Lo smemorato di Collegno

Zanini, mi tolga le mani di dosso. Lei mi è stato antipatico dal primo momento in cui l'ho vista: è stato un colpo di fulmine!

Lo smemorato

Inizio riprese: aprile 1962 Stabilimenti Titanus Farnesina, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 28 agosto 1962 - Incasso lire 429.249.000 - Spettatori 2.132.385


Titolo originale Lo smemorato di Collegno
Paese Italia - Anno 1962 - Durata 84 min - B/N - Audio sonoro monofonico - Genere commedia - Regia Sergio Corbucci - Soggetto Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi - Sceneggiatura Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi - Produttore Gianni Buffardi - Fotografia Enzo Barboni - Montaggio Giuliana Attenni - Musiche Piero Piccioni - Scenografia Giorgio Giovannini - Costumi Marcella De Marchis - Trucco Anna Cristofani - Franco Di Girolamo


Totò: Gennarino lo smemorato - Erminio Macario: Nicola Politi - Nino Taranto: prof. Ademaro Gioberti - Aroldo Tieri: dott. Alessandro Zannini - Andrea Checchi: avvocato Rossetti - Yvonne Sanson: Linda Ballarini - Mario Pisu: avvocato della signora Ballarini - Elvy Lissiak: signora Polacich - Riccardo Billi: Fernando Meniconi - Enrico Viarisio: ministro - Franco Giacobini: giornalista - Gisella Sofio: giornalista milanese - Pietro Carloni: Francesco Ballerini - Mario Castellani: Giorgio Ballerini - Gianni Rizzo: ragioniere - Franco Ressel: agente pubblicitario - Antonio Acqua: presidente del tribunale - Lina Alberti: moglie dello smemorato - Consalvo Dell'Arti: il maggiordomo Natale - Mimmo Poli: l'uomo panchina - Franco Volpi: pubblico ministero - Sergio Corbucci: il signore che aspetta il suo turno nella sala d'attesa del ministero - Bruno Corbucci: il signore che a sinistra scende le scale del WC diurno - Peppino De Martino: il commissario


Soggetto

Un uomo viene ricoverato in una clinica neurologica, a causa di un'amnesia. Dopo la pubblicazione di una sua fotografia su un quotidiano si fanno avanti tre persone che affermano di averlo riconosciuto: la signora Ballarini, che lo porta a casa sua riconoscendolo come il marito creduto scomparso durante la guerra. Allo stesso modo anche la signora Polacich sostiene che egli è suo marito. Infine lo smemorato viene accusato da un truffatore di essere il suo complice scomparso. Di fronte al tribunale si scoprirà che tutti e tre avevano mentito, e il film si chiude con lo smemorato rimasto solo, con un cane come unico amico.

Critica & curiosità

Il tema del film è ispirato al caso Bruneri-Canella, realmente avvenuto nel 1926 in Italia, di cui di seguito documentiamo gli avvenimenti. "Lo smemorato di Collegno", fu anche una miniserie televisiva diretta da Maurizio Zaccaro. Nel film Totò recita con l'amico Macario, che ritroviamo in godibilissimi duetti. Nella parte finale del film, Totò affacciandosi dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, si esibisce in una delle sue famose parodie su Benito Mussolini.


Così la stampa dell'epoca

Ne Lo smemorato di Collegno, girato nel giugno '62, disegna felicemente la macchietta del folle Nicola, amico dello smemorato Totò, con il quale, nella scena più divertente del film, mette sottosopra l'aula di un austero tribunale. Diretto da Corbucci, il film si basa (parodiandolo) sul famoso caso Bruneri-Canella riambientato negli anni '60. Intorno al principe ci sono tanti amici, con alcuni dei quali non lavorava da parecchi anni, Pietro Carloni, Mario Pisu, Riccardo Billi, Yvonne Sanson; con questi, Macario, Nino Taranto, Mario Castellani, Aroldo Tieri e Peppino De Martino paiono stringersi affettuosamente intorno all'amico, ormai anziano, a fargli corona in un film che ha qualche ambizione in più rispetto alla solita farsa ma che annega alcuni momenti di sincero divertimento in un contesto malinconico.

Alberto Anile


Si tratta di una delle solite farse all'italiana dove Totò [...] si prodiga sul suo solito metro [...]

«La Notte», 1962


Sergio Corbucci che è un regista attento e di gusto [...] è riuscito ad evitare che si degenerasse, anche nei momenti in cui più Totò vi da dentro, in una farsa. Totò è, come sempre, un comico lepidissimo, che ha trovato una spalla piena d'umore in Nino Taranto[...]

Vittorio Ricciuti, 1962


Alcune scene ricalcano in chiave di esasperazione grottesca il caso "Bruneri-Canella"

Roma, 28 maggio.

Dinanzi ad un grande dipinto di stile classico raffigurante, in una cornice agreste, una giovane donna, vestita esattamente come usava vestire Eva nei giardini dell’Eden quando la haute couture non aveva ancora schiavizzato il mondo femminile, Totò solleva gli occhi dal libro che sta leggendo, scocca una ghiotta occhiata al quadro, il collo gli si allunga come spinto da una molla fuori della vestaglia, un sorrlsetto misterioso gli aleggia sulle labbra. Poi d’improvviso, quella favilla di furbizia sorniona si spegno, il volto torna compunto ed ermetico, lo sguardo si posa nuovamente sulle pagine del volume Il riposo del guerriero di Christiane de Rochefort.

Ha sentito arrivare, taccheggiando, colei che nella finzione cinematografica sostiene di essere sua moglie. La scena, diretta da Sergio Corbucci, è «girata» d’un fiato. Una scena muta, in cui Totò non ha fatto parola, ma in cui con il suo volto estremamente espressivo, ha detto tutto, e così bene che ridono divertiti gli stessi uomini della troupe. E’ la prima scena dell'ottantottesima pellicola della carriera cinematografica del principe Antonio De Curtis. E dobbiamo dire, prendendo a prestito l’immagine dal titolo di un suo recente film, ch’egli appare veramente diabolicus perchè, nel giro di una settimana, lo abbiamo visto al lavoro in due diversi teatri di posa, per due diverse vicende, e abbiamo saputo, anche, che, per mancanza di tempo, ha dovuto declinare il pressante invito a interpretare un altro film.

Come faccia, Totò, a non concedersi mai un riposo, nessuno sa. Specialmente ora che il suo nome segna una nuova intensa richiesta. E sempre, egli è il piu scrupolosamente puntuale sul set, il più coscienziosamente preciso nel lavoro, il più attento revisore dei copioni che gli vengono sottoposti ed ai quali usa dare il contributo del suo ingegno e della sua arguzia, cordiale, cortesissimo con tutti, senza mai manifestare uno scatto d’impazienza o dire una parola che non sia lieta ed amabile.

Ed è, sempre, l'attore i cui film segnano commercialmente un cospicuo plafond d’incassi (con punte molto alte in alcuni casi); è sempre l’attore che riscuote immutabili simpatie, da parte del pubblico di tutto il mondo. Sulla sua scrivania abbiamo visto accumularsi lettere giunte da ogni Paese: le ultime di questi giorni, arrivavano dalla Polonia, dall’Argentina, dal Brasile, dalla Jugoslavia, dalla Turchia. Molte di quelle lettere chiedono una fotografia firmata, altre semplicemente ringraziano per un’ora di spensierato divertimento, altre ancora — di esordienti — chiedono all’ espertissimo attore consigli e pareri. «Totò è ancora oggi il migliore di tutti i nostri attori comici». dice convinto Aroldo Tieri.

I suoi film, si sa, s'ispirano costantemente ad una saporosa satira di problemi, di aspetti, di momenti, di guai della vita quotidiana dei nostri giorni, balzati all'attualità della cronaca, di eroi e personaggi che trionfano nella moda del mondo di celluloide: e sono tutti vivi, spiritosi, dipinti con la maestria della commedia dell’arte. In una pellicola realizzata pochi mesi addietro, Totò riuscì a superare se stesso, interpretando sei personaggi con sei nomi diversi. In questo, che ha appena cominciato a «girare», invece, non ha neppure un nome: è l'ombra di un uomo sperduto, privo di un passato che la perdita di ogni ricordo ha cancellato dalla sua mente, è insomma «lo smemorato».

L’inizio del film lo trova a cavalcioni di un monumento dedicato a un cavallo, bizzarra statua vivente, malinconica figura umana che si è issata lassù per protesta contro la società e contro le autorità che si disinteressano di ridargli uno stato civile. Perchè lo smemorato è un reduce dal fronte russo, dove fu dato per disperso, vestito di vecchi indumenti militari e con un cappello da alpino in testa, ma che non ricorda più in alcun modo chi egli sia. «Mi chiamo nebbia, mi chiamo vento», dice a chi l’interroga, dopo averlo disarcionato gentilmente dalla bronzea cavalcatura.

Ricoverato in una clinica neuropsichiatrica, il suo «caso» interessa molta gente. E se prima non lo conosceva nessuno, adesso son troppe le donne che. invece, identificano in lui il proprio marito (una sorta di esasperazione grottesca del famoso caso «Bruneri-Canella»). Non diremo in quale aggrovigliato gomitolo di interessi, di passioni, di rivalità egli si trovi coinvolto. Diremo soltanto che, uscito dal ginepraio giudi-ziario-sentimentale, egli torna a scalare un altro monumento equestre nella speranza che finalmente qualcuno lo riconosca per chi egli è in realtà e non per chi vorrebbe che fosse, a proprio ed esclusivo interesse.

Accanto all’infaticabile Totò («Se non lavoro, mi sembra d’essere un uomo finito, ed è per questo che provo tanta gioia nel lavorare») figurano Tieri, Taranto, Fabrizi, Macario e due donne, Elvi Lissiak e Yvonne Sanson, la bella greca che cominciò a lavorare nel cinema proprio in un film di Totò ed ora si ritrova con lui sul set. Poco vediamo la Sanson nei nostri teatri di posa, perchè ella ha parecchi impegni ad Atene, sua città natale, per la produzione cinematografica locale, assorbita dal mercato del Medio Oriente. Le avevano offerto, in Grecia anche d'interpretare il ruolo di Lisistrata sulla scena ma non ha accettato ed il motivo del suo rifiuto, che ci confida, è assai curioso. «Ho deciso di no per non infastidire i miei compatrioti parlando greco in modo non più purissimo e limpido, ciò che mi capita per le lunghe assenze dal mio paese, e per l’abitudine, ormai, di parlare francese, inglese e italiano».

Appena libera da impegni di lavoro, Yvonne s’imbarca, se ne va nelle acque delle isole Poro, per abbandonarsi alla sua passione, la pesca. «Sono fortunatissima — dichiara ridendo; — anche dove gli altri pescatori non prendono nulla i miei ami affiorano sempre carichi. Si vede che i pesci hanno simpatia per me». Totò guarda impassibile la opulenta bellezza di Yvonne, e sussurra: «Sfido. Sfidissimo!».

Alberto Ceretto, «Corriere della Sera», 29 maggio 1962


Totò porta sullo schermo «il caso  Bruneri-Cannella»

Roma, 2 giugno.

Il caso Bruneri Canella, che appassionò l'opinione pubblica italiana 35 anni fa, ha ispirato un film che Totò ha iniziato a girare in questi giorni. Titolo: quello convenzionale, con cui veniva denominato il personaggio che aveva dimenticato la propria identità, e cioè «Lo smemorato di Collegno».

Conteso da due mogli

Gianni Buffardi, che oltre ad esserne il produttore è anche il genero di Totò, assicura che sarà il film più importante che suo suocero abbia mai fatto; finora Totò non aveva mai affrontato un personaggio così complesso, comico e drammatico al tempo stesso; né una storia così carica di situazioni aggrovigliate: le due mogli che se lo disputano, gli intrighi che lo avviluppano, la sua. misteriosa psicologia che sfugge ad ogni tentativo di qualificazione.

Unico amico: un cane

Proseguendo oltre la sentenza dei giudici che dettero allo smemorato un nome, gli autori della vicenda cinematografica tentano di dare al caso dello smemorato una spiegazione di fantasia. Si scopre, per esempio, che una delle due mogli è manovrata da alcuni parenti per questioni di eredità, mentre l'altra è prezzolata dagli avvocati nell'interesse di altri eredi. Da ciò l'amarezza dell'uomo conteso, che si accorge di essere ingannato da tutti. Sceglierà dunque di restare smemorato per sempre. E quando uscirà infine dal carcere, troverà in un cane, che lo ha atteso per tanti giorni davanti alla prigione, l'unico amico sincero.

Eccezionale «cast»

Totò avrà intorno a sé un cast eccezionale di attori. Le due mogli saranno interpretate, rispettivamente da Yvonne Sanson ed Elvi Lissiak. Altri nomi di prestigio: Peppino De Filippo, Nino Taranto. Macario, Carlo Ninchii Franco Volpi, Andrea Checchi, Araldo Tieri, Mario Pisu, Franco Giacobini, Gisella Sofio, Gianni Risso, Pietro Carboni. Il regista è Sergio Corbucci.

Un film sui frati di Mazzarino

Dopo il caso dello smemorato di Collegno, il produttore Buffardi ne affronterà un altro di recente e scottante interesse: porterà sugli schermi il processo di Mazzarino, con Totò nella parte di un barbuto frate

l. b., «La Stampa», 3 giugno 1962


Totò ceca un cane che sappia fare il morto

Occorre per la scena finale del film ispirato al caso Bruneri-Canella. Cinofilo sincero, l'attore ha respinto la crudele soluzione di immolare un povero animale

Roma, lunedì mattina.

Cercasi cane che sappia fare il morto. Occorre per la scena finale del film che Totò sta attualmente interpretando negli stabilimenti della «Scalera» e che porterà il titolo di Lo smemorato di Collegno. Totò, che è proprietario di oltre cento cani ex-randagi, ospitati in una sua tenuta alla Camilluccia, è in angosce. Questo cane dovrebbe saper recitare con sufficiente disinvoltura da vivo e poi fingere di morire in un investimento stradale. L'importante è che sappia rimanere inerte tra le braccia di Totò in mezzo alla confusione delle macchine da ripresa, degli operatori e della folla delle comparse. Naturalmente il problema potrebbe essere presto risolto immolando un povero cane. Ma Totò, grande amico degli animali, non vuole nemmeno sentirne parlare. E anche il regista Sergio Corbucci, il produttore Buffardi (genero di Totò) e l'intera troupe hanno subito respinta l'idea crudele.

D'altra parte la scena è troppo importante per sostituirla con un'altra. Lo smemorato di Collegno è ispirato, con notevoli variazioni di fantasia, al celebre caso Bruneri Canella che appassionò l'opinione pubblica tra il 1926 e il 1931. Racconta la storia di un uomo che, tornato dalla guerra senza più nulla ricordare della sua vita precedente, è conteso da due donne (Yvonne Sanson e Elvi Lissak) che pretendono entrambe il coniuge scomparso. Ma sono entrambe in malafede; l'ima vorrebbe assicurarsi l'eredità del marito, un ricco industriale scomparso in guerra; l'altra, una ragazza madre istriana, si è lasciata — per bisogno — corrompere dai fratelli dell'industriale che non vogliono restituire il patrimonio di cui si sono appropriati. In mezzo a tutti questi imbrogli l'unico innocente, lo smemorato, finisce in carcere accusato di truffa.

Il film, iniziato in chiave comica, prende ora una svolta drammatica: in prigione, l'uomo che ha perduto la memoria conosce le trame che sono state intessute intorno alla sua sventura ed ha la delusione di apprendere che anche la ragazza istriana, cui stava affezionandosi e che credeva sincera, lo ha ingannato. Nell'amarezza e nella solitudine, non gli rimane che un'unico conforto: l'amicizia fedele di un cane che, pazientemente, lo attende davanti alla prigione e che, quando finalmente lo sventurato ritorna libero, lo festeggia ed accenna ad accompagnarlo in qualche luogo: forse, alla sua vera famiglia. Ma, lungo il cammino, una macchina travolge ed uccide la bestiola sotto gli occhi sgomenti dello smemorato destinato a restare sempre senza un nome.

Totò non vuole e non può venir meno alla sua coerenza di cinofilo. Nella speranza che qualcuno gli trovi il cane che fa per lui, passa intanto molte ore con un istruttore tra i suoi ospiti della Camilluccia cercando se per caso non si nasconda tra di loro un cane con tempra di attore.

Laura Bergagna, «Stampa Sera», 4-5 giugno 1962


E' inutile ricordare ai torinesi, ma non soltanto ad essi, la enorme risonanza di un caso giudiziario che appassionò per anni tutta la penisola: Bruneri e Canella? L'interrogativo i riproposto ora da questo film diretto da Sergio Corbucci, che da oggi si proietta in un cinema cittadino, ma i riproposto in chiave farsesca: basti infatti dire che il protagonista, appunto lo smerorato di Collegno, sarà Totò. B poiché con lui reciteranno anche Nino Taranto, Erminio Macario, Aroldo Tieri (oltre che Yvonne Sanson e Bivi Lissiak) è chiaro che tutta la vicenda verrà rievocata in chiave comica e, naturalmente, dalla vicenda vera riprenderà poco più che lo spunta. Anche la conclusione, per non riaprire antiche diatribe fra i sostenitori dell'una e dell'altra tesi (poiché ancora ve ne sono), rimarrà nel vago: il produttore Buffardi ha infatti a suo tempo annunciato che la soluzione sarà a piacere dello spettatore.

Laura Bergagna, «Stampa Sera», 7-8 settembre 1962


La storia celebre di Canella e Bruneri ha ispirato al regista Sergio Corbucci il film Lo smemorato di Collegno dove il protagonista della vicenda che per anni ha appassionato gli italiani è impersonato da Totò: e da un Totò in forma smagliante. Accanto al nostro principe Antonio de Curtis c’è tutta una schiera di attori di noti al pubblico: da Nino Taranto, nelle vesti di uno psichiatra di chiara fama oppresso dal dubbio amletico della vera identità dello smemorato, ad Aroldo Tieri, generai manager della vedova, anzi della ex vedova, che è Yvonne Sanson, a Macario, nella parte di un pazzo alquanto saggio. Di equivoco in equivoco la vicenda ricalca le orme del famoso caso giudiziario di Pallanza con l'unica differenza che l'azione si svolge ai giorni nostri con un Totò reduce dall’ultima guerra mondiale dove ha combattuto con un cappello da alpino, un paio di pantaloni da cavalleggero e un pastrano della milizia.

«Corriere della Sera», 13 settembre 1962


Appena rinverdita da una trasparente trasposizione ai giorni nostri, la celeberrima e annosa storia di Canella e Bruneri é riproposta in chiave umoristica da Sergio Corbucci. L’argomento è azzeccatissimo e il film procede a rompicollo fra la mille sfaccettature dello sconcertante personaggio, contrappuntato dalla comicità di Totò. Reduce dall'ultima guerra dove, nei panni di un confuso militare, ha confusamente combattuto.

Totò, peregrinando da un ospedale all'altro in cerca di sé stesso diventa prima un caso clinico, poi un caso giudiziario, sempre peraltro assistito da una buona stella che lo fa approdare nelle accoglienti braccia di una focosa vedova ostinata nel non volersi ritenere tale. Le tribolazioni dallo smemorato Totò sono altrettanti pretesti a una comicità di buona lega che nasce tanto dalla situazioni quanto dall'efficace prestazione non solo di Totò ma anche di Nino Taranto nella parte dello psichiatra addetto alla risoluzione del caso, di Aroldo Tieri e di Yvonne Sanson.

Vice, «Il Tempo», 22 settembre 1962


Tra i pochi attori comici la cui caratterizzazione è oltretutto frutto di elevata capacità d'ingegno è senz'altro da annoverare Totò che, nella sua lunga carriera cinematografica ha dimostrato. Innumerevoli volte, d'essere non soltanto un personaggio più o meno buffo che promuove facilmente il riso, ma anche e soprattutto un artista preparatissimo e completo. A provarlo ancora una volta è questo film di Sergio Corbuccl in cui egli interpreta con rara efficacia la parte di uno smemorato che, alla ricerca affannosa di se stesso, riesce a polarizzare sul suo caso l’attenzione dell'opinione pubblica.

Riconosciuto da un'ereditiera come proprio marito egli finirà però in carcere perché accusato di complicità in un furto da un ladro al cui ricatto non ha voluto piegarsi, mentre una seconda donna ne reclama il «possesso» affermando di averlo sposato. Una situazione intricata per il poveruomo che tuttavia riesce in tribunale a dimostrare la sua onestà e il suo disinteresse e che alla fine, nuovamente libero, pur se ancora smemorato, si accosterà alla donna che lo aveva reclamato unicamente in nome di un nobile fine.

Ben congegnato nella trama. Il film rivela il suo pregio maggiore nel passaggio, condotto con abile e misurata cadenza dal farsesco al patetico sino a raggiungere, nelle inquadrature finali, accenti di toccante umanità. E questo ha dato modo all’attore di rivelare ancora una volta in maniera quanto mai convincente, tutta la sua arte. Accanto a Totò figurano ottimamente Nino Taranto, Erminio Macario, Aroldo Tieri, Yvonne Sanson e tanti altri bravi caratteristi, scelti con eccezionale cura. Una lode a parte merita il dialogo divertente e misurato. Buona la fotografia e piacevole il commento musicale di Piero Piccioni.

«Il Messaggero», 22 settembre 1962


Storia comico-patetica di uno smemorato postbellico che dopo aver pazientemente cercato per diciott'anni qualcosa o qualcuno che potesse aiutarlo a ritrovare almeno il nome, tenta la moderna via della pubblicità. Riesce a far interessare di sè i giornali e, con la pubblicazione della sua foto diventerà il centro dell’attenzione pubblica. Naturalmente cominceranno anche una serie di guai, di umiliazioni e di delusioni: il derelitto si troverà coinvolto in un gioco di interessi tra la vedova ed i fratelli di un certo ingegner Ballerini che vorrebbero sfruttare la sua disgrazia per i loro affari e si accorgerà che, anche con la notorietà che si è faticosamente acquistata, nessuno si interesserà di lui e avrà la minima intenzione di aiutarlo. Solo un cane solitario e sgangherato lo seguirà ovunque, sarà l'unico essere vivente che probabilmente sa il mistero dello smemorato e l'unico che gli rimarrà amico e vicino.

Come si vede la storia, che assai liberamente si richiama ad un famoso caso di amnesia che riempì le cronache del dopoguerra '15-'18, è una storia amara e sconsolata, fatta di solitudine e di egoismo, ma Totò è sempre lui e trova modo di Infilare ovunque le sue gags, le sue battute da pochade, i suoi gesti ormai familiari nei quali il suo pubblico lo riconosce e fedelmente lo segue. Sergio Corbucci, regista, ha saputo ben dosare gli spunti comici con i tristi, mantenendo il film ad un livello notevolmente superiore dei soliti filmetti macchiettistlci, senza calcar troppo la mano nel dramma. Con Tòtò, ottimo Riccardo Billi in una ben riuscita caratterizzazione di un ladruncolo, meno a fuoco Nino Taranto.

Vice, «Momento Sera», 23 settembre 1962


Le incongruenze

  1. Seduta in terrazza a leggere, la presunta moglie di Totò richiude il giornale sconvolta avendo visto una foto del marito scomparso. Aroldo Tieri prende quindi il quotidiano guarda la prima pagina e commenta la foto. La moglie però aveva riconosciuto Totò in una pagina interna
  2. Nella scena della visita dei fratelli a casa di Totò, il suono del campanello della porta sembrerebbe tipico di una suoneria dal telefono, ma non è tutto: Successivamente, nella scena in cui Aroldo Tieri è sotto al letto, il suono del telefono sembra esattamente un campanello da porta dell'epoca (ronzatore)

www.bloopers.it


I documenti

Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

Non certo eccezionale, ma interessantissimo, per la sfilata di grandi attori e per una dose di malinconia che viene istillata da alcuni tocchi di Totò e dall'intero ruolo di Elvi Lissiak, perfetta e dolente profuga istriana. Azzeccate, peraltro, sono tutte le interpretazioni, direi a partire dal grande Franco Volpi, che permettono di mantenere a galla il film nei momenti di stanca e in quelli un po' prolissi. Cameo del regista nella sala d'attesa di Viarisio.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Quel viso non mi è nuovo...".
I gusti di B. Legnani (Commedia - Giallo - Thriller)


Film piuttosto fiacco diretto da Corbucci ed incentrato su una storia di amnesia. Benchè sia meritoria la performance di Totò (grandioso vestito da suora), ottimamente coadiuvato da Nino Taranto, il film ha poche frecce al suo arco e tende ad annoiare per un rapido affossamento della sceneggiatura. Ripetitivo.
I gusti di Galbo (Commedia - Drammatico)


Totò non si discute (qui fa quel che può), ma la storia del processo stufa in fretta. Ci si deve così accontentare delle non molte gag riuscite, soprattutto con Nino Taranto (nome e cagnomo, lo spiraglio). Non male anche Macario (i moschini, il pensiero veloce, al processo). Totò vestito da suora è indimenticabile, soprattutto quando dice di aver fatto il militare. All’inizio, quando è rinchiuso in un bagno da ore, un tizio fuori gli dice: “Basta, esca!. E’ ora che la cosa cessi”. Per il resto, molte inutilità verbose e poca, vera comicità.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Nino Taranto: "Non ho avuto figli". Totò: "E sua moglie li ha avuti?".
I gusti di Puppigallo (Comico - Fantascienza - Horror)


Ispirato ad un famoso caso di cronaca degli anni Venti, un film meno divertente rispetto ad altri interpretati da Totò ma tutt'altro che disprezzabile: la storia di questo smemorato conteso fra due donne ha un epilogo molto triste che ne riscatta le incertezze a livello di sceneggiatura e definizione dei caratteri, anche se poi la chiusa, con Totò simil Mussolini che arringa la folla affacciato ad un balcone, riporta la lancetta sul registro comico. Di notevole pregio anche il cast che affianca il mattatore.
I gusti di Daniela (Azione - Fantascienza - Thriller)


Se è indiscutibile la grandezza di Totò, è pur vero che essa è una perla nel porcile dei tanti filmacci girati dal Principe. L'ennesimo alibi per lasciare a ruota libera Totò, questo film, cucito alla buona ma sempre con mestiere da Corbucci e aiutato da futuri bravi artigiani del nostro cinema. Da contrapporre allo spaesato protagonista dell'attuale sceneggiato tv; certi film di Totò, quelli più scrausi, sono ottime armi chimiche per paludate ricostruzioni in costume.
I gusti di Matalo! (Commedia - Gangster - Western)

Un De Curtis in gran forma (non solo comica) tiene banco in una commedia simpatica, con risvolti malinconici nella seconda parte. Accanto a lui un ottimo cast: da Taranto a Macario passando per Tieri, Pisu, Billi, Volpi e l'ancora affascinante Sanson. Qualche gag va a vuoto e non sempre il ritmo fila, ma una visione il film la merita.
I gusti di Rambo90 (Azione - Musicale - Western)


Fatto di cronaca che si presta perfettamente per una commedia teatrale che si svolge per lo più in un'aula di tribunale dove i protagonisti (imputato, testimoni, avvocati dell'una e dell'altra parte, financo il giudice e le figure macchiettistiche che assistono al processo) possono "esibirsi" e dare il loro apporto a quella che a tratti può sembrare una farsa. Dietro questo smemorato (un Totò che conia per l'occasione diverse sue famose battute) c'è tutto un mondo di profittatori, onesti e meno onesti. Finale stanco come il vecchio cane Fido.
I gusti di Saintgifts (Drammatico - Giallo - Western)


Ispirata dal noto fatto di cronaca, la pellicola si snoda su vari piani narrativi tutti regolati dalla verve comica del principe della risata, che mostra le sue sfaccettature più peculiari. Cast di altissimo livello con protagonisti e comprimari sempre molto appropriati; menzione per Macario, la Lissiak e la Sanson. Divertente.
I gusti di Nando (Commedia - Horror - Poliziesco)


Ispirata al caso Canella-Bruneri, è una commedia sempre in bilico sul dramma, nella quale Totò riesce a coniugare la sua immancabile energia comica con lo smarrimento del protagonista in cerca di un'identità. La struttura del film non riesce però a ottimizzare questo contrasto, ma il buon lavoro dei comprimari, in particolare Taranto, permette di dar vita ad alcune scene davvero brillanti. Belli anche i momenti di malinconia disseminati qui e là. Disomogeneo ma gradevole.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò vestito da suora; "Hai chiuso il bilancio? Riaprilo!"; Il finale.
I gusti di Belfagor (Commedia - Giallo - Thriller)


Tappa alquanto singolare nella filmografia di Totò poiché il film è un curioso ibrido tra il comico e il drammatico. Non mancano, infatti, quelle situazioni in cui l’attore si concede alle macchiette più pure e semplici, sorretto da una serie di spalle sempre all’altezza. Non si può non notare, però, l’influenza del soggetto; trattasi di un dramma acuito da una vena malinconica che esplode nel triste epilogo. Un episodio dal sapore agrodolce, soltanto ispirato alla vicenda di Bruneri e Canella, a cui si può concedere un’occasione.
I gusti di Minitina80 (Comico - Fantastico - Thriller)


Il 1962 fu un'annata fantastica per la filmografia di Totò, sia per prolificità che per la qualità di molti film; questo, però, fa solo numero e risulta persino un po' fiacco, con un Totò lasciato solo a sobbarcarsi tutto il lavoro. A dirla tutta, il dare carta bianca a Totò è sempre stato uno dei difetti principali nella costruzione dei suoi film: non è in discussione il valore del grande attore, un sempreverde della comicità che strappa le risa anche oggi, ma alla fine diventa un tappabuchi delle magagne della sceneggiatura.
I gusti di Rigoletto (Avventura - Drammatico - Horror)


Non il miglior film di Totò ma comunque nel complesso abbastanza divertente. Sicuramente la prima parte, quella con Totò rinchiuso in un manicomio, è la più simpatica; indimenticabile Totò vestito da suora che dà di matto nell'ufficio dell'onorevole. La seconda parte rallenta un po' mantenendo comunque un buon livello di scorrimento. Il finale malinconico stona con il resto del film, ma può starci.
I gusti di Taxius (Commedia - Horror - Thriller)


Il celebre caso Bruneri-Canella funge da pretesto per costruire un modesto film attorno a un immenso (come al solito) Totò. Ad assisterlo nel colmare i buchi di una fiacca sceneggiatura gli amici di sempre Nino Taranto e Mario Castellani, con il primo che si ritaglia con la sua arte una fetta considerevole di film. Buoni quasi tutti gli altri comprimari, che fanno onestamente la loro parte, il resto è piuttosto evanescente. I fratelli Corbucci hanno fatto di meglio, ma il Principe della risata merita sempre una (ri)visione. A prescindere.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Siamo in un paese che è un paese di eroi, navigatori, santi e sottosegretari" (Totò). Adesso ci sono rimasti solo i sottosegretari...
I gusti di Pessoa (Gangster - Poliziesco - Western)


Ispirato al famoso fatto di cronaca degli anni ’20, il film di Corbucci cerca di trattare in modo serio e realistico il tema della perdita dell’identità di un uomo in riferimento allo smarrimento dell’identità civile e sociale della Nazione italiana; tema complesso affrontato con la struttura del flashback e alternando lo smemorato Totò tra scene farsesche e momenti meditativi, provando a legare una timida satira di costume con gustosi riferimenti alla vita politica dei primi anni ’60 (l'apertura a sinistra). L'operazione è da giudicarsi fallita.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò vestito da suora; La perfetta intesa recitativa tra Totò e Nino Taranto.
I gusti di Graf (Commedia - Poliziesco - Thriller)


Lo smemorato di Collegno; Bruneri o Canella?

Il caso dello Smemorato Di Collegno è un importante fatto di cronaca verificatosi nel 1926. L’episodio, che divenne famoso nella cronaca giudiziaria degli anni ’20, ha ad oggetto la misteriosa scomparsa del Prof. Giulio Canella (dato per morto durante la prima guerra mondiale) e la sua sensazionale ricomparsa.

«Epoca», 1960


Al centro del dibattito sociologico e giudiziario vi furono le ragioni della scomparsa, i motivi della riapparizione ma, soprattutto, l’accertamento della identità del disperso.

L’appassionante vicenda dello Smemorato di Collegno inizia nel 1926 ed ha come scenario la Macedonia. Un gruppo di soldati, capitanati da Giulio Canella è impegnato sul fronte di Nikopole per la conquista di Monastir. Molti soldati vengono catturati dai guerriglieri bulgari e di loro si perdono le tracce. Giulio Canella è uno dei prigionieri. L’ultima volta, venne visto da altri commilitoni, con un grave ferita alla testa, catturato e trascinato dai soldati nemici.

Dopo l’imboscata, i militari italiani riuscirono ad organizzare un feroce contrattacco ed a a conquistare la fortezza di Monastir. Trovarono molti compagni morti ed interrogarono i prigionieri bulgari sulla sorte di Canella. Ma di lui, nessuna notizia. Il Capitano Canella venne inserito nella lista dei dispersi in guerra. Espressione che, nella vulgata militare, equivaleva a “è deceduto ma non abbiamo ancora individuato il cadavere”. La moglie di Canella, pur non rassegnandosi del tutto, è convinta che il marito è morto.

Il 6 Febbraio del 1927, ovvero 11 anni dopo l’episodio, la rubrica “Chi li ha visti”, edita sulla Domenica Del Corriere, pubblica in prima pagina la foto di un uomo, ricoverato presso il manicomio di Collegno dal 10 Marzo del 1926.



Di lui non si sà nulla. L’unico dato certo è che quell’uomo è stato arrestato dai Carabinieri di Collegno mentre vagabondava per le vie Torino, minacciando atti di autolesionismo ed il suicidio. I Carabinieri lo arrestano perchè sorprendono l’uomo a rubare un vaso di rame all’interno del cimitero israelita.

Dal dettaglio fotografico l’ignoto barbone sembra avere l’età di 45 anni.

Il misterioso individuo venne interrogato a lungo dalle forze dell’ordine, ma non se ne cavò nulla. Sembrava affetto da una fortissima amnesia e non ricordava nè le sue origini nè la sua identità.

Per queste ragioni, venne trasferito nel manicomio di Collegno ed identificato con il numero 44170.

La Sig.ra Concetta Canella, vista la foto pubblicata sulla Domenica Del Corriere, riconobbe le sembianze del marito.

Il 27 Febbraio del 1927 fu autorizzata ad entrare nel nosocomio per incontrare lo smemorato.

Per evitare qualsiasi condizionamento, l’incontro venne organizzato in modo casuale, autorizzando la donna a passeggiare nel chiostro del manicomio di Collegno alla presenza degli ospiti della struttura.

La donna, incontrato lo smemorato, affermò immediatamente trattarsi del marito scomparso. Al contrario, lo smemorato non manifestò alcun segno di recupero mnemonico e non si accorse della presenza della moglie.

Tuttavia, in un secondo incontro, lo smemorato affermò che la donna aveva una fisionomia familiare e che stavano affiorando alcuni ricordi perduti.

Nel terzo incontro, lo smemorato e la Canella si abbracciarono.

In un quarto incontro, la Canella confermò di riconoscere il marito mentre lo smemorato di Collegno dichiarò di ricordare di avere dei figli ed avviò un percorso di recupero della memoria perduta.

Nel mese di Marzo del 1927, lo smemorato di Collegno venne ufficialmente identificato nel Capitano Giulio Canella. Venne dismesso dal manicomio e tornò a Verona, nell’abitazione della moglie Concetta.

La notizia andò sulla prima pagina di tutte le testate giornalistiche: un uomo, dato per morto, recupera la memoria, i propri ricordi, la propria identità, la famiglia, la vita.

L’episodio dava speranza a tutti i genitori, le mogli ed i figli che non avevano più notizia dei loro cari dispersi in guerra.

A dispetto del fragore della vicenda, lo smemorato non venne mai intervistato nè interpellato.

Di lui non si sapeva assolutamente nulla. Sopratutto restava il più fitto mistero su quello che era accaduto in quei lunghi nove anni. Cosa era realmente accaduto? Cosa aveva fatto? Dove aveva vissuto?

Si verifica un clamoroso colpo di scena. Pochi giorni dopo l’apparente risoluzione della vicenda, esattamente il 7 Marzo del 1927, la Questura di Torino riceve una lettera anonima, in cui si afferma che lo smemorato di Collegno, in verità, non era Giulio Canella ma Mario Bruneri, un tipografo torinese scomparso nel medesimo periodo.

Mario Bruneri era un anarchico, ricercato dalla polizia del Regno fin dal 1922 per reati di sedizione politica ed altri numerosi fatti delittuosi (tra cui truffa e lesioni personali, appropriazione indebita).

Durante la latitanza, Bruneri era stato avvistato prima a Milano e poi a Padova in compagnia di una donna, tale Camilla Ghidini.

Dopo alcuni accertamenti sommari, il Questore di Torino dispone l’arresto dello smemorato, identificandolo non più come Giulio Canella ma come Mario Bruneri.

Il 9 Marzo del 1927 furono avviate complesse procedure di riconoscimento.

Fu, in primo luogo, contattata la moglie di Bruneri, Rosa Negro che riconobbe subito il marito. Analogo riconoscimento fu effettuato dal piccolo Giuseppe, figlio del Bruneri. Seguì l’identificazione da parte del fratello Felice , delle sorelle Matilda e Maria e persino dell’amante Milly.

Dagli atti dell’epoca risulta che lo smemorato, dopo questa serie di riconoscimenti, ebbe un collasso e svenne.

Nonostante tutto, i Canella (in particolare Concetta) accusarono i Bruneri di avere spudoratamente mentito per assecondare la Polizia.

Lo smemorato venne sottoposto ai rilievi digitali, fu definitivamente arrestato e tradotto presso le strutture del manicomio.

L’11 Marzo del 1927, le impronte digitali dello smemorato (acquisite nell’immediatezza dell’arresto) vennero confrontate con quelle del presunto Giulio Canella (autore del furto presso il cimitero di Torino) e quindi con quelle del pregiudicato Mario Bruneri (già a disposizione del gabinetto di polizia scientifica di Torino).

L’esito di questi raffronti appurò che lo smemorato era in realtà proprio Mario Bruneri e non Giulio Canella.

Concetta Canella si oppose al riconoscimento ed avviò una lunga campagna tesa a raccogliere prove e dimostrare che lo smemorato non era Mario Bruneri ma il marito Giulio Canella.

Il caso approdò nelle aule di giustizia ed interessò il famosissimo giurista Francesco Carnelutti ed il gerarca fascista Roberto Farinacci.

Il 23 Dicembre del 1927, il Tribunale ordinò la scarcerazione dello smemorato, dichiarando non raggiunta la prova dell’identificazione in Mario Bruneri. La difesa dell’Avvocato Carnelutti fù determinante nel dimostrare l’insufficienza e contraddittorietà del teorema accusatorio.

A questo punto intervenne la madre di Bruneri che si dichiarò certa che l’intera operazione fosse stata orchestrata dal figlio Mario.

La famiglia Bruneri si rivolse al Tribunale di Torino chiedendo un nuovo accertamento.

LA COMPLESSA VICENDA GIUDIZIARIA

Il 28 Novembre del 1927, il Tribunale di Torino accerta l’identità dello smemorato: si tratta di Giulio Canella.

Il 5 Novembre del 1928, il Tribunale di Torino, a seguito del ricorso proposto dai Bruneri, ribalta il verdetto: lo smemorato è Mario Bruneri.

Il 7 Agosto del 1929, la Corte Di Appello Di Torino conferma che lo smemorato è Mario Bruneri.

L’11 Marzo del 1930, la Corte di Cassazione annulla la sentenza della Corte di Appello di Torino e rinviò gli atti alla Corte di Appello di Firenze.

Il 2 Maggio del 1931 la Corte di Appello di Firenze, disattendendo la Cassazione, confermò che lo smemorato era Mario Bruneri.

I Canella propongono un ulteriore ricorso per Cassazione ed, a questo punto, la Corte si pronuncia a Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite, dopo un accesissimo dibattito (con sette giudici contrari e sette favorevoli) decise con il voto determinante del presidente D’Amelio (invitato da Alfredo Rocco a chiudere immediatamente il processo).

La Suprema Corte, il 25 Dicembre del 1931, decise che lo smemorato era Mario Bruneri.

Come possiamo notare da questi articolati passaggi, sul fatto regnò la confusione più assoluta e l’identità dello smemorato di Collegno, in realtà, non fù mai scientificamente provata.

La Cassazione, costretta ad emettere una decisione, optò per Bruneri, chiudendo la vicenda solo sotto il profilo giudiziario.



LO SMEMORATO ERA BRUNERI O CANELLA?

E’ estremamente difficile, ancora oggi, rispondere a questa domanda.

Negli anni venti e nei primi anni ’30, l’opinione pubblica era completamente divisa.

Molti sostenevano che lo smemorato era Canella perchè mostrava un livello culturale e comportamenti incompatibili con il passato di Bruneri (uomo rude e dedito al crimine).

Non solo, ma Canella venne identificato da 25 parenti e da oltre 145 conoscenti.

Altri sostenevano che lo smemorato era Mario Brumeri, forti delle indagini scientifiche effettuate e sopratutto per la testimonianza resa da illustri personaggi dell’epoca (come padre Agostino Gemelli e Della Torre). Inoltre, anche Bruneri, come Canella, si dilettava di filosofia.

Anche i più accreditati neuropsichiatri si divisero sul caso: Mario Carrara (genero di Lombroso) ed Ernesto Lugaro optarono per Bruneri, altri per Canella.

Frattanto, a seguito della sentenza definitiva, la Cassazione dichiarò l’illegittimità dei figli avuti da Concetta Canella con lo smemorato (durante il periodo del suo “ritorno” a casa).

LE VICENDE SUCCESSIVE

La vicenda dello smemorato di Collegno destò scalpore ed alimentò il giudizio morale dell’opinione pubblica.

Concetta Canella, a causa dell’ambiente sfavorevole creatosi, fù costretta ad espatriare in Brasile con il proprio convivente (lo smemorato).

Alcune testate giornalistiche avanzarono l’ipotesi che neppure la Sig.ra Canella credesse nella identità del marito e che la sua pervicacia tendesse a coprire quanto più possibile lo scandalo che sarebbe derivato dall’accertamento della verità e dalla convivenza ormai intrapresa con Bruneri.

Il Governo brasiliano registrò lo smemorato come Julio Canella, il quale intraprese una brillante carriera come professore di filosofia.

Morì a Rio De Janeiro, il 12 Dicembre del 1941.

Concetta Canella sostenne sempre che lo smemorato fosse il marito. Morì anche lei in Brasile, nel 1977.

UN ULTERIORE COLPO DI SCENA

Dopo la conclusione della vicenda giudiziaria, la Sig.ra Taylor, nobildonna inglese, si presentò ai giudici milanesi rendendo una clamorosa deposizione.

La donna affermò di avere conosciuto un mendicante nel 1923. Lo aveva trovato per strada, in stato confusionale e vestito da militare. Entrando in confidenza, il mendicante le avrebbe raccontato di avere combattuto in guerra, di avere perso la memoria e non ricordare molti particolari della sua vita. Ricordava, soltanto, di avere una famiglia ma non sapeva dove abitava e dove si trovava.

Una lattaia milanese, tramite il mendicante, sarebbe entrata in contatto con la Taylor.

Le due donne familiarizzarono, ma erano sorprese dai continui cambiamenti di umore che manifestava il mendicante, tanto da ipotizzare che si trattava di due persone diverse: una era Giulio Canella e l’altra Mario Bruneri.

A riprova di ciò, fù dimostrato che una giacca donata dalla Sig.ra Taylor era passata di mano tra i due personaggi.

La Taylor alluse al fatto che Bruneri avesse assunto da Canella numerose informazioni sulla vita familiare, poi utilizzate nella messinscena della falsa identità e perdita di memoria.

In sostanza, secondo la Taylor, Bruneri, sfruttando la somiglianza fisica con Canella e forte delle informazioni acquisite, avrebbe assunto la sua identità per sfuggire alla legge.


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo.

Il carcere da dove esce Totò e dove ad attenderlo c'è solo il cane Fido è il solito carcere di San Michele in Via di San Michele a Roma

Sempre lì, poco dopo, Totò incontra la signora Polacic che in tribunale aveva finto di riconoscerlo come suo marito

Un'immagine ancor più chiara del posto, al momento dell'incontro. Grazie a Neapolis per fotogrammi e descrizioni

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Riferimenti e bibliografie:
  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • Alberto Ceretto, «Corriere della Sera», 29 maggio 1962
  • Settimanale «Epoca0187, 1960
  • Settimanale «Noi donne», 1960

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