [...]

Alberto Anile


E abbiamo il film di Camillo Mastrocinque Mia moglie dottore, con De Sica, Totó, Abbe Lane, Titina De Filippo. Narra di un avvocato napoletano che sposa una dottoressa americana ma nasconde la professione della moglie a due zie dalle quali dovrebbe ereditare. [...]

Giuseppe Marotta, «L'Europeo», 1958

Da «Il Giorno» un articolo senza firma: «Nel filmetto che [...] è interpretato da Totò un pò stanco [...] si possono ascoltare tre o quattro battute di una rara grossolanità. Davvero allegra la nostra censura».


Il ritorno di Totò

Costretto all'inattività per molti mesi a causa di un'infermità agli occhi, Totò ritorna ora davanti alla macchina da presa per interpretare «Totò, Vittorio e la dottoressa squillo». Il titolo peregrino si spiega in parte con il fatto che a fianco del popolare comico comparirà Vittorio De Sica. Dirige Camillo Mastrocinque su sceneggiatura di Metz e Marchesi.

«Stampa Sera», 5 novembre 1957


«Vidi le auto sui tetti delle case»

Tornato al lavoro dopo un lungo periodo di inattività al quale e stato costretto per sfuggire alla cecità, Totò racconta la sua esperienza

Roma, novembre 1957

Qualcuno mi ha invitato a scrivere o, per meglio dire, a dettare la storia della mia malattia. Quasi un memoriale sul guaio che mi è capitato e che ho dovuto sopportare al buio per lunghi sette mesi. Nell'invito era beninteso nascosta la speranza che io, raccontando, dicessi cose spiritose, quasi barzellette. Mi sia permessa, in primo luogo, una semplice chiarificazione intima. E, per una volta tanto, mi voglio prendere il gusto di parlare come un personaggio pirandelliano. Tra me e la mia maschera, cioè a dire Totò, esiste una parentela strettissima, una indissolubile alleanza che dura Dio solo sa da quanti anni. Ci aiutiamo a vicenda, nel lavoro, ma appena calato il sipario o spente le luci dei riflettori nello studio cinematografico, Totò se ne va per i fatti suoi ed io per i miei. Anzi vi debbo confessare che Totò, come tutte le maschere che si rispettano, ha un cuore di cartone ed ha uno spirito cosi geloso da non regalarmi, quando siamo soli, nemmeno un istante di buonumore. Il discorsetto che sto facendo sembra difficile. Totò, appena ha esaurito il suo compito, mi pianta in asso e mi toma vicino soltanto al momento in cui proprio non può fare a meno di me.

Durante i sette mesi che sono stato al buio questo mio ingratissimo complice non è venuto mai a trovarmi. Nemmeno una telefonata. Mentre ricevevo migliaia e migliaia di lettere nelle quali tanta cara e brava gente mi offriva occhi e conforto, Totò taceva lontano e dimentico, in viaggio per i fatti suoi. Non appena ha saputo che, bene o male, con un occhio ancora ci vedevo e che avrei dovuto ricominciare a lavorare, me lo sono visto di nuovo vicino, armato di cinica distrazione, allegrissimo, sto per dire ringiovanito come se la mia malattia gli avesse addirittura fatto bene. E m’ha detto: «Caro principe, siamo uomini o caporali, e allora quando si ricomincia? Sette mesi di guai sono un lusso che non ci possiamo permettere, a questi lumi di luna. Le tasse chi le paga? E chi paga i dottori, le medicine consumate in questi sette mesi?».

Nemmeno una paroluccia di comprensione o di interesse sulle pene che avevo dovuto passare. Abbiamo quindi ripreso il filo della nostra amicizia, se amicizia può chiamarsi quella che Totò nutre per me, e insieme abbiamo ricominciato a lavorare. Ma non ho potuto far a meno di dirgli quanto segue: «Ma un pizzico della tua comicità me la potevi pur lasciare in un cassetto prima di squagliarti come un ladro. Lo sai tu, che per sette mesi sono stato uno degli uomini più infelici? Sempre al buio, con l’anima piena di pensieri neri' come ragni e bacarozzi. Un giorno che la malinconia mi era arrivata alla gola ho persino dovuto domandare il permesso al dottore di farmi un pianto, un piccolo pianto. E il dottore me lo ha proibito. Anzi, il dottore mi ha risposto: "Ma che le salta in testa, caro principe? Si faccia invece una bella risata! Chiami vicino al letto Totò! Provi a recitare una volta soltanto per se stesso". Così mi ha detto il dottore, sbagliando ricetta. E mi ha lasciato solo. Ed io allora ti ho chiamato; e tu non mi hai risposto. Nè, d’altra parte, potevo scriverti, perchè squagliandoti non mi avevi lasciato nemmeno l’indirizzo».

A queste mie parole, Totò ha allungato il collo e mi ha fatto un gesto con il braccio, alla napoletana, come per farmi capire che la sua comicità, il suo spirito, non si possono mai regalare ad una persona sola. E poi, ridendo, freddamente ha esclamato: «Se lo vuoi proprio sapere, anche io da solo non riesco mai a ridere. Durante questi sette mesi ho dormito dentro un baule, in letargo, e mi sono riposato perchè sapevo che da un momento all’altro tu avresti avuto di nuovo bisogno di me. Ora eccomi qui. E, per carità, non farmi discorsi difficili, discorsi simili a quelli che servono la comicità di quei comici così detti intellettuali che si credono bravi soltanto perchè raccontano bene le barzellette». Se ripenso oggi alla mia malattia debbo per forza ritornare con la memoria al primo curioso avvenimento che segnò il principio del mio dramma. E non posso chiamarlo che dramma. Era la vigilia di Pasqua di quest’anno e mi trovavo con la Compagnia a San Remo. Una mattina decisi di recarmi in gita a Montecarlo. C’era il sole. Il mare pareva dipinto, tanto era liscio e fermo.

Mi pareva il mare di Napoli ch’io considero il più bel mare del mondo. Montecarlo ancora una volta mi apparve come uno scenario finto. Ad un certo momento vidi davanti a me come un improvviso cambiamento di scena. Sul paesaggio calò un velario di nebbia. Case capovolte, come un quadro futurista, e la gente che camminava sulle strade, senza testa. Quasi per vincere la paura che si impadroniva di me, dissi a me stesso una battuta che avrebbe potuto servire a Totò: «Mica sarà di moda, adesso, a Montecarlo, andare in giro senza testa». Stavolta il sipario calava sulla mia vita e non sulla platea piena di spettatori. Mi sentivo smarrito. E confessai a Franca, che sedeva vicino a me nell’automobile, quello che mi succedeva. Il paesaggio si trasformava magicamente nel gioco assurdo di prospettive impazzite. Vidi ad un certo momento le automobili sui tetti delle ville, gli uomini in cima ai fanali, gli alberi che salivano in cielo come in volo. Rientrammo subito a San Remo. Durante il breve viaggio di ritorno la "sequenza", se si può dire, seguitò a passare davanti al mio sguardo oscurato in una collana di inquadrature surrealiste. Il sentimento della cecità somiglia tragicamente al sentimento della solitudine nel deserto. Anche le voci, i rumori, diventano ciechi quando non ci si vede più. Decisi tuttavia di nascondere agli altri, più che a me stesso, almeno per quei primi momenti, la realtà del mio stato. Sapevo che sessanta persone della Compagnia dipendevano dal mio lavoro. E decisi di affrontare la nuova situazione a dispetto del male che mi aveva colpito a tradimento. Lavorai lo stesso, lasciandomi portare per la mano dalla indiavolata volontà di Totò. Recitavo davanti ad una platea in ombra. Le luci della ribalta mi ferivano, come punture d’ago. E da quel giorno tutto mi apparve dietro un sipario nero. Viaggiando, di lì a qualche giorno, verso Firenze, la luce del sole mi bruciava le palpebre. Sentivo la luce, senza più distinguere il paesaggio. Purtroppo mi dovetti arrendere, mentre recitavo a Palermo. Ritornai nella mia casa di Roma con nel cuore il sentimento di una disperazione, mi sia concesso dirlo, cieca e fredda nello stesso tempo. Sul portone della mia casa sentii che Totò se ne era andato per i fatti suoi. Rimasi così solo con me stesso.

Adesso posso dire con le parole di D’Annunzio: «E pur con l’uno, vedo». Perchè con un solo occhio, sia pure a fatica, mi è possibile rivivere nella realtà. Domando scusa per le parole difficili, delle quali stavolta non posso proprio fare a meno. Dopo sette mesi di guai, pochi giorni fa, sono ritornato o per meglio dire siamo ritornati, Totò ed io, a lavorare assieme. Il film che sto interpretando con De Sica ed Abbe Lane, per la regia di Camillo Mastrocinque, si intitola "Mia moglie dottore". Vi debbo confessare che ho ritrovato Totò in piena formai Quello che non vedo io, vede lui. Io credo che il film sarà molto divertente. Nelle mie avventure mi segue Salvietti, che è un comico di buona razza. Il titolo del film parla di una moglie dottore. Ma si tratta di una dottoressa, dalla quale, in veste di Totò, stavolta è proprio un piacere farsi curare.

A. d. C., «Tempo», 21 novembre 1957


Di Totò il pubblico conosce ormai tutto: sa a memoria il suo modo di muoversi, le sue furbesche risate, gli improvvisi stupori, il suo umorismo di gusto popolare e sa anche come andranno a finire le sue trovate. Perchè Totò possa sfruttare a nuovo le risorse di cui è ricco il suo temperamento d'attore comico occorre costruirgli i del personaggi, delle storie, delle situazioni, il che però accade molto raramente. Il film comico in Italia non gode molta stima e cosi siamo costretti continuamente a sorbirci filmetti fatti senza impegno, pieni di battute consunte e di situazioni scontate, di macchiette limitate e di intrecci macchinosi.

«Totò, Vittorio e la dottoressa», che narra le peripezie di una avvenente donna-medlco, fatta oggetto di corteggiamento da parte di un arrzill0 marchese e di investigazione da parte di uno strampalato poliziotto dilettante, è appunto uno di questi filmetti e non basta davvero la presenza di De Sica a nobilitarlo, anzi è motivo di sorpresa e di dispiacere il vedere come uno dei nostri maggiori uomini del cinema, le cui doti di regista restano indiscusse, si lasci andare in spettacoli del genere.

Vice, «Il Popolo», 24 dicembre 1957


Più che di un film, data la estrema inconsistenza del soggetto e la pochadistica tensione del dialogo, si dorrebbe parlare di rivista, nella quale Totò sciorina i soliti e più che mai stanchi numeri del suo repertorio. De Sica appare malinconicamente sfocato e Abbe Lane trionfa nella pienezza delle sue doti muliebri e nella leggerezza delle sue vesti, dalle più intime alle più mondane. La tenue vicenda sembra costruita, in verità, più per lei che per gli altri, ma è appena credibile come e quanto essa fatichi a tenersi verosimilmente in piedi fra i lazzi e i riboboli della farsa di Totò.

«Il Messaggero», 24 dicembre 1957


Una nuova apparizione di Totò in una delle sue consuete maschere: stavolta egli è un poveraccio che si è messo in testa di fare il poliziotto privato, e ne combina di ogni genere Gli altri due personaggi sono una dottoressa americano che ha sposato un italiano e che si trova imbarazzata ma non troppo nel sostenere gli assalti e le proposte amatorie dei suoi focosi pazienti mediterranei; e un marchese napoletano che sembra abbia ingoiato una scopa, galante, compito e fessacchiotto.

Attorno a costoro si sviluppa la storiella trasandata, che Camillo Mastrocinque ha diretto al solito modo: senza badare troppo, cioè, a dove cadevano le battute, alla economia del racconto, al dosaggio delle trovate e cosi via. Se non fosse la bravura di Totò e di Vittorio De Sica, e la attrazione che suscita Abbe Lane, il filmetto meriterebbe solo di non essere preso in considerazione. Teddy Reno canticchia.

t.c., «L'Unità», 24 dicembre 1957


Piacevole e briosa pellicoletta che segna il ritorno allo schermo dopo la nota infermità dei mesi scorsi, de! simpatico Totò, sempre in caccia di guai per sè e per gli altri. La sinuosa Abbe Lane, nelle vesti di una seducente dottoressa, ammalia il finto malato Vittorio De Sica, che completa degnamente la triade dei protagonisti, affiancati da una schiera di' efficaci caratteristi. Dialoghi vivaci e buone battute.

«Il Monferrato», 28 dicembre 1957


Totò, Vittorio e la dottoressa (Lux). - Novità. E' il primo film che il popolare comico ha girato dopo il periodo di inattività dovuto alia nota infermità agli occhi. In questo suo ritorno, Totò ha al fianco Vittorio De Sica e l'affascinante moglie di Xavier Cugat, Abbe Lane. La regia è di Mastrocinque.

«La Stampa», 4 gennaio 1958


Rieccoci al film comico con Totò. Benvenuto Totò, ci hai fatto ridere, ci hai divertito. Rivederti nei panni del poliziotto è stato un vero piacere. Ad majora, dunque. Ma il film, scusaci Totò, se usiamo una vecchia battuta di commento è "una vera schifezza*. Una di quelle schifezze che piacciono al pubblico e, modestia a parte, anche a noi [...] Il film, dunque, è quello che è, difettoso, svagato, comico, paradossale, senza capo né coda, ma, comunque divertente [...]

Franco Maria Pranzo, «Corriere Lombardo», 3 febbraio 1958


Il nostro compito di recensori sarà assolto esimendoci da ogni più approfondito esame di carattere storico-estetico-sociologico. Questa farsetta è palesemente destinata anche al mercato spagnolo dove, come è noto, in fatto dì film stanno peggio di noi.

Morando Morandini, «La Notte», 3 febbraio 1958


Una farsa con Totò finto cameriere che butta le torte in faccia ai clienti e Totò finto chirurgo che opera con un coltellaccio. C’è anche De Sica nella parte di un marchese che è stato impallinato in una natica, ed in fine Abbe Lane sospettata di condurre una vita dissipata e invece si viene a scoprire che è ginecologa. C’è però un buon momento umoristico: quando Totò esorta un suo amico ad entrare in un certo luogo «di soppiatto», e l’amico subito corre in cucina per andarsi a mettere "sotto i piatti".

«Corriere dell'Informazione», 4 febbraio 1958


Per combattere la crisi del cinema italiano, molti dei nostri produttori caricano sul "cast": e dove una volta, bastava loro un attore di richiamo, ora no mettono almeno un paio. Fanno come certe mamme medichesse che raddoppiano il farmaco operandone doppio vantaggio. I risultati di questo empirismo si possono vedere in "Totò, Vittorio e la dottoressa", dove il concorso di Totò o di De Sica (per tacere di Abbe Lane, di Titina De Filippo o degli altri che non sono potuti entrare nel tltolo-cartellone), rimedia ben poco, anzi fa sentire meglio come la farsa, da un copione di Metz e Marchesi, sia tirata coi denti e freddamente appiccicata, spicchio per spicchio. [...] Cosi, dopo aver passato le sue, la morale è servita per frutta, con gran soddisfazione della censura.

Stendiamo un velo su questo film evidentemente rappezzato in tempi e luoghi diversi; o da Totò, tornato in forma dopo la lunga assenza dagli schermi, dal sempre divertente De Sica, dalla stessa Abbe Lane qui perennemente sull'orlo dello spogliarello, aspettiamo con fiducia qualcosa di meglio. Che non ci debba esser Befana per il cinema comico italiano?

Leo Pestelli, «La Stampa», 5 gennaio 1958


Non si vergogna di aver interpretato quel film, non mi ricordo il titolo, in cui Abbe Lane faceva la dottoressa?

ANNA FERRACUTI - Sesto S. Giovanni

Certo che mi vergogno. Ma quando mi sottoposero il film, il soggetto era un altro, il titolo era un altro. Poi, essendomi impegnato, mi sono trovato a fare un film diverso, con un titolo inaccettabile come Totò, Vittorio e la dottoressa. Avevo soltanto il piacere di avere accanto quella meravigliosa creatura che si chiama Abbe Lane, che mi faceva dimenticare le pene che soffrivo nel recitare quell’assurdo personaggio.

Vittorio De Sica, «Novella», anno XXXIX, n.35, 31 agosto 1958



Periodico «Novelle Film», 24 maggio 1958 - Fotoromanzo del film "Totò, Vittorio e la dottoressa"

Si è discussa ieri in tribunale (giudice istruttore Falco, della I Sezione civile) una vertenza tra due case cinematografiche, originata dalle prestazioni artistiche di Antonio De Curtis, il popolare «Totò», per il film: «Totò, Vittorio e la dottoressa». Nell'aprile del '58 la società cinematografica «DDL», amministrata da Isidoro Broggi, ottenne dal tribunale una ingiunzione per il pagamento di dieci milioni nei confronti delle società «Jolly Film» e «D. S.». La «D.D.L.» motivo la sua richiesta. dichiarando che la «Jolly Film» e la «D.S.» le avevano chiesto di rinunciare, per un certo periodo di tempo, alle prestazioni del noto comico napoletano, sul quale la Casa aveva la esclusiva, per consentire alle due società di realizzare un film con Totò, a sfondo comico sentimentale, tratto da un soggetto di Marchesi e Metz.

In cambio le due società si impegnavano. tra l'altro, a non fare uscire il film prima del 1958, previa una penale di dieci milioni di lire, in caso di violazione di tale clausola. Poiché «Totò, Vittorio e la dottoressa» fu programmato sotto le feste natalizie del ‘57, la «D.D.L.». assistita dall'avv. Elio Fazzalar, si rivolse al tribunale. Le società «Jolly Film» — assistita dall'avv. Antonio Bavaro — e «D.S.» si opposero al pagamento, instaurando il presente procedimento. Ieri, il giudice istruttore ha ammesso l’interrogatorio delle parti ed ha rinviato la causa al prossimo autunno.

«Il Messaggero», 30 luglio 1959


Totò, ovvero se non si recita a soggetto

Totò, Vittorio e la dottoressa (1957), il film di Camillo Mastrocinque che va in onda stasera sulla Rete Uno alle 21.35, è un tipico prodotto di serie C della opulenta produzione cinematografica italiana fine anni '50. La riproposta di un film simile (si tratta di uno del titoli preferiti delle TV private, in ragione del semplice fatto che costa poco noleggiarlo) da parte della RAI ci pare singolarmente interessante, per molti motivi. Innanzitutto, il video nazionale avrà modo così di rendere omaggio al grande Totò finalmente con un film dichiaratamente mediocre, ossia uno di quei tanti copioni d’accatto che l’attore napoletano sapeva spesso trasformare in irresistibili happening umoristici, rivelando il pieno possesso della sua arte proprio quando veniva messo a dura prova. Troppo facile e ingiusto sarebbe ricordare sempre e soltanto Totò cerca casa, Dov'è la libertà o Uccellacci e uccellini.

Rivedendo Totò, Vittorio e la dottoressa si potrà, inoltre, stabilire un utile paragone fra la produzione di serie del cinema italiano di quell'epoca e quella odierna, e si può tranquillamente anticipare che il confronto risulterà impietoso per certi comici (come Pozzetto, Montesano, Bud Spencer e Terence Hill) e certi film (da Paolo Barca... a Piedone...) dei nostri giorni. [...] Dirige l’orchestra dei quiproquo, con surreale baldanza, il buon Totò (nei panni di un lustrascarpe improvvisatosi detective), che una ne pensa e cento ne fa, mentre Vittorio De Sica incarna un nobil signore erotomane, attempato risvolto del famoso bellimbusto dell'epoca del «telefoni bianchi».

Insomma, in questo film ognuno mette se stesso con beneficio d'inventario, a cominciare da Abbe Lane (la più formosa del momento) fino al goffo e romantico Teddy Reno (l’ex «cantante confidenziale»), cosi da facilitare il compito a tutti, spettatori compresi. Paradossalmente, Totò e soci, ben prima di Godard, sapevano come, quando e perché si può fare a meno di una sceneggiatura.

«L'Unità», 2 febbraio 1979


Totò tra il vero e il falso

Nell‘ambito della serie che la TV dedica a Totò, questa sera si proietta (alle 21,35. Rete 1) un film di Steno, Toto, Eva e il pennello proibito, targato 1958. Oltre a Totò figurano tra gli interpreti Louis De Funès (il comico francese dalla faccia gommosa era allora un ottimo caratterista, non ancora dilatato malauguratamente alla misura di protagonista), Abbe Lane (classica bellezza dell’epoca), Mario Carotenuto e Giacomo Furia.

Totò è qui nel panni di un plttorello che deve «ritoccare» una copia della Maja desnuda di Goya per farne una «Maja in camicia», destinata a mettere a rumore i critici e il mercato d’arte per un colossale imbroglio. Memorabile è la sequenza iniziale che vede Totò dare l’ultima pennellata ad una perfetta Gioconda, usando Giacomo Furia travestito in qualità di modella. L'eterno, seducente gioco tra il Vero e il Falso (quello di F for fake di Orson Welles, per intenderci) assume nel film di Steno e Totò i caratteri di una farsa grossolana dagli accenti surreali, godibilissima a questo livello. Migliore di tanti altri film di serie B «di marca Totò», questo di Steno impronta l'nfimo al sublime, l’arte alla paccottiglia. Qualche anno dopo sarebbe successo sul serio, magari alla Biennale di Venezia.

«L'Unità», 16 febbraio 1979


I documenti

Non esistono molte informazioni dettagliate o ufficiali sulle edizioni home-video del film. Tuttavia, ecco un approfondimento articolato basato su quanto si trova:

📼 Videocassetta VHS — Edizioni non ufficiali / aftermarket

  • In circolazione sono presenti VHS usate, tipicamente vendute da privati o su piattaforme come eBay.
  • Si tratta di edizioni editoriali generiche, senza sigle importanti (come Fabbri Video).
  • Dettagli tipici:
    • Lingua: italiano mono.
    • Formato: PAL.
    • Occasionalmente sono presenti sottotitoli italiani (ad es. per non udenti), ma la qualità è spesso approssimativa.
    • Le custodie sono semplici: jewel-case con fascetta illustrata, condizioni dipendono dal venditore.

📀 DVD — Edizioni Editoriali (fra cui Editoriale D629369)

  • Esiste almeno un’edizione DVD italiana pubblicata da Editoriale, con codice D629369, intitolata “Toto, Vittorio e la dottoressa”.
  • Contenuti (secondo inserzioni di vendita):
    • Custodia standard per DVD o VHS.
    • Supporto in buone condizioni, con no segni di danni o usura
  • Audio e video:
    • Probabilmente contenuti in formato PAL, audio in italiano SONORO (presumibilmente mono o dolby digital mono).
    • Non è chiaro se vi siano contenuti extra (making‑of, interviste, trailer); non ne sono segnalati nei dati di vendita.

🧩 Edizioni limitate o in cofanetti

  • Non sono emerse tracce di edizioni da collezione, cofanetti commemorativi o restauri ufficiali del film.
  • La disponibilità è quindi limitata a:
    • Edizioni DVD usate, come quella di Editoriale D629369.
    • VHS aftermarket non ufficiali e di bassa qualità tecnica.

💬 Dettagli aggiuntivi

  • Nessuna traccia di edizioni Blu-ray o digitali su piattaforme streaming ufficiali.
  • Non risultano presenti extra come:
    • Contenuti speciali (interviste, gallerie fotografiche, trailer supplementari).
    • Libretto illustrato o saggi critici inclusi.
  • Il film sembra non essere mai stato oggetto di restauro o edizione celebrativa ufficiale.

📚 Riepilogo struttura edizioni home-video

SupportoEditoreCodice / TitoloAnno stimatoContenuti speciali
VHS (usata) Varie VHS generiche (es. vendute su eBay) 1990s–2000s Nessuno segnalato
DVD (usata) Editoriale “Toto, Vittorio e la dottoressa” (D629369) anni 2000? Nessuno segnalato

↘ Conclusione

  • Non ci sono edizioni ufficiali con contenuti bonus o materiali restaurati.
  • Le edizioni di migliore qualità oggi disponibili sono quelle domestiche usate su DVD pubblicate da Editoriale (D629369) o le VHS, ma con qualità tecniche inferiori.
  • Se sei interessato a restauri o approfondimenti ufficiali, il film sembra non essere mai entrato nel circuito delle riedizioni celebrative di Totò.

Ora che sto girando, vi assicuro che mi sento un altro [...]. Non sono guarito completamente, ma vado migliorando giorno per giorno, come è confermato dal fatto che i dottori mi hanno permesso di riprendere il lavoro purché lo faccia con moderazione e non mi esponga troppo alle luci dei riflettori [...]. Certe volte mi sembra di essere nato impastato di celluloide e di polvere di palcoscenico e mi dimentico facilmente del periodo della giovinezza in cui sognavo di diventare ufficiale di marina. E come se non fosse mai esistito un tempo in cui non facevo l’attore. Le mie vitamine sono gli applausi della platea, le mie iniezioni ricostituenti sono i riflettori, i ciak, i ‘si gira’, i copioni.

Totò, "Sessanta amici mi offrirono gli occhi", «Gente», n. 8, 19 novembre 1957


Questa certificazione medica a firma del Dottor Tullio De Michele di Roma, veniva presentata alla produzione durante le riprese del primo film dopo la malattia "Totò, Vittorio e la dottoressa". In pratica veniva deciso, sotto stretto controllo medico, quando iniziare e interrompere la lavorazione in base alle condizioni del paziente. Maggiori dettagli nell'articolo "La malattia agli occhi"
 
 
 
 

Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Scombinato filmetto (*½) che non riesce né ad essere un film di Totò, né uno di De Sica. Ci sono pure alcuni riempitivi per arrivare ad un metraggio decente (due brani cantati da Teddy Reno e la bruttisima fase del parto plurigemellare). Restano alcuni momenti piacevoli, come i dialoghi fra il personaggio di De Sica e la madre (Titina De Filippo) e gli equivoci nei quali cadono le zie dell'avvvocato. Qua e là la noia la fa da padrona. Evitabile.

  • Un Totò probabilmente già provato dalla malattia tenta di rianimare questa commedia che parte da una evidente mancanza di idee che partorisce una trama assai banale e scontata. Nemmeno il grande comico riesce a rendere godibile questo film le cui gag e situazioni comiche sono logore.

  • Due detective privati scoprono i tradimenti di una moglie, ma costei è in realtà una dottoressa che fa visite a domicilio. La storia è l'esile e sfilacciata trama che raccoglie scenette, gag e battute abbastanza scontate e pretestuose, con mattatori Totò e De Sica, insieme a una splendida Abbe Lane. Il film si vede e a tratti si gode pure, ma nel complesso si tratta di un lavoro banalotto.

  • Una farsa simpatica, molto movimentata, ma che ha il difetto di sembrare divisa in due parti: Totò e De Sica infatti non si incontrano mai, dando vita a siparietti tutti loro. Comunque si ride, tra Totò investigatore (ben spalleggiato da Salvietti) e un De Sica impenitente donnaiolo seppur sofferente per un incidente. Oltre a loro ci sono la splendida Abbe Lane e un paio di spassosi interventi di Titina. Non un capolavoro, ma sicuramente piacevole.

  • Commedia che sfrutta furbescamente i nomi di Totò e De Sica, benché questi non siano i protagonisti veri e propri della storia. Ovviamente il divario con gli altri è abissale e tutto si regge sulle loro spalle. L’atmosfera è allegra e spensierata e vige il totale disimpegno; anche la confezione è buona poiché Mastrocinque garantisce uno sviluppo adeguato della sceneggiatura, quantunque sia piuttosto risibile. La ricetta è simile a Totò, Peppino e la malafemmina, ma questa volta qualcosa non funziona e resta un episodio per gli appassionati.

  • Totò e Agostino Salvetti investigatori squattrinati. Il secondo, per quanto simpatico, non riesce però a sostituire degnamente altre "spalle" storiche del Principe (Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, Nino Taranto, Macario) e pertanto il film gira un po' a vuoto, finendo per pesare tutto sulle spalle dell'esausto Totò, sul panoramico fondoschiena di Abbe Lane e sulla consueta gigioneria di Vittorio De Sica. Anche Titina è sottotono e sembra domandarsi che diavolo ci sta a fare in una simile boiata...

  • Passato alla storia come il film della "rinascita" di Totò dopo il dramma della cecità, quest'opera è, in realtà, piuttosto scadente e, in alcuni punti, francamente sciatta. Però si lascia vedere con simpatia. Totò, benché sottotono, è la marionetta anarchica di sempre, il suo scriteriato sodale è il 76enne Agostino Salvietti, vecchia volpe del teatro comico napoletano, De Sica è il solito gigione impunito, sua madre è la simpaticissima bisbetica Tina Pica, mentre Abbe Lane è un’improbabile dottoressa dalla luminosa presenza scenica. Regia non pervenuta.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: I dialoghi tra De Sica figlio e Tina Pica madre sono spassosi: la cosa migliore del film.

La censura

Duplicato del verbale originale (8 dicembre 1957) della Commissione Revisione Cinematografica in data 3 febbraio 1958
(Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema)


Il Centro Cattolico Cinematografico sconsiglia la visione del film.


Le incongruenze

  1. Dopo esser stata dal marchese, la dottoressa torna allo studio e si sfoga col dottore, lamentandosi che gli italiani, "anche in punto di morte, pensano ad una cosa sola". Il dottore la rassicura, poi si ferma per un piccolo malore. Tira fuori un fazzoletto per detergersi il sudore: in un inquadratura il fazzoletto è quasi appallottolato, in quella immediatamente successiva è più aperto e spiegato.
  2. Nella scena in cui Toto' si traveste da cameriere, per ben tre volte rovescia un vassoio con del montblanc sul vestito di un malcapitato cliente intento a specchiarsi e costretto al cambio d'abito altrettante volte. Le prime due volte il trucco per simulare la casualita' dell' incidente e' evidente, ma la terza volta Toto' esce dalla cucina gia' con il vassoio semirovesciato, quindi come se gia' fosse stato in grado di sapere che si sarebbe ritrovato davanti la stessa persona, alla quale versare la panna sull'abito, stavolta intenzionalmente.

www.bloopers.it


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo ndirizzo

La clinica (Villa Valeria) dove lavora la dottoressa (Abbe Lane) è appunto Villa Valeria in Piazza Carnaro a Roma.

La piazza dove De Sica litiga con i comizianti è Piazza delle Cinque Scole, a Roma.

Un'inquadratura in piazza anche con De Sica

L'ingresso della casa dove abita De Sica è oggi l'ingresso della LUISS Guido Carli a Roma in Viale Pola. L'Università ancora non c'era all'epoca del film e, aggiungo un po' di storia, la palazzina che è all'interno negli anni 30 fu la residenza di Galeazzo Ciano e Edda Mussolini.

Lo studio della dottoressa (Abbe Lane), dove De Sica si reca per farsi visitare è in via Brenta 2 a Roma. E' lo stesso portone in cui entra Gassman per seminare il milanese in Audace colpo dei soliti ignoti.

La casa della dottoressa (Abbe Lane) è in Via Antonio Bosio, angolo Via De Rossi, a Roma. Demolizioni plurime, incredibile! la villa di allora oggi non c'è più...

Si noti come il muretto in travertino è stato sostituito da un molto più anonimo muretto in cemento. Distrutte le case sulla destra. Resiste solo la villetta all'estrema destra del fotogramma. Completamente abbattuta la villa della dottoressa (oggi c'è un palazzone moderno).

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Mastrocinque Camillo

Mastrocinque Camillo (Roma, 11 maggio 1901 – Roma, 23 aprile 1969) è stato un regista, sceneggiatore, montatore e scenografo italiano. Discutendo con Andrea Camilleri su Totò e Peppino De…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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11 Dic 2019

Mastrocinque Simona

Mastrocinque Simona (22 febbraio 1927 – 9 aprile 2012), scrittrice e regista italiana. Piero Mastrocinque era mio zio paterno, fratello di papà Camillo. Mamma no, non lavorò nello…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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17 Nov 2015

Metz Vittorio

Metz Vittorio (Roma, 18 luglio 1904 – Roma, 1º marzo 1984) è stato uno scrittore, umorista e sceneggiatore italiano, autore di programmi televisivi e regista cinematografico. Biografia La…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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18 Dic 2015

Mondy Pierre (Cuq Pierre)

Mondy Pierre (Cuq Pierre) Nome d'arte di Pierre Cuq (Neuilly-sur-Seine, 10 febbraio 1925 – Parigi, 15 settembre 2012) è stato un attore e regista cinematografico, teatrale e televisivo…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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10 Dic 2015

Partanna Gianni (Grifeo di Partanna Giovanni)

Partanna Gianni (Grifeo di Partanna Giovanni) Nome d'arte di Giovanni Grifeo di Partanna (Partanna, 18 aprile 1922 – Roma, 5 febbraio 2014), è stato un attore italiano. Biografia È stato il…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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09 Apr 2014

Pavese Luigi

Pavese Luigi (Asti, 25 ottobre 1897 – Roma, 13 dicembre 1969) è stato un attore e doppiatore italiano. Biografia Fratello maggiore di Nino Pavese, esordì al cinema giovanissimo,…
Daniele Palmesi, Valentina Pattavina
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18 Dic 2015

Pellegrini Amalia

Pellegrini Amalia (Vigevano, 16 giugno 1873 – New York, 13 settembre 1958[1]) è stata un'attrice italiana. La sua carriera l'ha vista sempre impegnata in ruoli da caratterista. Biografia…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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22 Dic 2015

Perrella Amelia

Perrella Amelia (Napoli, 19 agosto 1897 - Roma, 1996). È stata un'attrice caratterista o di secondo piano negli anni quaranta e cinquanta e sessanta. Appare sullo schermo già nel 1942 nel…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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18 Dic 2015

Pettinelli Amilcare

Pettinelli Amilcare (Roma, 1º settembre 1886 – Roma, 9 settembre 1963) è stato un attore e doppiatore italiano. Biografia Compiuti gli studi all'istituto tecnico, si dedica al teatro…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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10 Dic 2015

Pistolini Sandro (Alessandro)

Pistolini Sandro (Alessandro) Alessandro Pistolini (Roma, 16 luglio 1949 – Milano, 18 ottobre 2009), è stato un attore italiano, noto come attore bambino, che ebbe una notevole attività…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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17 Dic 2015

Reno Teddy (Merk Ricordi Ferruccio)

Reno Teddy (Merk Ricordi Ferruccio) Nome d'arte di Ferruccio Merk Ricordi (Trieste, 11 luglio 1926), è un cantante, produttore discografico e attore italiano naturalizzato svizzero. L’unico…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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10 Apr 2014

Risate all'italiana (1964)

RISATE ALL'ITALIANA (1964) Titolo originale Risate all'italianaPaese di produzione Italia - Anno 1964 - Durata 92 min - Colore B/N - Audio sonoro - Genere Commedia, film di montaggio -…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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20 Nov 2015

Salvietti Agostino

Salvietti Agostino (Napoli, 28 agosto 1882 – Napoli, 2 dicembre 1967) è stato un attore italiano. Cenni biografici È stato uno dei più noti attori dello storico Teatro napoletano nei primi…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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20 Nov 2015

Scarano Tecla (Moretti Tecla)

Scarano Tecla (Moretti Tecla) Nata Tecla Moretti (Napoli, 20 agosto 1894 – Napoli, 22 dicembre 1978), è stata un'attrice italiana. Caratterista di ruoli talvolta secondari, ma sempre di…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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29 Mag 2017

Titina De Filippo, l'amica e la compagna di lavoro

Titina De Filippo, l'amica e la compagna di lavoro Era tutt’uocchiee chelli mmaneasciutte e bianchebianche ’e chillu biancore d’ ’a magnolia [...]che sapevano fa’!E che voce!No pe’ canta,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente, Maurizio Giammusso
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10 Gen 2017

Totò e... Luigi Pavese

Totò e... Luigi Pavese Luigi Pavese: la voce profonda del cinema che non voleva protagonismi C'era una volta, in quell’Italia dai toni seppia e dai film in bianco e nero, un uomo che sapeva…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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15 Ott 2016

Totò e... Vittorio De Sica

Totò e... Vittorio De Sica Uno ogni cento anni Parlare di Totò mi è molto caro, perché purtroppo non ho avuto il tempo e la possibilità materiale di dirgli tutto quello che pensavo di lui e…
Orio Caldiron, Daniele Palmesi
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18 Dic 2015

Trilli Amedeo

Trilli Amedeo (Ronciglione, 9 luglio 1906 – Roma, 30 novembre 1971) è stato un attore italiano. In carriera è stato accreditato con alias diversi: Michael Moore, Mike Moore, Amedeo Novelli,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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29 Mar 2022

Voleva ripartire per l'America

Voleva ripartire per l'America Il suo focoso temperamento e il conturbante aspetto sono le cause delle disavventure sul lavoro incontrate da Abbe Lane al suo ritorno in Italia dopo sei mesi…
Stelio Martini, «Tempo», anno XIX, n.29, 18 luglio 1957
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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "Totò: principe clown", Ennio Bìspuri - Guida Editori, 1997
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • "Totò, un napoletano europeo" (Valentina Ruffin), Ed. Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1996
  • Documenti censura Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema
  • Documenti sanitari © Archivio Famiglia Clemente

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • Giuseppe Marotta, «L'Europeo», 1958
  • «Stampa Sera», 5 novembre 1957
  • A. d. C., «Tempo», 21 novembre 1957
  • Vice, «Il Popolo», 24 dicembre 1957
  • «Il Messaggero», 24 dicembre 1957
  • t.c., «L'Unità», 24 dicembre 1957
  • «Il Monferrato», 28 dicembre 1957
  • «La Stampa», 4 gennaio 1958
  • Franco Maria Pranzo, «Corriere Lombardo», 3 febbraio 1958
  • Morando Morandini, «La Notte», 3 febbraio 1958
  • «Corriere dell'Informazione», 4 febbraio 1958
  • Leo Pestelli, «La Stampa», 5 gennaio 1958
  • Vittorio De Sica, «Novella», anno XXXIX, n.35, 31 agosto 1958
  • «Novelle Film», 24 maggio 1958
  • «Il Messaggero», 30 luglio 1959
  • «L'Unità», 2 febbraio 1979
  • «L'Unità», 16 febbraio 1979