Le streghe
(Episodio: La terra vista dalla luna)
Ciancicato Miao
Inizio riprese: ottobre 1966, Centro Produzione Dino De Laurentiis Cinematografica, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 17-22 febbraio 1967 - Incasso lire 370.043.000 - Spettatori 1.207.988
Visto dalla luna, questo film che s'intitola appunto La Terra vista dalla Luna non è niente e non è stato fatto da nessuno... ma poiché siamo sulla Terra, sarà bene informare che si tratta di una fiaba scritta e diretta da un certo Pier Pasolo Pasolini
Titolo originale Le streghe - ep. La terra vista dalla luna
Paese Italia, Francia - Anno 1967 - Durata 107 min - Colore - Regia: Pierpaolo Pasolini - Audio sonoro - Rapporto 1,66 : 1 - Genere commedia, drammatico - Produttore Dino De Laurentiis Cinematografica. Casa di coproduzione: Productions Artistes Associés, Paris (Francia) - Fotografia Giuseppe Rotunno - Montaggio Mario Serandrei, Nino Baragli - Musiche Ennio Morricone, Piero Piccioni - Scenografia Mario Garbuglia, Piero Poletto - Costumi Piero Tosi
Silvana Mangano (Assurdina Caì) - Totò (Ciancicato Miao) - Ninetto Davoli (Baciu Miao, accreditato come Nenetto Davoli) - Laura Betti (una turista) - Luigi Leoni (un turista) - Mario Cipriani (prete, non accreditato)
Soggetto
La strega bruciata viva
Regia di Luchino Visconti, con Annie Girardot. Una sera una famosa attrice arriva in una località invernale austriaca per trascorrere la serata insieme ad alcuni amici, che non si rivelano però tali: giungono ad approfittare di un malore di lei per toglierle il trucco ed osservare compiaciuti le piccole imperfezioni della diva. Dopo aver scoperto di essere incinta ed avere litigato per telefono col marito, la donna riparte il giorno successivo più turbata di prima, ma nascosta e splendida come una diva per i fotografi.
Senso civico
Episodio molto breve ambientato nella Roma degli anni '60 ossessionata dal traffico, con Alberto Sordi per la regia di Mauro Bolognini. Sordi è un uomo ferito, e la Mangano lo aiuta ad andare al pronto soccorso, ma in realtà... Straordinario cameo di Sordi, con il quale Silvana Mangano tira fuori una vena comica inaspettata e sardonica.
La Terra vista dalla Luna
Regia di Pier Paolo Pasolini, con Totò. In un cimitero di periferia Ciancicato Miao e suo figlio Baciù (entrambi dai capelli inverosimilmente color rame), che vivono in un imprecisato futuro, piangono la morte della moglie-madre Crisantema, morta per indigestione di funghi avvelenati. Appena terminata la lamentazione funebre i due, constatato che Ciancicato ha ancora "qualche cartuccia da sparare" decidono di intraprendere un viaggio alla ricerca della Donna, madre e moglie che diventi la nuova anima femminile della loro catapecchia, in un paesaggio da bidonville, in cui passano di tanto in tanto due turisti stranieri vestiti da safari. I due esaminano tutte le donne che incontrano, ma incappano prima in una vedova isterica che li caccia a ombrellate, poi una prostituta, un manichino (convinti che quella fosse la bellezza perfetta); i due sono disperati finché non si imbattono in una bellissima donna dai capelli verdi davanti all'altarino di un santo. La donna appare ai Miao come una dea, ma scoprono dopo vari tentativi di comunicarci, che è sordomuta, quindi si rivolgono alla donna (che si scopre chiamarsi Assurdina Caì) con gesti, chiedendola in matrimonio, che si celebra in tutta fretta in una chiesetta da un prete annoiato. Indi padre e figlio la conducono a casa loro, una baracca piena d'ogni cianfrusaglia, compreso un nano cinese che vende cravatte: ma Assurdina, con gesti accelerati come in un film muto, la trasforma in una bicocca graziosa e accogliente. Ma i due vogliono di più, una casa più grande. Quindi convincono Assurdina a simulare un tentativo di suicidio dal Colosseo, minacciando di buttarsi se la società non le darà una mano: sotto il monumento si raccoglie una folla (tra cui dei complici) che iniziano a raccogliere una colletta - incitati dai due Miao - e il trucco pare funzionare. Se non che la coppia di turisti abbarbicata sopra il Colosseo getta una buccia di banana su cui Assurdina scivola, cadendo nel vuoto. I Miao sono disperati e si sentono altresì in colpa. Ma quando stremati dal dolore tornano a casa, i due ritrovano Assurdina vestita da sposa, serenamente intenta ad attenderli. Ciancicato e Baciù fuggono terrorizzati, poi si fanno coraggio e prendono ad interrogare l'apparizione. Constatato che Assurdina, sebbene morta può comunque mangiare, bere, lavare i panni, fare i bisogni e andare a letto con Ciancicato, i due Miao gioiscono entusiasti.
La siciliana
Regia di Franco Rossi. Pur essendo un frammento velocissimo come quello diretto da Bolognini, è tuttavia più riuscito di quest'ultimo. Gli stereotipi del sud tra tragedia ed onore vista con occhi ironici e quasi spietati. Un materiale drammatico e delicato, tra gelosie, tradimenti e vendette, trattato in modo leggero, quasi irrispettoso. E del tutto fulminante nella sua essenzialità.
Una sera come le altre
Regia di Vittorio De Sica, con Clint Eastwood. De Sica propone una moglie stanca e annoiata e una crisi "normale" di un rapporto di coppia oramai sempre uguale a sè stesso. Interessante l'Eastwood pistolero senza molte cartucce da sparare, accanto a una moglie annoiata e stanca di lui.
Critica e curiosità
"Le streghe" è un film prodotto da Dino De Laurentiis che vede protagonista Silvana Mangano, presente in tutti e cinque gli episodi. Uscì in Francia con il titolo "Les sorcières" e in Germania Occidentale col titolo "Hexen von Heute". Le riprese si svolsero nel novembre del 1966, con esterni a Roma, Ostia, Fiumicino. L'episodio "La Terra vista dalla Luna", della durata di 31 minuti, si rifà ad un soggetto di Pasolini dal titlolo "Il buro e la bura" e ritroviamo la coppia Totò-Davoli (Ciancicato Miao e Baciù) nei ruoli di padre e figlio; la madre, Silvana Mangano sordomuta, è morta ma anche viva, nel perfetto stile metafisico pasoliniano.
Fu nel gennaio 1967 che Pasolini letteralmente disegnò a fumetti la sceneggiatura dell'episodio "La Terra vista dalla Luna". Inoltre confida al suo editore Garzanti l'intenzione di girare una dozzina di episodi comici con la collaudata coppia Totò-Davoli, da riunire poi in un film e pubblicare un libro di disegni "colorati ed espressionistici" che raccoglie tutte queste storie. I troppi impegni cinematografici di Pasolini in quel periodo, non permetteranno la nascita di tale interessante progetto.
Così la stampa dell'epoca
Ma non si può forse chiedere troppo alla rapidità charlottiana [...] di questa cosetta, ma però bellina, rallegrata da un grande Totò pienamente uomo proprio quando è più liberamente maschera come nei suoi giorni migliori [...]
Goffredo Fofi
Pasolini improvvisa un teatrino da paese dei balocchi , con Totò che somiglia a Pampurio e la Mangano ala fatina dai capelli turchini [..] Bello , forse geniale . L'invenzione poetica è costante , il gusto è squisito . La Mangano e Totò deliziosi nel lungo balletto burlesco [...]
Onorato Orsini, «La Notte», 1966
Silvana attacca il trono di Sofia
Tre dei maggiori e più popolari registi italiani, Luchino Visconti, Renato Castellani e Vittorio De Sica sono stati mobilitati da Dino de Laurentiis per il grande rilancio di Silvana Mangano. I tre episodi delle "Streghe” hanno l’obiettivo di portare l’attrice nel “grande giro” internazionale
Roma, gennaio
«Sofìa è un gigante con De Sica: senza di lui è un nano». Con questo ”slogan”, Joe Levine è venuto a Roma nel tentativo di creare una stimmung (equivalente italiano: "atmosfera") che facilitasse la riconciliazione tra il commendatore del cinema italiano e la diva, ricordando a questa che, dopo tutto, deve la sua fama e la sua ricchezza a film come La ciociara. Non si contano più le volte che abbiamo visto Sofia riemergere dal fondo, in cui sembrava definitivamente caduta interpretando film hollywoodiani senza la guida di De Sica. I giornali nuovaiorchesi sono in questi giorni pieni di necrologie della Loren come attrice. Gliene hanno dedicate per Judith, il terzo film dopo Operazione Crossbow e Lady L. che ella interpreta dopo Matrimonio all’italiana. Levine ha compreso il carattere provvisorio di queste cadute: per rimettere Sofia in arcione sul cavallo del successo, non c’è che la magica bacchetta di De Sica.
De Sica ha una sua tecnica efficace e sobria per queste ponderate ricariche. Senonchè Sofia si sente mortificata di dovere tutto a De Sica e scalpita. La rovinosi-tà delle sue cadute hollywoodiane mette in serio allarme il povero Levine. Per lui film come Judith non sono semplici cadute, ma inabissamenti, precipizi, catastrofi. A cinquantaquattro anni. Levine è entrato nella leggenda. E c’è entrato proprio in virtù di Sofia e De Sica. Ad Hollywood non c’è ormai più nessuno che incarni così compiutamente il carattere del pioniere del cinema di un quarto di secolo fa. E' troppo schietto, diretto e massiccio per darsi delle arie. Il modo con cui è diventato produttore è uno sberleffo ai criteri organizzativi delle imprese hollywoodiane. A parlargli di "manager”, Levine crede che si alluda agli impresari dei pugili. E a chiedergli se ha un ufficio studi per ricerche di mercato risponde che con il "tris d’assi”, De Sica, Loren e Mastroianni, può installarlo anche in cucina, fra il frigorifero e il lavapiatti. Al solo parlargli dell’impossibilità di ricomporre questo perfetto trio la sua fronte s’increspa di rughe e si fa più temporalesca che mai. Con voce accorata e tremante Levine parla della Ciociara, di Ieri, oggi e domani e di Matrimonio all’italiana come un patito del cinema d’arte vi parlerebbe dell’Incrociatore Potiomkin di Eisenstein.
Neppure i più feroci spregiatori dei califfi di Hollywood saprebbero resistere con ciglio asciutto alle sue invocazioni: «Sofia torna con De Sica!», «De Sica, torna con Sofia!». E a sostegno di queste implorazioni rievoca le fortune meravigliose dei film diretti dal commendatore ed interpretati dall’ex-pizzaiola. Anche i più cinici avvertono quanto c’è di vero, di autentico, nella passione di questo ”self-made-man" che sventola gli incassi americani della Ciociara e di Matrimonio all’italiana come una laurea od un blasone. Nelle sue perorazioni romane passavano, come in uno schermo, il ricordo dei lontani modesti inizi, la dura lotta contro rivali agguerriti, i successi e le crisi, le ricorrenti minacce di fallimento e l’incontro con i film di De Sica interpretati dalla Loren.
Un binomio sasso
Pochi giorni fa Levine prese la mano di Sofia — che lo fissava con uno sguardo privo di benevolenza — se la trascinò al cuore e con voce tremante le disse: «Sofia, dia retta a me, faccia un altro film con De Sica. Lei ha bisogno di De Sica». Sofia ritrasse bruscamente la mano e dalla porta filtrò nettamente una frase: «Io non ho bisogno di nessuno». Seguì un inviperito monologo di Sofia la cui voce saliva, saliva fino a toccare i toni del più stridulo falsetto, mentre taceva o per lo meno non si udiva, quella di Levine. Frasi come: «De Sica non mi interessa... Faccia i film con chi vuole... E’ ora di finirla... Esiste anche Chaplin!... », giungevano rottamente, ininterrottamenr te all’orecchio di chi ascoltava. Poi il tono è leggermente calato, le parole si sono perse in un mormorio sempre più rotto, sempre più rado. E alla fine silenzio. Che era successo? Il rifiuto deciso di Sofia aveva folgorato Levine? Oppure il ”self-ma-de-man” giaceva riverso piangendo?
C’è chi giura che Levine, senza i film di De Sica interpretati da Sofia, andrà presto a fondo e che tutte le sue speranze sono riposte sull'Oscar. Se Matrimonio all’italiana lo vincerà, Levine potrà indurre alla riconciliazione il regista e l’attrice. Potrà dimostrare ancora una volta che insieme formano una mercanzia ohe si vende bene. Negli sciropposi e casti clichés di Hollywood, Sofia non rende. Judith è la prova, per Levine, della sua consustanziale refrattarietà al cinema americano. Gran pedagogo, il pacioso produttore, ha perfettamente compreso che è brava anche se non è affidata alla regia di De Sica, ma che soltanto con De Sica raggiunge sensazionali risultati. « Sofia made in Italy è meglio di Sofia made in Hollywood ». è la sua massima. E i fatti gli danno ragione. La ciociara ricondusse al cinema, nel ’60, De Sica. Il tetto è del 1955; e una cinematografia che lascia inoperoso cinque anni un autore del calibro di De Sica è davvero sprecona. Sofia aveva collezionato sino a quel momento film in cui appariva brava, ma che non piacevano. La chiave, Orchidea nera, Desiderio sotto gli olmi erano brutti film, di una bruttezza senza dubbio dignitosa e inamidata, come quella di una vecchia signora vestita con ricercatezza, alla quale non manchino cosmetici e gioielli per coprire una patente bruttezza.
Nei panni della Ciociara, una contadina di gagliardi appetiti, con brame inappagate, Sofia dette la sua prima e più sofferta interpretazione. «Era guidata magistralmente da De Sica», grida Levine affabilmente grasso, con un’aria di bambinone malaccorto e quieto nonostante i suoi cinquantaquattro anni. Grazie alla Ciociara il produttore ha spalancato i suoi occhietti sulle meraviglie della ricchezza e del successo. E’ arrivato dove è arrivato comperando in Italia, per poche palanche, i film di De Sica e attaccando il mercato americano sbaragliando ogni avversario. Da quel momento ha cominciato a credere soltanto nel suo proverbiale fiuto che invece fa cilecca quando non dispone di un film di De Sica interpretato dalla Loren. «Che lotta metterli insieme!...», ripeteva a Roma dove è venuto in missione speciale per appianare i contrasti e riformare la celeberrima coppia. «Tutti vogliono che io faccia film con Sofia — dice De Sica. — E' una mania!... Ho stima della Loren, le voglio bene, ma non posso restringere il mio orizzonte alla sola Sofìa».
Levine non è sospetto di far letteratura quando attribuisce un cuore ai suoi film. Senonché De Sica ha messo a verbale uno sgarbo che gli avrebbe fatto Ponti. «Mi aveva promesso che dopo Matrimonio all’italiana, mi avrebbe finanziato Un monde nuovo». Ponti non ha mantenuto la promessa e De Sica è permaloso. Si è legato al dito questa specie di affronto rimanendo insensibile ai predicozzi di Levine il quale a Roma ha trovato una situazione alla Vietnam. E i segni della tensione gli sono rimasti sul volto grasso, contratto, soprattutto quando si è accorto che nell'irrigidi-mento di De Sica c’è lo zampino di De Laurentiis. In questo momento Dino tiene cattedra; ha soffiato Fellini a Rizzoli, ha ingaggiato Visconti e nel suo recinto vuol mettere un altro purosangue del cinema: De Sica.
Una carta decisiva
A Firenze lo chiamerebbero "il rieccolo”: Dino è riemerso dal fondo in cui molti credevano fosse ormai caduto. E in fase di ascesa, non ammette che la cordata di "quarto grado”. Riesce a fare mille cose, e a farle bene, grazie a una forza di lavoro che viene dall’intelletto e dalla disciplina, oltre che dalle viscere e dal sangue. Al contrario di Levine, tecnici ne ha molti, ben selezionati e li tiene in grande considerazione. Ma solo come esecutori. Il suo potere direzionale non lo divide con nessuno. I suoi studi stanno diventando la centrale di qualcosa di molto importante. Vi si sta preparando la sorpresa Mangano, un fatto che diffonde il panico nel clan di Levine. Senza Dino di mezzo, probabilmente Sofia e De Sica sarebbero già tornati insieme. Ma c’è di mezzo Dino, il quale ha stretto con De Sica un tacito patto per il rilancio della Mangano.
La signora Silvana gode ancora di un’alta quotazione cinematografica; con la guida di De Sica potrebbe esplodere fragorosamente come ai tempi di Riso amaro. E’ bella, intelligente e brava, e come Sofia non è renitente al successo. Dino ha l’incrollabile convinzione che solo De Sica può farne una grande del cinema mondiale. Già dalle Streghe, il film che Silvana sta interpretando per Visconti, De Sica e Castellani, si avrà il responso. Che sia positivo, Dino non ha dubbi. Con questo ci sembra di avere sufficientemente spiegato perchè la missione di Levine non è approdata a nessun risultato. L’ex-calzo-laio di Brooklyn è ripartito con il broncio da Roma. Gli resta solo una speranza: che Matrimonio all’italiana vinca l’Oscar.
Maurizio Liverani, «Tempo», anno XXVIII, n.6, 9 febbraio 1966
Silvana Mangano, la strega bella
L'importante è di non mettersi in testa di intervistarla. In caso contrario si dovrebbe cominciare la lunga trafila dei «vedremo», «è molto difficile», «provi a scrivere le domande su un foglio e noi cercheremo di sottoporgliele», con il rischio di arrivare alla fine a un nulla di fatto. Una volta, anni fa, le sottoposi, tramite l’ufficio stampa della De Laurentiis — l’unica casa di produzione per la quale lavora, quella, del marito — un elenco di domande. Dopo alcune settimane le risposte: poche, laconiche, telegrafiche, quasi im-pubblicabili. Trincerata dietro il suo riserbo, chiusa nella sua torre d’avorio, Silvana Mangano può sembrare superba, altezzosa e fa venire la voglia di dire che è antipatica. Ma è vero?
Adesso che sta girando un film con Luchino Visconti — il primo della sua carriera con il famoso regista — i rotocalchi le dedicano copertine e lunghi servizi. Poi, quando il film. sarà terminato, invariabilmente su di lei calerà il silenzio: chiusa nella sua lussuosa villa sull’Appia Antica, con i suoi quattro figli (Veronica, Raffaella, Federico, Francesca, di sedici, quattordici, undici e cinque anni) eviterà i fotografi, non rilascerà dichiarazioni, non si farà vedere in pubblico se non per una serata teatrale di eccezione, come accadde per la «prima» romana del «Giardino dei ciliegi» in cui apparve avvolta in una nuvola di chiffon, rosa ciliegio appunto.
Quando esplose nel 1947 nel film di Giuseppe De Santis «Riso amaro», fu un successo che superò ogni più rosea previsione: le sue fotografie, a grandezza naturale, campeggiarono agli angoli delle strade di tutto il mondo; la mondina dalle bellissime gambe fu il più clamoroso simbolo del sesso di quegli anni. Era arrivata al cinema per caso. Il costumista americano che la scoprì, Annenky, scrisse su di lei questo ricordo curioso: «Una sera, uscendo dal ristorante, mi trovai faccia a faccia con una giovane passante dalla splendida capigliatura corvina e i cui lineamenti corrispondevano al tipo che cercavo per il film in lavorazione. Le chiesi se voleva fare la comparsa. Mi squadrò dall’alto al basso e mi rispose, con un sorriso un po' birichino. «Prima di tutto non mi piace essere fermata per la strada. E poi chi mi assicura che la proposta è seria?». Presentando le mie scuse, le consigliai di telefonarmi all'indomani agli studi della Scalerà. Ricevetti la sua telefonata e la ragazza venne agli «studi». Avevo parecchie centinaia di costumi da ideare e fu la mia assistente, la giovane costumista Madeleine Rabusson, che disegnò il primo abito cinematografico, elegante, ricchissimo, per questa nuova recluta della settima arte. Tutti , ammiravano la sua apparizione in teatro di posa: quella bellezza un poco selvaggia aveva fatto colpo. Era una creatura simpatica, timida e riservata; nelle ore di riposo leggeva tranquillamente romanzi di appendice. Divenimmo buoni amici, e te feci fare parecchie fotografie per il ,mio schedario. Quattro mesi dopa, tornato a Roma per un altro film, chiesi all’aiuto regista di convocare quella comparsa.
«Quella? Ammazzala, — egli rispose con il suo solito tono raffinato — un produttore l’ha pescata quando era comparsa, e adesso fa la diva». Il produttore era Dino De Laurentiis che, innamoratosi di lei, la lanciò in «Riso amaro» e la sposò nel giro di pochi mesi.
Ma Silvana Mangano è veramente una «diva»? Più che» una diva è stata certamente un simbolo, il simbolo del sesso, in quei suoi primi film «Mambo», «Anna», «Il lupo della Sila», girati dopo «Riso amaro» e in cui i registi preoccupati di ripetere l’exploit di De Santis cercavano soprattutto di mettere in risalto la sua bellezza prepotente. Ma lei che fu la star-pilota dei cinema delle maggiorate (Silvana Pampanini, Gina Lollobrigida e Sofia Loren vennero dopo di lei) sembrò soprattutto preoccuparsi di rinnegare il suo aspetto di donna sexy, di far cancellare dal ricordo della gente l’immagine della mondina di «Riso amaro».
Si sottopose a drastiche cure dimagranti con l’intento di ridurre le curve che l’avevano resa famosa, cominciò a rifiutarsi di comparire in scena poco vestita, fu accusata di «autolesionismo», ma nel film «L'oro di Napoli», nell’episodio di Teresa la prostituta che accetta un patrimonio senza amore pur di rifarsi una vita, apparve dimagrita,
il volto tirato, involgarita dal trucco e per la prima volta pubblico e critica si accorsero che sapeva anche recitare.
Da quello che fu il suo primo passo verso l’affermazione della sua vera personalità di attrice, sono passati molti anni; Silvana ha fatto altri film di impegno, come «La diga sul Pacifico», «La grande guerra», «Il processo di Verona»: non molti, certo, perchè lei lavora solo per il marito. Sovente i giornali hanno parlato di una sua decisione di abbandonare lo schermo, ma invariabilmente lei smentiva queste affermazioni tornando sul set ogni qualvolta il marito glielo chiedeva. «Se non avessi voglia di recitare, se non amassi il mio lavoro, avrei modo di smettere in qualsiasi momento. Nessuno potrebbe costringermi a fare quello che non mi piace», fu il suo unico commento a queste dichiarazioni. Certo si può dire di lei che non ha mai rincorso il cinema, ma è stato il cinema a rincorrere lei, non ha rinunciato ad avere una bella e numerosa famiglia per timore di perdere il suo posto di star o per paura di perdere la linea. Anche se qualcuno ha insinuato che
Il suo non è un matrimonio perfettamente felice, sembra che Silvana lavori solò per amore e per solidarietà verso la ditta De Laurentiis, pronta, pur di accondiscendere alla volontà dei marito, ad imbruttirsi, ad involgarirsi come nel personaggio della vivandiera della «Grande guerra» o in quello della prostituta de «La mia signora», o a prestarsi al gioco sottilmente cinico di distruzione del mito della diva nel film «Le streghe». Schiva di ogni mondanità, di ogni forma di pubblicità, diserta i festivals e ogni occasione di mettersi in mostra: due anni fa quando vinse il «Nastro d’argento» con «Il processo di Verona» gli organizzatori della manifestazione, per la consegna dei premi sperarono inutilmente fino all’ultimo di averla presente, ma lei non si piegò alle loro insistenze: «Grazie, grazie, scusatemi tanto» disse. Viceversa nel settembre del 1959 non esitò a presentarsi al Festival di Venezia rapata a zero perchè sulla rapatura di cinque note attrici, lei compresa, Dino De Laurentiis aveva imbastito la grande campagna pubblicitaria del film «Jovanka e le altre». Silvana passò fra due ali di gente curiosa — la solita che fa ressa al Lido all’ingresso del Palazzo dei cinema — con il suo capo superbo rasato come una palla di biliardo, senza tradire alcuna emozione. Eppure il parrucchiere che le aveva tagliato i capelli disse che Silvana guardandosi allo specchio dopo la rapatura non aveva saputo trattenere una lacrima. «Ora i miei . figli non mi riconosceranno» aveva detto piangendo.
«I miei figli»: era stato il suo primo pensiero. Ecco perchè Silvana Mangano è più attrice che diva, perchè, in definitiva, sì preoccupa della sua famiglia assai più che del successo. E il personaggio della «strega» del film che sta interpretando è quindi ben lontano dalla sua personalità. «lo penso che una grande diva, questo emblema erotico e questo simbolo di persuasione artificiale creato dal cinema, sia il vero fenomeno moderno di stregoneria. Come un tempo la strega, solo lei può ancora suggestionare la gente distribuendo sensazioni ed emozioni. Ma come le streghe d’una volta, anche lei deve, pagare caro il successo». Così ha detto Luchino Visconti parlando del film, ed ha aggiunto: «In una diva di cinema non c’è solo la formula di fabbricazione; il meccanismo è spietato: una brava e bella ragazza diventa un simbolo e non può smetterne i panni. E’ proprio condannata a esser bruciata viva dal successo». Questo è il personaggio che Luchino Visconti ha creato per Silvana Mangano: un personaggio amaro, incredibilmente vero.
Ma se Silvana Mangano può recitare con bravura la parte della grande diva (Luchino Visconti ha detto di lei: «E' una professionista seria, è un’attrice quasi tutta da scoprire: in Italia forse è la più bella, in maniera raffinata e un po’ misteriosa»), il personaggio della moderna strega bruciata dal successo non ha con lei grandi punti di contatto. Lei ha saputo sottrarsi a molte insidie della sua carriera costruendosi una vita privata che difende con ostinazione dalle indiscrezioni dei giornalisti e dagli. obiettivi dei fotografi. E a questo appunto servono il suo silenzio, la riservatezza, il suo cocciuto isolamento.
Maria Maffei, «Noi Donne», anno XI, n.21, 12 marzo 1966
Tutti i "grandi" vogliono Silvana
Fellini, Visconti, Blasetti, De Sica, Antonioni, Bolognini considerano la Mangano una delle interpreti più sensibili del cinema italiano; ma, finora, pochi hanno potuto averla nei loro film. Per l’attrice, giunta alla maturità, si apre ora una seconda carriera.
Roma, aprile
Tutti si chiedono: esploderà di nuovo? Farà di nuovo parlare di sè come ai tempi di Riso amaro, quando le sue gambe favolose campeggiavano sulle affiches di mezzo mondo? Terminato di girare il secondo episodio delle Streghe, Silvana Mangano è rientrata nella inviolabile intimità della sua casa. Località Poli, quaranta chilometri da Roma, un grande parco, molti animali in libertà, quattro figli aggrappati a lei, la signora che (salvo per pochi amici) è sempre uscita. Anzi, come dice la bene ammaestrata cameriera, « è appena uscita ». Tra la Mangano di quindici anni fa e quella di oggi c’è un abisso. « Oggi — dice qualcuno — c’è rimasto l’essenziale ». Ma la sua bellezza è ancora straordinaria.
In alcune foto il suo viso ha la stessa levigata, tagliente serenità della mondina di De Santis. Il tempo ha talvolta di questi ritorni. E i suoi mezzi espressivi sono oggi molto più sottili, perfetti. Una "isolata” anche nella recitazione. Farebbe piacere incontrarla: ma ogni volta che devi scrivere su di lei, devi anche inghiottire il disappunto di non poterci parlare. Anziché diminuire, con gli anni la sua volontà di non parlare di sè è aumentata.
E’ curiosa: quando non "gira”, sembra sempre sul punto di spegnersi; non appena il regista dice: « Motore », si trasforma, diventa un’altra. Per i giornalisti è una croce, un’eterna disperazione.
Nessuna concessione
Fino a due anni fa, si riusciva ancora ad incontrarla; ora non più. Oltre la sua timidezza-paura, tra la Mangano e la stampa ci sono oggi gli stabilimenti di Dino-città. Gli edifici di vetrocemento, gli "studi” più attrezzati del mondo, i cast-director, i press-agent, l’efficiente organizzazione, le guardie della vigilanza con le divise di panno blu: i metronotte delle celebrità. Se un utile ella ha ricavato dal matrimonio con un produttore, è solo questo. Il resto è meno attivo: qualche "complesso”, diversi film sbagliati, altri non fatti.
Quando arrivi alla De Lau-rentiis lo spettacolo è quasi buffo. Ti offrono tutto: caffè con panna, inviti a cena, ruote di scorta, purché tu non chieda loro l’impossibile, l’inosabile, l’inottenibi-le: parlare con la Mangano. Allora che fai? Ringrazi e intingi la penna nel veleno? Oppure ti decidi a riconoscere onestamente che la sua coerenza tende ormai all’assoluto? Silvana non è così da oggi, lo è da sempre. «La Mangano — dice Blasetti — è l’unica tra le nostre attrici che non abbia voluto concedere nulla al mondo del cinema; già all’epoca del suo secondo film ne aveva preso coscienza, e, da allora, non ha fatto altro che cercare di distruggere queirimmagine di sè che le dispiaceva ».
Allora telefoni ai suoi amici, parli con i registi con cui ha lavorato. Da tutte le parti, come al solito, è un coro di elogi. Sembra antipatica, scostante, ma è la facciata, dietro è la dolcezza, la simpatia in persona. Non è di quelle che ti buttano le braccia al collo e poi, dietro, c’è solo il vuoto: la sua amicizia è autentica, sincera. Nel lavoro è di una umiltà, una modestia assoluta. « L’estate scorsa — ricorda Blasetti — mentre lavorava con me, Silvana svenne a causa del caldo; ma noi dovemmo indagare per accorgerci del suo malessere, perchè lei non voleva assolutamente dar fastidio a nessuno».
Se zucchero e miele esce dalla bocca di Blasetti (« L’unica tra le nostre attrici che si avvicini alla Garbo... »), Visconti non è da meno:
«Un’attrice tutta ancora da scoprire; forse la più bella delle nostre, di una bellezza raffinata, un po’ misteriosa». E De Sica: « Può fare tutto, dal dramma alla farsa, come la Loren. Ma, diversamente da Sofìa e dalla Lollo, è una attrice introversa, e quindi su di loro ha un punto di vantaggio...». Senza dubbio, oggi c’è di nuovo aria d’attesa intorno a quest’attrice introversa e moderna, a questa ”Garbo italiana”, a questa umile-superba, mite-aggressiva, a questa ipercritica, perennemente scontenta e insoddisfatta di sè.
E’ stato il film di Blasetti, Io, io, io e gli altri, a ”dare il la”. Si è visto che, messa in un ruolo adatto, la Mangano lo ha reso con grazia folgorante. Dopo questo film, i critici hanno parlato di "reviviscenza”, di "resurrezione” della Mangano; e qualcuno ha pianto sulla "grande occasione mancata del cinema italiano”. Mancata, perchè? Non è detto che il cinema debba essere appannaggio delle sedicenni, e oggi il momento è favorevole a Silvana.
Non esiste attualmente in Italia un’attrice che abbia i suoi mezzi, il suo stile. Il campo è sgombro, libero, vacante. Dopo il suo divorzio artistico dalla Loren, lo stesso De Sica è passato momentaneamente dalla parte di Silvana. Ora Sofia è tutta nelle mani di Chaplin, e molti le augurano che le vada bene; dopo il crollo dei suoi ultimi film americani, il suo retroterra è bruciato. La Lollo è da tempo in tono minore. La Cardinale, un altro tipo.
Gli affari di De Laurentiis prosperano: a Dinocittà si girano western, film su Shakespeare e film con principesse; sotto la Bibbia hanno già cominciato a insegare i parati: il varo è prossimo. Se De Laurentiis volesse, questo sarebbe il momento giusto per un lancio in grande stile di sua moglie. Alla lunga il suo personaggio un po’ enigmatico sta uscendo fuori, si rivela per uno dei più autentici, s’impone all’attenzione del pubblico, ispira commediografi e registi.
Per il primo episodio delle Streghe, Giuseppe Patroni Griffi ha scritto una breve novella, ironico-amara, che finalmente appare studiata per lei e su di lei; idem Zavattini per il secondo. Questo racconta la storia di una moglie borghese che di notte sfoga nei sogni la sua carica di fantasia e di affettività repressa. Ora ella s’immagina come una donna dei fumetti, ora come una vamp inseguita da uomini anelanti. All’ultimo, interviene un pistolero, col volto del marito, e mette in fuga tutti. Pretesti per splendidi costumi e per una comicità di stile, in cui Silvana eccelle.
Più sul drammatico invece, e ancora più aderente ai-carattere di lei, l’episodio Patroni Griffi-Visconti. La diva nella trappola del successo; l’angoscia della celebrità che non riesce più a strap-
parsi la maschera e ad essere donna: questo il motivo. Tutto ciò di cui la Mangano ha orrore, e che ha allontanato da sè con un taglio netto a rischio della completa impopolarità, condensato in un nome: Gloria, nel quale si legge il nome di tante. Nella storia le allusioni si fanno più trasparenti. Durante una breve fuga al Kitzbuhel, Gloria ha la rivelazione della sua prima maternità; ma neppure ciò le consente di sfuggire alla macchina degli impegni.
Due episodi già girati, il terzo in gestazione. Per la Mangano, Le streghe potrebb’essere il seguito della sua sancita resurrezione; ma un film ad episodi non basta. « Nella sua carriera — dice De Sica — Silvana, salvo poche eccezioni, è stata impiegata male: film sbagliati o personaggi non giusti; ora bisognerebbe fare un film interamente studiato su di lei... ».
La cosa strana è che, da molti anni, tutti i nostri migliori registi non aspirano ad altro. Fellini la insegue dai tempi della Dolce vita, e anche per Otto e mezzo è tornato alla carica: i ruoli di Anouk Aimée erano destinati a lei, ma i dissidi, oggi superati con De Laurentiis, resero impossibile la cosa. Quanto a Blasetti: « E’ dal ’55 — dice — che desideravo lavorare con lei; mi scritturai con suo marito apposta ma, — per motivi che voglio ritenere puramente accidentali, tutto riuscii a fare eccettuato un film con la Mangano ». Idem Bolognini, Antonioni. Ha chiuso la serie De Sica, che di recente ha proposto a Dino, per Silvana, una storia di Zavattini. Il diario di una donna, ma ne ha ottenuto un rifiuto.
Un'accusa ingiusta
Per molto tempo si è detto che era lei a tirarsi indietro; ormai tutti sanno che non è vero. Per esclusione, l’accusa si ritorce dunque contro il marito. Sarebbe Dino l’ostacolo alla carriera di Silvana? L’accusa è parzialmente ingiusta. De Laurentiis ha una concezione molto virile della vita. Così degli affari, della donna, del ruolo della moglie in seno alla famiglia. Siccome le idee di Silvana sono molto femminili, in questo coincidono. Per entrambi la famiglia è una cosa molto importante. D’altronde, De Laurentiis non è il tipo (ciò torna a suo merito) capace di fare il produttore in funzione di una attrice.
Ciò premesso, è possibile che il giro dei suoi affari, Un tocco di gelosia e la sua predilezione per il kolossal abbiano potuto interferire sulla carriera di Silvana. Soprattutto la sua predilezione per il kolossal. Ma se ieri il dilemma poteva essere la Bibbia o Silvana, oggi la situazione è diversa, e l’alternativa di Dino può diventare (è giusto che lo diventi) un binomio: la Bibbia n. 2 e la nuova Mangano.
Stelio Martini, «Tempo», anno XXVIII, n.18, 4 maggio 1966
La Mangano «strega» con regia di Pasolini. Suo partner sarà Totò
L'ultimo episodio del film «Le streghe», interpretato da Silvana Mangano, sarà diretto da Pier Paolo Pasolini. Il regista, tornato in questi giorni dall'America, comincerà i girare il 10 ottobre appena Silvana Mangano rientrerà la Nuova York dove si è recata con le figlie e il marito per l’anteprima mondiale del film «La Bibbia». Partner della strega pasoliniana sarà Totò. I due primi episodi del film sono stati diretti da Luchino Visconti e Vittorio De Sica
«Corriere della Sera», 28 settembre 1966
Le streghe sono cinque, perchè cinque sono gli episodi, ma la protagonista è sempre Silvana Mangano, di volta in volta esplorata da registi di cartello; Visconti, Bolognini, Pasolini, Rossi, De Sica. Complessa e varia la tastiera, che dà modo alla protagonista di apparire .annoiata, elegante e sofisticata, esaltata, egoista e cinica, tenera, ribelle e rassegnata.
Guidata da Visconti, la Mangano raffigura Gloria, celebrata diva del cinema in piena crisi: sazia di riflettori e pubblicità e fama, nauseata dall'ambiente chic e fasullo che la tiene in custodia, crede d’aver diritto a se stessa, come una donna qualunque, quando sta per attendere un bambino, ma la schiavitù del mestiere avrà il sopravvento e fra la diva e la donna sarà quest’ultima ad avere la peggio. L’episodio non è privo d’una morbida e ricercata eie ganza che qua e là si richiama al brano già girato da Visconti per Boccaccio 70.
Stringato e saporito lo scherzo «cattivo» di Bolognini, dove la «strega» è motorizzata e ospita nella sua macchina un ferito solo perchè cosi ha via libera nel caotico traffico cittadino per arrivare puntualmente a un convegno galante. Una barzelletta o poco più anche La siciliana, di Franco Rossi, dove si fa la parodìa del «delitto d'onore» senza troppo morderne, Pasolini si esercita in una «fiaba moderna», con iterazioni pagliaccesche e con l'efficace intervento di Totò, per dimostrare che «vivere o morire è lo stesso », non senza sarcastica e lugubre ironia, ma con esiti alquanto sconcertanti. Più ligio alla tradizione, forse anche troppo, l’ultimo episodio, sorretto da De Sica, che usa ovvia per dimostrare ancora una volta come è inevitabile l’usura della vita coniugale, con nostalgici quanto vani tentativi di rievocare la felicità del passato, contrapposta alla noia e allo squallore del presente, aiutandosi con inserti che coinvolgono i sogni, le fantasie freudiane, l'ossessione del fumetti e le impossibili evasioni. Fanno corona alla versatilità della Mangano, fra gli altri, un succoso Sordi e una pungente Annle Girardot.
V. «Corriere della Sera», 23 febbraio 1967
Una grana per «Le streghe». Visconti chiede il sequestro del suo episodio
ROMA, 23 febbraio.
Grana giudiziaria in vista per il film « Le streghe ». Esattamente per l’episodio diretto da Visconti «Una strega bruciata viva». Nella realizzazione di Visconti, l’episodio che nel film occupa il primo posto, aveva la durata di 42 minuti.
Per accordi intervenuti tra il produttore ed il regista su richiesta del primo, esso venne ridotto a trenta minuti, e così rimase stabilito. Recentemente però, mentre si trovava in Algeria, impegnato nelle riprese de «Lo straniero» di Camus, interpretato da Marcello Mastroianni, Visconti venne a sapere che alcune battute del dialogo originale erano state mutate per iniziativa del produttore e doppiate nella nuova forma dagli attori. Sembra che ciò sia avvenuto in seguito alla presentazione del film alla commissiono di revisione della pellicola, la quale, come talvolta avviene, avrebbe consigliato la variazione di alcune battute- Del cambiamenti e del nuovo testo di quelle battute l’autore regista, che, al pari deiraltro autore, Patroni Griffi, non era stato informato dal produttore, ha preso conoscenza ieri. E, non potendo ammettere che cambiamenti siano operati a insaputa ed In una forma che non muta affatto la sostanza e il significato della storia, ma non rispondono più allo spirito del linguaggio di un determinato ambiente sul quale la storia voleva incidere, ha dato incarico all'avvocato Carlo Alberto Cortina di presentare istanza al pretore di Roma per il sequestro dell’episodio da lui iretto. appunto quello intitolato «Una strega bruciata viva».
Questi i termini della questione. a quanto si è appreso nel pomeriggio di ieri in ambienti vicini a Visconti. Per completare il quadro delle notizie, si può precisare sempre in base alle stesse fonti quali fossero le quattro battute originali e il modo come esse risultano trasformate. Gloria (Silvana Mangano), a un certo momento, nella villa di montagna dov'è ospite di Valeria (la Girardot) diceva all'amica: «Ho voluto anch’io festeggiare i dieci anni di coma che ti ha messo tuo marito»; le parole sono state cosi variate: «Ho voluto anch’io festeggiare i dieci anni di esemplare infedeltà di tuo marito ». In un altro punto del dialogo Valeria dichiara: « Io e Paolo non andiamo più a letto Insieme»; ed ecco il nuovo testo: «Io e Paolo non dormiamo più insieme».
Il signore sportivo impersonato da Massimo Girotti affermava: «Avrei dato via l’anima per venire a letto con lei»; ed ecco il testo modificato: «Avrei dato via l’anima per passare la notte con lei». Infine, altra frase di Valeria, nel testo originale: «Che porco: sarebbe venuto volentieri con te»; ed ecco il nuovo testo: «E' mostruoso: sarebbe stato volentieri con te».
«Il Messaggero», 24 febbraio 1967
Dopo le fate, ecco le streghe: donne terribili, o presunte tali, i cui ritrattini, messi l’uno dopo l'altro, compongono quest’ultima pellicola ad episodi che non arriva ad avere vera omogeneità di film, tanto diverse di valore e di peso sono le sue parti, ma arriva comunque ad essere un interessante recital di Silvana Mangano, cui sono affidate tutte e se! le protagoniste. Attrice nervosa le versatile, la Mangano a tutte e sei presta la propria arte, variando umore e accenti con raffinata bravura. Accanto a lei van no ricordati Alberto Sordi, Totò, Annie Girardot, Clint Eastwood. Massimo Girotti, Francisco Rabai, Elsa Albani. Nora Ricci e diversi altri, che, variamente, le fanno corona.
Il primo episodio è senza dubbio il più impegnato e il meglio riuscito. Ne è al centro una figura di donna celebre e misera, colta durante un estenuante weekend mondano tra le nevi austriache. La grande diva si comporta stranamente, tra le donne che la invidiano e gli uomini che la desiderano. questi e quelle del pari ossessivi nel non volerla considerare ciò che è: uno smarrito essere umano. In realtà ella ha un figlio in seno, cerca rifugio, vorrebbe sottrarsi alla generale persecuzione. Ma gli angosciosi obblighi del suo mestiere glielo impediscono. Si lascerà riprendere, inerte, dal vortice. E l’episodio si chiuderà nel modo più amaro possibile: un episodio impietoso, doloroso, dagli echi profondi, che non certo a caso reca la firma di Luchino Visconti.
Altri due registi, Mauro Bolognini e Franco Rossi, se la sono cavata con brevi paginette, quasi battute sceneggiate: funzionali, però, dal punto di vista del récital. Vediamo così la Mangano, strega siciliana, provocare una reazione a catena di delitti d'onore: strega milanese, spingere un esasperato compagno di viaggio a un classico delitto d'autostrada; automobilista ella stessa, raccogliere un ferito solo per poter solcare il traffico a clackson spiegato e arrivare in tempo ad un appuntamento d’amore.
Infelice l’episodio di Pier Paolo Pasolini, sorta di aggiunta a « Uccellacci, uccellini», senza però il mordente di quel film. La consueta coppia di vagabondi, qui, raccoglie una sordomuta che muore ma continua ugualmente a star con loro in carne e ossa perché (morale) quando la Terra è vista dalla Luna esser morti o esser vivi è esattamente la stessa cosa. Surrealismo spicciolo, sforzate ingenuità, reminiscenze charlottiane e felliniane. Ma non ce né humour né poesia. Il ghiribizzo pasoliniano lascia il tempo che trova, con la sua rarefazione non lunare ma siderale.
Il film si chiude nel nome di Vittorio De Sica, che ci narra i sogni e le irritazioni intime di una moglie il cui marito non è più l’ardente amatore di una volta e le dorme ormai al fianco il sonno degli appagati. Un po’ prolisso, ma non privo di garbo, l’episodio sfrutta in numerose sequenze oniriche technicolor e schermo panoramico (di cui già Visconti aveva usato con molto gusto) alla ricerca di uno spettacolare gran finale.
«Il Messaggero», 24 febbraio 1967
Dopo Le bambole e Le fiabe, Le streghe. ancora un antologia di racconti ni tutti accentrati su una donna, Una donna ora amata ed adulata, ora beffata, tronizzata, vilipesa. A differenza dei film precedenti, però, questo di oggi mette una sola attrice al centro dei singoli episodi. Silvana Mangano, facendo leva quasi soltanto sulla sua duttilità di interprete, sul suo fascino sottile, sul suo provato talento punto spesso, a dire il vero, messi a dura prova da impostazioni narrative e stilistiche di gusto più che dubbio.
L'episodio che convince di più lo ha diretto Luchino Visconti, si intitola La strega bruciata viva e si costruisce sul dramma di una tipa che, giunta finalmente alle soglie della tanto sospirata maternità, è costretta ad interromperla perché il marito, regista e produttore, non concede soste alla sua carriera. la polemica sul mondo dello spettacolo, a volte addirittura crudele, e diretta e precisa e l'ambiente, montano e frivolo, che le è evocato attorno, in guisa di cornice, è disegnato sempre con colorita evidenza. più figo di tutti, più doloroso, quasi lacerante il personaggio della protagonista che l'interprete ha saputo da nerd sempre infelice equilibrio tra la mitologia hollywoodiana e la cronaca realistica; con spasmi interiori sinceri e commoventi.
Di tutt'altro tono, ma sicuramente divertente, il breve Intermezzo in chiave di barzelletta diretto da Mauro Bolognini: si intitola Senso civico e ci descrive in pochi minuti lo stratagemma cui ricorre una donna frivola inventata per arrivare in tempo a un appuntamento: accoglie, Cioè, sulla sua auto un ferito grave e lo trasporta, incurante dei sensi vietati e dei semafori rossi, a folle velocità attraverso tutta la città: non verso un ospedale ma dove lei è attesa.
Egualmente piacevole, anche se appesantito da eccessive parodie vernacolo, l'episodio diretto da Franco Rossi, La Siciliana, che ci disegna con accenti caricaturali il carattere esagitato di una giovane siciliana che, solo perché è ripetutamente salutato a distanza da un giovanotto, provoca una terribile strage in un paese svelando inconsciamente al padre di innocente fatterello.
Di qualità invece decisamente inferiore, gli ultimi due episodi, quello, assurdo e sconclusionato diretto da Pier Paolo Pasolini, La terra vista dalla luna è quello abbastanza monocorde, statico, lento, diretto da Vittorio De Sica, una sera come le altre. Il raccontino di Pasolini, pur avendo l'aria di una favoletta per i bambini è pur essendo intenzionalmente illustrato con immagini da Corriere dei Piccoli, è del tutto vuoto e inconsistente, inutile e bamboleggiante: ha, come protagonisti, un padre e un figlio (Tratti di peso al già tanto fastidioso Uccellacci e uccellini) che, rimasti rispettivamente vedovo e Orfano, si cercano adesso Una nuova moglie ed una nuova madre. La trovano in una ragazza sordomuta che però dopo poco muore, Niente paura, Comunque: Eccola che rivive in mezzo a loro Ed ecco che li fa felici come prima, dato che commenta Testualmente il Pasolini in guisa di filosofica morale: ”la morte e la vita sono la stessa cosa”. Silvana Mangano Cordialmente sorretta da Totò, nel quasi clownesco personaggio del padre, cerca di apparire concreta e verosimile, nonostante abbia i capelli verdi e la faccia gialla, Ma quando non vi riesce la colpa non è sua due punti e solo di chi la diretta costringendola a avallare una simile congenie di insipide sciocchezze.
De Sica, dal canto suo, ha opposto una moglie sognatrice e romantica ho un marito scansafatiche e borghese, concedendosi qualche volo nei sogni avventurosi di lei, visualizzati con un certo gusto figurativo, ma restando sul piano della tranche de vie, grigia e tediosa per tutto il resto. Un film, perciò, contraddittorio discutibile, percorso da intenzioni comiche e farsesche in contrasto a volte persino sgradevole con pagine serie drammatiche. qua e là di verde, ma più spesso lascia insoddisfatti e interdetti.
A Silvana Mangano - sempre efficace, esatta, godibile - si affiancano, nei singoli episodi, oltre che a Totò, Alberto Sordi nella gustosa macchietta del ferito trasportato a corsa pazza attraverso la città, Annie Girardot, Francisco Rabal, Massimo Girotti, Elsa Albani, Clara Calamai, Marilù Tolo, Nora Ricci, Helmut Steinberger ( tutti efficacemente impegnati, questi ultimi, nelle caratterizzazioni mondane dell' episodio di Visconti). Tecnicolor.
«Il Tempo», 24 febbraio 1967
Cinque variazioni, a firma di altrettanti registi, sull'attrice Silvana Mangano, la più svogliata, ma forse anche la più brava, della sua generazione. Diciamo subito che, sotto al titolo Senso civico, Mauro Bolognini ha riunito semplicemente due barzellette, relative alla maleducazione stradale: più spiritosa la prima, dove una distinta signora riesce a traversare tutta Roma di gran carriera, servendosi di un infortunato (l’ottimo Alberto Sordi) come di un alibi. Anche La siciliana di Franco Rossi è uno scherzetto, di gusto greve, ispirato al tema del «delitto d’onore» e delle vendette a catena.
Con La strega bruciata viva, Luchino Visconti ci offre un elegante e, a tratti, mordente «ritratto di diva»: Gloria, nome celebre del firmamento cinematografico, cerca rifugio dalle noie della fama in casa di amici, sulle montagne austriache: poi scopre di aspettare un bambino, e comunica gioiosamente la notizia al marito (un produttore, com'è ovvio), che si trova a New York. Ma l'uomo la riconduce, con brutalità, alle dure esigenze e scadenze del suo lavoro. Le modifiche al dialogo, che hanno spinto il regista a chiedere il sequestro delle Streghe, sembrano aver attenuato, effettivamente, la crudezza di un liguaggio, tipico di certi ambienti mondani (ma non solo di quelli), il quale dovrebbe sottolineare per contrasto la umanità di fondo della protagonista. L'episodio ha comunque una sua dignità, avvalorata dalla bella interpretazione della Mangano
Persuade anche, l'attrice, in La terra vista dalla luna di Pier Paolo Pasolini, dove ritroviamo, in veste di padre e figlio, Totò e Ninetto Davoli: vedovo e orfano rispettivamente, essi colmano il vuoto della propria baracca con la presenza di Assurda, gentile sordomuta, che però spinta a una rischiosa messinscena aven te lo scopo di migliorare le loro condizioni, perisce in maniera tragica. Ma la vediamo ricomparire, fantasma in carne e ossa, nella dimora dei due: che, vinto il primo spavento, riprendono confidenza con lei. Giacchè, ci dice l'autore, in quel mondo sottoproletario vivere o morire è lo stesso. Amara morale di una favola che sembra proseguire, per certi aspetti, quella di Uccellacci e uccellini, ma nella quale il tentativo di collegare il discorso ideologico al ritmo delle vecchie comiche, alla prontezza dei loro effetti, risulta abbastanza lambiccato o intellettualistico, nonostante la maestria mimica di Totò e le gradevoli soluzioni cromatiche.
In Una sera come le altre, Vittorio De Sica dà sfogo alle visionarie fantasticherie d'una moglie italiana trascurata da un marito americano, intiepidito dopo dieci anni di matrimonio. L'argomento, non nuovo, genera qualche trovatina, soprattutto sul piano figurativo, e consente alla Mangano di sfoggiare una incredibile serie di stravaganti modelli, non senza grazia. Clint Eastwood, invece, sembra caduto da cavallo, e forse lo è.
Colore, e schermo largo, per tutti. I titoli di testa sono argutamente disegnati e animati da Zac.
«L'Unità», 24 febbraio 1967
ORIGINE: Italia — GENERE: film a episodi PROD.: Dino De Laurentiis REGIA: Luchino Visconti, Mauro Bolognini, Pier Paolo Pasolini, Franco Rossi, Vittorio De Sica - SOGG. e SCENEGGIATURA: Griffi, Zavattini, Age, Scarpelli, Zapponi, Pasolini, Rossi, Mani, Carpi, Muzii - INTERPRETI: Silvana Mangano, Clint Eastwood, Annie Girardot, Totò, Alberto Sordi, Francisco Rabal, Massimo Girotti, Pietro Tordi • FOT.: Giuseppe Rotun-no - MUS.: Piero Piccioni - DISTRIBUZIONE: Dear-De Laurentiis * GIUDIZIO DEL C.C.C.: Escluso.
La fortuna del film ad episodi va ricercata soprattutto nella « disponibilità » della sua formula quanto mai elastica che, oltre ad aderire in qualche modo a quell’insopprimibile gusto per l’« impromptu » tipicamente nostrano, offre il vantaggio concreto di consentire i più svariati e non di rado gratuiti esperimenti di racconto cinematografico: dalle attualizzazioni pseudo-letterarie di storie più o meno boccaccesche (Le bambole), alle cosiddette smirizzazioni di argomenti e di personaggi rappresentati in chiave ironica o satirica (Le fate), ai tentativi di creare una piattaforma spettacolare per il lancio di un nuovo mito divistico (I tre volti) o per fornire a questo o a quell’attore il pretesto per un brillante saggio interpretativo. E’ il caso del Silvana Mangano show proposto dal recente Le streghe dove la nostra attrice interpreta con indiscutibile talento i varii ruoli principali dei cinque episodi del film che, per essere firmato da autori di notevole prestigio — Visconti, Bolognini, Rossi, Pasolini, De Sica — poteva forse non confondersi con la pletora di opere a mosaico realizzate in questi ultimi tempi. Al contrario occorre precisare subito che, se si eccettua l’episodio diretto da Visconti, il film risulta abbastanza deludente non soltanto per la labilità del tema di fondo basato ancora una volta su una sorta di rilettura modernamente disincantata del mito « donna », ma soprattutto per la sua discontinuità in gran parte dovuta alle varie e talora sconcertanti impostazioni narrative e stilistiche degli altri episodi.
Nel brano di Visconti, intitolato La strega bruciata viva, ci vien narrata la drammatica vicenda di una celebrata diva che finalmente certa di poter realizzare il suo sogno di maternità, è costretta a rinunciarvi per non danneggiare la sua carriera di idolo moderno votato, pur controvoglia, ai riti effimeri della vita mondana e della gloria cinematografica. Ma al di là dei motivi polemici sul mondo dello spettacolo, questo episodio ha il suo segno di valore in quel clima vagamente misterioso nel quale il regista ha immerso tutto il racconto che assume un ritmo tale da evocare quasi le fasi e le cadenze, ora lente, ora esagitate, di una vera e propria iniziazione ad un rito crudele: quello del successo. Naturalmente ciò non ha impedito a Visconti di disegnare con colorita evidenza l’ambiente frivolo e chic che fa da pungente contrappunto alla solitudine della protagonista di cui la Mangano ha saputo rendere con efficacia non soltanto la dimensione astratta dell’idolo ma anche la sofferta umanità della donna. Al suo fianco, Annie Girardot nella felice caratterizzazione di una dama svagata e salottiera e, poi, Elsa Albani, Nora Ricci, Clara Calamai, Helmut Steinberger. Di ben altro tono il Bolognini di Senso civico, uno scherzo « cattivo » enunciato sviluppato e risolto nel giro breve dello skech, imperniato sullo stratagemma di una « strega » motorizzata che ospita nella sua macchina un ferito — gustosamente impersonato da Alberto Sordi — non per accompagnarlo al più vicino ospedale ma per avere via libera nel caotico traffico cittadino e poter quindi arrivare puntuale a un convegno galante. Segue La siciliana, di Franco Rossi, una barzelletta o poco più che fa la parodia, ma senza troppo mordente, del « delitto di onore » trascritto in chiave di melodramma fra spari di lupara ed alte grida muliebri. Che dire poi dell’episodio diretto da Pasolini e intitolato La terra vista dalla luna? Si tratta di una esercitazione intellettualistica volta a ricreare, attraverso una netta deformazione soggettiva della realtà, le atmosfere i personaggi e i significati di una « favola moderna » che ha lo scopo di dimostrare che « la morte e la vita sono la stessa cosa ».
Al centro di questo brano da « cinema dello assurdo » troviamo il sempre godibile Totò nel ruolo clownesco del vedovo sconsolato. Prolisso ed insieme schematico l’ultimo episodio curato da De Sica che, pur facendo uso di una tecnica smaliziata e figurativamente ineccepibile, racconta con molta freddezza e con un ritmo fiacco le vicende piuttosto malinconiche di un matrimonio in crisi per l’inevitabile usura della vita quotidiana che a poco a poco separa i due coniugi relegando lui nel proprio mondo egoistico di uomo dedito esclusivamente al lavoro, lei nei suoi nostalgici e romantici sogni ad occhi aperti. Accanto alla Mangano, « strega » abbastanza afflitta, Clint Eastwood nella parte del marito sonnolento.
Sante Pasca, «Rivista del Cinematografo», marzo 1967
Cinque registi per Silvana Mangano in un film sulle «streghe» moderne
Al contrario che nel carciofo, le prime foglie delle Streghe sono le migliori. Del cinque episodi che lo compongono, cuciti insieme dalla presenza di Silvana Mangano, il primo, «La strega bruciata viva», è un truciolo del laboratorio dl Luchino Visconti (con particolare riferimento a «Bellissima»): esplora il rovescio doloroso di una diva cinematografica che non può, la misera, permettersi una vita privata.
Questa Gloria che stecchita nel trucco come un insetto sotto vetro vediamo ospite in casa di amici, continua a operare suo malgrado, da maliarda, ingelosendo le donne e calamitando gli uomini. Eppure ha ben altro per la testa Sente un sé l primi movimenti della maternità, e tutta compresa di quel sacro mistero, ne dà avviso al marito che è a New York. Ma quello non sembra molto soddisfatto, e col pensiero al film in lavorazione le suggerisce d'interrompere la gravidanza. Tutto si raggela Intorno alla povera donna - mummia che come mummia riparte. Anche nelle cose minime la mano di Visconti è centrata, e in poco spazio condensa un dramma di costume, Impreziosito da una sceltissima ma non inerte scenografia. Nel coretto da «dolce vita» la vispa Annie Girardot.
Segue una freddura di Mauro Bolognini «Senso civico»: pei disimpacciarsi dal traffico che le ritarderebbe un convegno coll'amante, una bella adultera carica sulla sua auto un camionista infortunato facendosi far largo fino al luogo dell'appuntamento. Sordi è l'amena vittima, brutalmente scaricata quando non serve più Misoginia al calor bianco. Il paragrafo di Pasolini, «La terra vista dalla luna», quasi un codicillo di «Uccellacci e uccellini» con la coppia Totò Ninetto, è spiegato dalla didascalia finale: «Vivere o morire è lo stesso »; ma è spiegazione troppo larga, dentro la quale lo scherzetto d'un vedovo di borgata che fruisce della risurrezione della moglie defunta, resta un luminoso indovinello. Una barzelletta siciliana di Franco Rossi sul delitto d'onore — «La siciliana » — appena scusata dalia sua fulminea brevità, introduce all'ultimo episodio, «Una sera come le altre » di De Sica, che è invece diffuso più che non comporti la stanchezza del motivo, quello di una moglie che tenuta in naftalina da un marito americano divenuto pantofolaio, si vendica con i trascorsi dell'immaginazione: tanto ardita quanto può permetterlo la censura. Qui ia trovatina è d'avere scelto come marito routinier nientemeno che Clint Eastwood, il nero cherubino dei western di Sergio Leone.
Rimpastato più volte, non ci sembra che Le streghe infonda ossigeno all'ormai declinante « film a episodi », di cui ripete i difetti costituzionali. Di tanto tritume resta la bravura, la fotogenia e la duttilità della bella Silvana Mangano, vero fìl di ferro di questa casuale raccolta
l.p. (Leo Pestelli), «La Stampa», 10 marzo 1967
La Mangano cambia pelle in cinque maniere diverse
No che non è morto il ”film a episodi”: eccone una sopravvivenza in questa raccoltina di ”streghe” che hanno poi tutte il volto e la bravura di Silvana Mangano, un’attrice che mutar di pelle non perde sicurezza. Diciamo anzi che se non ci fosse lei a dare un'illusione di compattezza ai cinque episodi, pochissimi se ne salverebbero.
Il più fine è quello di Visconti, La strega bruciata viva, che ripigliando, con procedimento intenso, il discorso di Bellissima, rappresenta le miserie di una diva del cinema, mummificata dalla sua funzione e impossibilitata a vivere come donna anche nella più solenne delle occasioni, quella della maternità. Sontuoso il capitolo sente la mano quadrata di Luchino.
All'ordine delle barzellette appartengono invece due paragrafi di Bolognini e di Franco Rossi (Senso civico e La siciliana), il primo una storietta misogina imperniata sul motivo del traffico urbano insaporita dalla presenza di Sordi; il secondo una variazione umoristica del vieto argomento del “delitto d'onore”. Restano Pasolini, con un suggestivo indovinello (La terra vista dalla luna, con Totò e Ninetto), in cui chiave è che ”vivere o morire è lo stesso”, e De Sica che in una sera come le altre riprende in chiave di show psicanalitico il tema della moglie vendicantesi di un marito intrepido della routine (un marito che per ironia è interpretato dallo sterminatore dei western di Sergio Leone).
L'altalena dei toni, vecchio difetto della cinematografia a episodi, è qui particolarmente risentita, come effetto di sconnessione e gravità; ma chi voglia far capo alla bella attrice e strega in cinque maniere diverse, potrà cogliere qualche motivo di diletto.
l.p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 10-11 marzo 1967
La morale del film che l'autore ci dice essere tratta dalla filosofia indiana, non è, come parte delle critica militante fu portata a scrivere, 'rinunciataria o nichilistica', poiché non c'è nessun accenno di pessimistico consenso con quella affermazione: semmai, con fin troppa ironia, vi si ritrova un malcelato invito a non accettare la logica imperante, ad essere lunari quel tanto che basta per prendere le distanze dai tentacoli mostruosi del nonsenso sociale e dei suoi schematismi da marionette. La forma fiabesca stigmatizza dunque la falsità della vita, una vita perduta, sepolta in un mare di grotteschi comportamenti e necessità secondarie [...]
da S. Murri, Pier Paolo Pasolini, Il Castoro-l'Unità 1995
Totò, Pasolini e una luna prostituta
CINEMA E LIBRI In «I burattini filosofi», Marco Buzzacchi rilegge il rapporto tra il grande comico e il grande regista che lo volle in tre suoi film. Ne esce il ritratto di un sogno pasoliniano dedicato alla famiglia e alle sue dolcezze mentre la famiglia esplodeva
Dice l’autore: Pasolini usa Totò e Ninetto Davoli e anche la Mangano per costruire una sua bislacca formula di famiglia»
Per il regista, anche Otello e Jago, dietro le quinte sono in Totò un padre amorevole e in Ninetto un figlio buono e incantato...
Nel quarantennale della scomparsa del grande Totò, esce un libro che riporta in copertina una curiosa immagine del principe della risata. Si tratta di un Totò-burattino, vestito di un abito violaceo e con la faccia colorata di verde. Il volume, scritto da Marco Bazzocchi, si intitola I burattini filosofi (Bruno Mondadori, pp. 186, euro 24,00). Ma non è un libro su Totò, bensì su Pier Paolo Pasolini. Perché l'immagine di cui dicevamo è un fotogramma di Che cosa sono le nuvole?, l'episodio diretto da Pasolini in un celebre film collettivo, Caprìccio all'italiana. Quella partecipazione cinematografica, inizio 1967, fu l'ultimo lavoro di Totò, che scomparirà ad aprile.
La collaborazione tra Totò e Pasolini, tuttavia, non era nuova. Pasolini fece ricorso a Totò in tre film: Uccellacci e uccellini (1965), La terra vista dalla luna (1967), e, appunto, Che cosa sono le nuvole? A parte il primo, gli altri due sono film brevi, cioè episodi di film collettivi. «Ma - spiega Bazzocchi - tra questi tre momenti c'è una grande coerenza. In tutti questi film circola un'aria di famiglia, anzi direi che si tratta proprio di un' aria legata alla famiglia. Pasolini, cioè, usa Totò e Ninetto, e nel caso del secondo corto anche Silvana Mangano, proprio per ricostruire una sua particolare, surreale, bislacca famiglia. Totò e Ninetto sono infatti un padre e un figlio nel primo e nel secondo film, mentre nel terzo recitano come burattini in un teatro che ricorda quello di Pinocchio». Bazzocchi analizza questo terzo corto al centro del suo libro in un capitolo che dà il titolo all'intero volume. «Che cosa sono le nuvole? - aggiunge - mi ha sempre attirato per più ragioni. Innanzitutto, proprio perché anche se si tratta di un famoso testo teatrale di Shakespeare - roteilo -, Pasolini riesce a maneggiarlo intimamente e modifica il rapporto tra Jago e Otello alla radice: sulla scena sono il carnefice e la vittima della tradizione, l'uomo ingenuo e l'uomo malvagio, il geloso e il traditore; fuori dalla scena invece Totò si trasforma in un maestro amorevole che vuole spiegare a Ninetto i segreti dell'esistenza. Diventa insomma una specie di Socrate premuroso, non solo un maestro, ma proprio un padre». E Ninetto ascolta le sue parole a bocca aperta proprio come farebbe un figlio nei confronti del padre, o almeno come avrebbe fatto un figlio d'altri tempi nei confronti di un padre d'altri tempi.
La cosa che sconcerta di più è che siamo nella primavera del 1967, e un anno dopo scoppia la contestazione studentesca, insomma il '68. La famiglia va in crisi, e va in crisi soprattutto il molo paterno. Tanto che Pasolini girerà Teorema, il film sulla distruzione della famiglia, anzi il film dove un figlio misterioso e divino seduce tutti i membri di una famiglia borghese e li porta alla rovina. «In un anno - afferma Bazzocchi - si consuma uno dei rivolgimenti maggiori dell'opera di Pasolini. E Totò è l'ultima immagine di padre-maestro-pensatore. Insomma quello che Pasolini aveva voluto essere da giovane, o forse quello che avrebbe chiesto al suo stesso padre».
Dalla collaborazione tra Totò e Pasolini, entrambi trassero alcune cose importanti. Dice Bazzocchi: «Dal lavoro con Totò venne fuori un Pasolini completamente nuovo e ancor oggi straordinario. In Uccellacci e uccellini Pasolini scopre la leggerezza della rappresentazione, tutto il film è dominato dalla presenza della luna, ed è una luna materna e protettiva, quella madre che nel film non si vede mai. C'è poi un particolare divertente: alla fine del film sia il padre che il figlio hanno un rapporto sessuale veloce in mezzo alle stoppie di un campo assolato con una prostituta che si chiama Luna. È una strana versione di incesto, non edipico, antifreudiano, molto prima che Pasolini pensasse alla sua versione della tragedia greca. Anche nel film sui burattini c'è qualcosa di simile, cioè un allontanamento delle donne dal rapporto tra padre e figlio. Esattamente il contrario di quello che era successo nella vita di Pasolini, che era fuggito a Roma con la madre abbandonando il padre solo a Casarsa. Credo che Totò abbia contribuito a scatenare in Pasolini qualcosa di imprevedibile, un addolcimento nei confronti della figura di un uomo adulto che prima Pasolini aveva sempre rifiutato».
E anche Totò vive questa esperienza per lui nuova di attore «serio» come un'esperienza particolarmente significativa. In altre parole, il Totò dei tre film di Pasolini è un Totò completamente diverso da quello dei film comici che conosciamo. Certo, una base di comicità rimane, così come rimane il richiamo figurativo a Charlot (la bombetta per esempio, il cammino sulla grande strada bianca). «Ma Pasolini - dice Bazzocchi - ha tirato fuori da Totò un elemento di dolcezza e di saggezza stralunata che prima non c'era, qualcosa che fa pensare al teatro di Beckett, anche se credo che Pasolini non lo conoscesse in questo momento. Nel corto La terra vista dalla luna Totò a un certo punto fa un lungo discorso in cima a una casa, contro il delo azzurro dove passano le nuvole. Lì, in quell'elemento aereo e leggero, vedo qualcosa di eccezionale sia per Pasolini che per Totò stesso».
Roberto Carnero, «L'Unità», 20 luglio 2007
I documenti
Totò nei ricordi di Domenico Caponecchi, macchinista cinematografico.
Domenico Caponecchi
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Imbarazzante monumento di De Laurentiis alla moglie, con inutile scialo di bei nomi del cinema, fra stereotipi, apologhi squinternati e manierismi. Al segmento di De Sica riesce di suscitare un minimo d'interesse in più, elegantissimo ma noioso Visconti, curioso tuttavia per l'accostamento fra il suo cinema passato (Girotti e la Calamai) e futuro (Helmut Berger giovanissimo e accreditato col vero cognome). Contro ogni previsione, non trascendentale.
Cinque episodi imperniati su una virtuosistica Silvana Mangano nei panni di donne fascinose in storie-limite: una diva tra essere fragile nel privato e apparire divina in pubblico (Visconti; sottile); una signora raccoglie un ferito per portarlo all'ospedale (Bolognini; barzelletta); una muta in una baraccopoli fumettistica (Pasolini; grottesco, poetico, meraviglioso); una siciliana dà l'avvio a una faida in un tripudio parodistico di stereotipi (Rossi; buffo); una moglie sfinita da un marito insipido e noioso (De Sica; spiritoso ma noioso).
Un'occasione per mettere a confronto alcuni dei registi più rappresentativi del nostro cinema. Il segmento più bello ed originale è quello diretto da Pasolini: un vero e proprio fumetto surreale e coloratissimo, con le inimitabili smorfie di Totò e del marionettistico N.Davoli. Gli altri sono altalenanti: raffinato ma manieristico Visconti; fulmineo e mordace Bolognini; stereotipato e inutile Rossi. L'episodio di De Sica è felliniano, ma un po' troppo dilatato e tedioso. Ottima la Mangano.
Voluto dal produttore De Laurentis come omaggio alla moglie Mangano, non le rende certo un buon servizio: se l'episodio di Pasolini con Totò e Davoli alla ricerca di una nuova moglie/madre è una fiaba nel segno dell'assurdo che risulta incongrua col resto del film e quello di Bolognini con Sordi potrebbe appartenere alla galleria dei "nuovi mostri", il segmento iniziale diretto da Visconti si segnala per il gran spreco di talento attoriale e quello conclusivo di De Sica risulta addirittura imbarazzante. Nel mezzo, un penoso concentrato di stereotipi sulla sicilianità firmato da Franco Rossi.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Nell'episodio "La terra vista dalla Luna", i monumenti funebri al cimitero.
Davvero non male. Ottimi registi, ottimi attori e attrici da urlo. Non mancano buoni caratteristi e Eastwood. Da ricordare l'episodio con Sordi "vittima". Un film da riscoprire, a mio avviso. Da citare la bellezza di Silvana Mangano e la bravura di Alberto Sordi.
Episodico variegato ma senza picchi. Si parte male con un Visconti di massimo sfarzo borghese e massimo tedio (*!), si migliora con la simpatica barzelletta sulla scia dei Mostri messa in scena da Bolognini (** e qualcosa), si svolta verso il grottesco pueril-psicotronico con un Pasolini (**!) che trova nel bizzarro la sua ragion d'essere, si scivola in un'altra barzelletta, convulsa e scontata, di Rossi (*!) e si chiude con le piacevoli scene da un matrimonio di De Sica (**!). Pasolini e De Sica i vincitori, anche nel valorizzare la Mangano.
Film ad episodi, tutti con la Mangano protagonista, ognuno diretto da un grande regista del cinema italiano: eppure la maggior parte degli episodi è debole. Il primo è francamente noioso, quello con Totò visionario ugualmente noioso e riscattato solo dalla bravura del protagonista, quello con Eastwood inutile; unico episodio a salvarsi è quello con Alberto Sordi, molto breve ma divertente e interpretato alla grande.
Tralasciando l'inguardabile episodio diretto da Pasolini e interpretato da Totò, si può visionare tranquillamente. L'episodio migliore quanto a inventiva e realizzazione risulta quello diretto da Visconti, mentre gli episodi diretti da De Sica e Rossi risultano abbastanza banali, almeno per quel che riguarda la sceneggiatura (anche se la verve di una magnifica attrice quale è la Mangano riesce in parte a nobilitarli). Avrebbero dovuto venderli separatamente, ma non si può chiedere la luna.
Dopo La mia signora, secondo tributo di Dino De Laurentiis alla moglie, diva schiva e attrice nervosa quanto straniata. Appunto questa contraddittoria personalità viene centrata in La strega bruciata viva, da un Visconti che la abbraccia con complessi movimenti di macchina. Tralasciando gli sketch di Bolognini (vai Albertone) e Rossi, più un appesantito De Sica (con Clint), ecco invece ancora Silvana al suo meglio nell'episodio pasoliniano: paradossale estremo ancoraggio terreno del lunare duo Totò-Ninetto, figura di donna che serve da viva come da morta.
Tipica sequela di episodi come andavano di moda negli anni sessanta. A dire il vero l’unica cosa che li accomuna è la noia incontenibile, capace di raggiungere livelli ragguardevoli. Questo accade perché nessuno di loro ha qualcosa di importante da dire e per quanto le firme siano tra le più autorevoli del periodo la situazione non cambia. L’episodio di Pasolini almeno ha il pregio di essere qualcosa di diverso, una puerile fiaba che scivola nel surreale, per quanto appaia come un divertissement. Utilizzare Clint Eastwood in quel modo, poi...
Naturalmente il valore di un film a episodi non è mai la media matematica dei suoi segmenti. Stavolta però ci si trova di fronte a una disuguaglianza abissale da tutti i punti di vista: qualità, registro, durata, genere, argomento, senza nemmeno l'ombra di un pretestuoso filo conduttore. Nebuloso e decadente Visconti (***), due meri sketch per Bolognini (**) e Rossi (*1/2), fiabesco ma di umorismo feroce Pasolini (***1/2), onirico ma inconcludente De Sica (**1/2). Da vedere, anche se il senso globale dell'operazione resta improbabile.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò e Ninetto coi capelli color rame sulla tomba della moglie/madre.
Di solito un marito regala alla moglie un anello; De Laurentis le regala un film. Silvana Mangano è la magnifica protagonista di tutti gli episodi; Visconti ci insegna con fine eleganza come da piccolo evento in apparenza secondario si possano ottenere risonanze universali; Sordi nel suo breve episodio riesce a disegnare un camionista a tutto tondo; Rossi è sintetico ma convenzionale; De Sica è graffiante ma monotono. Pasolini, in versione pop, appone una postilla inutile al suo Accattone e veste Totò, Davoli e la Mangano come tre cretini. Così così.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: A Sordi basta indossare una maglietta con il ritratto della "Mucca Carolina" per trasformarsi in un camionista autentico...
I gusti di Graf (Commedia - Poliziesco - Thriller)
Monumento al fascino e al talento di Silvana Mangano, filo conduttore di cinque episodi piuttosto diseguali: amaro e freddo, con ottimi dialoghi Visconti, caustico Bolognini, buffonesco e poetico Pasolini, inutile e stereotipato Rossi, bizzarro ma prolisso De Sica. La Mangano ammalia in tutti i ruoli e in alcuni episodi può contare su ottimi partner (Sordi ha verve anche quando fa il moribondo, Totò è commovente e Eastwood sorprende per l’autoironia). Belle le musiche di Piccioni e Morricone.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: I titoli di testa di Pino Zac; La Mini rossa; La mimica di Totò e l’eloquente intensità degli sguardi della Mangano nel terzo episodio.
Immagino chi ai tempi entrava in sala attirato da cotanto cast: la Mangano, Sordi, Totò, addirittura Clint Eastwood... La delusione è dietro l'angolo, a meno che non si voglia godere nel vedere assembrati così tanti registi in odor di barzelletta e sperimentazione. L'unico episodio degno di nota, può sembrare banale dirlo, è quello di Pasolini, vuoi per la coppia Totò-Davoli, scappati da un circo psichedelico di periferia, vuoi per la morale finale, davvero geniale. Il resto così, così... ma l'episodio Eastwood-Mangano è invecchiato e basta.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Sordi, nella parte della vittima, è uno spasso per chi ricorda l'episodio First Aid de I nuovi mostri.
La censura
La Commissione concede il nulla osta con limitazione della visione ai maggiori di anni 18 per i citati motivi:
«La III sezione di revisione cinematografica revisionato il film il 16 dicembre 1966, dopo avere ascoltato il rappresentante della Ditta, come da richiesta, tenuto conto della insistenza con cui viene rappresentata la morbosità dell'ambiente nel quale si svolge il primo episodio (la strega bruciata viva) ripetutamente posta in risalto anche nel dialogo e tenuto conto del parossismo erotico che pervade l’ultimo episodio (Una sera come le altre), a maggioranza esprime parere favorevole alla sua proiezione in pubblico con divieto ai minori degli anni diciotto in quanto il film deve ritenersi controindicato alla particolare sensibilità dell’età evolutiva dei predetti minori»
Domanda di revisione 48341 in data 15 dicembre 1966
La "De Laurentis Cinematografica" si oppone al giudizio di "limitazione della visione ai maggiori di anni 18" con le seguenti motivazioni:
Riteniamo che detto parere sia stato espresso in modo invalido e che in subordine esso non sia giusto.
1) L'articolo 2 della Legge 21 Aprile 1962 n. 161 prescrive che ciascuna Sezione della Commissione di 1° grado sia composta da sette membri e cioè da un magistrato, da tre professori universitari, ciascuno docente di specifiche discipline previste dalla Legge e da tre membri scelti da specifiche associazioni di categoria. Il regolamento di esecuzione delia predetta Legge all'art. 8 invece prescrive che le deliberazioni della Commissione sono valide quando all'adunanza è presente la maggioranza dei componenti. E' pacifico che i regolamenti - come fonte secondaria di diritto - non possono modificare le Leggi.
Pertanto se la Legge in esame ha stabilito in sette il numero di membri non può il regolamento ridurre fino ad un minimo di quattro i componenti della Sezione, tanto più che ciascuno di tali componenti deve apportare nel giudizio il contributo della propria specifica competenza. [...] Pertanto riteniamo che il parere espresso così irritualmente sia nullo, e che pertanto il film debba essere posto nuovamente al giudizio della Commissione di revisione di 1° grado per l'espressione di un regolare parere.
2) In subordine, qualora codesta On. le Commissione di appello disattendesse questa richiesta, dobbiamo osservare comunque che il parere espresso irritualmente dalla Sezione della Commissione di 1° grado è infondato per le seguenti ragioni:
a) 1° Episodio «La Strega bruciata viva» regista Luchino Visconti sceneggiatura di Giuseppe Patroni Griffi, Luchino Visconti e Cesare Zavattini. La molla morale di tutto il racconto sta nella protesta espressa con dei toni dove si alterna il dramma e l'humor, contro una delle situazioni, una delle realtà più disumane, potremmo chiamarle, che oggi improntano il nostro costume; cioè che al successo, purché esso sia raggiunto e a tutti i costi conservato, vengono sacrificati dei sentimenti sacri, come quello che illumina e nobilita il nostro episodio, qual'è il sentimento della maternità, in altre parole il bisogno di avere un figlio. Per quanto riguarda la presunta morbosità dell'ambiente, è proprio la denuncia di quell'ambiente il nerbo critico di tutto l'episodio, poiché solamente da ambienti così superficiali, la cui mentalità invade sempre di più altre aree della società, nascono quei miti e quelle storture contro le quali inequivocabilmente l'episodio punta. Pertanto la descrizione realistica di tale ambiente è assolutamente necessaria ed essa ò espressa nell'episodio non solo senza alcun compiacimento ma solo allo scopo di ottenere una precisa denuncia e condanna di un certo costume di una certa società, dell'epoca attuale, nella quale i giovani in genere e i minori in particolare vengono diseducaci e pericolosamente fuorviati dalie troppe suggestioni venienti dai mito del successo, il nostro episodio con la sua efficacia di denuncia e di condanna potrà servire, anche per i giovani, di opportuno richiamo ai sentimenti fondamentali dell'uomo. L’insistenza lamentata è solo apparente ed è dovuta al fatto che l'episodio si svolge interamente nel medesimo ambiente; e il dialogo riflette il "gergo" di quell'ambiente e di quella società. Dialogo e ambiente che favoriscono la rappresentazione del senso di vuoto e di angosciosa solitudine in cui vivono i personaggi dell'episodio.
b) Ultimo Episodio "Una sera come le altre" regia di Vittorio De Sica sceneggiatura di Cessare Zavattini. Per questo episodio non si trovano neppure le parole di reazione tanto i membri dell'On. le Commissione di 1° grado, secondo noi, sono caduti in equivoco. E ciò in quanto la particolare figura di donna, che è protagonista dell'episodio, la si può considerare una delle superstiti, romantiche, diremmo persino, dei rapporti coniugali i più tradizionali e i più sani perchè essa ha una reazione legittima, nella quale si possono identificare tutte le mogli trascurate per questa o quella ragione, reazione che appartiene veramente alla psicologia inedia della donna e che nel nostro caso è espressa attraverso un linguaggio, una immaginazione, che traspongono una storia realistica in un clima sempre lirico e delicato, non solo, ma tutto l’episodio può essere considerato come una lettera d’amore coniugale, che la moglie manda al marito, e nel finale dell'episodio, nell'addormentarsi di questa moglie vicino all'amato coniuge (suggello finale della continua dichiarazione d'amore in cui si esprime l'episodio) non troviamo una donna inappagata, ma solo una donna quant'altre mai innamorata del proprio marito. Una donna che in tutto l'arco dell'episodio polemizza dentro questo esplicito ed indubitabile amore di moglie, servendosi di quegli elementi che si affacciano alla, fantasia di qualsiasi donna, compreso il ricorso, nell'immaginazione, al corteggiamento di terzi pur di risvegliare con la gelosia l'amore del marito: elementi, comunque, che la nostra protagonista riesce tuttavia a tenere - è bene sottolinearlo - in una atmosfera perfino ingenua e comunque mai morbosa.
3) Sempre in subordine, il parere della Sezione del la Commissione di Revisione di 1° grado contro il quale ricorriamo, sarebbe quanto meno viziato da manifesta ingiustizia per evidente disparità di trattamento rispetto ad altri films. Infatti, la Commissione di 1° grado, attraverso le varie sezioni di cui si articola ha più volte espresso parere favorevole, senza esclusione di minori, per films in cui situazioni, ambienti e dialoghi erano veramente inidonei alla sensibilità dei minori, ma costituivano rappresentazioni strumentali rispetto a tesi morali espresse, dai films sui quali la Commissione aveva dato il suo parere. A maggior ragione, nel nostro caso in cui situazioni, ambienti e dialoghi non indulgono a rappresentazioni nocive per i minori e sono chiaramente strumentali rispetto alla tesi moralissima dei due episodi, la Commissione non può non esprimere parere favorevole per la visione, anche ai minori. Altrimenti, sarebbe evidente l'iniquità della decisione della Commissione stessa.
Pertanto la sottoscritta Società: CHIEDE che codesta On. le Commissione di Revisione di II grado voglia, in via principale, riconosciuta l'irritualità e la nullità del parere espresso in primo grado, rimettere gli atti alla Commissione di I grado affinché esprima ritualmente il proprio parere. In subordine, che, previa visione del film, venga espresso parere favorevole alla proiezione in pubblico del film "LE STREGHE" senza esclusione dei minori. Si chiede di essere ascoltati personalmente o a mezzo di Procuratore con l'assistenza di uno o più autori del film.
Roma, 23 dicembre 1966
Su conforme parere della Commissione di Revisione Cinematografica di II grado, con decreto del 9/2/1967, il divieto di visione, per i minori degli anni 18, è stato modificato nel divieto di visione per i minori degli anni 14.
Sono state effettuate le seguenti modifiche: nel 5° episodio (Una sera come le altre) nella scena in cui la protagonista balla nel centro dello Stadio, è stata soppressa l'inquadratura in cui la protagonista appare senza veli, prima di ricoprirsi con i veli stessi.
Le seguenti battute sono state variate nel 1° episodio (La strega bruciata viva):
1) la battuta di GLORIA (attrice Silvana Mangano)
"Ho voluto anch'io festeggiare i dieci anni di corna che ti ha messo tuo marito." è stata modificata come segue:
"Ho voluto anch'io festeggiare i dieci anni di esemplare infedeltà di tuo marito."
2) la battuta di VALERIA (attrice Annie Girardot)
"Io e Paolo non andiamo più a letto insieme." è stata modificata come segue:
"Io e Paolo da tempo non domiamo più insieme."
3) la battuta del SIGNORE SPORTIVO (attore Massimo Girotti)
"Avrei dato via l'anima per venire a letto con lei."
è stata modificata come segue:
"Avrei dato via l'anima per passare la notte oon lei."
4) la battuta di VALERIA (attrice Annie Girardot)
"Che porco! Sarebbe venuto volentieri a letto con te." è stata modificata come segue:
E' mostruoso! Sarebbe stato tanto volentieri con te."
5) la battuta di VALERIA (attrice Annie Girardot)
"Ti vendichi perchè non è voluta venire a letto con te." è stata modificata come segue:
"Ti vendichi perchè non ha voluto passarne la notte con te."
La seguente battuta è stata variata nel 5° episodio (Una sera come le altre):
6) la battuta di CARLO (attore Clint Eastwood)
"Puttanaaaa..."
è stata modificata come segue:
"Sgualdrinaaaa..."
Concesso il N.O. alla visione al pubblico con divieto di visione per i minori degli anni 14;
"La Commissione di appello, formata dalla riunione delle Sezioni IV e V che, in data 28 dicembre 1966 aveva sospeso il giudizio in merito al film "Le streghe", ai sensi dell’art 3 del regolamento per consentire al produttore di effettuare alcune modifiche, si è nuovamente riunita il giorno 8 febbraio 1967 per deliberare in merito alla copia modificata. Pertanto le Commissione, constatate le modifiche apportate dal produttore ai dialoghi del film, come risulta dalla lettera di impegno che si allega agli atti e constatato, per la parte visiva, che è stato effettuato il taglio suggerito dalla Commissione; giudica - a maggioranza - di potersi esprimere favorevolmente per la riduzione del divieto di visione del film ai minori degli anni quattordici. Infetti, con le suddetta modifiche, è da ritenersi siano venute meno le ragioni che avevano indetto la Sezione di I grado a pronunciarsi per il divieto di visione ai minori degli anni diciotto. L’attuale divieto per i minori degli anni quattordici è motivato dalla tematica del film e dalla presenza di scene e di battute controindicate alla particolare sensibilità dei predetti minori.”
Roma, 11 febbraio 1967
Le incongruenze
- 39'21'' circa. Roma,una strada. La Mini Clubman della Mangano passa rapidamente davanti all'obbiettivo (da sinistra verso destra per lo spettatore,quindi esce di campo) con a bordo Alberto Sordi,da ospedalizzare in quanto ferito in un incidente stradale. Pertanto la macchina non procede lentamente: inoltre,una volta passata,si vede che nelle sue immediate vicinanze non c'è nessun altro veicolo (39'22''circa). Nuovo ciak a 39'22'' circa,primo piano d'un ragazzino dai capelli rossi che parte in bicicletta nella stessa direzione della Mini,uscendo anche lui di campo sulla destra dello schermo. Dopo 2 shots ininfluenti: inquadratura dell'abitacolo in senso antero-posteriore e primissimo piano di Sordi,dietro al quale,visibile attraverso il lunotto ,spunta (39'30'' circa) la testa del bambino che pedala vicino alla macchina; come confermato a 39'34'' circa,quando il piccolo ciclista compare a sinistra dello schermo,quasi attaccato alla Mini. Merckx non avrebbe saputo far di meglio
- 28'59'' Silvana Mangano (sdraiata a letto,ripresa in secondo piano a figura intera) giace svenuta con la testa poggiata tra due cuscini,dei quali quello sulla destra dello schermo è parzialmente sovrapposto all'altro. La camera muove su altri soggetti,quindi a 29'07'' torna in campo l'attrice (ripresa ravvicinata,mezza figura) sempre "svenuta",con la testa al centro del cuscino superiore.
www.bloopers.it
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo. | |
|
|
Episodio "Senso civico" - Lo slargo dove avviene l'incidente in apertura e dove Silvana Mangano, bloccata nel traffico, per arrivare prima a un appuntamento carica il malconcio camionista (Alberto Sordi) ferito è in via Val di Sangro a Roma. Grazie a Fedemelis per il fotogramma. |
|
|
|
Episodo "Senso civico" Il punto in cui la corsa in macchina della Mangano, con Sordi a bordo sanguinante per cercare un ospedale, si conclude (perché lì lei ha un appuntamento, non perché lì ci sia un ospedale) è in viale dell'Oceano Pacifico angolo viale della Tecnica (Roma). Nel film, come nella realtà, lì di ospedali non v'è naturalmente alcuna traccia... Grazie a Fedemelis per il fotogramma. |
|
|
|
Episodio "La Terra vista dalla Luna" - L'altarino di un santo davanti al quale Ciancicato Miao (Totò) e suo figlio Baciù (Ninetto Davoli) incontrano Assurdina Caì (Silvana Mangano) è in Via Passo della Sentinella, località Isola Sacra, a Ostia (RM) |
|
Qui la casa (A) e quel che resta della statua (B) si vedono meglio. Quest'ultima, distrutta durante una mareggiata, fu fatta dall'artista Assen Peikov a Sophia Loren. L'autore è lo stesso della statua di Leonardo Da Vinci davanti all'omonimo Aeroporto di Roma. Per l'informazione si ringrazia l'autore del libro Ostia Set Naturale. In Questo link possiamo vedere una foto della Loren mettersi in posa per gli ultimi dettagli davanti allo scultore. |
|
|
|
Episodio "La Terra vista dalla Luna" - La strada dove Ciancicato Miao (Totò) e suo figlio Baciù (Ninetto Davoli) scambiano un manichino per una vera donna (possibile loro futura moglie/madre) è lungo il nuovo Cavalcaferrovia Settimia Spizzichino svincolo della Via Ostiense a Roma. Il palazzo che vediamo nel fotogramma sono i vecchi mercati generali attualmente in fase di riqualificazione da parte del comune. L'immagine di SW si riferisce alle prime fasi dei lavori ripresi dalla Via Ostiense | |
|
|
Qui vediamo il manichino portato via da due operai
|
Le streghe (1967) - Biografie e articoli correlati
Adriani Giorgio
Alessandri Luisa
Antonelli Ennio
Articoli & Ritagli di stampa - 1960-1969
Avincola Alfonso
Betti Laura (Trombetti Laura)
Bolognini Mauro
La scomparsa di Totò: siamo uomini o caporali?
Magnanti Elda
Pasolini Pier Paolo
Pier Paolo Pasolini: l'incontro con Totò
Pierpaolo Pasolini: ecco il mio Totò
Serantoni Sergio
Silvana Mangano come la vede Pasolini: bionda e innamorata di Totò
Totò e... Ninetto Davoli
Totò, il comico irripetibile
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- www.cinecensura.com
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- Foto: Alamy Photo Stock
- Maurizio Liverani, «Tempo», anno XXVIII, n.6, 9 febbraio 1966
- Maria Maffei, «Noi Donne», anno XI, n.21, 12 marzo 1966
- Intervista esclusiva a Domenico Caponecchi di Simone Riberto, alias Tenente Colombo del 10 marzo 2000
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- www.cinecensura.com
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- Intervista esclusiva a Domenico Caponecchi di Simone Riberto, alias Tenente Colombo del 10 marzo 2000
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Onorato Orsini, «La Notte», 1966
- Maurizio Liverani, «Tempo», anno XXVIII, n.6, 9 febbraio 1966
- Maria Maffei, «Noi Donne», anno XI, n.21, 12 marzo 1966
- Stelio Martini, «Tempo», anno XXVIII, n.18, 4 maggio 1966
- «Corriere della Sera», 28 settembre 1966
- V. «Corriere della Sera», 23 febbraio 1967
- «Il Messaggero», 24 febbraio 1967
- «Il Tempo», 24 febbraio 1967
- «L'Unità», 24 febbraio 1967
- Sante Pasca, «Rivista del Cinematografo», marzo 1967
- l.p. (Leo Pestelli), «La Stampa», 10 marzo 1967
- l.p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 10-11 marzo 1967
- da S. Murri, Pier Paolo Pasolini, Il Castoro - l'Unità 1995
- Roberto Carnero, «L'Unità», 20 luglio 2007