Totò, Peppino e... la dolce vita
Antonio Barbacane
Inizio riprese: novembre 1960, Stabilimenti Titanus Farnesina, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 23 febbraio 1961 - Incasso lire 387.856.000 - Spettatori 1.999.258
Titolo originale Totò, Peppino e... la dolce vita
Paese Italia - Anno 1961 - Durata 90’ - B/N - Audio sonoro - Genere comico - Regia Sergio Corbucci, Nino Zanchin (aiuto) - Soggetto Steno, Lucio Fulci - Sceneggiatura Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi, Mario Guerra - Produttore Mario Mariani, Gianni Buffardi per MB film, Armando Morandi (ispettore), Giancarlo Sambucini(ispettore), Danilo Marciani(direttore), Dino di Salvo (segretario) - Fotografia Alvaro Mancori - Montaggio Renato Cinquini - Musiche Armando Trovajoli - Scenografia Piero Filipponi - Costumi Maria Baroni - Trucco Nilo Jacoponi (trucco), Carlo Sindici (parrucco)
Totò: Antonio Barbacane e il nonno Barbacane - Peppino De Filippo: Peppino Barbacane - Mara Berni: Elena, moglie di Guglielmo e amante di Oscar - Francesco Mulè: Guglielmo, detto Guco - Rosalba Neri: Magda, l'amante di Guglielmo - Antonio Pierfederici: il conte Oscar - Gloria Paul: Patrizia, la straniera bruna - Peppino De Martino: il ministro - Tania Berjll: Alice, la straniera bionda - Daniele Varcas: il marchese Daniele - Giancarlo Zarfati: il piccolo Renato, aiutante di Antonio - Dina Perbellini: Luisa Giovanna, amica della baronessa - Irene Aloisi: la baronessa Renata Francesca - Jacqueline Pierreux: Jacqueline, la festeggiata al party - Franco Rossellini: Franco, un invitato - Jo Staiano: un omosessuale, invitato al party - Carlo Di Maggio: il giocatore di strip-poker - Mario Castellani: il presidente della S.p.a. - Franco Bracardi e The Flippers il suo complesso - Mario De Simone: Pasquale, un compaesano di Peppino - Nino Vingelli: un trafficante - Nino Milano : un altro trafficante - Sergio Corbucci: il signore che aspetta il suo turno al telefono pubblico - Mimmo Poli: un ladruncolo - Nello Appodia: il cameriere del night
Soggetto
Antonio Barbacane (Totò) viene mandato dal ricco nonno a Roma per cercare di corrompere dei politici affinché spostino il tracciato di un'autostrada sulle proprie terre al fine di aumentarne il valore. Egli, invece di provvedere, si abbandona ai piaceri della capitale pur non avendo un lavoro fisso. Per controllarne l'operato viene inviato lì suo cugino Peppino (Peppino De Filippo), segretario comunale del paese, moralista ed integerrimo a tal punto da far rimuovere i manifesti del film La dolce vita. Sulle prime Peppino non è disponibile alla missione ma si convince una volta che Pasquale un suo compaesano gli legge una lettera di Antonio in cui dava posti, si negava ad Anita Ekberg e dava consigli a Fanfani. Antonio invece sta sbarcando il lunario come posteggiatore abusivo a via Veneto dove però è conosciuto da tutti. Arrotonda infatti gli incassi con i servizi che procura ai nobili, frequentatori di quel posto: vende a credito pacchetti di sigarette, presta denaro con interessi anticipati anche a babbo morto, procura donnine allegre a chi ha voglia di divertirsi, mette in contatto i venditori coi clienti interessati all'acquisto di automobili di lusso. Un certo presidente della S.p.a. tramite un amico, il conte Oscar, è in attesa di ricevere una partita di coca. I venditori sono pedinati dalla polizia e poco prima di essere arrestati riescono a liberarsi della merce facendola scivolare nella tasca del cappotto del conte. Questi per evitare problemi avvicina Antonio, suo conoscente, con un pretesto, gli fa indossare il cappotto e lo invita al 'Pipistrello', un night-club alla moda, con quel vestito. Questo abito lo fa apparire benestante al cospetto di Peppino che, dopo essere stato coinvolto involontariamente in una scazzottata prontamente fotografata dai paparazzi, trova Antonio su quella strada. Rifiutati i rimproveri del nonno portati da Peppino, Antonio lo porta in giro. Due belle straniere dopo aver litigato con i loro uomini per ripicca li abbandonano e vanno a fare la conoscenza dei due Barbacane seduti a un tavolino. Antonio sfrutta l'ignoranza di Peppino per parlare in un ipotetico inglese ma per loro fortuna le ragazze comprendono l'italiano e accettano con entusiasmo la proposta di portarle a ballare al 'Pipistrello'. Sebbene i due non siano frequentatori di locali non mostrano alcun disagio divertendo le ragazze e portando confusione. A un certo punto della serata arriva Oscar che si fa notare da Antonio per recuperare la scatola, ma lui finge di non vederlo. Il conte a questo punto lascia andare Elena la sua amante a perquisire Antonio impegnato in pista con la straniera, ma invano. Antonio infatti ha aperto l'astuccio e credendo che fosse borotalco ne ha diffuso il contenuto nell'aria eccitando tutti i presenti. Il nonno intanto sta sorvegliando i nipoti di nascosto e depreca i loro comportamenti.
E' notte alta e Peppino è ubriaco e stanco. Antonio lo colloca nel bagagliaio di un'auto in sosta nella quale si accomoda per riposare. Ma la macchina non rimane lì tutta la notte: il suo proprietario, l'avvocato Guglielmo detto Guco, infatti la porta via accompagnato dalla sua amante Magda. Svegliatosi Antonio, su richiesta della ragazza alla ricerca di un posto tranquillo e originale, li conduce a casa sua, una dimora allagata e abbandonata. Mentre sono lì due ladri tentano di rubare la ruota di scorta dell'auto in sosta ma alla vista di Peppino nel bagagliaio, temendo che sia morto, fuggono impauriti. La ragazza intanto dopo i primi entusiasmi si è annoiata e all'insaputa di Antonio i due amanti vanno via portando con loro il dormiente Peppino. Il giorno dopo Antonio arringa 300 dimostranti tutti posteggiatori abusivi per sollecitare la regolarizzazione della categoria. Alla vista della polizia il comizio non autorizzato si interrompe e Antonio viene condotto dinanzi al ministro a cui manifesta il desiderio di autorizzare almeno la sola sua posizione. Intanto Peppino si sveglia e liberato da Guco riconosce nella di lui moglie Elena l'amante del conte al 'Pipistrello'. Antonio è alla vana ricerca di Peppino tra i bagagliai delle auto in sosta quando s'imbatte nel ministro intento a recarsi negli studi di un programma televisivo. Antonio lo insegue osservato dal nonno e mescolandosi tra i giornalisti della tribuna elettorale, manifesta in tivù il suo disagio, sostenuto dai giornalisti stessi e poi cacciato dalla trasmissione. Tornato a via Veneto Peppino, che aveva visto il cugino in tivù, con sua sorpresa lo ritrova questa volta in tenuta da posteggiatore. Antonio si giustifica con la scusa di mimetizzarsi agli agenti delle tasse per non pagare troppe tasse e continua a illuderlo di avere parlato al ministro del problema della strada. Intanto arriva Renata Francesca, la baronessa che lo invita con lei a un party col proposito segreto di fargli pagare il pieno dell'auto. Il nonno, che è sempre sulle loro tracce, li segue in taxi. Fanno benzina e qui Antonio ritrova il ministro che sotto pressione gli da la sua parola d'onore di dargli l'agognato posto, quando la radio informa che il governo era caduto già da un'ora. Alla festa ci sono tutti: Magda, Guco, il presidente della S.p.a., Oscar, Elena in attesa di festeggiare il centesimo amante di Jacqueline.
Giunti sul posto Antonio confessa a Peppino di non avere più una lira, di sopravvivere facendo il posteggiatore e che la S.p.a., di cui è presidente, significa società posteggiatori abusivi. Peppino si sente perso, su quell'aiuto contava molto. Antonio lo persuade prima a spararsi, poi a dimenticare i suoi problemi almeno per quella notte, invitandolo a partecipare a quella festa malgrado il rischio di perdere l'eredità. I comportamenti degli invitati sono disinibiti e promiscui, annoiati e infantili. I due cugini, invitati alla seduta spiritica condotta dalla medium Norma per stabilire un contatto con le anime dei morti, vengono terrorizzati dalla comparsa di un fantasma. Reagiscono allo scherzo di Franco con parole grosse alle quali devono porre rimedio con una sfida a duello con un tal de' Pitoni. Ma anche questo in realtà è uno scherzo e il festino riprende. Irrompe furibondo il nonno che li rimprovera di aver abbandonato le consegne ricevute e di essersi dati alla brutta vita. Spediti al paese i nipoti, mentre vivono tra le pecore, ricevono una lettera del nonno. Sarà lui a occuparsi degli affari di famiglia iniziando proprio da via Veneto dove anche lui però si è lasciato travolgere dalla dolce vita.
Critica e curiosità
Il film, programmato tre anni prima dalla DDL su soggetto di Steno e Fulci dal titolo "Totò e Peppino in via Veneto", viene prodotto dalla MB film di Gianni Buffardi, marito di Liliana de Curtis, genero di Totò utilizzando parte della costosa scenografia della ricostruzione di via Veneto utilizzata nel film "La dolce vita". La prima scena a via Veneto viene girata da Camillo Mastrocinque che però alcuni giorni dopo, a seguito di contrasti con la produzione, decise di abbandonare il set. La regia venne quindi affidata a Sergio Corbucci e la sceneggiatura scritta man mano che procedette la lavorazione della pellicola: le scene vengono abbozzate poche ore prima del ciak, e affidate alla rifinitura o allo stravolgimento dei due primi attori.
Quando Totò, in qualità di presidente del Sindacato Posteggiatori Abusivi, aizza la folla con un discorso in cui chiede un parcheggio al sole, parodia ben tre personaggi storici: Karl Marx («Abusivi di tutti i posteggi urbani e interurbani, unitevi!», che fa il verso al celebre appello del Manifesto del Partito Comunista), l'abate Sieyès («Che cosa chiediamo noi? (...) Che cosa abbiamo ottenuto finora?», con riferimento al famoso pamphlet Che cos'è il Terzo Stato?) e Benito Mussolini («Abbiamo pazientato 40 mesi: ora basta!», che riecheggia il discorso con cui il Duce annunciò l'invasione dell'Etiopia).
Il regista Sergio Corbucci appare nel film in veste di attore in due sequenze esilaranti. È il cliente del bar che vuole telefonare e mette fretta a Peppino (che in quel momento sta utilizzando il telefono pubblico del locale) disturbandolo con il rumore dei gettoni che fa nervosamente saltellare nella propria mano (quando lo vede, Peppino esclama tra sé seccato "Ecco, è arrivato il campanaro")
Anche in questo film la mano della commissione censura si fa sentire: divieto ai minori di 16 anni a patto che vengano scorciate numerose scene. Salta tra le altre una scena giudicata “contraria al sentimento religioso”, in cui Totò inseguiva dentro una chiesa Peppino De Martino, ministro “democratico e cristiano”, andandosi a inginocchiare accanto a lui. Viene esclusa una scena considerata volgare in cui Totò e Peppino prendono in giro i personaggi della "dolce vita" con riferimento all'Odissea: «Qui, guardati intorno, sono tutti Proci!» dice Totò e Peppino risponde: «Me ne sono accorto»; ribatte Totò: «Oggi essere Procio è un titolo d'onore. Io, per esempio, se fossi in te, dato che hai anche il fisico, modestamente, fatti Procio!» e ancora «Tu sei scemo!», «Fatti Procio!», «Ma vattene!».
Così la stampa dell'epoca
Totò rifarà la «Dolce vita»
Roma, 29 febbraio.
Il principe Antonio De Curtis, Totò, ha firmato un contratto cinematografico che lo impegna ad «entrare in dolce vita». Il successo di cassetta della felliniana «Dolce vita» ha indotto altre produzioni a sfruttare, come del resto avviene ogniqualvolta un film piace al pubblico, la fortuna di un titolo. Così si annuncia già una parodia della pellicola di Fellini. Si intitolerà «Totò e la dolce vita». Le riprese cominceranno in aprile.
«Corriere d'informazione», 1 marzo 1960
Totò si è ispirato ad un film sulla dolce vita
"La natura qui è divina - ha detto - ma l'ambiente è quello di un cattivo teatro di rivista"
Cannes, agosto.
Sulle terrazze del Carlton, all'ora dell'aperitivo serale, si possono incontrare curiosi personaggi. Con gli occhialoni neri e il suo mento a galoche, arriva Totò che qui è tanto celebre come principe di Bisanzio quanto come attore comico. Quest'estate ha bordeggiato in panfilo tra Cannes e St. Tropez, ma la città di B.B. e di Sacha Distel non gli piace: «La natura è divina, dice, ma l'ambiente è quello di un cattivo teatro di rivista». Ora, tornato a Roma, deve affrontare ben cinque film, fra cui uno intitolato «Totò e la dolce vita» che sarà, sembra, una parodia di quello di Fellini. [...]
m.r. «Stampa Sera», 29-30 agosto 1960
«Epoca», 1960. Inchiesta sulla "dolce vita" notturna a Milano |
Sergio Corbucci, dopo aver firmato numerosi copioni rivistaioli, è passato al cinematografo, dirigendo questa ennesima puntata della serie Totò, Peppino e...[..] Parodia condotta non tanto secondo un gusto di piacevole divertimento, ma spesso con mano e allusioni più equivoche, di pornografia fine a se stessa.
Mauro Manciotti, 1961
Fosse almeno una parodia del film di Fellini! [...] Totò e Peppino fanno del loro meglio per salvare il film dal mare di banalità
Corriere Lombardo, 1961
È molto tempo che non recensisco un film di Totò. Vederli fa bene alla salute, perciò colgo l’occasione della proiezione di questo Totò, Peppino e la dolce vita per tessere di nuovo l’elogio del principe Antonio de Curtis. Ogni suo film è un bene prezioso, come un gioiello. I negativi della miriade dei suoi lavori dovrebbero essere conservati in una cassaforte, a Fort Knox. C’è voluto molto tempo perché ci si accorgesse della grandezza di Totò, della sua genialità, paragonabile solo a quella dei fratelli Marx, di Chaplin, di Keaton.
Walter Veltroni
Nel novembre del '60 un redattore di «La Fiera del Cinema» si intrufola nel teatro n. 3 della Titanus Farnesina. Sono le otto di sera, la troupe sta facendo gli straordinari. Camillo Mastrocinque gira la prima scena di Totò, Peppino e... la dolce vita, prodotto da Gianni Buffardi, il marito di Liliana de Curtis. Davanti a vetrine, tavolini e aiuole simili a quelle di via Veneto, Dina Perbellini e Irene Aloisi, nobildonne romane, si intrattengono «democraticamente» con Totò, posteggiatore abusivo, divorandogli sotto i suoi occhi il piatto di pastasciutta che il pover'uomo si è appena cucinato.
Alberto Anile
Totò interpreta Antonio Barbacane. Il film è la parodia dell'omonimo capolavoro di Federico Fellini e ne riproduce la tipica atmosfera in chiave farsesca. Antonio Barbacane, un posteggiatore abusivo, e il cugino Peppino (Peppino De Filippo), entrambi alla ricerca di una sistemazione dignitosa, si ritrovano a Roma, cedendo alle lusinghe della dolce vita. Ne seguono parecchie avventure, come la serata in un night con due belle straniere e il party peccaminoso in un castello, con tanto di seduta spiritica.
Matilde Amorosi
Totò (guardamacchine a via Veneto) e Peppino De Filippo (il cugino venuto dal paese convinto che l'altro, con le sue « influenze ». si stia adoperando per far modificare il percorso duna autostrada) si trovano a girare nel giro vorticoso della dolce vita, ricalcata in chiave comica, quasi episodio per episodio, sul film di Fellini.
Si tratta dunque d'una storia nata da spunti d'attualità (taluni anche originali, come quello del posteggiatore abusivo che si fa confidente, mezzano, finanziatore, ecc. dei suoi clienti) e dal coordinamento di situazioni il cui lato comico è già noto al pubblico. Una storia, insomma, che fa ridere subito ma superficialmente. Un non del tutto felice incontro tra la vena (autentica) di Totò e di Peppino con i modi mediocri, distratti, puramente commerciali dei film improntati ad ima pseudo satira di costume. Per questo incontro Corbucci. il regista, e il numeroso cast di attori hanno fatto del loro meglio. Possono essere ricompensati con quattro risate casalinghe.
«Il Messaggero», 1 aprile 1961
Totò, posteggiatore «abusivo» davanti ai caffè di via Veneto, è suo malgrado trascinato nelle vorticose follie della «dolce vita», insieme al cugino Peppino de Filippo, giunto dalla campagna. Night-clubs, bellimbusti in cerca di droghe, straniere bislacche in cerca di uomini fanno da sfondo a Totò, Peppino e... la dolce vita, di Sergio Corbucci, che vorrebbe essere la parodia del famoso film di Fellini, ma è soltanto una stanca farsa vociante e inconcludente. Fra tanta sciatteria si salva, a tratti, la pirotecnica bravura dei due comici, ai quali si devono augurare canovacci meglio ideati e eseguiti.
«Corriere della Sera», 2 aprile 1960
Debolissima parodia al film di Fellini con Totò, posteggiatore abusivo in via Veneto, e Peppino De Filippo giunto dalla campagna a cercare raccomandazioni che si trovano negli ambienti della «dolce vita». Mancando ogni trovata, il pubblico si deve accontentare della generica bravura dei due comici.
«Corriere dell'Informazione», 4 aprile 1960
Peppino Barbacane (Peppino De Filippo) è segretario comunale di un paesino del sud. Amministratore onesto e zelante, almeno nelle apparenze, Peppino si rende interprete del desiderio dei suoi concittadini, e in special modo del vecchio nonno, ricco proprietario terriero, e si batte da anni perché l'autostrada nazionale passi attraverso il piccolo centro. Se ne è interessato, bombardando il Ministero, a Roma, di esposti e di domande, finché il nonno non ha deciso di «spedire» a Roma un altro suo nipote, Antonio Barbacane (Totò). Con la burocrazia, si sa come succede: chi vuole vada, chi non vuole scriva. Cosi Antonio è venuto a Roma, sovvenzionato dai compaesani e dal nonno. Dalle lettere che scrive al paese si direbbe, infatti una specie di « re di via Veneto » : conosce uomini politici, stelle del cinema e aristocratici, ed è anche presidente di una non meglio identificata S.P.A.
La verità è che egli è semplicemente uno scalcinatissimo custode di posteggio abusivo nella celebre strada e in questo senso fa muovere ai propri ordini le dive e i personaggi importanti, guidandoli quando posteggiano la macchina ; in questo senso ha in mano via Veneto. La Società S.P.A. non è altro che il « Sindacato Posteggiatori Abusivi ». Insospettiti per un silenzio più lungo del solito, il nonno e i paesani mandano a Roma Peppino per toccare con mano la situazione e vedere a che punto è la pratica per la benedetta autostrada.
Quando i due cugini s'incontrano a via Veneto, Antonio sembra un vero signore, per via di un cappotto con pelliccia che uno stravagante aristocratico (Antonio Pierfederici) gli ha messo sulle spalle, in quanto l'indumento « scotta » : in una tasca vi è un barattolo di borotalco pieno di cocaina, e l'aristocratico se ne è liberato, perché inseguito dalla polizia.
Perché non crolli il suo prestigio di fronte a tutto il paese, Antonio è costretto a recitare la parte dell'uomo importante che saluta e conosce tutti, e per fare degnamente da cicerone a Peppino accetta di portarselo dietro nel « night » dove egli ha appuntamento con l'aristocratico, per restituirgli il cappotto. I due fanno conoscenza di due belle straniere (Gloria Paul e Taina Be-rjll) che, avendo litigato con i rispetti mariti, per vendicarsi cercano la compagnia dell'amante latino. Al night, ubriachi di whisky e di droga ( il « borotalco » che Antonio ha spruzzato su qualche macchia ha finito per « vaporizzare » in tutto l'ambiente), i due cugini combinano un indescrivibile parapiglia, con spogliarelli e scazzottature finali.
Le notti romane della dolce vita sono lunghe e imprevedibili. Peppino finisce nel capace portabagagli di una grossa auto straniera, mentre Antonio porta nella sua casa « allagata » di periferia («stile veneziano », perché è una specie di laguna) una coppia in cerca di emozioni (Francesco Mulè e Rosalba Neri).
Sempre alla ricerca delle gioie della presunta dolce vita, i due cugini vengono imbarcati a via Veneto su una macchina di stravaganti personaggi, che vanno ad una festa in un castello. Qui Antonio butta la maschera e rivela al cugino di essere un povero posteggiatore abusivo, per niente preoccupato del problema dell'autostrada. Peppino dapprima è scandalizzato, ma poi getta a sua volta la maschera: non potrà fare uno scandalo, non potrà dire al nonno che Antonio è un poco di buono, perché anche lui ha molte cose da nascondere. Infatti Peppino ha sottratto forti somme di denaro dalla cassa comunale del paese per accontentare la bella moglie del farmacista del paese di cui è l'amante. Che fare, adesso? Non c'è molto da scegliere, e poi, tutto sommato, quello che stanno facendo a Roma è tutt'altro che sgradevole.
I due cugini si gettano nel vortice della dolce vita, nel grande castello, dove s'imbattono con i personaggi più impensati, e vivono divertenti e paradossali avventure. Ma sul più bello arriva il vecchio nonno che dice di sapere lui come risolvere tutto.
Soluzione: Antonio e Peppino, con i calzari dei pastori abruzzesi, sorvegliano le greggi del nonno, mentre questi se ne sta a via Veneto, sprofondato in poltrona e attorniato da bellissime donne, a godersi la dolce vita.
«Alta Tensione», anno VII, n.141, 10 aprile 1961
Della serie dei Totò e Peppino, questo che fa la parodia al blasonato film di Fellini non è peggiore degli altri confrotelli. Ripercorre sommariamente l'itinerario felliniano, propone ancora una volta la recita quasi a soggetto dei due comici, che appaiono sullo schermo senza interruzione. Battute e riferimenti non hanno niente di cerebrale, ma riescono ugualmente a far ridere. Prestando un orecchio a parte può interessare la colonna sonora del bravo Trovajoli.
Tuttavia di «Totò, Peppino e la dolce vita» vale dire anche per un fatto di cronaca. E' infatti uno di quei film contro cui, in clima pasquale, si sono esercitate le forbici dei censori, che dopo aver eliminato uno spogliarello di Mara Berni hanno tagliato anche una sequenza di quelle dove appare Peppino De Martino, già «spalla» di Rascel in film e riviste, e qui nei panni di un ministro che fisicamente ricorda l’on. Fanfani.
«Il Piccolo», 18 aprile 1961
Molto più trita è la formula di Totò, Peppino e... la dolce vita che il regista Sergio, Corbucci ha desunto da un soggetto di Steno e Fulci. Il quale soggetto è appunto quella formula, consistente nei prendere un film di grande successo, e rivoltarlo in farsa. Al solito l'invenzione è tanto povera e la comicità così grossolana, che ci pare superfluo trattenerci sull'accozzaglia di casi che vi tengono luogo di vicenda. Eppure la risata il filmetto la strappa piuttosto spesso; e non tanto per la rozza caricatura di alcuni passaggi del film felliniano (via Veneto, i paparazzi e scampoli di orge nobiliari o come qui si dicono, «orgiate»), e molto meno per la solita macchinetta degli equivoci, quanto per il duetto serrato e quasi sempre spassoso dei due protagonisti Totò e Peppino, in figura di due cugini campagnoli burlescamente travolti dalle delizie della dolce vita romana. Il regista si è loro affidato a occhi chiusi, e col copione che si ritrovava, ha fatto benissimo.
l. p. (Leo Pestelli) «La Stampa», 20 aprile 1961
TOTO' PEPPINO... E LA DOLCE VITA, di Sergio Corbucci, con Totò, P. De Filippo, Mara Derni. Italiano (Cinema: Doria). Ecco un altro filmetto parassitario di un altro, il rovescio parodistico della Dolce vita di Fellini. Si sa purtroppo come vengono eseguite queste rivolture: col filo bianco della più grossolana comicità. Totò, Peppino ecc. non fa certo eccezione alla regola, è una farsa tirata via sull'occasione, e puntellata dai più vieti equivoci. Ma ha però quei due protagonisti, e questo gli basta per strappare le risate. I due comici sono particolarmente in vena e legano fra n «America di notte» loro ottimamente. Totò è il presidente d'una società Spa (Società Posteggiatori Abusivi), cioè un poveraccio che messosi a fare il custode di auto In via Veneto vi è diventato una macchietta nota a tutti. Peppino è un suo cugino campagnolo che credendolo davvero un gran personaggio, viene per raccomandargli una certa pratica che interessa il suo paesello. Sui due scatta la morsa della dolce vita romana, e il gioco, un facile gioco, è fatto.
l. p. (Leo Pestelli) «Stampa Sera», 20-21 aprile 1961
La censura
Domanda di prima revisione n.34046 del 23 febbraio 1961
Revisionato il film si esprime parere favorevole alla proiezione pubblica a condizione ne sia vietata la visione ai minori di anni sedici, attesa che la vicenda, ispirata in chiave pesantemente satirica alla "Dolce vita", è di per sè stessa inadatta ai minori di anni 16 ed a condizione che siano eliminate le seguenti scene:
A) Tutta la scena tra Antonio e il ministro nell'interno della chiesa riprendendo con labattuta di Antonio "Eccellenza..." sui gradini esterni della chiesa;
B) La battuta di Antonio "Soreta va bene...", scena in macchina andando verso il castello;
C) La battuta di Franco "Le solite mignotte...", scena iniziale della festa al castello;
D) La battuta di Jacqueline "Quelle merdeuse", stessa scena;
E) La battuta di Franco "Ah, ma ci ha sfinito con 'ste fregnacce!" e di Marra "Lucchetto si è pervertito, adesso gli interessano le donne", stessa scena;
F) Dopo l'ingresso di Peppino e di Antonio nel castello, tutta la sequenza della battuta di Franco "So' du' belli frocioni" (compresa) alla battuta "Ma io non voglio che la gente..." e di Antonio "Embè?" (compresa) rispondendo alla scenba dei giocatori di poker;
G) L'intera battuta di Staiano che inia con le parole "Ma no amore santo" e termina "l'ingranaggio non lo fate", scena del castello;
H) La battuta di Staiano " Ma via, lascialo andare. Forse è uno dei nostri", stessa scena;
I) Le battute di Antonio e Peppino da quella di Antonio "Peppino, le supposte dove?..." a quella di Peppino "Si comprano", scena della seduta spiritica.
La prima delle predette scene (A) va eliminata perchè contraria al sentimento religlioso (art.126, n.3 del regolamento per l'esecuzione del Testo Unico di P.S.), tutte le altre perchè offensive della morale e della pubblica decenza (art.3, lettera A del regolamento approvato con R.D. 24.09.1923, n.3287)
22 febbraio 1961
Il 6 maggio 1961, a distribuzione del film avvenuta, il Questore di Reggio Calabria segnala che "Le battute di Antonio e Peppino da quella di Antonio "Peppino, le supposte dove?..." a quella di Peppino "Si comprano", scena della seduta spiritica.", nonostante l'obbligo di censura, sono ancora presenti. Si è pertanto proceduto all'eliminazione e al sequestro di n.39 fotogrammi...
La Direzione Generale dello Spettacolo con domanda di seconda revisione n.89907 in data 14 ottobre 1994, impone le seguenti modifiche:
La visione del film è per tutti.
Rispetto alla precedente edizione sono state apportate le seguenti modifiche:
- eliminate le inquadrature relative alle immagini in cui ad un tavolo da gioco di streap-poker una donna, di spalle, si slaccia il reggiseno (mt. 1,50)
Totale dei tagli:
m.1,50 in 16mm pari a m.3,75 in 35mm
Totale film metri 997 in 16mm
Il party al castello, parte integrante del film, viene notevolmente modificato dai tagli del censore
- «Le solite mignotte» diventa: «Le solite droghe».
- Dialogo tagliato tra Gugo e sua moglie:
Moglie: «Ti annoi mio piccolo maritino? Bevi e non pensarci troppo.»
Gugo: «E voi che fate?»
Moglie: «Io farò come quella volta a casa del conte Palmieri.
Ricordi? Quello che è stato arrestato?»
Gugo: «Ah ah! Gli hanno dato dieci anni.»
Oscar: «E infatti lo difendevi te.»
Gugo: «È naturale.» - Eliminata la battuta di Jacqueline: «Quelle merdeuse».
- Dialogo eliminato;
Franco: «Ah, ma ci hai sfinito con 'ste fregnacce.»
Marra: «Luchetto si è pervertito, adesso gli interessano le donne.»
Genovese: «Ti interessano le donne adesso?»
Lucchetto: «Sì, sì!»
Edda: «Andiamo a vedere, andiamo.»
Rosati: «Andiamo.»
Lucchetto: «Andiamo a vedere che cosa succede di così terribile!»
Edda: «Ahò, Elena è un fenomeno a spogliarse.»
Rosati: «Capirai se non lo fa bene lei che...» - Eliminato lo spogliarello di Mara Berni ed i commenti:
Rosati: «Ah bona! Mi farei strangolare da du' gambe così.»
Luchetto: «Perché tu non hai visto le mie!»
Rosati: «Ma va' a morì ammazzato!»
Gugo: «Mamma mia quanto è bella mia moglie! Sì, è mia moglie!»
Edda: «Ahò, è arrivato monnezza eh!»
Baronessa: «Ahò, che spiritoso, guardate che meraviglia.» - Peppino De Filippo ridoppia una sua battuta per far sparire l'esclamazione: «Gesù Gesù» (peraltro ripetuta più volte successivamente).
- Eliminata la gag di Totò e Peppino:
Edda: «Ma chi so' sti due?!»
Franco: «So' du' froci.»
Peppino: «Senti Anto', senti Anto', ma tu hai sentito quei due che dicono, come ci hanno chiamato?»
Totò: «Sì, sì, sì.»
Peppino: «Ebbè, come sarebbe?»
Totò: «Quello è un intellettuale e si è ispirato all'odissette hai capito?»
Peppino: «All'odissette? Perché?»
Totò: «All'odiotto.»
Peppino: «L'odiotto...»
Totò: «La odessa!»
Peppino: «L'Odissea!»
Totò: «L'Odissea.»
Peppino: «A proposito di chi?»
Totò: «A proposito dei Proci, sai chi sono i Proci? Quei principi dell'antichità che tutto il giorno gozzovigliavano in casa di Pennelope...»
Peppino: «Pennelope... Penelope!»
Totò: «E Penelope!»
Peppino: «Ah, ho capito...»
Totò: «Qui guardati intorno, sono tutti Proci!»
Peppino: «Eh, me ne so' accorto.»
Totò: «Oggi essere Procio è un titolo d'onore.»
Peppino: «Eh!»
Totò: «Io, per esempio, se fossi in te, dato che ci hai anche il fisico, modestamente, fatti Procio!»
Peppino: «Tu sei scemo!»
Totò: «Fatti Procio!»
Peppino: «Ma vattene...» - Eliminato in dialogo tra Totò e Castellani, con l'occhio bendato:
Totò: «Scusi, lei ci ha un occhio solo?»
Castellani: «Sì.»
Totò: «Quest'altro è libero?»
Castellani: «Evidentemente.»
Totò: «Permette?»
Castellani: «Prego.»
Totò: «Grazie. Ppù! Va bene?»
Castellani: «La pagherete questa offesa.»
La medium: «Le cose vere le mettiamo da parte, ma le supposte, le supposte dove le mettiamo?»
Totò: «Peppino, le supposte dove...?»
Peppino: «Ehm, non so... io...»
Castellani: «Silenzio!»
Totò: «Oddio, se servono...»
Peppino: «E va bene, si comprano.»
Il tutto viene tagliato e Totò aggiunge in doppiaggio una nuova battuta fuori campo per chiudere la situazione: «Direi che per il momento accantoniamo le supposte».
I documenti
Il regista Sergio Corbucci appare nel film in veste di attore. È il cliente del bar che vuole telefonare e mette fretta a Peppino (che in quel momento sta utilizzando il telefono pubblico del locale) disturbandolo con il rumore dei gettoni che fa nervosamente saltellare nella propria mano (quando lo vede, Peppino esclama tra sé seccato "Ecco, è arrivato il campanaro")
Anche l'autista personale di Antonio de Curtis, Carlo Cafiero, ebbe modo di fare una breve apparizione nel film Totò, Peppino e la dolce vita nel 1963.
Totò: Allora, giriamo?
Corbucci: Sì, ma cosa? Non c'è niente, nemmeno la sceneggiatura.
Totò: E che, vuoi pure la sceneggiatura? Non ti preoccupare, poi con Peppino ci mettiamo, scriviamo le cose, facciamo una scaletta.
Totò e Sergio Corbucci sul set del film "Totò, Peppino e la dolce vita"
In fase di sceneggiatura Totò praticamente non dava nessun apporto. Ma appena arrivava sul set, partoriva un’idea dietro l’altra, inventava battute e situazioni comiche, ti trasformava di sana pianta anche la scena più banale. Totò, Peppino e la dolce vita era un film incasinatissimo, prodotto da parenti suoi, la figlia con il marito, tanto è vero che io arrivai in sostituzione di Camillo Mastrocinque che aveva litigato e se ne era andato. Non sapevo niente, non avevo neppure letto il copione, e c’era una scena di una specie di bar con un tavolino, e su un foglio lessi che Totò e Peppino avrebbero dovuto sedere attorno a questo tavolino chiacchierando. Ma di che cosa non era specificato. Gli dissi: “lo sono piombato qua, questo è quanto mi trovo tra le mani, però sono all’oscuro di tutto, e adesso che facciamo in questa scena del bar?”. E Totò, calmo calmo, mi disse di lasciarlo fare. Così, di sana pianta, mentre lo seguivo con la macchina e Peppino ordinava dello champagne al cameriere che gli suggeriva il Moét Chandon, Totò inventò uno sketch straordinario svisando Moèt Chandon in "Mo’ esce Antò" andando avanti sull’equivoco per diversi minuti. Tutti della troupe schiattavamo dal ridere, in quei casi spesso i macchinisti e gli elettricisti finivano con l’applaudirlo perché si divertivano come pazzi, inaspettatamente.
Sergio Corbucci
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Non è certo il miglior film dell'accoppiata Totò-Peppino, ma riserva momenti gustosi. Il film tiene bene per due terzi, fino all'arringa ducesca di Totò, che chiede un "posteggio al sole" e ricorda che "abbiamo pazientato quaranta mesi: ora basta!". Ci sono momenti davvero parodistici, con la Neri che sposa la Ekberg e la Aimée, facendo il bagno nell'appartamento di periferia, ma non sempre azzeccati (la festa finale, con Staiano, è debole). Cameo di Corbucci, che vuole usare il telefono pubblico usato da Peppino.
- Ovvia parodia del quasi omonimo film di Fellini, il film è la classica storia dei provinciali meridionali irretiti dalla vita tentacolare della grande metropoli che finisce rapidamente per conquistarli. Lo spunto è decisamente buono, ed ottima la caratterizzazione dei protagonisti che bene intepretati dai due attori partenopei danno al film una impronta comica davvero pregevole per battute e situazioni. Il contesto purtroppo (per quanto riguarda sceneggiatura, regia e resto del cast) latita.
- Due provinciali arrivano a Roma dove si impastoiano nei vizi della perversa “dolce vita”... Spassosa performance di Totò e Peppino, da ricordare nonostante l’esiguità della storia e del film stesso, che è l’apparente parodia dell’opera di Fellini, ma in realtà si rivela una collana di sketch tenuti in piedi dall’irresistibile accoppiata. Fa parte della lunga serie dei lavori “tirati via” nella filmografia di Totò, ma basta lui (e Peppino) per renderlo consigliabile alla visione.
- Cosa può accadere quando due soggetti digiuni di appetiti libertini si trovano di fronte a occasioni di baldoria inaudita? La coppia storica del cinema comico di casa nostra ce lo spiega, tra situazioni irresistibili (tutta la sequenza del night club) e giochetti di parola marchio di fabbrica del duetto (la traduzione simultanea in "inglese"). Il modello sta nel titolo e la vena "licenziosa" si scorge anche in qualche centimetro di epidermide più della norma, tra calze, reggicalze, décolleté e gambe all'aria. Non trascendentale ma simpatico.
- Totò e Peppino immersi nella dolce vita felliniana. Un'idea di per sé già geniale, qui sfruttata bene da una sceneggiatura che permette alla coppia di lanciarsi in una serie di situazioni assurde e paradossali, dove sanno dare il meglio di sé. Contornati anche da buoni comprimari (tra cui un ottimo Mulè) e bellissime donne (la Paul su tutte), i due procedono tra i classici giochi di parole e qualche momento di blanda satira politica. Ritmo sostenuto, regia svelta. Notevole.
- Occasione ghiotta, che Steno e Fulci non si lasciano scappare, di parodiare il grande successo di Fellini La dolce vita, chiamando Totò e Peppino De Filippo a rifare quello che sanno fare bene (l'hanno dimostrato in più di un'occasione). Si aggiunge anche una spruzzata di costume politico nazionale, con Totò che riesce a infilarsi in una tribuna politica televisiva rivendicando i suoi diritti di abusivo (più italiano di così!). Riconfermata la seduzione e l'attrattiva di Via Veneto di quegli anni, cui nessuno riesce a sottrarsi.
- Nonostante il richiamo nel titolo non si può parlare di parodia; il soggetto non è così banale e attraverso una satira pungente e scoppiettante si irridono gli eccessi della vita notturna, dei festini a base di alcol e cocaina e il pressapochismo che accompagnava tanti finti altolocati e ricchi annoiati alla ricerca di emozioni forti. Il merito è probabilmente di Fulci, autore con Steno del soggetto, mentre Totò e Peppino giganteggiano e sono autori di alcuni scambi veramente eccezionali.
- Uno dei Totò migliori, iniziato da Camillo Mastrocinque ma poi girato da Sergio Corbucci, contiene gag esilaranti e sequenze oggi considerate d'antologia (si veda, per esempio, il ridicolo tentativo dei due "cafoni" di comunicare con le "straniere" Beryll e Paul, il passaggio "traghettato" di Mulè e della Neri nella casa allagata dell' "omino" Totò...).
- Grazioso film con Totò e Peppino (qui un po' sotto tono) che utilizza l'espediente della parodia di Fellini. Qualcosa funziona davvero bene (la mitica casa allagata di Totò), altre scene sono invece decisamente più noiose (la prolungata festa finale). Corbucci indeciso tra la parodia e il film quasi-episodico non riesce a indirizzare la pellicola in una direzione univoca; ciò giova al ritmo, ma decisamente meno alla logicità del tutto. Nonostante tutto rimane una bella commedia, a testimonianza della bravura degli interpreti.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Andiamo a un parto" "Ah e potevate dirlo prima! E chi sgrava?" "Soreta!"; l'apologia del parcheggiatore abusivo.
- Totò e Peppino erano ormai una coppia collaudata e di sicuro successo, per cui in questo film i due attori vengono coinvolti in una scontata parodia del film di Fellini priva di qualsiasi fondamento narrativo. Anche i due protagonisti sembrano avere talvolta le polveri bagnate (Totò era nella fase della cecità quasi completa) e benché non manchino momenti anche molto esilaranti, ci sono scene che sembrano troppo lunghe e alcuni componenti del cast si amalgamano poco con i due protagonisti, soprattutto nella parte finale. Guardabile.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La scena con le due straniere al night, con un fondamentale lavoro di squadra delle comparse, comprese le due bravissime ragazze.
- Parodia decisamente riuscita perché va persino oltre le intenzioni dell'affresco originale di Fellini. Là dove Fellini critica, Totò e Peppino randellano, là dove il Maestro alza il dito per riprendere, Totò e Peppino prendono a calci. In fondo Fellini fa parte della stessa borghesia sfatta e corrotta che satireggia con compiacenza, mentre Totò e Peppino sono due zoticoni che vengono dalla campagna, due prepotenti forze della natura, due facce ottuse che distruggono tutto quello che ostacolono i loro bisogni primari e terragni. Esagitata farsa motoria.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La festa al night; La gag del Moet & Chandon; I continui giochi linguistici tra Totò e Peppino.
- Totò in forma smagliante per un film eccellente. Finalmente una sceneggiatura vera e non solo abbozzata: merito di Fulci e Steno si è detto, ma se il tutto regge si deve a "l'omino", come dirà la Neri. Peppino meno influente del solito. Sfondo di satira di costume stavolta molto esplicito ed effiicace. Addirittura si parla di droga (la "cacaina", come dirà Taranto in un altro film), di politica, di nobiltà decaduta, di provincialismo. Ottimo Corbucci.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Romoletto alla fiamma" e giù una gag degna dei migiori film muti.
Le incongruenze
- In una delle scene finali quando Peppino e Totò chiacchierano sulla scala, il labiale di Totò è sempre fuori sincrono. Totò probabilmente si è dovuto ridoppiare, ma in molti casi il fatto è evidente, tanto che lui non muove le labbra eppure parla.
- Ad un certo punto del film si vede Totò che "avvista" il ministro su via Veneto...e camminando lo segue per chiedere un posto fisso, ma dai tavolini di via Veneto si passa completamente ad un'altra ambientazione
www.bloopers.it
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo. | |
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Il presunto ministero davanti al quale Totò arringa i colleghi posteggiatori come presidente della S.P.A. (Società Posteggiatori Abusivi) è la sede di Eur S.p.a. in Largo Virgilio Testa a Roma, che Banfi utilizzerà come centrale di polizia in Vai avanti tu che a me vien da ridere | |
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La chiesa dove Totò aspetta il ministro all'uscita per chiedergli un posto di parcheggiatore all'ACI è quella di Santa Maria della Consolazione a Roma. | |
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Inseguirà in taxi il ministro che sfugge in Vico Jugaro. | |
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La villa dove Totò e Peppino vengono invitati per un party, con seduta spiritica, dalla baronessa Renata Francesca (Irene Aloisi), è Villa Brasini a Roma, già vista anche in Roma Violenta. Sono in uno dei due edifici del complesso, precisamente nella Villa Augusta. | |
L'atrio dove Antonio Barbacane (Totò), autoproclamatosi presidente della SPA "Società Posteggiatori Abusivi", va a colloquio con un senatore per rivendicare il posto di lavoro è l'atrio, già sfruttato in altri film, del Palazzo delle Fontane all'EUR | |
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Ecco un confronto esplicativo | |
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La casa dell'avvocato Guglielmo (Francesco Mulè), detto Guco, dove Peppino viene liberato dal bagagliaio dell'auto dove si era addormentato, è in Via Nicolò Porpora a Roma. | |
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L'abitazione di Antonio Barbacane (Toto) è in Via degli Stradivari a Roma. Ecco il suo arrivo in auto con l'avvocato Guglielmo (Mulè) | |
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Il loro ingresso passando dal portone (A), a confronto con lo stesso visto in Il federale, dello stesso anno | |
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Il paese di cui è segretario comunale Peppino Barbacane è Sacrofano (Roma). In questa immagine si possono notare alcuni palazzi confrontabili e un piccolo scorcio sulla destra dell'immagine della Chiesa di San Biagio (E) |
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Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005
- «Alta Tensione», anno VII, n.141, 10 aprile 1961
- Documenti censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - www.cinecensura.com
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005
- «Alta Tensione», anno VII, n.141, 10 aprile 1961
- «Epoca», 1960. Inchiesta sulla "dolce vita" notturna a Milano
- Documenti censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - www.cinecensura.com
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- La Stampa
- La Nuova Stampa
- Stampa Sera
- Nuova Stampa Sera
- Il Messaggero
- Corriere della Sera
- Corriere d'Informazione
- Il Piccolo di Trieste
- Il Piccolo della Sera
- Il Piccolo delle ore diciotto
- Corriere Lombardo