A PRESCINDERE



Scheda dell'opera

Titolo originale A prescindere (1956)

  • Testo: Nelli & Mangini
  • Regia: Mario Mangini
  • Sceneggiatura: Odino Artioli
  • Coreografia: Gisa Geert
  • Personaggi: Totò, Franca May (sostituita in seguito da Franca Faldini),Yvonne Menard, Enzo Turco, Franca Gandolfi, Alvaro Alvisi, Dino Curcio, Mario Di Gilio, Il balletto di Gisa Geert
  • Musiche: del M.o Carlo Alberto Rossi, dirette dal M.o Mariano Rossi
  • Costumi Folco
  • Compagnia: Compagnia Totò-Yvonne Menard-"Spettacoli Errepi"

Sketch, quadri e notizie

Alcuni quadri: Totò è stanco di sua moglie, che non solo è gelosa, ma che gli chiede sempre soldi. L'amico gli consiglia un rimedio sicuro ai suoi problemi e lo porta in un Centro americano di Esteriorizzazione. Qui offrono una terapia contro lo stress e i nervi, facendoli esteriorizzare: un’infermiera offre al cliente tutto un servizio di piatti, bicchieri, pentole, che il cliente dovrà rompere, sfogando così la sua rabbia quotidiana. Totò si sente preso in giro e non vuole rompere nulla, anche perché in quel momento non si sente nervoso. Ma poiché vogliono comunque fargli pagare il servizio, egli si innervosisce e comincia a rompere tutto.

Totò è un Commissario di Polizia, molto irascibile, che sbaglia sempre il nome del suo brigadiere Lo Macchio. Devono sbrigare un caso di un signore egiziano che è accusato da un signore inglese e da una signora francese di aver chiuso il canale che è alle spalle della loro villa (Siamo nell’anno in cui l’Inghilterra aveva lasciato il Canale di Suez e Nasser ne aveva decretato la nazionalizzazione). I tre litigano e chiedono la guerra al Russo e all'Americano che sono sopraggiunti nel frattempo. Totò caccia l’Egiziano, l’Inglese e il Francese, accusandoli di averlo fatto spaventare con quella storia del canale e della guerra e infine chiede a Lo Macchio (che finalmente pronuncia bene) di offrire due tazze di caffè al Russo e all’Americano.


Programma di sala della rivista "A prescindere", stagione 1956-1957

A prescindere!

(da A prescinderedi Cipriani - Mangini - Paone - de Curtis)

Dolcissimo segreto che mai non fu svelato, cos'è questo «A prescindere!» che abbacina, che allucina?...
È forse il carme ignoto di un vate sconsolato?
Cos'è questo «A prescindere!», che mai vuol dir? Non so!
Vuol dir
che il sole eternamente sorge nel del?...
Vuol dir
che il cuore eternamente batte?... Che bel?
La Sfinge, interpellata, rimase tramortita, poi disse, scocciatissima: «Chiedetelo a Totò!»
È un rebus a sorpresa?
È un coro a bocca chiusa?
Cos'è questo «A prescindere!» che fulmina, che illumina?
È il sogno di un cinese?
È l'urlo di un tifoso?
Quisquilie! Pinzellacchere?
Che mai nasconde in sé?
Vuol dir
che c'è un rimedio ad ogni male? Chissà!
Vuol dir:
«Fa' l'uomo e non il caporale»! Ma va'...
Comunque questa cosa che non è made in Usa sì sì, lo so, è bellissima, ma sempre russa è!



Al Teatro La Scala della Vita in Milano : Mario di Gilio ci parla del Vero Teatro ricordando i suoi intriganti trascorsi


Giovani promesse del Teatro sotto l'attenta regia di Mario DiGILIO in un Teatro di Milano raffinato ed intrigante. Grazie al Direttore Artistico Stefano BERNINI, grazie a Mario ed agli artisti in erba bravi ed anche " belli " !!!


Mario DIGILIO al teatro " LA SCALA DELLA VITA " mentre racconta pezzi della sua esistenza trascorsa accanto a Toto', fa lezione di Teatro ai giovani presenti sul palcoscenico ed in sala.- La mia piccola macchina video che trema é il risultato delle risate e delle emozioni trasmesse da Mario nei suoi racconti

Lo spettacolo debutta in fase sperimentale al Morlacchi di Perugia il 19 novembre 1956 ed inizia male: Yvonne Ménard, la soubrette francese della compagnia, è vittima di un furto in albergo ma la entra in gioco la generosità di Totò che, senza esitazione, stacca un assegno a copertura del valore della refurtiva. La "prima" ufficiale si registra a Roma, Teatro Sistina, il 23 novembre 1956 davanti ad un "tutto esaurito", politici, personalità, amici e colleghi di Totò tutti presenti per questo grande ritorno al teatro di Totò.

Al suo primo apparire è stato accolto da un applauso che sembrava non finire mai. Ha avuto a lungo le lacrime agli occhi. Anche Franca Faldini, nelle quinte. È la prima volta che assiste ai suoi spettacoli da quando gli è vicina. A Perugia, in un palco, era scoppiata a piangere come una bambina.

Sergio Sollima


Come vedono signori abbiamo un fazzoletto... Questo fazzoletto, che io pagai la misera somma di cinque franchi, lo comprai per regalarlo a mia moglie in occasione del suo onomastico. «Desdemona... Desdemona.... Guarda Otelluccio tuo cosa ti ha portato per regalo?...» La tengo ancora davanti agli occhi... poi con mossa fulminea tirò fuori il suo e mi disse: «Otello, io credevo che il mio fazzoletto fosse bianco ma da quando ho visto il tuo lavato con l'Omo la cosa cambia...».

Da "A prescindere", ultima rivista di Totò, 1956-1957 - Totò nel personaggio di Otello


Svegliarlo da quel lungo sonno, non è stato facile perché il mio compagno di lavoro credeva addirittura d’essere morto come un personaggio della Commedia dell’Arte, Pulcinella o Arlecchino. Mi ha riso in faccia, come al solito, riconoscendomi, ed è saltato giù dall’armadio, sbadigliando, stiracchiandosi e allungando il collo. “Guarda chi si rivede”, mi ha detto: “ho saputo che sei diventato un divo del cinematografo, uno di quelli che non hanno mai bisogno del pubblico vivo che strilla ride fischia e applaude”. [...] Vedi, è come se Totò, quello del Teatro Jovinelli e del Nuovo, si fosse stancato di aspettarmi. Sono passati sette anni dall’ultimo applauso vivo della ribalta e gli pare un secolo. [...] Grazie a Dio, ritorno a lui che non sono più il poveraccio di una volta. Per farmi riconoscere e per farmi scusare dopo questi sette anni di abbandono è bastato che gli dicessi: “Senti, Totò, alla fine di novembre ritorniamo davanti al pubblico che si vede e che si sente respirare, da vicino”.

Antonio de Curtis, 1956

La rivista fu fatta al risparmio, al risparmio più sordido; Totò dovette comperare di tasca sua i vestiti delle soubrette, perché erano stracci. Cercò di rappezzare una rivista che non valeva assolutamente nulla: scrisse nell’arco di una notte lo sketch dell’Otello tanto per metterci un elemento che potesse valere qualche cosa. Si era fidato perché con la Errepì di Paone aveva fatto in passato belle riviste. Era un indolente, colpa sua, non era andato a vedere che qualità di roba gli preparavano. Si ritrovò alla prima a Roma con niente, con una cosa miseranda, dovette comperare di tasca sua i vestiti per le soubrette, perché sennò erano stracci, al risparmio più sordido. Ha cercato di rappezzare una rivista che non valeva assolutamente nulla. Scrisse lo sketch dell’Otello nell’arco di una notte tanto per metterci un pezzo che potesse valere qualche cosa.

Franca Faldini


Non ci vedo, è buio pesto.

Totò, Palermo, 5 maggio 1957


Al Teatro Nuovo di Milano, tra febbraio e marzo 1957, Totò è vittima di una broncopolmonite e i medici prescrivono due settimane di riposo ma dopo due giorni Totò è in piedi, lo spettacolo deve proseguire. Prima di entrare in scena, il tezo giorno, Totò sviene e lo spettacolo viene rimandato. Ma fermare lo spettacolo per due settimane significa chiudere: la coscienza di Totò non accetta di mandare a casa senza paga maestranze, attori e chi lavora al progetto e si continua. Ma le recite di Palermo del 5 maggio, doppio spettacolo perchè è domenica, vedono fatalmente Totò soccombere alla malattia. E il dramma avviene proprio sul palco, come testimonia Franca Faldini che sostituisce la soubrette Franca May, vittima di un grave infortunio pochi mesi prima...

La cecità lo colse nella primavera del 1957, durante la tournée di "A prescindere" che aveva segnato il suo ritorno al teatro dopo un'assenza di sette anni. Al Sistina di Roma, quando si era affacciato in scena la sera del debutto, il pubblico lo aveva accolto con tre minuti e quarantadue secondi di applausi cronometrati e lui, in fracchesciacche e una valigia in mano, si era appoggiato al sipario commosso e nella voce bassa e smozzicata che dopo un attimo avrebbe cangiato in quella di Totò aveva mormorato più volte grazie, con le labbra che gli tremavano.
Il teatro era la sua vita, il suo ambiente naturale, ci si muoveva a suo agio quanto un animale rimesso in libertà. E per il teatro nutriva un sacro rispetto tanto che, quando attraversava il palcoscenico per raggiungere il camerino all' ora o al termine dello spettacolo, immancabilmente, secondo un antico costume artistico, si toglieva il cappello "perché", diceva, "per l'attore il palcoscenico è un tempio e non si attraversa un tempio fregandosene da maleducati" .

Era istintivo. Non provava i suoi sketch che negli ultimi due giorni precedenti il debutto, lasciava che gli attori per allenarsi li ripetessero con la sua spalla, poi ogni sera li modificava un poco secondo l'inventiva del momento e lo stato d'animo del pubblico, tanto che spesso nascevano brevi e via via assumevano la corposità di un atto unico. Ai componenti la compagnia dedicava un interessamento quasi paterno, approfondiva i loro problemi umani, li trattava con grande rispetto e non ammetteva alzate di voce per redarguire qualche trasgressore. Spesso la sera, a sipario calato, li ospitava tutti a casa. Nel febbraio di quell'anno, quando la rivista andava a gonfie vele al Nuovo di Milano, fu colpito da una broncopolmonite virale curata in fretta e furia con dosi massicce di antibiotici e una degenza di quattro giorni in un appartamento dell'Hotel Continental, mentre Remigio Paone, che era il suo impresario preferito di quella e di tante riviste celebri del passato, si aggirava nella hall come un corvo a stecchetto che deve rinunciare a un lauto pasto, supplicando i medici di accelerare i tempi. Il teatro era venduto al completo per un paio di settimane, fosse stato per lui lo avrebbe spedito in scena anche semicadavere. E poco ci mancò, perché il terzo giorno di degenza tanto fece e disse che egli si levò dal letto febbricitante e rintronato, raggiunse il Nuovo, si truccò grondando sudore freddo, e quando per i camerini riecheggiò il classico Cinque minuti, avviandosi in quinta ebbe un collasso e lo spettacolo venne sospeso.

I medici gli avevano prescritto un minimo di convalescenza di quindici giorni. Il virus broncopolmonare non era del tutto sgominato, a evitare ricadute e danni si rendeva necessaria questa ulteriore cautela. Per Antonio fu una tegola in testa. Ci rifletté fino all' alba, poi, sfinito e angosciato, tirò le sue conclusioni. Con quella ulteriore sospensione la tournée sarebbe zompata per aria. E come avrebbe sbarcato l'inverno la gente della compagnia, a stagione più che iniziata, senza lavoro o paga? Erano tutti individui che vivevano della loro fatica, no, non se la sentiva di infliggergli quel colpo a tradimento, era stato anche lui un pesce piccolo e i disagi del conto non pagato alla pensione o alla bettola gli si erano scolpiti nella memoria. Quindi, al diavolo le raccomandazioni, curarsi è un lusso che non debbono pagarti gli altri, sarebbe tornato al lavoro, era il capocomico, aveva la responsabilità di quelle persone che non campavano d'aria.

E così, vincendo gli intimi timori, le obiezioni cliniche e lo sforzo fisico, terminò la piazza di Milano e partì per una serie di debutti in provincia. Biella, Bergamo, San Remo. Fu qui ché avvertì le avvisaglie di quanto stava per accadergli. Festeggiavamo, dopo lo spettacolo, il matrimonio di due ballerini di "A prescindere", Sandro e Josey, a cui aveva donato una 500 perché "vi siete conosciuti, amati e uniti in mano a me e spero che scarrozzerete a due per il resto delle piazze e della vita".

Guardandosi attorno per il locale mi sussurrò: "Strano, vedo ballare le pareti e i tavoli, oscillano come se fossi sbronzo fradicio, eppure non ho bevuto niente". All'uscita, lo stesso fenomeno gli si ripeté con i palazzi. Il giorno dopo si recò da un oculista che attribuì la manifestazione agli antibiotici e alla debolezza, e prescrisse un ricostituente e delle vitamine.
Anziché diminuire, il fastidio si accentuò. A Firenze, dove il teatro crollava per la calca e ogni sera il pubblico ritrovava un Totò parossistico e disarticolato, diceva che quel disturbo gli dava un senso di maretta e mi pregava di leggergli i quotidiani poiché le righe gli si accavallavano.

Antonio divenne cieco in scena, sulle tavole del Politeama a Palermo, vestito da Napoleone, a tre passi da me che gli ero accanto nello sketch del cocktail party poiché, per uno di quei rari casi del destino che nella necessità ti fanno trovare fisicamente vicino a chi ti è caro anche quando proprio non dovresti esserci, da circa un mese avevo accantonato la mia veste borghese di compagna indossata circa tre anni prima per seguirlo, e sostituivo la soubrette Franca Mai infortunatasi nelle piroette di un ballo. Al nostro fianco, c'erano Franca Gandolfi, non ancora signora Domenico Modugno, Elvy Lissiak ed Enzo Turco. Notai che batteva le palpebre come per togliersi un corpo estraneo dagli occhi e voltava per un attimo le spalle al pubblico guardandosi attorno con le pupille sbarrate. Poi, sottovoce, pacato, con quel tono impercettibile con cui in scena, tra una battuta e l'altra, ci si comunica a volte i fatti propri, mi disse: "Non ci vedo, è buio pesto". Nessuno se ne accorse in sala. Accelerando i tempi, tagliando battute, con una vitalità selvaggia scaricò se stesso in una mimica frenetica che fece delirare il pubblico e, tra le ovazioni di un teatro impazzito che gli urlava "Totò, si 'na muntagna ri zuccaru", si avviò ad intuito verso le quinte mentre il sipario si chiudeva lento, per ritornare più volte sul proscenio a ringraziare la platea, le file di palchi e il loggione neri di folla e illuminati a giorno che lui, però, non distingueva più. Da quel momento e per oltre un anno fu notte piena.

Tornammo a Roma tra la curiosità morbosa dei passeggeri sul traghetto che avevano appreso la notizia della sua disgrazia dai quotidiani, i lampi crudeli dei fotografi e il tatto di cacciatori di autografi che, allontanati a forza, gli sbottavano in faccia un "Ma allora è vero che è proprio cieco." Pianse al rientro a casa, quando non riuscì ad afferrare la mano tesa del personale e a vedere Gennaro che dal trespolo gli volava incontro. Poi non pianse più. Si rintanò nella sua stanza e lì rimase, tra letto e lettuccio, le serrande abbassate sul sole di primavera, per mesi e mesi di oscuro isolamento.

Franca Faldini


La notte in albergo porta i pensieri peggiori vista la gravità dei sintomi accusati da Totò. La visita a cui si sottopone il giorno successivo lo rincuora dal momento che il medico ritiene sufficienti dieci-quindici giorni di riposo e cure e durante i successivi spettacoli, è sufficiente evitare di puntare i forti riflettori direttamente sul viso dell'attore. Così Franca Faldini: «E lì fui io che dissi: “Lei mi scriva, mi garantisca che continuando a lavorare quest’uomo non subirà danni ulteriori agli occhi”». «“Questo non si può dire”», mi risponde. «E allora, se non si può dire, Totò parte.» La compagnia quindi si scoglie e Antonio, Franca, Liliana ed il loro seguito si imbarcano il giorno stesso per Napoli.
La sfortunata rivista chiude i battenti nel peggiore dei modi, saltando tutte le quattro tappe siciliane previste e lo spettacolo di chiusura a Napoli del 24 maggio 1957. Ma non finisce qui, l'impresario Paone, anche sulla pressione causata dal mancato guadagno degli impresari siciliani (i quali chiedono il sequestro dei materiali della compagnia a titolo di risarcimento), commette un gesto che porterà alla rottura definitiva dei rapporti professionali e di amicizia con Totò: sottoporrà il comico a visita medica fiscale per accertare le reali condizioni di salute che, come vedremo saranno gravi e invalidanti. Tra i vari bollettini medici che successivamente verranno diffusi, verrà resa nota la notizia alla stampa e alla nazione, tenuta segreta per molti anni, della quasi completa cecità dell'altro occhio, quello sinistro.

In genere ho sempre reagito ai colpi bassi della vita con forza d’animo e molta filosofia, ma questa volta è stata una prova davvero dura.

Antonio de Curtis


Così la stampa dell'epoca

Rivista "A prescindere" - Rassegna stampa

«A prescindere», ho nostalgia del pubblico «vivo»

«A prescindere», ho nostalgia del pubblico «vivo» Dopo sette anni, Totò si prepara ad un clamoroso ritorno sulle scene Il debutto del celebre comico napoletano avvenne una notte di pioggia del ’22, al Salone Elena di Roma. Totò fu assunto come…
Fabrizio Sarazani, «La Settimana Incom Illustrata», anno IX, n.43, 27 ottobre 1956
888

«A prescindere» da Totò la rivista continua a decadere

«A prescindere» da Totò la rivista continua a decadere Ettore Petrolini asseriva che «l’uomo è cattivo», e per darne la prova, fattosi sotto i lumi della ribalta, aggiungeva: «Ho conosciuto uno che diceva: è subdolo», oppure «conosco un tale che…
Raul Radice, «L'Europeo», anno XII, n.51, 16 dicembre 1956
944

A prescindere ma non da Totò

A prescindere ma non da Totò Quando il pubblico ha visto riapparire alla ribalta quella bazza satiresca, quegli occhi di smalto, quella giacca a falde troppo larga, quei pantaloni a righe troppo corti e quel tubino nero troppo stretto, è scoppiato…
Dino Falconi, «Epoca», anno VIII, n.333, 17 febbraio 1957
644

Totò in clinica colpito da cecità

Totò in clinica colpito da cecità Ha lasciato le scene forse per sempre. Anche l'occhio destro colpito «per simpatia» del male... Il massiccio uso di antibiotici per curare un broncopolmonite... Palermo, 7 maggio, matt. Bendato e immobile, l’attore…
«Corriere della Sera», 8 maggio 1957
863

Lo spirito di Pulcinella rivive nell'arte di Totò

La malattia agli occhi: lo spirito di Pulcinella rivive nell'arte di Totò Il pubblico commosso per la malattia di uno dei suoi attori preferiti. Il cafè-chantant fu la scuola del comico napoletano - Dall’armadio dei nonno provengono il tight ed il…
Ivano Cipriani, «Il Paese», 8 maggio 1957
1147

Dolori da principe, gioie da Totò

Dolori da principe, gioie da Totò Ciascuno di noi deve avere con la vita una specie di misterioso conto corrente, voti partita doppia perennemente aperta, su cui un ragioniere invisibile viene via via registrando gli incassi e le uscite, i depositi…
Flora Antonioni, «Il Messaggero», 10 maggio 1957
844

Totò ha affidato gli occhi a Santa Lucia

Totò ha affidato gli occhi a Santa Lucia L'infermità che a Palermo ha colpito la vista del popolare comico sembra sia dovuta a un tuffo fuori stagione nelle acque del Tevere. Il sorriso tornò ad illuminare il volto di Totò soltanto alle sei del…
Vittorio Paliotti «Oggi», anno XIII, n.20, 16 maggio 1957
2135

Totò: ritorno dal buio alla luce dei riflettori

Totò: ritorno dal buio alla luce dei riflettori Lo rivedremo accanto a Fernandel e a Pabilito Roma, novembre L’attore Totò si risveglia. «Se sceta», come dicono a Napoli, e dolcemente sbatte le palpebre sui poveri occhi malati: uno ormai…
Sandro Delli Ponti, «Piccolo della Sera», 6 novembre 1957
468

Gli telegrafarono: "sei imperatore!"

Gli telegrafarono: "sei imperatore!" Questa laconica notizia realizzò un sogno che l'attore accarezzava da anni e per il quale aveva speso tutti i guadagni della sua brillante attività teatrale e cinematografica. La vita del grande comico alla…
Alessandro Porro, «Grazia», 26 gennaio 1958
1086

Bizantina la Totorivista

Bizantina la Totorivista Per il suo ritorno alle scene Totò ha scelto una città e un teatro di classiche tradizioni. Infatti la sua nuova rivista è stata presentata in anteprima a Perugia, al Teatro Morlacchi. Il successo della vecchia marsina…
«Le Ore», anno IV, n.186, 1 dicembre 1956
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DOVRETE PAZIENTARE SOLO UN ANNO

Le luci della ribalta si riaccendono per Totò

"A prescindere": il nuovo spettacolo che il comico napoletano sta per allestire non uscirà dallo schema ormai classico, e sarà di eccezionale prestigio

Roma, 13 ottobre.

Totò tornerà alla rivista, senza per questo abbandonare lo schermo. Ce ne ha dato l’annuncio il principe Antonio De Curtis, cioè quel distinto, elegante, cordiale e Impeccabile signore che è Totò, quando abbandona il tubino, la finanziera nera, la maschera comica, ed entra nella vita reale, di ogni giorno. E' un annuncio, in certo modo, sensazionale, perchè proprio in questo stesso salotto del suo ufficio, dove stiamo piacevolmente conversando, noi due soli, nel marzo scorso, durante un’affollatissima conferenza-stampa punteggiata di lampi di fotografie e di cocktails, Antonio De Curtis annunciò che aveva ormai dato un addio per sempre alla scena, e che, appena conclusi gli impegni cinematografici da cui era legato come attore, avrebbe intrapreso egli stesso la produzione cinematografica.

«Questo significa, forse, un radicale mutamento dei programmi?», gli chiediamo.

«Assolutamente no. Il programma resta immutato, tanto è vero che in questi giorni si inizieranno le riprese del primo film di mia produzione, il cui spunto è tratto dalla commedia di Novelli: "Coraggio" ed avrà ad interpreti Gino Cervi, Gianna Maria Canale... e Totò. A quel primo, seguiranno due film in preparazione: "La banda degli onesti" e "Don Pietro Caruso"». Fin qui, sono parole di Totò. Ma tutti sanno che egli accarezza un altro grande progetto cinematografico, e cioè di dar nuova vita filmistica al «Don Chischiotte».

«Questo, per quanto riguarda il cinema, e va bene. Ma, ora, quel che ci interessa è di sapere qualcosa sul suo ritorno alla scena. Qual è il significato e il motivo di questa decisione?».

«Debbo dire — spiega Totò, quasi con una punta di timidezza — che proprio dal giorno in cui dissi di aver lasciato per sempre la rivista, si sono intensificate lettere e telefonate di protesta e d’invito, al punto che hanno scosso un poco la mia decisione».

Questo insistente, affettuoso invito del pubblico non poteva rimanere senza risposta. Ad esso — si aggiunga — Totò è particolarmente sensibile, perchè la nostalgia del contatto immediato e felice con il pubblico non era lieve. «Il pubblico, per un attore, è l’ossigeno — ci dice — e in questi anni, in cui sono rimasto lontano dal teatro, quell’ossigeno mi è mancato. Direi che sono rimasto col fiato mozzo».

Quanto tempo è trascorso? Sei anni, sei lunghi anni che Totò non sente più il cordialissimo e ilare saluto con cui il pubblico festeggiava uno dei suoi beniamini. «Ed è proprio questa lunga assenza dalla scena — chiarisce Totò — che mi fa sentire oggi intimorito del nuovo Incontro che avrò col pubblico. Tanto è vero che, per mio desiderio, il debutto avverrà in un piccolo centro».

Il ritorno di Totò alla scena avverrà nel novembre del 1956, in una rivista organizzata da Remigio Paone.

«A prescindere — aggiunge Totò — dalla mia partecipazione allo spettacolo di Giuseppe Marotta che il Teatro delle 15 Novità diretto da Maner Lualdi allestirà a Milano nel prossimo novembre, sempre limitatamente al termine del film che oggi comincio a girare a Tirrenia con un mese di ritardo».

«Che cosa può dirci della nuova rivista?».

«Nulla ancora del suo contenuto, perchè dev’essere ancora ideato e concretato. Ma una cosa posso assicurarle. Non tenterà strade nuove, non avrà carattere modernista, ma rimarrà nel solco del genere classico della rivista, come tutte le precedenti nelle quali è apparso Totò».

«Sicché anche Totò sarà sempre Totò?»

«Certamente. L’attore è come il deputato: questo non può tradire i suoi elettori e l’attore non può tradire il suo pubblico. Il pubblico ama la maschera a cui ho dato vita, e quella maschera riporterò, immutata, sulla scena. Soltanto dovrà essere una rivista caratterizzata da grande ricchezza scenografica e di costumi, con numeri d’eccezione, con molte belle canzoni, cantate da belle voci, con molte belle donne ed una, particolarmente, di clamorosa bellezza che sostenga il ruolo di protagonista».

A giudicare dal fervore con cui ne parla — anche se il copione non è ancora stato scritto — sembra che Totò veda già la rivista svolgersi dinanzi agli occhi della fantasia, e già senta l’ansia delle luci della ribalta e del contatto con il pubblico.

«Ma se non può parlarci del contenuto, può almeno dirci il titolo che avrà la rivista?»

«Questo si: il titolo sarà: "A prescindere"».

Uno slogan tipico di Totò, una premessa e una conclusione, che ha tutti i significati, da una vena di amabile filosofia a un contenuto sociale, due parolette che consentono di dire, senza asprezze, molte verità. Ce lo conferma, implicitamente, lo stesso Totò con una divertente esemplificazione di chiarimento: «Sì, a prescindere da tutto c’è il contrario di tutto: questo è il mondo. A prescindere dal male, ci può essere il bene; a prescindere dal bene, ci può essere il male; a prescindere dal bello, v’è anche qualcosa di brutto; a prescindere dal brutto c’è sempre qualcosa di soave e di bello; a prescindere dalla miseria c’è la ricchezza, ma a prescindere dalla ricchezza c’è anche, purtroppo, la miseria; a prescindere dalla automobile, c’è il pedone che, poveretto, è inguaiato come tutti sanno, e via cosi all’infinito».

E’ a questo punto che, «a prescindere» dalla piacevolissima conversazione, lasciamo Totò al suo lavoro.

Alberto Ceretto, «Corriere della Sera», 14 ottobre 1955

Totò in caccia della sua stella per l'autunno

Il grande comico ha deciso di ritornare alla rivista ed esplorare l'orizzonte per trovare una soubrette

Totò cerca una soubrette perché ha deciso e confermato di tornare al teatro, e precisamente a quello di rivista. Vero e certo altresì che il suo impresario, il signor Errepì è alla ricerca della «stella», che dovrà brillare intorno al nostro astro maggiore, e del satelliti minori per inserire nel firmamento Totò. Al riguardo - strano, incredibile, ma vero - Remigio Paone tace e non interviene con le sue abituali chilometriche lettere, lasciando correre tutto ciò che zelanti e fantasiosissimi cronisti scrivono per far noto all'inclita che Totò ritornerà in passarella, di volta in volta altalenando i nomi più vari, con Diana Dors, Abbe Lane, Sheree North e ultima, in ordine di tempo, Yvonne Ménard, la fulgida «stella» che nel '46 riuscì ad entrare alle «Folies Bergère - come «mannequin» nudo e si affermò definitivamente nella rivista «Une vraie folie».

Franca Gandolfi

Mentre si può smentire che Totò e Paone non hanno mai pensato seriamente alle prime tre menzionate, occorre rilevare che trattative sono state iniziate e intercorrono con la bellissima Yvonne Ménard che... ha 30 anni, bruna, con due occhi verdi un po' perfidi, un grazioso nasetto all'insù e forme scultoree: m.1 e 72 di altezza, 90 cm di petto, 57 di vita, 89 di anche, 34 di polpacci, 20 di caviglia...! Canta e danza, e veste elegantissima. Il suo splendido corpo le ha permesso di far carriera, ma non è detto che le sue pretese permetteranno a Paone di farla apparire accanto a Totò.

In quanto a nomi «nostrani » si son fatti quelli di Franca Gandolfi e di Luciana Florenzano. Franca Gandolfi — per chi nol sapesse — è la moglie del chitarrista Modugno e la debuttante sedicenne Luciana è la sorella di Anna Maria Moreno attualmente subrettina di Macario.

Le musiche spettacolo saranno di Armando Trovaioli, le coreografie di Gisa Geert, i costumi di Folco, l’autore del copione ancora sconosciuto. Il debutto, previsto al romano Sistina, in ottobre.

Andrea De Pino, «Momento Sera», 4 aprile 1956


Stasera annuncerà: "Torno al teatro"

E' arrivato ieri sera da Roma il principe Antonio de Curtis. Era ad attenderlo alla stazione l'impresario Remigio Paone. Questa sera, alle 18, Totò parteciperà ad un ricevimento organizzato in suo onore dai soci del «Club Napoli». Il principe de Curtis annuncerà ufficialmente il suo ritorno al teatro.

«Corriere della Sera», 23 aprile 1956


Totò torna al teatro con un copione segretissimo

Franca May e Yvonne Ménard saranno le sue "soubrettes". Debutto a Perugia a metà novembre

Totò, l'argutissimo Totò, l’inesauribile Totò, è a Milano. Ma da buon napoletano soffre di nostalgia della sua terra. Cosi, ieri nel pomeriggio scortato da Remigio Paone e da Peppino De Filippo, ha voluto essere fra la «sua gente emigrata» nel Settentrione. Dove poteva andare se non al «Club Napoli», un circolo di recente inaugurato e di cui è presidente l’instancabile Paone?

Ma Totò ha un’altra, segreta nostalgia: quella del teatro di rivista. Fra la «sua gente», ha annunciato ufficialmente II suo ritorno al palcoscenico. Torna nel suo mondo dopo quasi sette anni di assenza con Io stesso entusiasmo di un attore giovanissimo al primo debutto. Totò ha detto: «Io fremevo dal desiderio di ricalcare le tavole del palcoscenico. Paone l’ha saputo, s’è commosso e mi ha fatto la compagnia».

Franca May e Yvonne Ménard saranno al suo fianco: avranno i loro nomi sulla «locandina» alla stessa altezza, del medesimo corpo tipografico. Saranno, in definitiva, due «stelle» alla pari. L’una sarà la «soubrette» italiana, che reciterà, canterà; l’altra rappresenterà la grande attrazione internazionale. Il «cast» comprenderà anche Mario Castellini, la fedele «spalla» del comico napoletano, Dino Curdo, Franca Gandolfi, Antonio La Raina e molte ballerine già appartenenti al corpo delle «Bluebell». Gisa Geert curerà le coreografie; Trovajoli e De Curtis, alias Totò, penseranno alle musiche.

La rivista si intitolerà «A prescindere», oppure «Sono un uomo di mondo»: segretissimo il nome dell’autore del copione. Si parla di Michele Galdieri, ma non è certo. Rivista, commedia musicale o operetta? Totò è esplicito. «Farò una rivista all'italiana, alla maniera mia con tre ingredienti fondamentali: ilarità, eleganza e belle donne. Ripeterò vecchi sketches solo nelle serate d’onore e se il pubblico li richiederà».

Il debutto i previsto a Perugia per la metà di novembre. Totò col suo complesso si trasferirà poi al teatro Sistina di Roma e, nel febbraio 1957, al Nuovo di Milano. Un’altra informazione: giovedì, Totò e Franca Faldini saranno ospiti della rubrica televisiva di «Lascia o raddoppia»

L. Bar., «Corriere della Sera», 25 aprile 1956


Rivista - Si chiama Franca May la coscienza di Totò

Roma 4 giugno.

Totò torna in passerella. Totò farà ancora la rivista. La notizia non è nuova: è già stata diramata, ufficialmente, or è un mese e più. Tuttavia molto restava ancora oscuro. Totò aveva annunciato i nomi di due «stelle»: Ivonne Ménard e Franca May. Per il resto era reticente. Reticente era Paone, l'impresario di ferro che rientra nell'agone teatrale soltanto perché si tratta di mettere In piedi la compagnia di Totò. Ignoto era il nome dell'autore del copione. Si parlava di un incarico affidato generalmente a Michele Galdleri. Ma la voce, come ora si è rivelato, non aveva il benché minimo fondamento. Soltanto oggi si é saputo che il copione lo scriveranno non uno, ma due autori: e precisamente Nelli e Mangini.

Dopo oltre un mese di segretissimi riserbi, ecco finalmente l’Indiscrezione: Nelli e Manglnl (e naturalmente Totò) sono già sotto pressione: la trama ò già cosa fatta, qualche sketch potrebbe già essere messo in scena. Un'altra indiscrezione: Totò, che sarà il protagonista massimo di «A prescindere» (è questo il titolo definitivo della rivista) indosserà i panni di un «uomo di mondo» burlone e svanito, costantemente alle prese con la propria coscienza. Totò parlerà, intavolerà lunghe discussioni con la coscienza. E si tratterà di una coscienza tangibile, corposa, La coscienza di Totò sarà Franca May.

«Corriere della Sera», 5 giugno 1956


Rivista - Franca May sarà la "stella di domani"

Franca May, la soubrette che Totò ha voluto al suo fianco per il rientro in teatro, ha ricevuto sabato nel pomeriggio il premio «passerella club», istituito per premiare le qualità di quell'attrice che mostra, per capacità ed attitudini, di poter diventare la «stella di domani». Capacità ed attitudini che Franca May ha ampiamente dimostrato di possedere, al punto da inserirsi, nel breve volgere di due anni, fra le vedettes della rivista. Nel corso di un cocktail, Franca May ha ricevuto il distintivo del «passerella club»: un pentagramma sovrastato da un paio di gambe stilizzate. Un distintivo tutto d'oro che ogni giovane soubrette desidererebbe avere nello scrigno porta gioielli.

Franca era commossa sorrideva e ringraziava. Ringraziava soprattutto i compagni di lavoro della Scarpettiana, che le erano intorno per festeggiarla: Franco Sportelli, Beniamino Maggio, Vera Nandi e tutti gli altri. Distribuiva sorrisi e strette di mano a Pina Renzi, a Giustino Durano, a Franca Gandolfi, a Ettore Conti, a Domenico Modugno. Ma un grazie particolare deve aver sussurrato, mentre gli invitati le si serravano intorno, a Remigio Paone, all'impresario che praticamente la aveva «scoperta», al vecchio (d'esperienza) uomo di teatro che aveva intuito le sue possibilità e che in lei aveva avuto fiducia. [...]

La sera, qualche ora dopo la premiazione, il camerino della attrice, al teatro Nuovo, era invaso di fiori, mentre sulla toilette si ammucchiavano lettere e telegrammi. Un telegramma affettuoso di Totò e una lettera anche più affettuosa di Wanda Osiris, che si diceva spiacente di non poter essere presente a causa del postumi della brutta caduta in palcoscenico, di cui rimase vittima al Lirico mesi or sono. In un angolo del camerino, appeso come un trofeo beneaugurale, il ricco abito che Franca May ha indossato in occasione dell'investitura del «passerella club»: un vestito ampio, sfarzoso in taffetà di seta a fiori.

Gilda Marino andrà con Totò?

Una voce, soltanto una voce. Pare certo che prima ballerina della Compagnia, che il redivivo Totò capeggerà nella prossima stagione, sarà Gilda Marino. L'interessata, attualmente a Cannes, é irrintracciablle: quindi non si può avere una conferma o una smentita. Come è noto. Gilda Marino è rimasta assente dal teatro per un anno, gestendo un atelier di moda. Ma, dopo dodici mesi, la nostalgia della passerella ha avuto il sopravvento.

L. Bar., «Corriere della Sera», 11 giugno 1956


Reciterà con Totò l'imitatore fenomeno

Mario Di Giglio (Di Gilio, n.d.r.), l'imitatore fenomeno, l'autentica sorpresa di «Senza titolo» che si replica al Nuovo, la sera della prima tradiva una violentissima emozione. Non si aspettava tanti applausi, nè si immaginava di poter suscitare un così fragoroso entusiasmo. Poi, in camerino, durante l'intervallo, sono cominciate le soddisfazioni: i complimenti dei compagni di lavoro, degli amici che gli assestavano vigorose manate sulle spalle, di sconosciuti che gli ripetevano all'orecchio un simpatico ritornello: «Bravo!».
Ma la visita più attesa doveva essere quella di Remigio Paone, il quale è stato [...]

«Corriere della Sera», 22 giugno 1956


RUDI BAUER é stato uno dei primi scritturati da Totò per la rivista «A prescindere». Il nome di Rudi Bauer dirà ben poco a coloro che degli spettacoli non conoscono i retroscena: infatti Bauer è il più apprezzato direttore tecnico di palcoscenico da almeno trenta anni cioè da quando venuto in Italia con la compagnia Schwarz non ne riparti più trattenuto dapprima dal regista Mattoli poi da tutti coloro che cominciarono ad apprezzare le qualità dolcemente dittatoriali del piccolo viennese.

Dal 1916, quando ha cominciato a Vienna la sua attività, Rudi Bauer, ha allestito oltre 1000 spettacoli. I maggiori comici Italiani sono stati da lui tenuti a battesimo (Dapporto, Rascel, W. Chiari) e cosi pure la «regina della passerella », Wanda Osiris, Con Totò fu anche in Africa Orientale, nel 1939. Ora Totò ha voluto di nuovo, tra le quinte, il prezioso Rudi. Nelli e Mangini hanno pensato a scene di particolare difficoltà tecniche e Rudi avrà, come al solito, brillanti soluzioni. Le prove della rivista di Totò cominceranno a metà ottobre al Sistina di Roma, dove é pure previsto il debutto, un mese dopo.

«Corriere della Sera», 4 agosto 1956


Franca May accanto a Totò

Roma, 19 settembre.

Franca May sarà quest'anno la prima attrice nello spettacolo di rivista più atteso dell'anno, « A prescindere » di Totò. Franca, già studentessa di chimica, ha abbandonato gli studi per il teatro e ha esordito tre anni la con Billi e Riva.

«Corriere della Sera», 20 settembre 1956


«Epoca», 14 ottobre 1956


Totò dopo sette anni ritorna alla rivista

L'attore ha tenuto una conferenza stampa in un albergo romano

Roma 18 ottobre.

«Ho ubbidito al richiamo della foresta. Torno alla rivista dopo sette anni, e posso affermare che mi sento emozionato al solo pensiero di incontrarmi di nuovo con il mio pubblico. Farò una rivista classica, stile francese, anche se con spirito moderno. Non è vero che la rivista sia morta, come sostengono alcuni. La commedia musicale, che talvolta ha preso il sopravvento, non è nè una rivista nè una commedia: è una formula ibrida. Mi farò alcuni nemici, affermando ciò, ma non me ne importa niente». Il principe Antonio De Curtis, il popolare «Totò», ha annunciato con queste parole, nell’atrio di un albergo di via Veneto, il prossimo esordio della sua Compagnia, che avverrà il 23 novembre al teatro Sistina, in Roma. Totò era attorniato da uno stuolo di bellissime donne: «soubrettes», ballerine, attrici che lo hanno sollevato di peso dopo l'annuncio e l’hanno condotto in giro nell'atrio.

«Attualmente — ha detto quindi l'attore — sto terminando la lavorazione di un film, in cui vi sono, naturalmente, Totò, Peppino, e alcuni fuorilegge. Ho dovuto portare a termine i miei impegni precedenti. Non mi son lasciato suggestionare, alla mia rentrée, dal miraggio di altre formule artistiche: secondo me, la rivista classica è l’ossigeno per il pubblico». Remigio Paone, impresario della Compagnia, ha detto che il titolo dello spettacolo è «A prescindere».

«Si tratta di uno dei famosi slogans di Totò — hanno soggiunto gli autori, Mangini e Nelli —. La rivista non è legata da altro filo conduttore che la presenza dell'attore. Niente politica, molte battute». Le «soubrettes» si facevano fotografare con il principe.

«Corriere dell'Informazione», 19 ottobre 1956


«Epoca», 28 ottobre 1956


Torna Totò

Il principe Antonio de Curtis in arte Totò, si ripresenterà fra breve tempo sui palcoscenici, dopo alcuni anni di assenza, durante i quali si è dedicato a una intensa attività cinematografica. Il debutto avverrà naturalmente a Roma, dove il simpatico attore gode larga popolarità. Ieri mattina, nella sala di un grande albergo della nostra città, la compagnia si è riunita per la prima volta ed ha avuto luogo un cordiale incontro dei suoi componenti con i giornalisti.

Totò ben volentieri ha lasciato che fotografi lo ritraessero accanto alla bella Franca May, Franca Gandolfi, Franca Faldini, Elvy Lissiak, e Yvonne Menard, interpreti con lui della nuova rivista, e, come qui lo vedete, tra le seducenti e longilinee ragazze dai nomi esotici che formeranno il balletto.

Lo spettacolo che segnerà l'atteso ritorno di Totò alla ribalta, ha per titolo una locuzione resa ormai proverbiale dal comico napoletano, «A prescindere».
Il copione è stato scritto da Nelli e Mangini, la coreografia verrà curata da Gisa Geert, i costumi da Folco, le scene da Artioli; le musiche saranno di Carlo Alberto Rossi.

«L'Unità», 19 ottobre 1956


Torna in Rivista - Totò ha sentito il richiamo della foresta

Roma 19 ottobre.

Sketches, battute, riferimenti, allusioni, legati, soltanto dal filo conduttore dell’arte inimitabile di Totò, costituiranno la rivista con la quale il popolare comico tornerà sulle scene, la sera del 23 novembre prossimo, dopo una parentesi cinematografica di sette anni. L'annuncio del «ritorno» è stato dato dall’attore nella hall di un albergo di via Veneto, dove é stata presentata, dall’impresario Remigio Paone, la nuova Compagnia. Totò ha precisato di aver sentito il «richiamo della foresta» verso la formula classica della rivista, al di fuori di ogni esperimento di spettacoli ibridi quali le commedie musicali degli ultimi anni. Lo spettacolo si intitola «A prescindere», da un frequente modo di dire di Totò. Si tratta di uno slogan che gli autori, Nelli e Mangini, hanno applicato alla rivista come già ad un film fu applicato un altro detto del comico. «Siamo uomini o caporali?» [...]

«Corriere della Sera», 20 ottobre 1956


«Noi donne», 20 ottobre 1956


«Settimana Incom», ottobre 1956


Totò è tornato al teatro di rivista

Perugia, mercoledi sera.

Dopo un'assenza di cinque anni, il popolarissimo comico Totò è tornato sulle scene, ieri sera al teatro Morlacchi, richiamando un pubblico d'eccezione che gremiva la sala. E' stata data la prima rappresentazione della rivista "A prescindere", di Nelli e Mangini", che ha ottenuto un caloroso successo. Insieme a Totò sono stati applauditi gli attori della sua nuova compagnia, tra cui Franca May, per la prima volta nel ruolo di soubrette, e la ballerina Yvonne Ménard.

«La Stampa», 21 novembre 1956


Tournée 'A prescindere' - Roma, novembre-dicembre 1956

Il palcoscenico ci restituisce, oggi, un attore che il cinema ci aveva usurpato. Chiudiamo finalmente una parentesi di lontananza aperta, nella stagione 1950-1951, con le ultime repliche di Bada che ti mangio! Totò ci ha detto due mesi addietro: - Non ne potevo più -. Queste parole valgono assai più di qualunque altro commento.

I. Mormino, dal programma di sala, 1956


Teatri - Totò al Sistina

Stasera alle 21:15, serata di gala per il ritorno alle scene dopo sette anni di assenza, di Totò, nella rivista di Nelli e Mangini “A prescindere”. Lo spettacolo, presentato da Remigio Paone, coreografie di Gisa Geert, scene di Artioli, costumi di Folco, musiche di C.A. Rossi ed un cast di primissimo ordine: l'attrice Franca May, Yvonne Menard, celebre soubrette delle Folies-Bergère, Enzo Turco, Franca Gandolfi, Mario Di Gilio, Elvy Lissiak, Alvisi Curcio, La Raina, sette coppie di ballo e sette showgirl. Orchestra di Mariano Rossi. Il teatro, ad eccezione di parte della galleria è completamente esaurito.

«L'Unità», 23 novembre 1956


A prescindre... Rivista di Nelli e Mangini

Il ritorno di Totò alle scene ha richiamato al «Sistina» il più bel pubblico di Roma che ha gremito la sala per festeggiare il suo beniamino. E al suo primo apparire gli applausi sono stati eccezionalmente calorosi. Dopo una presentazione alquanto lunga durante la quale Totò. sotto le vesti di un uomo di mondo che sa abilmente barcamenarsi, ha presentato un campionario delle sue più tradizionali formule comiche, la rivista ha preso felicemente avvio con un seguito di quadri indipendenti l'uno dall’altro. ma felicemente congegnati ed eseguiti con incalzante vivacità.

Le originali coreografie di Gisa Geert dominate dal sapiente e raffinato stile di Ivonne Menard, svolte con ritmo intenso e serrato dai bravissimi gruppi di soliste e di solisti coadiuvati dalle show-girls (notevoli una drammatica « Makumba » e un frenetico «Rock and roll»); le variate apparizioni di Franca May che canta, balla e recita con maliziosa grazia; le riuscite e gustose parodie di Gandolfi delle quali è stato chiesto un bis; i briosi intermezzi affidati alla Gandolfi, alla Lissiak, all’Aloisi, al Curcio, al La Raina; il vario e rapido avvicendarsi di sketches di balli, di canzoni, di cori sullo sfondo dei pittoreschi scenari di Artioli, fra lo sfolgorio dei costumi di Folco, hanno costituito una rappresentazione colorita, stimolante, mossa e quanto mai gradevole. Anche se il testo non è molto ricco nè molto spiritoso, la parte visiva, sostenuta da una vivida fantasia di coreografie e di variazioni, ha pienamente appagato l’aspettativa del pubblico che si molto divertito.

Su questa attraente trama spettacolare si sono inseriti e intrecciati gli interventi di Totò, sul quale pesano, evidentemente, sette anni di attività cinematografica che lo hanno disabituato dall'improvvisazione scenica e, soprattutto, gli hanno impedito di aggiornare l'estro inventivo. La sua comicità è rimasta legata a espedienti alquanto superati, qualche volta perfino di gusto dubbio, basati su doppi sensi ed equivoci verbali che non trovano più la rispondenza di una volta. Ciò non toglie che l'innato umorismo di Totò, il suo istinto del grottesco e le sue trovate mimiche abbiano a poco a poco, nel calore della recita, ritrovato slancio e sapore: cosicché alla fine anche le sue scene hanno avuto piena risonanza. Il pubblico lo ha vivamente applaudito insieme a Enzo Turco e a tutti gli altri bravissimi esecutori chiamandoli e richiamandoli innumerevoli volte sulla passerella. Lo spettacolo, che ha un tono, un livello e un entra in del tutto insolito, si replica da stasera.

E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 24 novembre 1956


LE PRIME

Rivista «A prescindere»

L'applauso interminabile che è scrosciato ieri sera all'apparire di Totò sulla ribalta del Sistina ha testimoniato in maniera evidente la affettuosa cordialità con cui il pubblico accoglie il ritorno del popolare attore alla rivista, dopo sette anni di assenza. E Totò ha ben ripagato i suoi spettatori, mettendo in opera tutte le sue risorse mimiche e di recitazione che lo rendono inconfondibile e che fanno di lui un maestro del lazzo, dello sberleffo, della comicità scatenata al limite dell'assurdo e dell'irreale. Peccato, grosso peccato che il copione di Nelli e Mangini servisse molto mediocremente le straordinarie doti del protagonista e dell'ottimo complesso di interpreti che gli erano accanto.

"A prescindere" si presenta come un seguito di quadri o volutamente slegati l'uno dall'altro, ma privi anche (e qui è il guaio) di un minimo di coesione tra loro, nel contenuto e nella forma. Non mancano gli spunti tratti dal costume corrente o dalla cronaca: i concorsi televisivi, la crisi del cinema e i colossi di cartapesta, il Rock'n'Roll; la materia è però elaborata quasi sempre con superficiale facilità, e scade a più riprese in situazioni e battute accentuatamente sboccate.

La parte coreografica, curata da Gisa Geert, offre momenti di buon gusto accanto a soluzioni risapute e anche stantie, ma ha comunque modo di dare sostegno alle esibizioni di Yvonne Menard, una ballerina francese dalla splendida corporatura e dalle movenze conturbanti, e a quelle della brava e simpatica Franca May.

Si deve a loro soprattutto (oltre che a Totò) se allo spettacolo, nonostante i difetti cui si accennava, è arriso un successo lietissimo. Da ricordare anche l'eccellente Enzo Turco, il Curcio, l'Alvisi, il La Raina, sacrificati purtroppo dalla fiacchezza del testo, la Graziosa Franca Gandolfi, Elvy Lissiak, la Maver, la Silli, lo strabiliante imitatore Di Gilio, i due gruppi di danzatrici e il gruppo di danzatori. Scene adeguate, di Artioli; costumi eleganti, di Folco, musiche di normale livello, del maestro C.A. Rossi. Passerelle in gran numero. Da oggi si replica.

ag. sa., «L'Unità», 24 novembre 1956


FELICE DEBUTTO AL SISTINA DI ROMA

Il numero sette domina nello spettacolo di Totò

Roma 24 novembre, matt.

Poche battute sono state necessarie ieri sera a Totò, per annullare di colpo i sette anni che è restato lontano dalla rivista: presentando al teatro Sistina lo spettacolo «A prescindere», l'attore ha dimostrato di ritrovare se stesso. la sua insuperabile arte di comico, la sua comunicativa con il pubblico ormai rassegnato a vederlo comparire soltanto sullo schermo.

Costruita con facile brio, la rivista ha dato modo a Totò di «ringraziare la marcia» sul palcoscenico: il pubblico ha ritrovato il suo vecchio beniamino, ma ha ritrovato, contemporaneamente. la genuina forma della rivista. «A prescindere» non è una commedia musicale, come se ne sono viste molte In questi ultimi tempi: è una vera «rivista», così chiamata perché passa in rassegna in chiave umoristica ed a volte lievemente satirica, •le manifestazioni più appariscenti della vita. Tòtò ha voluto prescindere, come egli stesso ha affermato, da ogni schema, da ogni cliché prefabbricato. Ed il successo con il quale il pubblico romano lo ha accolto ha dimostrato che egli ha avuto ragione. E con Totò sono state applauditissime Franca May, soubrette bionda, fresca e spumeggiante; la bella e brava Franca Gandolfi; Jvonne Menard, delle «Folies Bergère»; oltre al simpatico Enzo Turco. [...]

«A prescindere» porta la firma di Nelli e Mangini, ed è stato uno spettacolo riuscito anche se, a volte, il copione denunciava qualche lentezza rieccheggiando motivi conosciuti. Buona la regia. La personalità esuberante di Totò si è imposta anche nella parte musicale: molte canzoni, oltre a quelle dei maestro Carlo Alberto Rossi, sono sue. Apprezzati i costumi di Folco e le scene, eseguite su bozzetti di Artioli. Misurati, piacevoli e quindi applauditi gli altri attori componenti il cast: Dino Curcio, Antonio La Raina. Alvaro Alvise, il simpatico e bravissimo Imitatore Mario di Giglio, le belle Elvi Lissiak. Marisa Mayer, Luana Silli. [...]

«Corriere della Sera», 24 novembre 1956

Le prime a Roma - Totò al Sistina

Dopo sette annidi assenza dalle scene, Totò si è ricordato che Giuseppe Verdi sosteneva «torniamo all'antico e faremo del nuovo» ed ha chiesto al suoi autori Nelli e Mangini non la solita commedia musicale ora di moda, bensì una semplice rivista, sapida di belle donne, allegra e sgambettante in libertà, senza quel filo conduttore che spesso imbriglia l’estro. Infatti «A prescindere» è uno di quei motti cari a Totò perché dicono tutto e non dicono niente!

Lo spettacolo, sotto l'egida Errepi, è giunto a Roma dopo due giorni di rodaggio a Perugia. Pochi. Fra una settimana godrà di quella carburazione perfetta di cui ieri sera difettiva. Amico di Paone, amico di Totò, non amico del giaguaro, ma soprattutto amicissimo dei miei lettori, scrivere una critica del debutto al Sistina non è cosa facile. Dire che ha deluso, è indubbiamente eccessivo. Dire che è stalo inferiore alla aspettativa, è onesto. Remigio Paone ed Antonio De Curtis sono uomini di teatro di tale probità artistica da rendersi lealmente conto delle zone grigie di ieri sera.

Totò ci ha detto qualche cosa di nuovo? No. Anzi ha drogato il testo con le trovate sceniche ed i lazzi a lui sempre cari, anche se oramai velati dalla patina del tempo, a costo di farla da padrone sugli autori, travolti — talora forse loro malgrado — da una personalità artistica talmente violenta da annullare qualsiasi copione: ci fosse o non ci fosse. Le sue caratterizzazioni umoristiche (il viveur, il già noto Commissario di P.S., il produttore cinematografico, Napoleone e persino Otello) sono sempre irresistibili. Mi consente duuque di risparmiargli il solito, sia pure meritato, inno. La sua carriera teatrale, quanto ad inni, é tutta — ed ancora — una marcia trionfale dell'Aida.

Due quadretti di preparazione e si salta di palo in frasca: Elvis Presley, il cantante isterico, il ragazzone sportivo che preferisce la partita di calcio a quella propostagli dall'ardente fidanzatina, le generichette «tuttofare» in cerca di produttori, eccetera. Le coreografie di Gisa Geert incidono notevolmente sulla classe dello spettacolo. La Makumba, in cui ammiriamo Yvonne Ménard nel ruolo di una vergine offerta al mulatto Bob Curtis, in funzione di coccodrillo sacro (ma di buon appetito), e il Notturno sulla nave, ove vediamo una passeggera (Franca May), sofferente d’insonnia, concedersi una rapida espeirenza erotica con un robusto fochista negro (Ted Barnett) mi sembrarono quadri di ordinaria amministrazione. Ma il travolgente Rock and Roll, l'arioso finalissimo, e soprattutto la Leggenda siciliana, racconto d'amore e di morte, sono composizioni pantomimiche degne delia magistrale firma di Gisa Geert.

Per Franca May sciolgo volentieri le riserve fatte in altre occasioni, relative alla mancanza di maturazione per un ruolo tanto impegnativo, frutto di una carriera troppo accelerata: tipo «Tutto l'Inglese in 24 lezioni», oppure «Imparate a ballate per corrispondenza». Elegante, avvenente, volenterosa, allorché nel monologo romanesco, non più ossessionata dalle pastoie di un subrettiname di maniera, ha recitato sinceramente e - facile facile -, si è rivelata valida attrice.

Yvonne Ménard, quanto a mezzi vocali, è una chanteuse de charme, ma — vedi la canzoncina dello « spogliarello * — di quale delizioso charme! Come ballerina ha dimostrato che non a torto il suo veccho impresario parigino, Paul Derval, la definì «un vrai démon qui mec le feti aux planches». Benché evidentemente spaesata in uno spettacolo italiano, tenne costantemente i vigili del fuoco in preallarme.

Franca Gandolfi ha avuto tutto dalla vita teatrale: un bel marito, e per di più armato di chitarra. Domenico Modugno; una bellezza tale da farla apparire. come l’amato oggetto del tenore del «Ballo in maschera», tutta estasi, raggiante di pallore, un aspetto da figurino di Vague ed ora persino un successo secondo ruolo, nel quale sfoga brillantemente. Avrei veduto volentieri affidare ad Elvi Lissiak, che è ottima attrice, parti di maggior rilievo.

Marisa Mayer e Luana Silli fanno con lodevole impegno quel poco che (non) hanno dato loro da fare. Eccellente in bravura, un tantino meno in misura, Enzo Turco. Ammirevoli Aivisi, Curcio e La Raina nel cavar fuori sangue dalla rapa dei vari personaggi loro adeguati. L'imitatore Mario Del Giglio — rifacendo l'esteta Muriannini, il gastronomo avv. Rossi, Tina Pica ed altri — è stato uno spasso. Il pericolante primo tempo gli mandi un telegramma di ringraziamento per grazia ricevuta.

Musiche di C. A. Rossi oneste quanto insignificanti, malgrado gli sforiz eroici del Maestro Mariano Rossi per armonizzarle con la sua orchestra. Scene di Artioli diligenti: di gradevole effetto il finalissimo. Costumi di Folco: un altalenare di buonissime o di banali idee. Ottime le sette coppie di danza, dalle quali emergono per particolare bravura, la svitata Josè Hargreaves, in evidente cura dimagrante, lo stilizzato Sandro Domini ed il plastico mulatto Ted Barnett ,con le svettanti show girl, le coppie sono state a volte pregevole quadro ed altre preziosa cornice.

La celebre «cosetta» di tutta la Compagnia al seguito di Totò, sul patriottico motivo della marcetta del Bersaglieri, ha concluso la serata in bellezza, coprendo qualche lieve dissenso e galvanizzando la platea, mentre dall'alto dei dell'italico Stellone — che è sempre una grande risorsa — faceva da faro e da moccolo.

Nino Capriati, «Momento Sera», 25 novembre 1956


L'altra sera al teatro Sistina Totò si è ripresentato al suo pubblico dopo sette anni di disputabili successi cinematografici [...] . Un applauso interminabile alla sua prima uscita e poi acclamazioni e risate durante quasi tutto il primo tempo sino alla improvvisa esplosione del Rock and Roll. Il secondo tempo è piaciuto meno e io credo che tutto lo spettacolo guadagnerebbe parecchio se lo si ridimensionasse, tagliando con coraggio in quella seconda parte a cominciare dal finalissimo e sostituendolo con il Rock and Roll. Anche riequilibrato in questo modo nessuno griderebbe al capolavoro. Per un ritorno cosi importante era lecito attendersi un testo più vivo e serrato e invenzioni più divertenti. Siamo ben lontani dal Totò a Capri e dal Totò nel vagone letto delle sue grandi stagioni di alcuni anni fa. E tuttavia lo spettacolo vale la spesa. Totò era più disorientato che stanco, e mi dicono che ha fatto presto nelle recite successive a ritrovare quasi tutta la sua verve e il suo scatto. E, in ogni modo, egli è sempre e di gran lunga l'apparizione più esilarante del nostro teatro di rivista [...].

Sandro De Feo, «L'Espresso», Roma, 2 dicembre 1956


Yvonne Ménard apre la serie delle copertine della nostra nuova annata. Yvonne, assieme a Franca May ed a Franca Gandolfi, è una delle « vedettes » della rivista di Totò: "A prescindere..." di Nelli e Mangini, per la quale Remigio Paone non ha lesinato i mezzi. La rivista viene data ora a Roma, al Teatro Sistina, ma presto la vedremo anche a Milano. In questi giorni era corsa voce che la Ménard si sarebbe ritirata dallo spettacolo perché ammalata: è invece soltanto un poco stanca. (Fotografìa Bosio-Press-Photo).

«L'Europeo», anno XIII, n.1, 5 gennaio 1957


Totò a Milano

Totò sarà presto a Milano. Finora ha portato al successo la sua rivista «A prescindere...» a Roma, a Salerno, a Napoli. A Napoli si è fatto un autentico tifo per il «super-comico di casa», e per te due «soubrettes» della fastosa Compagnia: Franca May e Yvonne Menard. Ora è a Torino. Poi, punterà su Milano, dove si fermerà a lungo al Nuovo.

«Corriere della Sera», 27 gennaio 1957


«A prescindere» con Totò all'Alfieri

Per una volta, più che alla noterella di recensione converrà affidarsi alla cronaca. Che si dovrebbe dire, infatti, sul piano critico, del Totò visto ieri sera? Riscoprire la sua ormai celeberrima mimica, fissata in tanti anni di palcoscenico e tramandata ai posteri attraverso decine dì pellicole? Rilevare ancora le sue mosse e mossette di collo o di gambe, la bazza, il roteare gli occhi, la bombetta, i calzoni agli stinchi, risorse di una comicità che, specie nel dopoguerra, ha costituito il modello per buona parte del teatro italiano di rivista ed è stato pretesto di innumerevoli e facili rielaborazioni e imitazioni? Sarebbe evidentemente inutile, equivarrebbe dire cose che tutti sanno.

Piuttosto era augurabile poter aggiungere qualche nuova osservazione su Totò: accorgersi di uno sviluppo, di un arricchimento della sua personalità artistica e cioè del tuo repertorio. Ma Totò ha preferito imitare se stesso o, meglio, restar fedele a sè stesso: anche nei minimi particolari, anche — e questo con franchezza lo deploriamo — in certe trovatine e lazzi sottolineati e facezie di dubbio gusto che senza nostalgia poteva abbandonare.

Il pubblico però — e qui subentra la cronaca — gli ha dato ragione. L’« Alfieri » ora gremito. L'apparizione di Totò ha scatenato un putiferio di grida e di applausi. Totò ha ripetuto i gesti «alla Totò»; le battute «alla Totò» e la gente è andata in visibilio: l’aveva nel ricordo com'era, sette anni fa, lo voleva come allora e puntualmente, esattamente, l’ha ritrovato. Di qui il compiacimento, le acclamazioni al ritorno di uno qualunque dei vecchi motivi, anche se frusti.

La rivista di Nelli e Mangini ò quella che è: ha un certo brio, ma non si leva dal modesto artigianato. Lo spirito è troppo spesso di grossa grana. Per il rientro di Totò era lecito aspettarsi qualcosa di meglio. Ricordiamo l'indiavolata, piccante, Menard, l'impegnatissima May, Enzo Turco, la Gandolfl e un imitatore di clamorosi effetti, il Di Giglio, che è stato applaudito quasi quanto Totò.

u. bz., «La Stampa», 26 gennaio 1957


Totò all'Alfieri in «A prescindere»

Totò è tornato sulle tavole del palcoscenico dopo anni di assenza. Sette, ad essere precisi, per quanto riguarda Torino, dove, ieri sera, al Teatro Alfieri, egli ha presentato la rivista «A prescindere...» di Nelli e Mangini con musiche di C. A. Rossi. Un lungo applauso lo ho salutato all'apparire: il pubblico è parso contento, soprattutto, di rivedere in carne e ossa, il personaggio di tanti flims conosciuti, quelli più tipici della sua maniera tipica, che lo schermo ha reso famosi all'inizio: portandoli via, quasi di peso, dall'antico varietà. È, dell'antico spettacolo caro alle folle di trent'anni fa, Totò ha conservato alla ribalta, anche ieri sera, in fisionomia essenziale, il tipo che egli incarna da tempo, fra iI mimo un po’ fermo alla superfìcie del mezzo espressivo e la marionetta, legnosa, marcata, caratterizzata dal movimenti epilettici.

L'avvio è stato un po' lento con un Napoleone un po’ di maniera, ma poi il tono di Totò è salito, nel quadro «Chi l'ha visto?», per sciorinare con slancio e vivacità tutta la sua carica umoristica nel personaggio di «Un uomo terribile». Nel secondo tempo, dove iI nostro ometto, sotto la bombetta in bilico, nella rendingotte abbondante, con i pantaloni a righe issati sopra le caviglie, svolazzanti e frenetici, è stato «il commissario», la caricatura del commissario di polizia classico, che parla un francese spaventoso e maneggia ordigni minacciosi. Gli ocelli roteanti, gli stupori e le smorfie del lungo mento: questo è stato ieri Totò, quello che conosciamo e che le luci del boccascena hanno un poco impicciolito, naturalmente, ma non di molto.

Il titolo della rivista è un pretesto, i quadri non hanno nesso logico, non vi è lo sfarzo travolgente dei metri e metri di tulle e di cose del genere, ma Remigio Paone non è stato inferiore alla fama che gli diedero in passato spettacoli ricchi di buon gusto e molto curati. Totò è circondato da attori che hanno un nome nel mondo della rivista. Franca May, la biondissima, è la «soubrette», elegante come vuole la prassi, abbastanza centrata nella recitazione e dotata di una voce fatta su misura per il microfono. Con lei la parigina Yvonne Menard, delle «Folles Bergère», la grande attesa, Yvonne, pur fermandosi a tempo nelle operazioni che hanno reso famoso il «varietà» parigino, restando soltanto all'esenziale in fatto di abbigliamento (gli agenti dell'ordine erono agitatissimi; agitato pareva anche Paone), ha saputo dare chiara misura di quanto conti anche In questa forma di teatro minore, il mestiere, la pratica, la sottile esperienza interpretativa.

Più che mai napoletano nella simpatia irraggiente e spontanea, Enzo Turco, che a Totò fa da spalla. Quindi l'impassibile o falso tonto Dino Curcio: per non citare che i principali nomi del «cast». Franca Gandolfi è piaciuta per la disinvoltura; Mario di Giglio ha dovuto bissare un paio di volte. Mario di Giglio è il classico e notissimo imitatore di attori, cantanti; personaggi che egli non ha mai avuto bisogno di annunciare avendoli il pubblico riconosciuti tutti fulmineamente. Nella seconda parte, egli ha interpretato il personaggio del bambino prodigio che sa tutto, novello Pico della Mirandola, perchè durante la gestazione la madre passava il suo tempo davanti al video di «Lascia o raddoppia». Con quello — assai mordace — alla maniera di «Primo applauso», questo quadro i stato il più brillante e spiritoso.

In omaggio al numero sette (gli anni di assenza dal palcoscenico di Totò) lo ballerine erano sette: sette le «show girls», le ragazze da vedere (come vuole la tradizione altissime, troppo alte di statura per i gusti nostrani) e sette i danzatori. Tre di questi soltanto, però, degni di nota, i tre « colured mén », Barnett, Curtis e Coleman, che le danze, curate da Gisa Geert, non erano eccezionali, e la coreografia senza eccessivi guizzi d'invenzione. Cosi la musica, orecchiabile, ma senza motivi notevoli da ricordare, di quelli che tormentano, per intenderci, che non si può fare proprio a meno di canticchiare.

I costumi fono di Folco, di buon gusto: i bozzetti delle scene di Artioli. I «modelli» di abiti delle attrici principali portavano le firme di celeberrimi sarti. Schubert ha vestito — si dice cosi per dire — sia la May che la Menard. Notevole per il travolgente ritmo dell'insieme il «rock and roll» che chiude il primo tempo. Molti i ritardatari delle poltronissime, come vuole il malvezzo di una specie di tradizione oramai incallita: cosicché lo spettacolo è finito tardissimo.

g. c., «L'Unità», 26 gennaio 1957


Totò torna a Milano con un po' di batticuore

Dopo sette anni e mezzo Totò si presenta nuovamente al pubblico milanese. A Milano Totò, lo ha confessato recentemente, ci ritorna sempre con un po' di batticuore. Milano ha contribuito in massimo parte alla fama di Totò, e pertanto Totò ai milanesi vuole sempre riservare il meglio di sè. Fra poche ore il sipario si alzerà sull'ennesimo spettacolo « Errepì » « A prescindere » di Nelli e Mangini, e sul palcoscenico inquadrato dalla luce dei riflettori, ricomparirà la figurctta di un comico che ha saputo creare una maschera inimitabile. Ieri Totò era introvabile. E' sua abitudine sottrarsi a chiunque nell'imminenza di una « prima ». Si sa che è nervoso ed emozionato, almeno fino al momento in cui non inizia il suo « colloquio » col pubblico. Paone, l'impresario che ha voluto, e intensamente, riportare Totò in teatro commento: « Sì, perchè la eccessiva disinvoltura, in teatro, è virtù dei mediocri ».

Paone è nervoso

Il nervosismo di Totò è anche il nervosismo di Remigio Poone, il quale, nel tuo studio trasformato in quartier generale, sussurra a un amico: « Addio alla mia pace. Per me è il ritorno alle grandi emozioni ».

Franca May, « soubrette » italiana della Compagnia (Yvonne Menard è la cosiddetta « attrattiva internazionale ») ieri nel pomeriggio ha stazionato in permanenza dal parrucchiere. Intervista, per forza di cose concisa, con l'attraente « star », dal capo ricoperto da un mastodontico casco. Franca May parla un po' col naso per via di uno noiosa sinusite. Niente di grave. Dice: « Sono sulle spine. Vorrei che l'incubo della prima fosse già finito. Il giudizio del pubblico milanese mi preoccupa, e molto ». Poi fa una confidenza. Nella rivista interpreta uno « sketch » in romanesco; la parodia di una « mannequin ». A Milano, la May volgerà in meneghino la scenetta. Incredibile a dirsi si cimenterà nel dialetto milanese. Ma non la sera della prima. In seguito.

La « capitana »

La «capitana» del balletto Geert, impiegato nella Compagnia di Totò, è una magnifica ragazza australiana. Le piace molto l'Italia, si è subito ambientata, si è presto affiatata coi compagni di lavoro. Il suo nome è Ellen Brown. Confessa: « Mi piacciono molto gli italiani, e soprattutto Toni ». Ma non ha voluto spiegare a che Toni volesse alludere.

«Corriere d'Informazione», 5 febbraio 1957



Dopo sette anni di cinematografo, Totò è tornato alla rivista. Per sette anni i suoi gesti e la mimica anche più segreta del suo volto sono stati scrutati dagli obbiettivi nel gioco angolare delle luci e sono stati ingranditi nei primi piani dello schermo. [...] Le prospettive teatrali sono molto diverse: L'Uomo deve tornare ad essere Maschera, la mimica facciale più sottile deve diventare smorfia violenta, l'attore deve moltiplicare le dosi della virtù comica per ottenere l'onda lunga che lo metta in contatto con lo spettatore lontano. In certi momenti sembra non ci siano "valvole" che bastino per ottenere quello che in radiofonia si chiama un'alta fedeltà. I cinque, i dieci minuti dello sketch non bastano a dar vita ad un personaggio: sono appena sufficienti per modellare una macchietta. E' una lotta dura, un ritorno duro a mezzi tecnici più ristretti e più avari. [...]

Questa prova di ridimensionamento è quasi tutta riuscita, soprattutto nella seconda parte della rivista. Prima, la famosa maschera ci era apparsa ogni tanto sfocata, come vista dietro ad un vetro qua e là smerigliato. La recitazione, più che una invenzione immediata, ci pareva "estratta" da un appello un po' inquieto a memorie di effetti che erano familiari sette o quindici o vent'anni fa - addirittura al tempo di Totò sconosciuto alle folle - e che i sette anni consumati in un'altra tecnica espressiva avevano reso un po' consueti. Le battute erano spesso un po' massicce: qualcuna scivolava su sentieri di una comicità facile ma un po' viscida. L'attore era andato approdando ai porticcioli di effetti già molte volte collaudati e per chi aveva buona memoria l'impressione era un po' quella di assistere ad una selezione antologica del "primo Totò" come nelle cineteche si fa con i cortometraggi del "primo Charlot".

Le ripetizioni e le "citazioni classiche", si sa, non giovano effettivamente a nessuno, soprattutto nel teatro comico, che brucia rapidamente la sua prima virtù che è quella dell'inatteso. Gli effetti migliori Totò andava ritrovandoli più che negli scatti marionettistici di un tempo e più che nei divincolamenti disossati, nella dosatura delle sfumature mimiche. Alla fine, quando si è compiuto il congiungimento con la tradizione e con l'origine del vecchio music-hall - ci hanno detto che la parodia dell'Otello è un "numero" di andatura quasi petroliniana, che risale a molti anni or sono - Totò ha ritrovato completamente la sua sua misura di grande maschera comica. Il pubblico aveva avuto in un primo tempo una larga cordialità: alla fine ha avuto la prova che ritrovava il suo Totò nella misura completa e gli applausi si sono fatti fittissimi.[...].

Orio Vergani, Corriere d'Informazione, 6 febbraio 1957


NUOVO

A prescindere... rivista di Nelli e Mangini

Teatro gremito e applausi fragorosi per tutta la serata. Totò ha esilarato il pubblico con le sue risorse buffonesche, usate, abusate e sempre fresche per il pubblico delle nuove generazioni. Nè s'ha da rimproverare a Totò la sua fedeltà ai lazzi e alle smorfie che gli hanno portato fortuna: a quel suo oscillare del collo a mo’ del gallo quando fa il bello sotto lo sguardo delle galline; a quel suo strabuzzare degli occhi; al dilatare delle palpebre; a quell'aria di allocco che si fìnge tonto per trame motivi di comicità; a quel suo strisciare i piedi di burlesco effetto; non s’ha da rimproverarlo, dicevamo, perchè Totò è una maschera. come è una maschera Macario. Prima norma di una maschera è la sua fissità: nè crearne una è trovata da poco. Totò ha inventato la sua e di ciò si deve rendergli merito.

Che vi siano echi petroliniani può darsi, ma vi sono in lui anche note personali e caratteristiche. Come maschera varca talvolta i limiti del buon gusto; ma quando mai una maschera li ha osservati? Non certo quelle della commedia dell'arte (delle quali Totò e Macario sono i tardi epigoni) che in fatto di sguaiataggini e di uscite orripilanti erano tali campioni da rendere Totò e Macario rosei quali collegiali. Bisogna accettarli in blocco come sono, o respingerli. Ma il pubblico che affolla il teatro al pari di ieri sera, cosi da indurre, all’inizio dello spettacolo. qualche agente della «Celere » a regolare l’afflusso alla platea, accetta Totò nel suo complesso e, a prova, basterà dire che l'applauso col quale è stato accolto è durato quasi due minuti e pareva non dovesse finire. Tanto che l'attore stesso sopraffatto dall'emozione non trovava il flato per cominciare.

Di fronte a testimonianze cosi calorose di simpatia, non si può che notare la suggestione da Totò esercitata sulla folla che lo vuole così e per la quale egli si prodiga proprio nei li’ miti del suo personale repertorio scanzonato, smanicato e schiavo della ilarità ad ogni costo. Egli è il perno dello spettacolo che Nelli e Mangini. due esperti rivistaioli, hanno composto per fornirgli un contorno di balletti e di quadri senza pretese fastose ma decorose. Totò compare nelle scenette buffe dove è più Totò che mai. E le risate che sottolineano i suol gesti, le sue pause, le sue salacità, le sue grossolanità anche. sono frequenti e rumorose.

Non come il forsennato « rock and roll » che chiude la prima parte, ma sempre di un tono vibrato. La seconda parte con la canzonatura dei giochi televisivi e con due quadri assai gradevoli: Leggenda siciliana e Notturno, completa piacevolmente lo spettacolo. I tifosi di Totò possono appagare il proprio tifo e forse, invece di guarirne, se ne ammaleranno di più. Accanto al divo figura, con grazia e con brillante vivacità Franca May che canta, recita e balla con animazione. La « subretta » francese, frenetica e indiavolata. Yvonne Menard, dagli occhi d'acciaio; Franca Gandolfì; il divertente Enzo Turco; l'eccezionale imitatore Mario di Giglio, le ballerine di Gisa Geert e tutta la compagnia non hanno risparmiato flato, muscoli e fatica per portare lo spettacolo al successo. Stasera replica.

e. p., «Corriere della Sera», 6 febbraio 1957


TEATRO NUOVO

Festeggiato Totò nella rivista "A prescindere..."

Per molta parte del foltissimo pubblico accaso al Nuovo, questo con Totò era il primo reale incontro, gli altri erano avvenuti nel buio di una sala cinematografica con l’ausilio di un telone bianco. Una conoscenza quindi non approfondita anche se, per taluni aspetti, immediata ed efficace nella rivelazione di un'arte quanto mai complessa. Totò fin dalla sua prima apparizione alla ribalta ha però stabilito un invisibile filo di comunicatività, di simpatia con gli spettatori, ed il dialogo tra lui e la platea si è andato via via facendo più vivace ed intenso suscitando sequenze di applausi fragorosi,.

Come rivista « A prescindere » è un ritomo al varietà modernizzato. Accanto agli « sketches » inequivocabilmente farseschi allinea una serie di quadri fastosi e belli offrendo all'estro di Gisa Geert la possibilità di comporre coreografie e balletti di reale effetto. Tra tutti sono particolarmente piaciuti «Il pericolo pubblico n. 1», «Makumba», il finale del primo tempo, un «rock and roll» travolgente ed entusiasmante, «Notturno» e «Leggenda siciliana».

Cordiali consensi a Franca Faldini, che ha brillantemente sostituito nelle parti di prosa Franca May, costretta all'inattività da un recente infortunio, alla bella Yvonne Menard, che ha cantato e ballato con brio e vivacità, all'avvenente Franca Gandolfi, a Josè Hargreaves, ballerina moderna e scattante, a Enzo Turco, efficace «spalla» di Totò, agli ottimi attori La Raina, Curcio, Alvisi e al sorprendente imitatore Mario Di Giglio. Una particolare citazione meritano poi le sette coppie di ballerini e ballerine solisti.

Tutti gli esecutori hanno del resto generosamente contribuito al successo dello spettacolo, per il quale ha composto le fresche musiche Carlo Alberto Rossi, ha disegnato le indovinate scene Artioli ed ha ideato vivaci costumi Folco. Oggi due repliche; alle ore 15.30 e alle 21.15.

r.a., «Il Giorno», 6 febbraio 1957


FESTOSO RITORNO AL TEATRO NUOVO

Antologia del "primo Totò" e "rock and roll"

Dopo sette anni di cinematografo, Totò è tornato alla rivista. Per sette anni i suoi gesti e la mimica anche più segreta del suo volto sono stati scrutati dagli obbiettivi nel gioco angolare delle luci e sono stati ingranditi nei primi piani dello schermo. Il cinema ha una parte di torti, ma anche una parte di meriti: permette attraverso ai suoi giganteschi ingrandimenti un'analisi che, ci sembra di dover dire, riesce a tutto vantaggio di un attore che, come Totò, il suo miglior segreto lo ha nelle sfumature: in un millimetrico flettersi delle sopracciglia, in un velarsi improvviso dell’occhio. in un intimo ammiccare forse furbesco e forse di mestizia. Non tutti i film di Totò ci sono piaciuti: ma in tutti c'era un momento in cui la «camera» aveva a sua disposizione una delle più straordinarie maschere di attore — non solamente comico — di questi tempi.

Per questo, Totò doveva prevedere che al suo ritorno gli amici del Teatro, e non solo della abbondante comicità, sarebbero stati molto esigenti, nell'osservare come il famoso comico avrebbe potuto nuovamente proporzionare se stesso e le virtù della sua recitazione a misure cui il nostro occhio non era più abituato. Dal grande formato — direbbe un fotografo — si passa al piccolo formato senza ingrandimenti. Dai microfoni degli «studi» e dagli altoparlanti che moltiplicano la voce della colonna sonora si passava al teatro dove — anche se sostenuta da qualche amplificatore — la voce umana deve lottare da sola. Dalla comicità dei film, che si giova, si, di una serie di gags ma che permette la costruzione di un personaggio e lo sviluppo cauto e progressivo di un intreccio e di una situazione, si doveva tornare alla comicità sintetica dello sketch.

Il pubblico che gremiva il Nuovo non era venuto certamente a proporsi problemi, per così dire, di estetica nello studio del rapporto fra «dimensione e comicità». Ma sta di fatto che, forse senza pensarci su troppo, questo problema doveva essere presente allo spirito dell’attore. Il cinematografo nei suoi rapporti fra occhio dello spettatore e grandezza dello schermo ha tutti i vantaggi di un teatro da camera, dove nulla, praticamente, ci divide dall’attore, con il quale, quasi, addirittura coabitiamo. Le prospettive teatrali sono molto diverse: l'Uomo deve tornare ad essere Maschera, la mimica facciale più sottile deve diventare smorfia violenta, l’attore deve moltiplicare le dosi della virtù comica per ottenere l'onda lunga che lo metta in contatto con lo spettatore lontano. In certi momenti sembra non ci siano «valvole» che bastino per ottenere quello che in radiofonia si chiama un’alta fedeltà. I cinque, i dieci minuti dello sketch non bastano a dar vita ad un personaggio: sono appena sufficienti per modellare una macchietta. E' una lotta dura, un ritorno duro a mezzi tecnici più ristretti e più avari. La tirannia del pubblico impone il lazzo e lo sberleffo, forse come al tempo di Plauto. Tutti avranno osservato come Totò, che per tanti anni avevamo visto in «bianco e nero» — salvo che nelle tavolozze dei «Totò a colori» — ieri sera avesse forzato i toni dei suoi rossetti per aiutare l’accentuazione di una maschera che nel suo carattere umano più sottile vorrebbe essere invece pallida e segretamente melanconica, come vuole humour più profondo.

Questa prova di ridimensionamento è quasi tutta riuscita, soprattutto nella seconda parte della rivista. Prima, la famosa maschera ci era apparsa ogni tanto sfocata, come vista dietro ad un vetro qua e là smerigliato. La recitazione, più che una invenzione immediata, ci pareva «estratta» da un appello un po' inquieto a memorie di effetti che erano familiari sette o quindici o vent'anni fa — addirittura al tempo di Totò sconosciuto alle folle — e che i sette anni consumati in un'altra tecnica espressiva avevano reso un po' consueti. Le battute erano spesso un po' massicce: qualcuna scivolava su sentieri di una comicità facile ma un do' viscida. L'attore era andato approdando ai porticcioli di effetti già molte volte collaudati e per chi aveva buona memoria l'impressione era un pò quella di assistere ad una selezione antologica del «primo Totò» come nelle cineteche si fa con i cortometraggi del «primo Charlot». Le ripetizioni e le «citazioni classiche», si sa, non giovano effettivamente a nessuno, soprattutto nel teatro comico che brucia rapidamente la sua prima virtù che è quella dell’inatteso. Gli effetti migliori Totò andava ritrovandoli più che negli scatti marionettistici di un tempo e più che nei divincolamenti disossati, nella dosatura delle sfumature mimiche. Alla fine, quando si è compiuto il congiungimento con la tradizione e con l'origine del vecchio music-hall — ci hanno detto che la parodia dell'Otello è un «numero» di andatura quasi petroliniana, che risale a molti anni or sono — Totò ha ritrovato completamente la sua misura di grande maschera comica. Il pubblico aveva avuto in un primo tempo una larga cordialità: alla fine ha avuto la prova che ritrovava il suo Totò nella misura completa e gli applausi si sono fatti fittissimi.

Il copione — nel quale ci sembra di indovinare molte interpolazioni non dovute agli autori — è di Nelli e Mangini e inventa buone situazioni allegre e buoni pretesti scenici e coreografici per i vari quadri, molti dei quali assai sontuosi. La compagnia comprende stelle, vedettes e stelline a profusione. Franca May sa spogliarsi assai bene ma è anche un'attrice piena di spirito e una canterina di fresco fascino. Ha una carica di intelligenza scenica assai rara in una donna così francamente bella. Yvonne Menard, non obliabile femme nue alle Folies-Bergère, balla con molta eleganza e canta con fine civetteria la canzone di uno «spogliarello mancato». Franca Gandolfi è un bel viso accorato e ardente in cerca di un personaggio. Enzo Turco, l'imitatore Di Giglio, Alvaro Alvini, Dino Curcio hanno contribuito validamente alla solidità dello spettacolo. Belle le danze armonizzate da Gisa Geert però con inutili abusi di nudità virili. Ottime le ballerine, acclamatissime in un «rock and roll». Imponenti — non sappiamo dire di più — le sette belle gigantesse inglesi che sfilano solennemente con le loro stature da dromedari.

Il pittore Artioli ha collaborato con scene di ottime trovate coloristiche e grafiche. Eleganti i costumi di Folco. Di ottima media le musiche di C.A. Rossi.

Orio Vergani, «Corriere d'Informazione», 7 febbraio 1957


Totò: ieri sera39 di febbre

Ieri sera Totò aveva 39° di febbre. E la rappresentazione di « A prescindere » la rivista che interpreta al Teatro Nuovo c stata pertanto sospesa. L'attacco febbrile che ha colpito Totò è stato causato dall’influenza. Al popolarissimo comico sono state praticate iniezioni di penicillina che hanno contribuito a far scendere la febbre. Stasera stessa Totò intende essere di nuovo al suo posto, al Teatro Nuovo, protagonista della rivista «A prescindere».

«Corriere della Sera», 10 febbraio 1957


La direzione del Teatro Nuovo ha ricevuto dal prof. Cesare Bussolati una dichiarazione in cui risulta che il principe Antonio De Curtis è affetto da broncopolmonite post-influenzale. Per rimettersi all’attore sono necessari tre giorni di cure e di riposo assoluto. Pertanto Totò tornerà in scena lunedi 18 alle ore 21.10.

«Corriere della Sera», 17 febbraio 1957


"A prescindere" con Totò in marzo

Due buone notizie, una per gli appassionati della prosa, l'altra per gli « aficionados » della rivista: l’impresa Baracchi si è assicurata una recita del Piccolo teatro di Torino ed una rappresentazione della Compagnia di rivista del redivivo Totò.

Il Piccolo teatro di Torino, di cui tutti dicono un gran bene e che il pubblico biellese già conosce, sarà ospite del Sociale la sera di lunedi 25 febbraio, e metterà in scena « Liolà» di Pirandello. Della affiatatissima compagnia fanno parte, come è noto, Leonardo Cortese, Ferrari, Bizzarri ed altri attori di vaglia. Cortese dà vita al personaggio di Liolà, e la sua interpretazione, briosa e disinvolta, è piaciuta molto ai critici torinesi.

Totò, che è tornato alla rivista dopo una prolungata assenza dovuta agli impegni cinematografici assunti dal più popolare comico italiano, sarà invece al Sociale il 12 e il 13 marzo. Come è noto, su di lui è imperniata la rivista « A prescindere... », di Nelli e Mangini, due autori che conoscendo molto bene Totò hanno saputo mettere nel copione una girandola di situazioni tali da consentirgli di valorizzare appieno le sue doti di irresistibile comicità. Accanto al « re della rivista » figurano Franca May, Yvonne Menard (definita « la bella dagli occhi d’acciaio »), Franca Gandolfi, Enzo Turco, e le bellissime ballerine del corpo di ballo diretto da Gisa Geert.

«Eco di Biella», 14 febbraio 1957


Totò torna lunedi

La direzione del Teatro Nuovo ha ricevuto dal prof. Cesare Bussolati una dichiarazione in cui risulta che il principe Antonio De Curtis è affetto da broncopolmonite post-influenzale. Per rimettersi all’attore sono necessari tre giorni di cure e di riposo assoluto. Pertanto Totò tornerà in scena lunedi 18 alle ore 21.10.

«Corriere della Sera», 17 febbraio 1957


RECITE SOSPESE AL NUOVO

Totò migliora: presto in passarella

Totò sta meglio ma non si è ancora completamente ristabilito. Ieri sera avrebbe dovuto riprendere le recite e si era infatti recato in teatro, al Nuovo. Ma lo stato di debolezza era tale che in camerino è svenuto. Gli attori tutti della Compagnia l’hanno pregato di non volersi sottoporre alla fatica e al rischio di uno spettacolo e di continuare, nel riposo, le cure per ristabilirsi completamente. Pertanto le repliche di «A prescindere» sono ancora sospese. La direzione del teatro comunicherà il giorno della ripresa degli spettacoli. Questo protrarsi delle poco buone condizioni di salute di Totò è dovuto a una crisi di depressione in seguito alla malattia che l'ha colpito qualche giorno fa.

E' stato proprio il desiderio di Totò di ritornare immediatamente in palcoscenico per non recare danni finanziari alla Compagnia e al teatro che ha provocato, purtroppo, questo spiacevole protrarsi della sua assenza dal palcoscenico.

«Stampa», 21 febbraio 1957


Totò ancora malato rimanda il suo rientro

Milano, giovedi sera.

Il popolar attore Totò non si è ancora ripreso dalla broncopolmonite post-influenzale che nei giorni scorsi l'aveva costretto a sospendere le rappresentazioni della sua rivista. Si presumeva che l'attore fosse in grado di risalire sul palcoscenico fin da ieri sera, ma un improvviso malessere al momento di andare in scena ha consigliato di rimandare ancora le recite.

«Stampa Sera», 22 febbraio 1957


ALLARME A MILANO PER UNA FALSA NOTIZIA

Il "morto" Totò domani sulla scena

«A prescindere» dalla broncopolmonite e a dispetto dei necrofori improvvisati, il popolare attore è più vivo che mai

Milano, 21 febbraio

Nel tardo pomeriggio di oggi si è diffusa a Milano, e contemporaneamente in altre città, la notizia della morte improvvisa del principe Antonio De Curtis, in arte Totò. Le redazioni dei giornali sono entrate immediatamente in stato di allarme, mentre una profonda agitazione si verificava nell'ambiente artistico. Da Roma, da Napoli e da numerose altre città si sono avute telefonate che chiedevano precisazioni sulla notizia. I cronisti dei quotidiani milanesi sono stati inviati sia alla residenza di Totò, che alloggia in questo periodo in un albergo di via Manzoni, sia a quella di Remigio Paone, il noto impresario legato a Totò da fraterna amicizia, sia al Teatro Nuovo. Ma per qualche ora non è stato possibile avere notizie precise.

All’albergo assicuravano di non sapere niente. Il principe De Curtis, si diceva, era uscito alle 15.30 per una passeggiata e non aveva ancora fatto ritorno all'aprpartamento. Nasceva così l'ipotesi che Totò, convalescente da una broncopolmonite che lo aveva costretto da una settimana a sospendere le recite della rivista «A prescindere», fosse stato colto da malore per strada e ricoverato in qualche ospedale. Ma anche le ricerche presso i nosocomi cittadini non davano risultati. Dopo una lunga ricerca telefonica, veniva anche scartata l'ipotesi di un mortale incidente stradale: infatti la polizia, i vigili del fuoco e varie Croci — rossa, verde, bianca — non erano state chiamate per alcun intervento.

Toccava a un cronista, alla fine, risolvere il mistero: in serata il principe De Curtis, che dal pomeriggio non si era più fatto vivo all'albergo, veniva scoperto in un locale del centro mentre, in compagnia di alcuni amici, stava consumando una abbondante cena. Il popolare comico riprenderà forse le recite sabato sera. La convalescenza dell'attore è stata più lenta del presumibile anche perchè prima di essere ancora del tutto guarito, egli ha voluto risalire in palcoscenico anche per limitare specie ai compagni di lavoro, le conseguenze della sua assenza. Il ritorno è stato prematuro. Totò aveva bisogno infatti di un ulteriore riposo, indebolito com'era dall'azione degli antibiotici, impiegati per stroncare l’affezione broncopolmonare che lo aveva colpito.

v.m., «Gazzetta del Popolo», 22 febbraio 1957


Totò riprenderà questa sera le recite al «Nuovo» di Milano

Milano, 22 febbraio

Il noto attore comico Totò, guarito, seppure non completamente rimesso dall'affezione polmonare che lo ha tenuto lontano dal palcoscenico per nove giorni, riprenderà domani sera sabato le rappresentazioni della rivista «A prescindere» al Teatro Nuovo di Milano. Il popolare attore appare molto debole. Nonostante ciò il copione sarà rappresentato nella sua stesura integrale.

La scorsa notte è stata molto agitata per l'attore napoletano, per le molte telefonate che gli sono giunte da Roma dove non si sa come, si era diffusa la notizia che versava in disperate condizioni. Il focolaio di infezione, che si era manifestato all'apice inferiore del polmone sinistro di Totò, è definitivamente scomparso, sicché il prof. Bussolati che lo ha curato, pur consigliandolo di non riprendere il lavoro, non si è formalmente opposto al desiderio dell’attore di ritornare sul palcoscenico.

In questi nove giorni di malattia Totò è venuto incontro ai quarantacinque componenti della comoagnia pagandone personalmente le competenze pur non essendone obbligato per contratto il capo comico.

«Il Messaggero», 23 febbraio 1957


Milano, 23 febbraio

Questa sera Totò, che causa un'affezione polmonare era stato lontano per nove giorni dal palcoscenico, ha ripreso le recite di «A prescindere», la rivista di Nelli e Mangini al Teatro Nuovo di Milano.

«Il Messaggero», 24 febbraio 1957


12-13 marzo "A prescindere" rivista di Totò al Sociale

Il Teatro Sociale nei giorni di martedì 12 e mercoledì 13 marzo aprirà i suoi battenti alla compagnia di riviste di Totò, il principe De Curtis, il quale rappresenterà «A prescindere» super-rivista che Nelli e Marchesi hanno scritto espressamente su misura per il noto comico napoletano.

Nelle varie città d'Italia in cui «A prescindere» è stata presentata al pubblico ha ottenuto il più schietto successo e i critici hanno sottolineato che i due autori hanno saputo fornire a Totò un materiale superlativamente idoneo a valorizzare le doti del popolarissimo attore di rivista.Totò ritorna a Biella vivamente atteso. Qui, come in ogni luogo del resto, ha un suo pubblico affezionato attirato dalla sua mimica insuperabile, dai suoi lazzi, dalla sua funambolesca comicità. E' comparso sullo schermo in svariati films Totò dalla ultima volta che è stato a Biella ed ha attirato le folle nei cinematografi, ma vederlo in carne ed ossa, ascoltare direttamente le sue lepidezze è un'altra cosa.

Accano a Totò ci saranno Franca May e Franco Turco ed altri notissimi attori di vaglia. La parte coreografica è stata affidata a Gisa Geert. L'inizio dello spettacolo avrà luogo alle ore 21 precise.

«Corriere Biellese», 7 marzo 1957


Belle ragazze e Totò si producono al Sociale

Domani sera, martedì, e dopodomani. mercoledì, con inizio alle ore 21, si produrrà al teatro Sociale la compagnia di Totò nella rivista «A prescindere». Scrive Dino Falconi: «Personalmente, quando sul palcoscenico del Nuovo si è arrampicato dalla platea il grande comico napoletano, iniziando cosi lo spettacolo «A prescindere», che gli hanno combinato Nelli e Mangini su musiche di C. A. Rossi, coreografie di Gisa Gert, scene di Artioli e costumi di Folco, siamo stati riportati indietro di ben trentacinque anni. Totò, che era allora di una magrezza spettrale, si presentava rifacendo il numero di De Marco, un macchiettista del tempo; ma poi, nella sua seconda apparizione. si produceva in un ineffabile «pezzo» che intitolava «La imitazione d’un gatto e d’un cane». In realtà non imitava nè il gatto nè il cane. Era una serie di lazzi, di trovatine, di spunti umoristici che sprizzavano dai gesti allusivi, dalle suggestive occhiate degli enormi occhi porcellanati, dai passi sbilenchi, dalla voce chioccia.

Oggi quei lazzi, quelle trovate, quei gesti, quegli sguardi sono gustati da tutti. Trentacinque anni — la vita d'un uomo — li hanno perfezionati, puntualizzati, essenzializzati. Il pubblico li attende, in estasi, oseremmo dire che li spera. Nelli e Mangini si sono soprattutto (e logicamente) preoccupati di fornire a Totò i pretesti per essere Totò. L’esperienza capocomicale di Errepì ha incastonato il grande comico in una rosa di belle donnine, prima fra tutte Franca May, spiritosa ed elegante. Accanto a lei Yvonne Ménard, famosa «étoile nue» delle Folies-Bergère, ha l’aria di prendere in giro se stessa e noi per la propria piccante celebrità, con uno stile e una personalità sconcertanti. L’ottimo Enzo Turco ha l’inestimabile dono di riuscire a conservare una sua scanzonata comicità anche quando la mette a disposizione di quella altrui. Musiche facili e coreografìe scattanti. La migliore è nel quadro siciliano (o calabrese?) del secondo tempo».

«Eco di Biella», 11 marzo 1957


Festoso ritorno di Totò al Teatro Sociale

Dopo sette anni di cinematografo Totò è tornato alla rivista. Per sette anni i suoi gesti e la mimica anche più segreta del suo volto sono stati scrutati dagli obiettivi nel gioco angolare di luci e sono stati ingranditi nei primi piani dello schermo. Queste esperienze contano e conta la lontananza dalle tavole del palcoscenico. Ma tornando al teatro Totò ha ritrovato completamente la sua misura di grande maschera comica. Il pubblico lo ha accollo dapprima con grande cordialità, ma alla fine dello spettacolo ha avuto la prova che ritrovava il suo Totò nella misura completa e gli applausi sono stati fittissimi.

Il copione di «A prescindere» — nel quale ci è parso di indovinare molte interpretazioni non dovute agli autori — è di Nelli e Mangini e inventa buone situazioni allegre e buoni pretesti scenici e coreografici per i vari quadri, molti dei quali assai sontuosi. La compagnia comprende stelle, vedttes, e stelline a profusione. Franca May sa spogliarsi assai bene ma è anche un'attrice piena di spirito e una canterina di fresco fascino. Ha una carica di intelligenza scenica assai rara in una donna così francamente bella.

Yvonne Menard, che è stata femme nue alle Folies Bergéres di Parigi, balla con molta eleganza e canta coti fine civetteria la canzone di uno «spogliarello mancato». Franca Gandolfi è un bel viso accorato e ardente in cerca di un personaggio. Enzo Turco, l'imitatore Di Giglio, Alvaro Alvini, Dino Curcio hanno contribuito validamente alla solidità dello spettacolo.

Belle le danze armonizzate da Gisa Geert però con inutili abusi di nudità virili. Ottime le ballerine, acclamatissime in un «rock and roll». Imponenti — non sappiamo dire di più — le sette belle gigantesche inglesi che sfilano solennemente con le loro andature da dromedari.

«Corriere Biellese», 14 marzo 1957


Intervista con Totò

Biella, i manifesti e il principe de Curtis

Non è stato facile parlare con Totò. Durante tutto il pomeriggio, all'Angelo, dove il comico alloggiava, abbiamo sentito ripetere il disco: «il principe De Curtis riposa, non possiamo disturbarlo». Così fino a sera e, soltanto al Teatro Sociale, un'ora prima dello spettacolo, eccoci finalmente a colloquio con l'attore, appena licenziatosi da due avvocati romani dopo aver concluso i contratti per tre film da girare a fine tournée .

Prima domanda: «Ha rinunciato al suo vecchio desiderio di realizzare film per l'infanzia e la gioventù?»

«Resta una cosa a cui tengo molto - risponde il principe De Curtis - E ho in cantiere un primo film comico sentimentale di questo genere e, non è da escludere che esso rientri nella rosa dei tre contratti che ho appena firmati» .

Niente da fare per sapere qualcosa di più sui tre film in questione; Quanto al pubblico biellese Eccolo sotto il riflettore di Totò:

«Sì, a prescindere! I biellesi sono freddi, per tradizione, a spettacoli di qualsiasi genere, non applaudono "chicche e sia!" Però, a parte gli scherzi, questa volta ho trovato il pubblico più caldo di 8 anni fa, quando andai di scena all'Odeon, e questo mi ha fatto molto piacere» .

Ultimo argomento, delicato e di attualità. «Che ne pensa dei cartelloni pubblicitari dei film e delle riviste, che raffigurano scene poco convenienti alla morale?»

Ritengo, come ho detto più volte nelle interviste radiofoniche, che dove si fa dell'immoralità non c'è arte. Il voler imporre un film con la sola etichetta dell'immoralità, sarà certo un successo di cassetta, dati i tempi in cui viviamo, ma non aggiungerà nulla alla parola Arte.»

Circa le foto con cui è stato reclamizzato il suo spettacolo, Totò ha dichiarato che «sono stati i teatri delle grande città che a un certo . hanno dichiarato la loro preferenza per tale genere di pubblicità. si tenga presente che alle compagnie tali fotografie costano molto e quindi noi saremo ben disposti a farne a meno» .

Una conclusione interessantissima: «Se potrò realizzare il sogno da me sempre vagheggiato di girare film esclusivamente per l'infanzia - ha detto il principe De Curtis - sarò ben lieto di abbandonare i ruoli sino ad oggi interpretati». Auguri.

u.s., «Il Biellese», 15 marzo 1957


Franca May s'infortuna ballando il «rock and roll»

Bergamo, 17 marzo

L'indiavolato «Rock and roll» con il quale si chiude l'ultima scena della rivista «A prescindere» presentata dalla Compagnia di Totò al Teatro «Duse», è stato turbato da un incidente. Per una storta al piede sinistro, la soubrette Franca May è caduta incrinandosi una caviglia. Dopo le cure del caso la May rimarrà con la gamba ingessata per alcune settimane. La Compagnia di Totò debutterà ugualmente a Bologna, con un'altra soubrette in sosti turione della May.

«Il Messaggero», 18 marzo 1957


L'infortunio di Franca

Franca May è stata vittima nell’indiavolato Rock and Roll che balla nel finale del primo tempo di «A prescindere» la rivista di Totò. L’incidente è avvenuto sabato sera, a Bergamo. Alla sfortunata Franca hanno ingessato la gamba destra, dal piede al ginocchio. Questa sera la rivista «A prescindere» andrà comunque regolarmente in scena a Bologna. Stamane Franca May è stata visitata alla Clinica Città di Milano dal prof. Mauri. Nel pomeriggio prosegue per Bologna perchè intende partecipare comunque allo spettacolo, almeno per le parti recitate. «Voglio fare ogni sforzo — ci ha detto l’attrice — per Totò, per i miei compagni e per il pubblico.».

«Corriere della Sera», 19 marzo 1957



Stasera a Piacenza il ritorno della May

Franca May conta i giorni. E' Impaziente di tornare, con la caviglia finalmente riassestata, in palcoscenico, e di riprendere il suo posto di «soubrette» a fianco di Totó. Franca May riapparirà in passerella questa sera a Piacenza. A Milano, si è sottoposta a cure intense: cammina ancora zoppicando, ma i medici prevedono che presto potrà muoversi con maggiore disinvoltura.

«Corriere della Sera», 5 aprile 1957


Franca May ha abdicato

La stagione si é chiusa prima del previsto per Franca May. A Genova, la bionda «soubrette» ha avvertito un riacutizzarsi dello strappo muscolare che si era prodotta durante una rappresentazione a Bergamo. La sosta forzata non è valsa a nulla. Tornata in palcoscenico, Franca May ha resistito per qualche giorno. Poi ha dovuto abdicare. E così, in pieno accordo con Totò e con l'impresario Paone, è stata costretta a lasciare la Compagnia. Il professor Farneti, direttore dell'Istituto fisioterapico dell'Ospedale Moggiore di Milano, ha rilasciato il 13 scorso a Franca May il seguente certificato: «In data odierna ho visitato la signora Franca May, la quale presenta reliquati di una grave distorsione tibio-tarsica destra, avvenuta il 16 marzo. Dichiaro che è necessario assoluto riposo per un periodo di 30 giorni, associato a trattamento fisioterapico». La parte della May è stata equamente suddivisa tra Franca Faldini e Franca Gandolfi.

«Corriere della Sera», 17 aprile 1957


Andrea De Pino, «Momento Sera», 31 maggio 1957


BIOGRAFIA - Appassionato racconto del medico che gli disse «Sipario chiuso»

Totò, quell'ultima volta - Storia del Principe che non voleva smettere

Un capitolo della storia del teatro dai numerosi risvolti anche personali mai del tutto svelati. L’ultima parte della vita sul palcoscenico di Totò. Il «principe» era in scena al Politeama di Palermo con «A prescindere», programmato dal 4 al 6 maggio 1957, ma l’ultima replica saltò per il peggiorare della malattia agli occhi che da tempo lo tormentava. Furono tre medici della città a convincere Totò a rinunciare alle rappresentazioni. Troppo pericoloso stare su un palco con la vista che gli tirava continui scherzi.

Fra quei medici, c’era il professor Giuseppe Cascio, ed è all’anziano dottore che se rivolto Giuseppe Bagnati per ricostruire quella fase della vita di Totò che lo vide abbandonare per sempre le scene teatrali. Palermitano di nascita, una carriera costruita al «Giornale di Sicilia» e al «Mattino», Bagnati è stato per lungo tempo vice caporedattore alla «Gazzetta dello Sport» a Roma. Alla passione per il calcio, su cui ha scritto libri, ha sempre accompagnato un interesse per la figura del grande comico napoletano. «Ma scrivere un altro volume su Totò avrebbe avuto poco senso - spiega -. Cosi sono andato a cercare le cose mai dette».

«Totò, l’ultimo sipario» (edito da Nuova Ipsa, con prefazione di Gianni Riotta, sarà presentato oggi alle 17.30 alla libreria Koob, in via Luigi Poletti 2), interroga alcuni personaggi, e il loro racconto si tinge di folklore, umori popolari, sfondi d’epoca. Un’ala di folla accompagnò l’ingresso di Totò nello studio del professor Cascio. Fiori, applausi. Il responso medico fu senza appello: Cascio non concesse a Totò l’ultima replica, troppo rischioso. E non tentennò neppure un attimo, il professore, quando impresari teatrali bussarono alla sua porta, cinque milioni di lire in mano, perché il certificato venisse cambiato. Uscendo dal palazzo - pure questo è scritto nel libro - Totò lasciò lauta mancia al portiere, 5.000 lire. E per non aver compiuto quell’ultimo recita, il produttore intentò una causa all’attore, cui una perizia di parte diede però ragione.

Di quegli anni parlano nel libro Franca Gandolfi, moglie di Domenico Modugno, nella compagnia dello spettacolo con Franca Faldini, compagna di Totò anche lei oggi alla presentazione, l’attore Mario Di Gilio, Lando Buzzanca che ebbe la fortuna di assistere dal loggione a una delle tre repliche e conserva alcune immagini, l’acclamazione del pubblico, «Totò guarda quassù», «Totò sei grande!». Il bello della rivista. «Storie e destini s’incrociano - fa notare Bagnati -. In Capriccio all'italiana, l’ultima sua pellicola, Totò canta Cosa sono le nuvole, testo di Pasolini e musiche di Domenico Modugno, marito di Franca. L’incontro con la figlia Liliana De Curtis mi ha consentito di descrivere un’altra figura poco nota, quella della mamma Anna, nata a Palermo e morta a Napoli. Donna imponente, quanto esile era invece il papà. La signora annotava ricette, in cui è evidente l’influenza palermitana».

In «Totò, l’ultimo sipario» anche il programma di sala, immagini da quelle tournée di sorrisi e belle donne, riferimenti alla tesi di laurea di un dottore di Chieti sulla malattia agli occhi di Totò. E documenti, rintracciati «non senza mille difficoltà» nelle biblioteche, insieme a quattro codici a barre per vedere filmati su smartphone. Ma come convisse Totò con la malattia? «Sopportò sempre con grande dignità - racconta Bagnati - e alla sua maniera. Ciò che lo faceva più arrabbiare era non entrare più nel suo frac di scena per l’aumento di peso dovuto alle cure».

Laura Martellini, «Corriere della Sera», 21 ottobre 2013


Le tappe nelle città d'Italia della rivista "A prescindere"

Teatro Morlacchi - Perugia
19 novembre 1956
Iniziano le prove generali dello spettacolo. La soubrette francese Yvonne Mennard fu vittima di un furto in albergo.
Teatro Sistina - Roma
23 novembre 1956
Presenze di un pubblico vip fra cui Anna Magnani, Alberto Sordi e non si contano Autorità, fra cui qualche Senatore, Deputato e Ministro dell’epoca. L’entrata in scena di Totò fu osannata con dodici minuti di applausi. Un calore che sembrava senza fine. Il più commosso di tutti era Totò, che stava in scena.
Teatro Mercadante - Napoli
11-20 gennaio 1956
Qui a Napoli, a detta di amici e conoscenti, Totò accusa qualche problema che gli impedisce di eseguire la passarella finale. Il ciclone Totò, ha deglutito parecchie volte prima di poter dire "Grazie, sono commosso"
Teatro La Gran Guardia - Livorno
22-23 gennaio 1957

Questo rarissimo filmato senza sonoro in 16mm, è stato eseguito dal cineamatore Otello Bacci, ex ballerino in precedenti stagioni teatrali con Totò. Filmò alcuni minuti dalle prove di “A prescindere”.

Degli spettacoli al Teatro La Gran Guardia di Livorno dei giorni 22 e 23 gennaio 1957 si ricorda il grande ressa al botteghino con lunghe file, nonostante il prezzo relativamente alto del biglietto (3.000 lire e 10.000 ai bagarini). Totò dispensò, come al solito, laute mance al personale del teatro La Gran Guardia.

Alcuni marinai in servizio a Livorno fecero visita a Totò. Erano un po’ emozionati e lui cercò di sdrammatizzare improvvisando una freddura: “Scusate, ma e la nave dove l’avete lasciata?"

Il breve e raro filmato girato da Otello Bacci

Teatro Alfieri - Torino
25 gennaio - 3 febbraio 1957
All’inviàto del quotidiano “La Stampa”, Totò confidava la propria paura per la reazione del “freddo pubblico” della capitale piemontese. A Torino invece, il successo fu maggiore che a Roma. Fu qui che improvvisai Mario Di Gilio imitò la voce di Claudio Villa nella canzone che aveva vinto il settimo Festival della Canzone di Sanremo la sera precedente: “Corde della mia chitarra”. Il pubblico andò in delirio. E Totò affascinato: “Ma come fai? Chillo ha cantato ieri sera!”
Teatro Nuovo - Milano
5 febbraio - 10 marzo 1957
Il 9 febbraio si diffuse la notizia dell'assegnazione del Nastro d’Argento in qualità di miglior attore “non protagonista” per l’anno solare 1956, a Peppino De Filippo per “Totò, Peppino e i fuorilegge”. Totò adorava Peppino, ma non andava a cercarlo. In 34 giorni a Milano, a Roma moriva la sorella dell’impresario Remigio Paone. La tappa al Nuovo di Milano avrebbe dovuto essere più breve. Il prolungarsi della sosta qui, con conseguente taglio di alcune piazze previste in cartellone fu dovuta alla forma influenzale particolarmente virulenta che colpì Totò. Rimase bloccato da giovedì 14 a venerdì 22 febbraio. Imbottito di antibiotici e per la propria esemplare, ma fatale, determinazione potè e volle riprendere a far “scompisciare” il pubblico. La compagnia non fu contagiata dal virus, lui fu l’unico ad essersi ammalato. Quando qualcuno voleva andare a constatare il suo stato di salute, egli rimproverava: “Non venirmi a trovare, che t’ammali anche tu!”
Teatro Sociale - Biella
12-13 marzo 1957
Qui a Biella Totò, fu intervistato dal locale giornalista Ugo Salvatore. Si parlava la lingua tedesca. Disse a Di Gilio: ” Ce l’hai ‘o passaporto?” e lui: ”Sì”. Toto: “Caccialo, che andiamo a piglià ‘o cafè”.
Teatro Donizzzetti* - Bergamo
16-17 marzo 1957
 
Franca Faldini sostituisce la soubrette Franca May infortunatasi.
Teatro Eleonora Duse - Bologna
18-24 marzo 1957

Il pomeriggio di venerdì 22 Totò e Franca Faldini accettarono esser “testimonial” per un vermouth pubblicitario a favore della Cisa-Lambretta, come documentato da una illustrazione nel quotidiano “Il Resto del Carlino” dell’epoca e poi confermato dagli Archivi Lambretta. Una pubblicità come tante altre per recuperare un po’ di spese.

Teatro Verdi - Ferrara
25-26 marzo 1957
 
Teatro Corso - Mestre
27-28 marzo 1957
 
Teatro Nuovo - Verona
29-30 marzo 1957

Teatro nel quale si era esibito perlomeno altre sei volte, dal 1928. Verona è fra le città che non lo aveva avuto tantissime volte, ed escludendo eventuali soste in Varietà non recensìte, sicuramente, contando due soste al teatro Ristori nel corso degli anni trenta, con “A prescindere” toccava Verona perlomeno per la nona (ed ultima) volta, nell’arco di trenta anni, come ricostruito analizzando numero per numero quotidiani locali dell’epoca. Verona era una città che amava; voleva visitare la tomba di Giulietta, ma Franca Faldini non volle.

Teatro Augustus - Genova
4-14 aprile 1957
A Genova ci furono una serie di esauriti.
Casino municipale - Sanremo
15-18 aprile 1957
 
Teatro Verdi - Firenze
27 aprile - 1 maggio 1957
Il pubblico fiorentino reagiva in modo strano, non capivano il numero dell’Otello. Della sua vita privata, Totò raccontava dell’importanza e delle coincidenze di Firenze: qui oltre ad aver visto per la prima volta Diana, sua unica moglie, la nota “Malafemmena”, e madre nel ’33 della sua unica figlia Liliana, era stata la città galeotta, dove aveva incontrato, prima della fatidica Napoli del periodo passionale e tragico, la nota Castagnola, “femme” fatale e Vedette degli anni venti, suicidatasi per amor di lui, nel lontano marzo 1930. Probabilmente si incontrarono alle Follie Estive, importante Varietà di Firenze.
Teatro Poiteama Garibaldi - Palermo
3-6 maggio 1957
La salute di Totò, già scossa per l’influenza pesante e parzialmente trascurata a Milano, per le conseguenze alla sua vista, già minata da tempo, per le conseguenze su paghe e contratti da rispettare, e per il futuro della sua carriera, fu messa a repentaglio. Inoltre, nonostante il suo fisico giovanile e curato, era comunque un uomo che stava toccando i sessanta anni e certe cicatrici e malanni possono cronicizzare. Negli ultimi giorni, fra Genova, Sanremo, Firenze e Palermo, sempre cercando di evitare che trapelasse qualche indizio ai giornalisti, era stato visitato da vari specialisti, che gli avevano prescritto o confermato terapie. Anche a Palermo iniziò gli esauriti con memorabili trionfi, nonostante non fosse affatto in forma, faticava, ma riusciva a nasconderlo, soprattutto al pubblico pagante, pubblico che, attendendolo con aspettative ed affetto, era reso miope ai malesseri che il Comico celava da Maestro. Si sforzava il più possibile, ma durante lo sketch dell’Otello svenne in scena. Rapidamente fu portato dietro le quinte mentre il pubblico, credendo fosse parte dello Spettacolo, chiedeva il bis. L’indomani mattina, tornò a Napoli, non piangeva solo lui, tutti erano commossi anche perché la paura maggiore era che andasse verso una irreversibile cecità.

(*) da verificare


Intervista completa a Mario Di Gilio

(scopri chi era Mario di Gilio)

[...]Soprattutto per la tournée teatrale del 1956-'57, sulla quale, ci apprestiamo ad entrare nel dettaglio, sei rimasto molto legato ad un uomo che hai sempre stimato tanto, e dopo capiremo il perché. Ma andando a ritroso, come hai saputo dell'esistenza di Totò?

« La prima volta che lo vidi, era attorno al 1940, forse dopo... E' un lontano ricordo legato al primo bombardamento aereo a Salerno.Non lo vidi di persona, ma ne vidi la sua comica immagine ingigantita dallo schermo "bianco e nero": assieme a mio fratello Gino, cioè Luigi, lo vedemmo nella pellicola "San Giovanni decollato", dove il ruolo del cattivo era interpretato dal mio compaesano Augusto Di Giovanni, del quale ti ho narrato. Confesso che ci colpì molto.Poi, a distanza di parecchi anni, nel corso della serata di consegna del premio Maschere d'Argento alla Casina delle Rose, oltre ad essere io uno dei premiati della stagione teatrale appena conclusa, ero fra coloro che si esibivano; Mario Riva, conduttore della serata, inizialmente mi doveva presentare tra i primi numeri in programma, ma poi passai al "sottofinale", prima del numero di chiusura di un cantante lirico.Fra i tanti Artisti presenti, mio spettatore era anche Totò, il quale, concluse:"Questo lo voglio." »

Quindi nella seconda metà del 1956, lo spettacolo dal titolo " A Prescindere", era forse quello che più creava aspettative, nel pubblico, negli "addetti ai lavori", nei colleghi: oltre a presentare il fenomeno Totò, che tornava al teatro dopo sei anni e mezzo di solo cinema ed ospitàte radiofoniche, presentava come attrazione l'imitatore per antonomasia, che avrebbe doppiato anche la voce del suo capocomico Totò!

« Anche se non era in perfetta successione cronologica, concedimi l'esempio metaforico, passare da Beniamino Maggio, a Totò, era come passare, dopo tre stagioni da Cardinale, all'inaspettata votazione a Papa.Mi spiego?Non per svalutare il buon Tino Scotti, ma più che un Comico protagonista era un Comico caratterista.La sera che Paone mi telefonò per la conferma ero felice.Il mio vasto repertorio sconcertava i grandi attori che mi temevano come una minaccia, uno in grado di “rubare la scena”.Gli altri consideravano Totò un pazzo per avermi accettato e gradito in Compagnìa. Il pericolo della bravura...»

“A Prescindere" riepilogava i titoli dei film dei quali Totò era stato protagonista fino al 1956.Fra i titoli vi era infatti anche "Totò lascia o raddoppia?", titolo che ti consentiva la scusante per fare una imitazione di Mike Bongiorno.In seguito Mike è stato il presentatore di svariati programmi che ti comprendevano.Come è stato il tuo rapporto col noto conduttore che si è recentemente raccontato in una autobiografia?

« Burrascoso.Mike Bongiorno è un professionista che si è però compromesso con il “ problema delle gaffes ”.Certo è solo una componente nella carriera di un uomo dalla vita avventurosa come la sua, ma ti segna in modo indelebile perché va a scolpire l'immaginario collettivo e quello del mondo giornalistico, che sai quanto può essere stroncante, anche se a torto.Più che burrascoso, meglio dire di "oscuramento", applicando la tecnica politica dell'ignorare, come se io non esistessi, né fossi mai esistito.E ciò è peggio del detestare.Devo confessare a onore della verità che è anche colpa mia.Infatti, un po' per leggerezza giovanile, un poco per iperbole satirica, talvolta le mie battute erano veramente cattive, e dai più sensibili possono essere state recepite come offensive.Ma oramai sono storia, che ci posso fare? Quello che è fatto, è fatto.Scusarsi ora sarebbe vana retorica. »

Spiegati meglio nel tuo personale dettaglio su Mike

« E’ presto detto.Facendo satira alla sua parsimonia nel controllare le risposte dei concorrenti, il mio numero consisteva in semplici battute.Lo imitavo nella domanda: “Qual è la capitale d’Italia?”Il concorrente rispondeva: “Roma”, ed io, con naturalezza, tornato alla voce “bongiorniana” replicavo: “Un momento che controllo”.Quando lo seppe, permaloso come è di carattere, era come se lo avessi accusato di ignorare una notizia tanto nota perfino agli extracomunitari, e se la prese talmente che nei miei riguardi “chiuse per sempre”; so che disse: “Questo in televisione non lavorerà mai!”e dove ha potuto la sua influenza, ha mantenuto la negativa promessa.Anche negli spettacoli teatrali e di piazza dove si è trovato, suo malgrado a presentarmi, ha esaurito il proprio dovere professionale nel nominarmi, ma poi se ne è sempre andato evitandomi.Credo mi abbia rimosso al punto tale che, anche se entrambi viviamo a Milano, non sappia neppure più se io vivo, né se io sia mai esistito. »

Certo Mike pur nello scherzo è sempre “lucido” e serio ed è critico anche nelle imitazioni fattegli; se l’aspirazione era una pura invenzione di Sabani a scopo caricatura, anche le versioni che ne dava il buon Noschese, Bongiorno le ha sempre osservate criticamente con malizia, commentando spesso: “Ma io non ho mai fatto così” od anche: “Io quella cosa lì non la ho mai detta.”Ed io, a mio modo di vedere, non posso dargli torto. Torniamo ad “A Prescindere”: era una Rivista e quindi, oltre ad attori ed attrazioni era composta di corpo di ballo…

« Sì, c’erano dodici ballerine inglesi.C’erano anche i cosiddetti “boys”, uno dei quali si sposò proprio nel corso della tournée. »

Della Compagnìa faceva parte anche l’attrice Franca Gandolfi, moglie di Domenico Modugno. Mimmo venne mai a raggiungerla in qualche tappa?

« Sicuramente la venne a trovare a Milano.Ed ancora una volta ebbi conferma della capacità profetica ed analitica di Antonio De Curtis nei riguardi delle persone.Modugno faceva l’attore, ma soprattutto era un buon cantante, ma era uno fra svariati che già l’epoca vantava.Eppure Totò, sentendolo interpretare ne previde il futuro successo:“ E chi lu pigghierà cchiù, chistu?” Ridevo alla battuta per l’allusione ad una strofa della canzone “U piscispada”, che appunto ripeteva:“Pigghialu, pigghialu!”Ed invece aveva, con un solo occhio attivo, visto lontano; solamente un anno dopo, infatti, Modugno trionferà a Sanremo…»

Caro Mario, e tanto per mettere qualche noticina della immensa sapienza che mi contraddistingue, ma battuta a parte, basta confrontare i quotidiani dell’epoca per le conferme ed ulteriori dettagli, una curiosità.Sabato primo febbraio 1958 nel pomeriggio di Raiuno, all’epoca ancora l’unica emittente televisiva italiana, ed ancora Pubblica, l’ennesima puntata della rubrica musicale con concorrenti ed ospiti intitolata “Il Musichiere”, era presentata sempre dal caro indimenticato "Mario “Riva”; come consueto, gli ospiti concorrevano allo scopo di poter donare il montepremi da loro “vinto” a favore di un istituto dedito alla beneficenza.I due ospiti della puntata in questione erano le due “punte di diamante” di una pellicola diretta da Monicelli, che era in lavorazione, e che sarebbe diventata premiato campione d’incassi: “I Soliti ignoti”; ovviamente non si accennava al film. Nell’ordine i due erano “niente-po-po-di-meno-che”, come amava presentare “Riva”, Vittorio Gassman(n) ed a seguire Totò.Totò partecipava con gli occhiali scuri, e presentava come sua “controvoce” Nunzio Gallo, che intervistai. Nunzio Gallo era lì per cantare una canzone composta da Antonio De Curtis in quel maledetto 1957 della malattìa agli occhi, dal titolo “Chitarra mia”, strumento che richiamava, quel “Corde della mia chitarra” portata al trionfo nel Festival di Sanremo del 1957 da Claudio Villa(ne riparleremo). Nunzio Gallo, era in procinto per partecipare come cantante al polemico ed alternativo Controfestival della Canzone di Velletri, poi regolarmente svoltosi, anche se poco pubblicizzato, e recensìto solamente dai periodici più acuti.La puntata in questione è passata all’aneddotica dei libri, con eccesso di rilievo, per la lode spontanea, scappata ad Antonio De Curtis, a favore di Achille Lauro, all’epoca sindaco di Napoli, oltre che candidato politico… La curiosità sta proprio nel fatto che, la medesima serata, del medesimo primo febbraio 1958, dei detti ospiti al Musichiere, la prima serata televisiva si collegava con la finale dell’ottavo Festival della Canzone Italiana di Sanremo, quello vinto da “Nel blu dipinto di blu”, coautori il toscano Franco Migliacci ed il pugliese Mimmo Modugno, il secondo anche interprete, più che cantante della medesima.

« Scusa, tenente Colombo, ma chi è l’intervistato? »

Hai ragione Mario, mi sono lasciato prendere dal desiderio di precisare. Quindi dal 1958 torniamo al 1956. Perché il previsto Mario Castellani, abituale ed affiatato“aiutante”(odiava il gergàle termine “spalla”) di Totò, fu sostituito dal pur bravo Enzo Turco?

« Perché Mario non stava bene in quel periodo, così a me risulta…E poi, Turco, cresciuto nell’ambiente del Teatro Napoletano, era preparatissimo e dava sicurezza nel saper rispondere alle improvvisazioni di Totò.Enzo Turco stimava Totò e ne era ricambiato.Avevano condiviso la esperienza di una memorabile edizione cinematografica dello scarpettiano “Miseria e Nobiltà” nel quale, anche a distanza di decenni, restano i due più divertenti co-protagonisti.Turco mi narrava proprio di quel loro film vissuto assieme.»

Come era la coreografa austriaca “Gisa Geert”?

« Di chi mi parli!La Geert era la coreografa di “A Prescindere”: era considerata una delle migliori nel suo settore.Austriaca, era severa, rigidissima, ma allo stesso tempo una cara persona.»

Le prove di “A Prescindere” furono nel Novembre 1956 al rinomato Teatro Morlacchi di Perugia: qui la soubrette francese, Yvonne Menard, fu vittima di un furto.

« Lo ricordo.Stavamo al Morlacchi quando lei se ne scappò in albergo perché era stata avvisata del furto.Più che le prove dettagliate dello Spettacolo, che non aveva un testo articolato, né lunghe battute da mandare a memoria, essendo una Rivista e non una Prosa, Perugia fu il luogo delle presentazioni; qui, da Artisti separati si cercava di creare una Compagnìa, cioè una forza coesavolta a dare la carica al nostro capocomico Totò.A Perugia egli ci mise “sull’attenti”, per conoscerci, interrogandoci uno per uno.Giunto da me mi disse: “Tu non mi sei nuovo. Di dove sei?”“ Di Salerno, Principe.”“ Tu sei di Salerno, quindi della “Provàns”(Provence)…Ti voglio in prima fila perché mi devi “prendere in giro”.Tu puoi chiamarmi Principe, gli altri mi chiameranno Altezza.”Fra gli altri era con noi il bolognese Alvaro Alvisi, che era un bravissimo attore.Mi sorprese che, nonostante a Perugia avesse voluto conoscerci tutti, poi, nel corso di tutti i sei mesi della tournée, non lo abbia mai visto parlare con una attrice né con un attore della Compagnìa; gli unici due coi quali Totò passeggiava e chiacchierava eravamo io ed il macchinista Canardi.E ricordo anche il batterista Camillo, un napoletano di sua fiducia “che si portava” perché in sintonìa: gli sottolineava al ritmo desiderato i suoi “numeri fissi” come i fuochi artificiali o gli intonava le marce.Collaboravano da anni.Per l’invidia i compagni di quell’avventura mi soprannominarono, con una punta di malignità “il giullare del re”, cioè del Principe De Curtis…Ricordo che un giorno, l’ attore Dino Curcio(che era nella Compagnìa), figlio dell’editore Armando senior, gli chiese:“Principe, posso fare una domanda?”“Dimmi”“ Come vado?”Totò fu spietato:“ Era meglio se continuavi a fare il giornalaio.»

Fra Novembre 1956 ed Epifania ’57 la prima lunga tappa di “A Prescindere” fu a Roma al Palazzo Teatro Sistina.Alla prima, presenze di un pubblico vip fra cui Anna Magnani, Alberto Sordi e non si contano Autorità, fra cui qualche Senatore, Deputato e Ministro dell’epoca.L’inizio di un successone?

« Non proprio.Certo l’attesa del ritorno a teatro di Totò era indescrivibile.Però la Rivista aveva un testo-canovaccio banale, scarso e privo di “gusto”.Non voglio offendere nessuno, ma questa è la verità.Vi era perfino un quadro parodistico che rimandava al kolossal “Guerra e pace” uscito pochi mesi prima e che a mio parere non ci azzeccava.L’entrata in scena di Totò fu osannata con dodici minuti di applausi. Un calore che sembrava senza fine, tanto che ci ritrovammo tutti tremanti e commossi e fra le quinte ci abbracciammo tutti.Il più commosso di tutti era Totò, che stava in scena.Un ottimo inizio che invece fu la ciliegia di una serie di eventi sfortunati.Lo Spettacolo fu accolto in modo tiepido.Al termine, mancarono le strette di mano dai colleghi di Totò, che erano in prima fila durante l’esecuzione. »

Quindi nessun collega attore venne in camerino?

« L’unico che ricordo attese fu Arnoldo Foà che mi disse:“Sei molto bravo.”Ricordo che ci fu una brutta recensione generale e la frase:“il pericolante primo tempo salvato da Mario Di Gi(g)lio.”Appena lo lessi tremai. »

Perché Mario?

« Perché se poteva essere piacevole “che io avessi salvato il primo tempo” e fosse una ennesima conferma delle mie capacità, il fatto eclatante era che lo Spettacolo in sé, almeno inizialmente, non andava; ed una lode a me, anziché al protagonista della Rivista, in tal caso Totò, mi induceva a concludere che sarei stato licenziato.Infatti, mi rassegnai a preparare le valigie senza aspettare la brutta notizia.Così andai al suo cospetto per dirgli che avevo realizzato, erano le regole.Ma soprattutto volevo comunicargli il mio affetto e la mia stima, quindi con coraggio gli dissi:“ Principe è successo a tutti, me ne devo andare.E’ stato un piacere.”Ma Totò era diverso da altri suoi colleghi capocomici e sorpreso, mi fermò:“ Ma che stai facendo? Tu mi devi chiudere lo Spettacolo!”Ero commosso e tremavo:“ Principe, mi fa questo onore…? Ma, e lei, Principe?Il capocomico è sempre colui che chiude lo Spettacolo!”E lui: “Sì, poi arrivo io con la tromba dei bersaglieri.”Insomma ero confermato nella Rivista di serie A nientemeno che dal suo esponente più atteso e carismatico.Così, da quella sera in poi, facevo il numero del finale, e dopo di me siglava la chiusura Totò con un suo cavallo di battaglia come “i fuochi artificiali”.Un uomo ed un Comico così, non mi meraviglia affatto che oggi, tutti continuino a saccheggiarne!Grazie al nostro congiunto impegno, ottenemmo successi confermati in ogni tappa successiva, nonostante la struttura dello Spettacolo fosse traballante e senza testi convincenti.Certo non vorrei essere frainteso: erano bravi e meritevoli anche gli altri componenti della Compagnìa, ma di professionisti sia come attori caratteristi, belle ballerine ed abili boys erano ricche le Compagnìe di ogni teatro o teatrino d’Italia e non erano sufficienti per dare al pubblico quel “quid” di ulteriore o particolare per meritarne la preferenza su altri Spettacoli simili e concorrenti.Io con il mio impegno professionale nelle imitazioni, che aggiornavo e modificavo ogni volta necessario, e Totò, sul cui carisma non vi sono termini adatti, costituivamo quel “quid”.Ho reso l’idea?Non vi fu un cambiamento nella struttura, né nei quadri: modificavamo solo qualche sketch e ciò che veramente era flessibile era il mio numero delle imitazioni.Alle mie “novità” che celermente presentavo spesso Totò mi gratificava senza ironìa, né retorica, ma con convinta emozione:” Tu sei grandissimo, ma come fai?”Tanto è che ne divenni il confidente di aneddoti di vita vissuta: per questo sono fra i pochi che possono parlare di Antonio De Curtis uomo.»

Numeri particolari della Rivista quali erano? Vi furono aggiunte?

« Lo sketch a mio parere più bello era quello del commissario interpretato da Totò; Enzo Turco faceva il brigadiere, io e Dino Curcio eravamo due guardie.Gli autori Nelli e Mangini non avevano fatto un buon lavoro rielaborando, ma non troppo, l’ossatura stesa da Michele Galdieri. Eravamo in una cittadina fra le tappe “minori”, quando fui chiamato da Nelli, Mangini e Paone; i tre per dare più vigore alla Rivista, mi proposero di fare uno sketch nuovo, intitolato “il sosia”.Accettai e facemmo tre giorni di prove, lo scenografo si occupò della preparazione di due scalinate ai lati del palcoscenico.Io ed Antonio De Curtis truccati e vestiti da “maschera Totò” eravamo il corpo di tale numero. Alle prove accadde che, Paone ed altri seduti in platea, io strappavo più applausi e facevo più ridere di Totò. Veramente questa cosa avrei preferito censurarla, perché temevo di far torto alla memoria del mio amico Totò, e per paura possa ingenerare equivoci, ma quando ne abbiamo ragionato assieme, abbiamo convenuto che non ne infanga la memoria, né ne scriviamo per sfruttamento(come certe persone amano fare senza sapere come avvennero i fatti), e che ne sarebbe contento anche lui; e tu mi hai convinto a rivelare questo piccolo segreto perché io c’ero e lo ho vissuto in prima persona sulla mia pelle, quando mi hai ripetuto:“Mario non c’è niente di male, se tu sai che è la Verità, e non fa del male a nessuno non vedo perché tacerla: è la Verità?”Quindi rinunciammo al nuovo sketch. Perché un conto è provocare più risate, o farsi applaudire più del capocomico quando lui stesso è fuori-scena, o dietro le quinte(e già questo fatto non tutti i capocomici lo tollerano e te la faranno pagare), altro conto è avere più successo del medesimo con lui in scena assieme a te. E se ciò capita con persone della Compagnìa, figurarsi quanto poteva essere rischioso se avveniva con il pubblico pagante. A proposito di sosia, nel numero dei due Commenda’, a Milano, ero truccato in maniera da poter essere scambiato per “Totò” ed un brigadiere dei Vigili del fuoco ci confuse scambiandomi proprio per Totò, e Totò per “Di Gilio camuffato da Totò”.Mi chiese l’autografo ed io lo stavo per accontentare, quando intervenne il vero Totò:“Ma che fate? Totò sono io”Ma il brigadiere insistette e gli disse:“ Voi Di Gilio sarete pure bravo, ma Totò è lui!”. Totò non era il monologhista alla Zelig, né il barzellettiere alla Dapporto, né alla Bramieri; Totò era il comico della battuta reattiva, della satira e della parodìa, della quale divenne un Maestro. Era e resta il comico dello slancio estemporaneo e spontaneo, spesso irripetibile ed unico. Tu sai che tipo di fumatore accanito egli fosse; bene, per esemplificare la sua proverbiale spontaneità che tocca l’assurdo e le contraddizioni quotidiane, e che tendiamo a banalizzare senza rendercene conto, ricordo che, durante una pausa, ad un vigile del fuoco chiese a bruciapelo: “Mi fai accendere per favore?” »

Mario ciò che mi dici lo so bene; dicci quindi, come è stato lavorare con Totò per circa sei mesi, giorno dopo giorno?

« Lui era riservato e non era facile alle confidenze. Alle 18 si chiudeva nel camerino destinatogli e non accettava telefonate. A fine spettacolo ci ringraziava tutti e dava la “buonanotte”, e poi, rivolto a me, scherzava invitandomi: “ Fetente accompagnami alla macchina”. Una volta concessi un bis chiesto dal pubblico e Paone mi diede una multa: quando Totò lo seppe, oltre a farla togliere, mi fece, al contrario, aumentare la paga. Totò-Antonio mi ha voluto molto bene. Questo era Totò. »

Tu dunque viaggiavi nell’auto che guidava Carlo Cafiero: era una Alfa Romeo? Di che colore?

« Era una auto di colore nero, adatta ai suoi problemi agli occhi.»

Lo Spettacolo terminava fra mezzanotte e le due.Al termine andavate a cena, subito a letto o partivate?Da una città alla successiva come vi spostavate: in pullman, auto, in treno?

« Al termine andavamo a cena in locali trattorìe dove Paone o l’amministratore avevano prenotato per tutti. Poi si filava a letto, Totò in albergo e noi in pensioni prenotate. Per la nuova città si partiva in mattinata. Io, “suo giullare”, viaggiavo in automobile con lui e Franca Faldini, alla guida vi era Carlo Cafiero. Gli altri con treno od altre auto.»

Sai, Mario, che ho avuto la fortuna di trovare ed intervistare anche il caro Carlo Cafiero, purtroppo scomparso, il quale si era autodefinito “le scarpe di Totò” ?

« Ah, sì? Beh, dato che gli è stato autista per parecchi anni, direi che la definizione è azzeccata. »

Fra le persone che seguivano “da vicino” l’amato Totò, vi era il suo misterioso cugino materno: Eduardo Clemente, il quale, oltre ad occuparsi della burocrazia, di compravendite (per esempio le automobili che cambiavano ogni anno), gli fu segretario, amico e confidente; dopo la morte di Antonio De Curtis, ne fu il fedele custode del suo baule, il baule-archivio della sua “Vita artistica”, gelosamente ereditato ad uno dei figli, il caro Federico.Quale ricordo personale hai di Eduardo Clemente?

« Certamente che lo ricordo. Non viaggiava in auto con noi, ma seguì fedelmente il cugino in tutta la tournée; si occupava del lato amministrativo come hai ben riassunto, ed infatti, lo sfottevamo perché, sembrava quasi si “facesse vivo” solamente quando aveva necessità di soldi spicci: era proprio perché gli occorrevano per tutte quelle necessità alle quali noi Artistici tenevamo estranei…Che nostalgia. Come stanno i suoi figli? Mi piacerebbe parlarci. »

Federico del quale ti ho accennato sta bene. Se fa piacere ad entrambi, vi metterò in contatto. Vi era un suggeritore?

« Sì era uno basso di statura, tale Brambilla mi pare »

In qualche città o paese particolarmente bigotto avete avuto problemi di censura?

« No, non ch’io sappia. »

Nelle confidenze che Totò ti fece sul suo passato artistico, in realtà poco conosciuto e poco indagato, ti accennò a tale Scaglione Montenotte Umberto, deceduto nel 1933, e che risulta esser stato suo Agente nel periodo 1920-’22 circa?

« Sì, come lo sai?Mi diceva che era stato il suo primo agente; prima aveva sempre “fatto da solo”, da autodidatta. »

Fra Roma e Napoli faceste una breve tappa nella tua Salerno, come la ricordi?

« Fu memorabile quella serata al Teatro Augusteo. Applausi a scena aperta. Al termine Totò, osannato dal pubblico, mi omaggiò dicendo:“Signori, non ci sono solo io in palcoscenico, c’è anche un vostro concittadino: Mario Di Gilio!”Qui vennero tre miei fratelli, uno dei quali disse:“ Principe, sono trenta anni che mi fa ridere!” e lui di rimando:“ E vostro fratello che inizia ora, farà ridere per altri trent’anni. ”Poi, aggiunse: “ Se venite a Milano vi faccio avere dei biglietti per andare a vedere quel comico col ricciolino, come si chiama, Mario ?”Fece finta di non saperlo, era per fare una gag, anche perché era un suo collega che conosceva molto bene; gli risposi ovvio: “Macario” Lui concluse: “Sì, Macario: quello lì sì che fa ridere! ”Totò aveva stima di Macario, hanno anche poi lavorato insieme, e pare addirittura che Macario abbia “lanciato” Totò….»

Più precisamente nel settembre 1927 Totò sostituì Macario in una delle due Compagnìe gestite da Achille Maresca, esordendo così, dopo anni in dialettale, Varietà, Caffè Concerto ed operette, anche nel settore della Rivista; è pubblicato in periodici specializzati dell’epoca. E dalle memorie di Macario pare il medesimo abbia fatto vedere Totò ad Achille Maresca.

« Sì era una cosa alla quale mi aveva accennato. »

Da venerdì 11 a domenica 20 gennaio 1957 la tappa a Napoli.Il panorama teatrale napoletano proponeva: al Tarsia, fino a domenica 13, la Compagnìa Stabile della Rivista nel testo “Siamo donne o…caporali?” di Pinto, con “Trottolino”, Wilma Zavart, Nino Formicola, Ezio Tomei; al San Ferdinando la Scarpettiana di Eduardo De Filippo; all’Apollo la Compagnìa Bruno;al Margherita la compagnìa di Riviste Masini edal R. Mercadante voi con “A prescindere”.Nel quotidiano “Il Roma” di Napoli dell’epoca vieni elencato finalmente col cognome corretto Di Gilio( anziché il consueto “Di Giglio”) e si cita che domenica 13 hai imitato Tina Pica, l’avvocato Rossi e cantanti; per domenica 20 invece è annunciato: “ora imita anche Totò”.Nel medesimo quotidiano “il Roma” numero per sabato 12 gennaio 1957, nel correre della recensione sul debutto partenopeo, fra il resto, il giornalista annotava:“i cronisti fedeli erano col cronometro.”E: “anche se un po’ invecchiato il ciclone Totò, sorpreso, ha deglutito parecchie volte prima di poter dire <Grazie, sono commosso>”E: “formidabile mimo, per tre ore fa scordare il resto, Totò è lo Spettacolo, non serve copione.”Insomma a Napoli Totò giocava “in casa”, dove da un certo momento in poi è sempre risultato efficace ed amato.Tanto che è stato scritto e pubblicato in libri, a lui postumi, che Napoli, sarebbe stata anche la tappa di chiusura della tournée: quindi un successo tale che ci sareste tornati dopo pochi mesi, come talvolta accadeva?

« No, è un errore: oramai la piazza partenopea era fatta e vi erano altre città previste da accontentare. A Napoli Totò sbarcò poi a causa della malattìa che lo stremò a Palermo, quale tappa di passaggio fra Palermo e Roma, ma non era più prevista; dopo la Sicilia e la Calabria la stagione terminava.Qui a Napoli incontrai un buffo personaggio che già conoscevo, e che voleva essere presentato a Totò.Era tale Vincenzo “’o pazzo”, che si esibiva nello strano numero di “addormentatore di galline”, numero che il più delle volte gli riusciva.Lo portai da Totò, ma sfortuna volle che quella volta, non solo il numero non gli riuscisse, ma il pollo beccò Vincenzo facendolo sanguinare: una carriera stroncata in pochi secondi!!»

Martedì 22 e mercoledì 23 gennaio la tappa a Livorno, dove Otello Bacci, ex ballerino in precedenti stagioni teatrali con Totò, filmò alcuni minuti muti dalle prove di “A prescindere” al teatro Gran Guardia, restando così autore di un raro filmato amatoriale.Qui, il recensore del quotidiano “Il Tirreno” di Livorno, annota un tuo successo personale.

« Certo, ricordo Otello Bacci.Ma di Livorno ricordo soprattutto l’episodio dei fan marinai. Vennero da me alcuni militari che prestavano servizio in Marina, alla rinomata Accademia Navale di Livorno.Erano napoletani e siciliani ed ambivano vedere Totò di persona.Mi chiesero: “ ma ci riceverà?”Oramai confidenza e stima fra me e lui erano tali che mi potevo permettere di bussargli al camerino: “Principe ci sono alcuni marinai”.“ Bene, bene, Mario, falli entrare.”Erano un po’ emozionati e lui cercò di sdrammatizzare improvvisando una freddura:“Sc-kusate, ma e la nave dove l’avete lasciata?”I ragazzi risero.E noi con loro. »

Dal 25 gennaio ai primi di febbraio 1957 la tappa a Torino, dove, all’inviàto del quotidiano “La Stampa”, Totò, clamorosamente confidava la propria paura per la reazione del “freddo pubblico” della capitale piemontese.Quale è la tua versione?

« A Torino invece, avemmo più successo che a Roma.Fu qui (e non a Bologna) che improvvisai la voce di Claudio Villa nella canzone che aveva vinto il settimo Festival della Canzone di Sanremo la sera precedente:“Corde della mia chitarra”.Non ritenermi immodesto, ma il pubblico andò in delirio.E Totò affascinato:“ Ma come fai? Chillo ha cantato ieri sera!” »

Da martedì 5 febbraio a domenica 10 marzo 1957 la sosta a Milano. Eravate nel capoluogo lombardo quando il 9 febbraio si diffuse la notizia della assegnazione del Nastro d’Argento in qualità di miglior attore “non protagonista” per l’anno solare 1956, a Peppino De Filippo per “Totò, Peppino e i fuorilegge”.Era la prima volta che si assegnavano i Nastri non più per Stagioni cinematografiche( da agosto-settembre di un anno al giugno del successivo), ma per anno solare(dal primo gennaio al 31 dicembre).Fra l’altro Peppino De Filippo a capo della propria Compagnìa di Prosa Italiana proprio in quel febbraio ’57 era pure a Milano in una lunga tappa di successi al Teatro Olimpia iniziata già verso il finire del 1956.Come era il clima per quella notizia? Si incontrarono in quell’umida Milano i due comici napoletani, reduci da tre pellicole del 1956 come coppia di successo anche cinematografico?

« Totò adorava Peppino, ma non andava a cercarlo.Ed in quella i due non si incontrarono, perlomeno al Nuovo.»

Sempre durante quei 34 giorni a Milano, a Roma moriva la sorella dell’impresario Remigio Paone.Ciò incise o no con l’andamento della tournée?

«Volevano sospendere lo Spettacolo in segno di lutto, ma Paone disse che non ne era il caso. »

La tappa al Nuovo di Milano avrebbe dovuto essere più breve. Il prolungarsi della sosta qui, con conseguente taglio di alcune piazze previste in cartellone fu dovuta alla forma influenzale particolarmente virulenta che colpì Totò De Curtis.Rimase bloccato da giovedì 14 a venerdì 22 febbraio.Imbottito di antibiotici e per la propria esemplare, ma fatale, determinazione potè e volle riprendere a far “scompisciare” il pubblico.Foste in altri i contagiati dalla malattìa di stagione?Si usava all’epoca il vaccino anti-influenzale tanto di moda oggi?

« No, non si usava vaccinarsi, si prendevano aspirine al bisogno.Non fummo contagiati dal virus, lui fu l’unico della Compagnìa ad essersi ammalato.Quando volevo andare a constatare il suo stato di salute, egli mi rimproverava:“Non venirmi a trovare, che t’ammali anche tu!” »

Il 12 ed il 13 marzo 1957 la tappa di “A prescindere” prosegue con Biella, cittadina ove nacque Riccardo Gualino, mecenate e poliedrico imprenditore, fondatore della “Lux Film”.Qui a Biella Totò, è stato intervistato dal locale giornalista Ugo Salvatore.

« Sì, ricordo che qui parlavano il tedesco.Totò mi chiese: ” Ce l’hai ‘o passaporto?”ed io:”S씓Càccialo, che andiamo a piglià ‘o cafè”. »

Sabato 16 e domenica 17 marzo tappa a Bergamo

« dove si infortunò Franca May »

Da lunedì 18 a domenica 24 marzo ben una settimana a Bologna al Teatro Duse.Qui il pomeriggio di venerdì 22 Totò e Franca Faldini accettarono esser “testimonial” per un vermouth pubblicitario a favore della Cisa-Lambretta, come documentato da una illustrazione nel quotidiano “Il Resto del Carlino” dell’epoca e poi confermato dagli Archivi Lambretta…

« Una pubblicità come tante altre per recuperare un po’ di spese.A Bologna “cadde il teatro” specialmente quando proposi Claudio Villa imitandolo nella canzone “Luna rossa”, stesso “pezzo” con il quale avevo concluso la mia breve serie di imitazioni nel mio primo film, appunto, “Primo applauso”. »

Lunedì 25 e martedì 26 marzo ’57 a Ferrara

« Non ne ho ricordi particolari.»

Mercoledì 27 e giovedì 28 marzo la tappa a Mestre.Perché Mestre e non Venezia?

« Mah, non saprei. Qui mi confessava, riguardo ai dialetti locali:“Anche i mestrini parlano strano…”.»

Sabato 30 e domenica 31 marzo la tappa a Verona al teatro Nuovo, teatro nel quale si era esibito perlomeno altre sei volte, dal 1928.Verona è fra le città che non lo aveva avuto tantissime volte, ed escludendo eventuali soste in Varietà non recensìte, sicuramente, contando due soste al teatro Ristori nel corso degli anni trenta,con “A prescindere” toccava Verona perlomeno per la nona (ed ultima) volta, nell’arco di trenta anni, come ho ricostruito analizzando numero per numero quotidiani locali dell’epoca.

« Verona era una città che amava; ricordo che voleva visitare la tomba di Giulietta, ma Franca Faldini non volle…»

Vabbè, scelte di coppia sulle quali è sempre sbagliato andare a metter naso. E poi credo che, durante le sue soste precedenti qui, alla tomba di Giulietta abbia probabilmente fatto visita nel suo passato.Quindi riepilogando, il Marzo del 1957 vi aveva visti spostarvi dalla Lombardìa, all’Emilia-Romagna, toccando qualche sito del Veneto.Aprile vi avrebbe fatto toccare la costa italiana opposta, vale a dire quella ligure:da venerdì 5 a domenica 14 aprile eravate al teatro Augustus di Genova. Il recensore del quotidiano “Nuovo Secolo XIX°” di Genova ti dedicava una citazione : “Mario Di Giglio eccezionale imitatore”; non è un mio errore, ti riportava, classico, colpa anche dei manifesti errati, proprio con la fatidica “g” in più.

« A Genova furono una serie di esauriti…»

La seconda metà di aprile, e dai giornali dell’epoca non è facile, per ora, stabilire con precisione le date effettive ed indiscutibili, però vi è almeno la certezza della tappa, alcuni giorni a Sanremo.Qui alcuni mesi prima aveva trionfato la canzone “Corde della mia chitarra”eseguita da Claudio Villa.

« Certamente. Ricordo bene l’avvocato Achille Cajafa, che ho ben conosciuto. Era un meridionale di raro acume e capacità.Anche qui vi furono delle interessanti recensioni. Qualche anno dopo, l’avvocato Cajafa stava per organizzare una edizione del Festival con me e Noschese… »

Mario, ne specificheremo dopo; restando nel 1957:dal 27 aprile al primo Maggio eravate ad esibirvi nel capoluogo della Toscana.Il recensore del quotidiano “La Nazione” di Firenze, nel numero per Domenica 28 aprile ’57, dopo le lodi a Totò, alla “spalla” Enzo Turco, e fra gli altri aver citato la Faldini, Elvy Lissiak, Anna Frigo,Luana Silli…e finalmente citandoti con il cognome scritto esattamente, aveva testualmente ammesso:“piacevole e acclamato l’imitatore Mario Di Gilio.”

« Il pubblico fiorentino reagiva in modo strano, non capivano il numero dell’Otello.Della sua vita privata, Totò mi raccontava dell’importanza e delle coincidenze di Firenze: qui oltre ad aver visto per la prima volta Diana, sua unica moglie, la nota “Malafemmena”, e madre nel ’33 della sua unica figlia Liliana, era stata la città galeotta, dove aveva incontrato, prima della fatidica Napoli del periodo passionale e tragico, la nota Castagnola, “femme” fatale e Vedette degli anni venti, suicidatasi per amor di lui, nel lontano marzo 1930. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma credo si fossero incontrati alle Follie Estive, importante Varietà di Firenze.»

Dopo Firenze l’approdo in Sicilia, partendo da Palermo, dove siete giunti venerdì 3 con la motonave “Calabria”, comandata dal capitano Tullio Nocca, che entrò presto in confidenza col “Principe” AntonioDe Curtis, ed accolti anche dal Professor Lelio Rossi, Provveditore agli Studi, che vi accolse nella motonave detta.A Palermo ricordi oppure no, fra i fan, un ragazzo di cognome Buzzanca?

« Sì, come lo sai? Ah mi dicevi che lo hai intervistato.Venne un ragazzo disinvolto, puro, un siciliano veràce, ossìa non quello “stereotipato” nei telefilm, e ricordo che si fece avanti con(lo dice imitandolo):“Ho l’onore di presentarmi al Principe De Curtis: sono onorato e commosso.”Ed a me disse: “Che grande imitatore, siete!”Era un semplice fan, ancora nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe diventato uno degli attori più quotati nei “box offices” degli anni sessanta; era Lando Buzzanca.Lando lo rividi in radio, a “Rosso e nero”, rubrica condotta da Corrado, dove eravamo fra i pochi ospiti. Corrado mi adorava.Inoltre, sempre a Palermo in quei primi giorni del maggio 1957, io ricevetti un biglietto che recitava:“Caro Di Gilio, sapendoti a Palermo, un caro saluto.Pensavi ti avessi dimenticato. Ti ricordo che sei stato il mio soldato.Il Comandante Ragusa.”Carmelo Ragusa era stato un mio superiore nel periodo in cui ero stato nell’Arma dei carabinieri.Perfino Totò, che mi riteneva un pochino “ricamatore”, si dovette ricredere, ed anche sui miei racconti relativi a Salvatore Giuliano, che furono poi confermati da Carmelo, quando ci reincontrammo in quell’occasione.»

Dal 3 al 6 Maggio a Palermo il fatidico epilogo, imprevisto, della tournée in anticipo di poche settimane, ma drammatica ed in quei frangenti preoccupante.

« Sì, preoccupante per la salute di Totò, già scossa per l’influenza pesante e parzialmente trascurata a Milano, per le conseguenze alla sua vista, già minata da tempo, per le conseguenze su paghe e contratti da rispettare, e per il futuro della sua carriera.Inoltre, nonostante il suo fisico giovanile e curato, era comunque un uomo che stava toccando i sessanta anni e certe cicatrici e malanni possono cronicizzare.Negli ultimi giorni, fra Genova, Sanremo, Firenze e Palermo, sempre cercando di evitare che trapelasse qualche indizio ai giornalisti, era stato visitato da vari esperti, che gli avevano prescritto o confermato terapie.Anche a Palermo iniziò gli esauriti con memorabili trionfi, nonostante non fosse affatto in forma, faticava, ma riusciva a nasconderlo, soprattutto al pubblico pagante, pubblico che, attendendolo con aspettative ed affetto, era reso miope ai malesseri che il Comico celava da Maestro.Si sforzava il più possibile, ma durante lo sketch dell’Otello svenne in scena.Rapidamente lo portammo dietro le quinte, mentre il pubblico, che credeva facesse parte dello Spettacolo, chiedeva il bis, era domenica.L’indomani mattina, tornammo a Napoli, non piangeva solo lui, eravamo tutti commossi, anche perché, la paura maggiore era che andasse verso una irreversibile cecità.Mi aveva preso sottobraccio per centosessanta giorni, raccontandomi episodi di vita, recitandomi le sue poesie precedenti e nuove, ci confidavamo “la bontà” delle belle ragazze, che guardavamo volentieri.Molti hanno scritto e detto falsità su di lui.Lui ha sempre lavorato, pure quando non vedeva quasi più e che film ha reso pure così “limitato”: rimane il suo esempio più grande.A me regalò tre orologi ed un anello di brillanti.Durante “A prescindere” in auto insieme io, Totò e Carlo Cafiero siamo stati gli improvvisati ed autentici coautori della poesia dal titolo:“Me so sunnato ‘e Napule”, anche se ovviamente, risulta lui l’unico autore. »

Per la malattìa all’occhio che causò la brusca interruzione della tournée a pochi giorni dal previsto congedo, Totò ricevette anche le visite dai medici fiscali per volere degli impresari siciliani e calabresi, i quali, avevano perduto gli incassi per le tappe saltate.Fra i nomi che conosciamo, vi era l’impresario catanese Salvatore Mazza, il quale cercava di “rifarsi” su Paone, e Paone, sul povero Totò. Salvatore Mazza è un nome famoso a Catania, faceva parte della Società C.M.C., e nel quotidiano “L’Ora” di Palermo dell’epoca, la intervistata Franca Faldini riferiva di avergli chiesto:“Se lei avesse un occhio solo che vede e rischiasse di perdere pure quello, esiterebbe a lasciare tutto?” Mazza avrebbe risposto che certo non esiterebbe.In quei momenti era ancora da dimostrare clinicamente se davvero Antonio De Curtis rischiasse la vista per sempre; i medici delle diverse controparti confermarono i danni oculari, ma fra di loro vi era chi era più cauto e preparato, e chi sdrammatizzava con leggerezza poco degna e poco professionale.I fatti daranno ragione, purtroppo ad una ipotesi abbastanza grave. Al di là delle loro “ragioni economiche”, e del cercare il recupero dei parecchi soldi da recuperare, ma a tuo parere, questi signori si resero conto oppure no della entità effettiva del problema?Cioè continuarono a perseguitare un uomo che, facendoli ridere, e per decenni, aveva trasfuso anche a loro un benessere psicofisico, per i milioni (di lire) persi o alla fine capirono che Totò non aveva certo finto, né fatto apposta, ma realmente stava male?

« Non so come sia poi finita fra lui e Paone, avevano collaborato insieme per anni. Però sì, decisamente alla fine si resero conto dell’entità del problema fisico toccato a Totò.»

Riferimenti e bibliografie:
  • "Quisquiglie e Pinzellacchere" (Goffredo Fofi) - Savelli Editori, 1976
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fori) - Feltrinelli, 1977
  • "Tutto Totò" (Ruggero Guarini) - Gremese, 1991 -la canzone «A Prescindere!» e «I pastori», pp. 260-264.
  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Vita di Totò" - (Ennio Bìspuri) - Gremese, 2000 - p.166
  • Intervista a Mario Di Gilio e documentazione delle tappe della tournée a cura di Simone Riberto
  • "Totò partenopeo e parte napoletano", (Associazione Antonio de Curtis), Marsilio Editore 1999

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • La Stampa
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