Tuttototò - Il grande maestro

Tuttototo Il Grande Maestro



Scheda del film

Regia: Daniele D'Anza - Soggetto: Antonio de Curtis, Bruno Corbucci - Sceneggiatura: Antonio de Curtis, Bruno Corbucci - Fotografia: Marco Scarpelli - Scenografia: Giorgio Aragno - Musica: Gianni Ferrio - Montaggio: Sergio Muzzi - Assistente alla regia: Simone Mattioli - Produzione: Aldo Pace per la BL Vision, Roma Prima trasmissione Rai: Programma nazionale, 13 maggio 1967 Durata: 50 minuti.


Interpreti e personaggi: Totò (il maestro Mardoccheo Stonatelli) - Giusi Raspani Dandolo (Peppina sua moglie) - Alfredo Rizzo (il postino) - Mario De Simone (il cafone con l'asino) - Mario Castellani (l'avvocato Gennaro Spaghetti) - Pietro Gerlini (il proprietario dell'albergo) - Valeria Fabrizi (la cameriera dell'albergo) - Nietta Zocchi (Concetta la vicina di casa) - Ernesto Calindri (Ercole Sansone) - Altri interpreti: Elsa Ghiberti, Alberto Nucci, Nello Riviè, Regina Seifert


Soggetto, Critica & Curiosità

Il soggetto a cui Totò collaborò con Bruno Corbucci, racconta le peripezie di un maestro di musica, Stonatelli di nome e di fatto, che cerca di affermarsi nell'ambiente artistico, col problema di sbarcare il lunario. Ma la vocazione è più forte della fame e la musica, anzi... la moseca è una cosa meravigliosa. La storia è ispirata alla celebre farsa napoletana La camera affittata a tre e ha per finale la marcia dei bersaglieri con cui Totò chiudeva le sue riviste. Il grande maestro fu trasmesso in televisione sul Programma Nazionale della RAI il 13 maggio 1967 alle 21 con un ascolto di 17,2 milioni di telespettatori. Rielaborazione in chiave moderna del celeberrimo sketch La camera fittata a tre, che risale addirittura al 1920, dove Totò recitava nel ruolo marginale del mamo. Negli anni immediatamente successivi era stato riproposto con il titolo La scampagnata dei tre disperati e nel 1933 rielaborato da Tramonti e presentato al teatro Eliseo di Roma il 6 gennaio con il titolo precedente. In seguito, era stato nuovamente utilizzato — con Alberto Sorrentino nel ruolo di Ercole Sansoni — in una sequenza de Gli onorevoli, quando Totò arrivava a Roccasecca e non riusciva a trovare una camera in albergo. Pertanto, si può dire senz'altro che questo sketch, tra tutti quelli che comprendono la serie dello special televisivo, è il più antico. Il canovaccio è lo stesso, con tre avventori costretti a spartire una stessa camera e uno dei tre quasi moribondo. Il protagonista è sempre il maestro di musica Mardocheo Stonatelli, che richiama con grande evidenza l'Antonio Scannagatti di Totò a colori. Totò è qui coadiuvato da un eccellente Ernesto Calindri nel ruolo di Sansone e dall'onnipresente e sempre bravissimo Mario Castellani.


Video e stampa dell'epoca

Ieri sera niente «Sabato sera» a causa della malattia di Mina. Abbiamo visto invece un film di Totò, il secondo della settimana: non «Don Giovannino», com'era stato annunciato, ma «Il grande maestro», rifacimento dello sketch «La camera affittata a tre». Lo sketch, sul palcoscenico, era uno di quelli che facevano esplodere il teatro dalle risate: risate che puntualmente si convertivano in ovazioni quando Totò, al suono della marcia dei bersaglieri, correva lungo la passerella e giù in platea, festosamente seguito da una fila interminabile di attori e di ballerine. Trasferita sul video la celebre scenetta sarà apparsa non all'altezza della sua fama. Ma bisogna tenere conto anzitutto che si tratta di un testo vecchio di parecchi anni; e poi che quello che nasce per il teatro e che s'affida all'immediatezza e all'improvvisazione (e al calore e alla partecipa zione del pubblico), tradotto e fissato in immagini, finisce col risultare da una parte prolisso, dall'altra un po' freddo e puerile.

Tuttavia, stavolta, lo spettacolo è andato un po' meglio della farsetta del parrucchiere da signora di mercoledì scorso: c'era maggiore sostanza, la trovata comica centrale funzionava ancora bene e Totò ha avuto modo di sciorinare con intrepida bravura i numeri più noti del suo repertorio, tra cui la caricatura del direttore d'orchestra che assume via via le sembianze di un legnoso burattino. Bravo Castellani, «spalla » discreta e preziosa, e molto adatto Callndri al ruolo di cadaverico infermo giunto agli estremi aneliti. Limitata (e vestitissima) la presenza femminile.

Ugo Buzzolan,«La Stampa», 14 maggio 1967


«Sabato sera» è stato sostituito con un telefilm della serie «Tutto Totò» che doveva essere «Don Giovannino», ma che all'ultimo momento è stato cambiato con «Il grande maestro», cioè con l'episodio annunciato per giovedì prossimo. Si tratta di una rielaborazione della nota farsa «La camera affittata a tre», con l'aggiunta di una comicissima esibizione di Totò in veste di direttore d'orchestra, uno dei pezzi fuori programma con cui l'attore soleva chiudere festosamente i suoi spettacoli di rivista.

«Il Messaggero», 14 maggio 1967


ANCORA TOTO' - E' vero che che la malattia di Mina ha messo, sabato scorso, i programmisti della TV con le spalle al muro: tuttavia, la soluzione adottata (un'inattesa puntata del Tutto Totò) per riparare al grosso buco apertosi nel principale spettacolo della serata, non è stata forse la più indovinata. Non per il pubblico, cui Totò è sempre gradito, quanto per lo stesso artista scomparso che — assai giustamente — aveva così manifesta paura della televisione. «La televisione brucia gli attori comici», diceva infatti l'artista napoletano: e la sua diffidenza sembra confermarsi nei fatti. Un programma di otto puntate di oltre un'ora ciascuna, infatti, è già ampiamente rischioso: otto volte nel giro di appena due mesi rischiano di stancare il pubblico, abituandolo inconsapevolmente alla battuta, preparandolo alla « gag » che dovrebbe essere improvvisa e può, invece, diventare persino scontata: togliendogli, insomma, quel piacere della novità che soltanto un moderato «consumo» può conservare intatta e fresca. Se poi queste otto puntate vengono concentrate in uno spazio di tempo ancora più ristretto (accavallandone due nel giro di quattro giorni), il rischio diventa ancora più imminente e grave. E, francamente, Totò non merita certamente di essere giocato come carta di emergenza: specie oggi che egli, purtroppo, non può più aggiungere nulla a questo «ricordo» televisivo.

Detto questo, c'è tuttavia da rilevare che l’edizione di sabato ci è sembrata particolarmente felice. Le vicende dello squattrinato maestro Stonatelli, infatti, ci hanno restituito uno dei momenti più felici della verni satira di Totò, dove il gusto della battuta si distende in una dimensione più vasta ed amara, centrando più volte il bersaglio della satira. Tutta la parte iniziale — con il gioco della miseria — si inserisce, infatti, in una tradizione culturale tipica di certo teatro dialettale napoletano; e la battuta non rimane mai fine a se stessa, ma si allarga in un umano commento e in una sferzante ironia del decoro piccolo-borghese, delle piccole truffe (verso se stessi e verso la società) per conservare le apparenze di una impossibile condizione sociale. Anche la seconda parte — la paradossale vicenda dell'albergo giocata con la più vecchia tecnica teatrale dell'equivoco — si riscatta spesso dal gioco scenico più ovvio: valga per tutte la bravissima, ma efficacissima, «gag» della preghiera. Totò, con una violenza mimica impareggiabile, costruisce in pochi secondi un ritratto di conformismo e banalità rituale che fa parie delle sue cose migliori e più preziose. Niente facili doppi sensi, niente allusioni indirette: qui la satira è precisa, impietosa. Un piccolo saggio delle sue grandi possibilità, così a lungo compresse da una industria della risata che l'ha confinato per anni in una ristretta dimensione che non gli era affatto congeniale.

«L'Unità», 15 maggio 1967


Tutto Totò: stasera il telefilm «Il grande maestro»

Il comico non impegnato

1967 05 18 Radiocorriere TV Il grande maestro f1Fra le tante cose che si sono scritte su Totò in queste ultime settimane — tutte in sua lode, ma quasi tutte a maniche rimboccate, come di chi si vergogni un po' di compromettersi con un comico «così poco serio» — s'è letta anche questa: che egli rimpiangeva d'essersi incontrato troppo tardi Pasolini, con il quale, altrimenti, avrebbe fatto molte cose buone. Noi credevamo di sapere il contrario. Che cioè le preferenze del grande comico andassero invece a interpretazioni, e anzi invenzioni, nient'affatto in odore di intellettualismo. Se quel rimpianto per il regista impegnato l'ha riferito una persona a lui vicinissima, le parole qui di seguilo le dettò Totò in persona, in un articolo a sua firma nel quale anticipava appunto i temi e le ragioni della serie che ora stiamo vedendo in TV: «Guardiamoci in faccia. Oggi il comico per poco non stramazza sotto il bagaglio obbligato dell'umorismo impegnato. E il pubblico non ha ancora finito di interpretare il senso di una battuta ridendo finalmente, se tutto va bene che già deve ricominciare con la sottile analisi della battuta seguente. E' capitato anche a me, ed è un esperienza recentissima...».

Beninteso, i critici e non critici che ora smentiscono il senso di questo suo credo artigianesco pensano di fargli un favore postumo, di nobilitare il povero comico, come certi poeti che scambiano le belle poesie con i bei sentimenti, le belle parole, i bei soggetti Ma dimenticano che il primo intellettuale che si accorse di Totò, Cesare Zavattini, lo scopri in un repertorio d'avanspettacolo. Dimenticano quando Antonio de Curtis volle nobilitarsi, non sentì il bisogno di cambiare quel suo repertorio: si limitò a rivendicare il titolo di altezza imperiale. Lo portò poi con dignità, pur sapendo e anzi proprio perche sapeva che i nobili lo snobbavano — «perchè faccio il pagliaccio», diceva — e che i pagliacci, se cosi per estensione vanno chiamati i suoi colleghi, ci ridevano sopra. A Daniele D'Anza, suo ultimo regista, regalò una moneta d'oro col motto «In hoc signo vinces», con il suo profilo visto da sinistra e dunque finalmente simmetrico, e con allegato il «certificato di garanzia e coniazione». Voleva nominarlo cavaliere, poi ci ripensò «Lasciamo stare disse — so che non ci credi». Questi erano, insieme, il suo pudore e il suo orgoglio.

Nominare visconte il suo cane, non nominare cavaliere chi non ci credeva: ma rispettare il suo titolo, a costo di provocare le uniche risate che non avrebbe voluto provocare. Ma le altre, no: le altre erano risate sacrosante, da provocare con i mezzi più diretti. Rifiutò di inserire nella serie televisiva uno sketch imperniato su certi versacci ma solo perchè rispettava i colleghi, e quei versarci li considerava immortalati una volta per tutte da Eduardo De Filippo. Avesse torto o ragione, il Totò che Totò preferiva era questo che vedremo stasera ne «Il grande maestro»: era quello che vedremo nell ultimo telefilm di questa serie, «Il premio Nobel», rifacimento televisivo del suo famoso sketch «Il vagone letto». Ne «Il grande maestro» c‘è un altro suo sketch famoso, «La camera a tre», innestato alla più trascinante delle sue «gags», quella del grande direttore d'orchestra che vive nel culto di Verdi e Beethoven ma che, una volta sul podio, attacca la Marcia dei bersaglieri. E naturalmente quel maestro si chiama Stonatelli, come nelle «cartoline del pubblico» di una volta. Anche Totò era un comico d'una volta, grande anche in questo: che vinceva malgrado i testi.

f.r., «Radiocorriere TV», 18 maggio 1967




Riferimenti e bibliografie:

  • RaiPlay.it

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • La Stampa
  • La Nuova Stampa
  • Stampa Sera
  • Nuova Stampa Sera
  • Il Messaggero
  • L'Unità
  • Radiocorriere TV