Johnson Lidia (Abramovic Lydia)
Lydia Abramovic (Rostov Velikij, 6 gennaio 1896 – Napoli, 3 aprile 1969[1]), è stata una danzatrice, cantante, attrice teatrale e cinematografica russa.
Biografia
Cresciuta in Russia, a dieci anni studia col balletto di Mosca per poi abbandonare la danza classica dandosi all'intrattenimento ballettistico da vaudeville. Nel corso della sua carriera si sposerà col ballerino inglese Albert Johnson del quale manterrà il cognome. La loro figlia, Elena, preso il nome d'arte di Lucy D'Albert, diverrà poi una sciantosa, esibendosi nei teatri di tutta Italia[2].
La Johnson patì le conseguenze della rivoluzione d'ottobre, spostandosi con la famiglia da Mosca a Kiev, poi a Odessa (dove conobbe il futuro compagno Kostantin Asperov), Baku, Istanbul e infine la Francia e l'Italia, esattamente Napoli[2][3], nonostante le tournée la portassero in tutta Italia e anche negli Stati Uniti d'America.
Negli anni venti si improvvisò fantasista jazz scritturando alcune tra le più promettenti jazz band del momento e portandole in tournée in tutti i teatri: il suo contributo alla diffusione del genere in Italia fu prominente[4]. Fu canzonettista del varietà, arrivando al successo anche grazie a canzoni come Sulla scogliera[1]; fu la prima diva del teatro italiano a lanciare negli spettacoli numeri di ballo di soubrettes numeri di ballo di ragazze straniere[1].
Nel 1924 lancia la canzone di Dino Rulli, Scettico blues, che avrà un notevole successo anche all'estero.
Nel 1929, in occasione della trionfale tournée al teatro Eldorado di Napoli, presentò la canzone "Ti voglio bene" (I love you so) che scrisse personalmente con il poeta Enzo Bonagura e con la musica di Fred Culley e presentata dalla casa editrice musicale La Canzonetta. Nello stesso anno, fondò una sua compagnia teatrale con la quale diede spettacolo anche in Egitto: in Italia proseguì nel varietà, nella rivista e si cimentò, come del resto aveva già fatto a Odessa, nel cinema con pellicole come Le due madri e L'allegro fantasma di Amleto Palermi al fianco di attori come Vittorio De Sica e Totò.
La sua carriera proseguì bene o male ininterrottamente fino alla sua morte, nel 1969.
La stampa dell'epoca
«Il Popolo di Roma», 22 e 23 gennaio 1929
Si succedono col più grande favore del pubblico le repliche dell'eccezionale programma nel quale, ogni giorno alle ore 17 e alle 21.30, si esibisce la geniale artista Lydia Johnson, in unione alle 8 Broadway Stars e al The Melodlans Boys Jazz, che, fra i più calorosi applausi, presentano, fra l’altro, la nuovissima danza della Jungla: « Diga-dica-Du», che fa fremere oggi, dopo lo scharleston e il Black Bottom, tutte le gambe. Applauditissimi Togan e Geneva nella loro attrazione mondiale. Il comico Sforza, le due Royal Bayes, ecc. ecc. Alle ore 17 lo spettacolo completo di Lydia Johnson, biglietto unico Lire cinque. Botteghino aperto dalle 10 antimeridiane.
«L'Impero», 10 novembre 1929
All'età di 72 anni Lydia Johnson, che fu la «stella del charleston», ricorda volentieri i suoi successi degli anni Venti
Vive in un convento la regina del Varietà
Nata in Russia, venne in Italia nel 1920. Pagatissima dagli impresari, impose sulla scena il tipo brillante e spigliato. Fu la prima soubrette in pantaloni e questo colpi la fantasia degli spettatori. Ogni tanto organizzava un «suicidio» per amore e subito aveva grandi titoli sui giornali. Madre di un'altra diva della rivista, Lucy D’Albert da dieci anni si è ritirata dalle scene. L’ultima esibizione in «Saffo». Frale nuove cantanti ammira Patty Pravo
Roma, luglio
Lydia Johnson, la regina del varietà degli anni venti, la «stella del charleston», come la chiamavano entusiasticamente i giovani di allora, vive la sua tranquilla vecchiaia in un istituto di suore a Roma. Dal giorno della sua ultima apparizione in scena, accanto a Vivi Gioi e Wanda Osiris in Saffo al Teatro delle Arti di Roma, saranno trascorsi poco meno di dieci anni ma sono bastati a far perdere ogni traccia di lei, completamente. Nessuno finora — ad eccezione della figlia Lucy D'Albert e di pochi amici — conosceva il suo rifugio, A scoprirlo e stata una giovanissima cantante di Modena, Cristina Hansen, che ha inciso di recente la famosa «Virine nanna di Lydia Johnson. Voleva un consiglio, qualche suggerimento sullo stile dell'epoca, uno stile tornato clamorosamente di moda sia nell'abbigliamento die nella musica leggera 1968; e quale miglior fonte avrebbe potuto trovare se non lei, la diva di quel romantico periodo?
Voce armoniosa
L'Istituto delle Suore Mantellate è un moderno e luminoso edificio circondato di verde in una zona dell'EUR lontana dalle rumorose arterie di traffico: ospita donne anziane e giovani che hanno bisogno di riposo o di un periodo di convalescenza. Lydia Johnson ci vive dal 1964; «Ero moribonda in clinica», mi racconta con la sua voce sottile e armoniosa. «e stavo per partire definitivamente. Mi curava il professor Fontana, lo stesso del presidente Segni e di Giovanni XXIII. Guarii, un secondo miracolo che Dio ha voluto concedermi, e da allora son venuta qui, ho chiuso la mia Accademia di dizione e canto che avevo fondato a Montesacro e del mondo di ieri non voglio sapere più niente».
Siamo seduti su una panchina del parco, la signora ha smesso di lavorare a maglia un golfino rosa, e segue con rassegnazione i movimenti del fotografo: «Un flash va bene, ma lasciatemi mettere gli occhiali neri». L'unica conseguenza visibile della paresi facciale di cinque anni fa (sopraggiunta dopo la trombosi che le aveva immobilizzato gambe e braccia) è l'occhio sinistro un po' socchiuso.
I capelli bianchi, ondulati e pettinati con cura, sono raccolti in una retina e le mani si muovono con vivacità, in ogni gesto, anche il più innocente, s'intuisce l’antica dominatrice della scena. Entrava in frac dorato, i guanti neri, il cilindro coperto di strass e roteando un bastone bianco cominciava a cantare: «Mi chiamo Johnson... Johnson... Johnson...». Il suo personaggio rompeva con la tradizione delie maliarde alla Anna Fougez, delle penne di struzzo, delle prime-donne provocanti e talvolta volgari. Con lei s'impose il tipo signorile, la girl di stile inglese, brillante e spigliata. «Non s'era mai vista prima d’allora La soubrette in pantaloni e questo colpiva la fantasia dello spettatore».
Non le dà alcun fastidio rievocare quei tempi, ne parla anzi con tenero distacco, come se Lydia Johnson fosse una sua cara amica e lei semplicemente Lydia Abramo-vic nata a Rostov in Russia il 6 gennaio del 1896. «Oggi c'è il microfono, la base musicale registrata, la televisione. Allora era faticoso cantare in teatro, il primo "occhio di bue" l'ho portato io da Parigi e succedevano cose curiose: all’aprìrsi del sipario il riflettore illuminava la cantante, poi La cantante si spostava sul palcoscenico e il fascio di luce rimaneva li, non la seguiva».
Sorride indulgente. «E le canzoni di quegli anni?», mi chiede come se volesse scoprire quali titoli conosco, «Lola, cosa impari a scuola?, Charlestonmania, Jazz in cucina, Menestrello vagabondo Nel ‘28 al Cairo e ad Alessandria d'Egitto mi fecero ripetere Menestrello tre volte... E che cos’era di dolce Nostalgico slow». Si lentia un attimo, poi sottovoce, accompagnandosi con un semplice gesto della mano destra, quasi desse il via ad un'orchestra immaginaria col bastone bianco (proprio come faceva coi suoi complessi Jazz), accenna il motivo: «Oggi il mio cuore è pieno di nostalgia.».
A Mosca, quando aveva soltanto dieci anni, Lydia Abramovic cominciò la sua carriera di ballerina. Giovanissima sposò il suo primo partner, il ballerino inglese Albert Johnson e a diciott’anni ebbe una figlia, Lucy, che è stata una delle più popolari soubrette italiane e che oggi vive a Napoli, moglie dell'ex campione di calcio Sallustro, direttore dello stadio San Paolo. Allo scoppio della Rivoluzione russa, Lydia Johnson fuggi in Europa e venne in Italia nel 1920. Da allora sì considera italiana: dopo i primi spettacoli al Salone Margherita e alla Sala Umberto di Roma, al Trianon e al San Martino di Milano, il pubblico la proclama «regina del varietà» e fino al 1930 il suo regno è incontrastato.
«Ero la donna più pagata d'Italia», dice con legittimo orgoglio e senza amarezza. «Cinquemila lire al giorno e, quando mi spostavo da una città all'altra, avevo un treno a mia disposizione, il mio bagagliaio era formato da diversi vagoni. La mia vita allora era un continuo scandalo, non la concepivo diversamente, doveva essere uno scandalo dalla mattina alla sera»
E' sinceramente divertita del ricordo, adesso è come se prendesse in giro se stessa; «Ogni tanto mi suicidavo per un amore e subito grandi titoli sui giornali. Io imbrogliavo naturalmente, figuriamoci se avevo voglia tutte le volte di morire: spargevo un po' di valeriana sul comodino della camera d'albergo e aspettavo che qualcuno desse l’allarme, spesso lo davo io stessa. Chi arrivava per primo, avvertiva subito entrando l’odore della valeriana e sbiancava in faccia temendo il peggio. Ero furba allora; oggi sono intelligente».
In quarant’anni di intensa attività teatrale, Lydia Johnson ha goduto tutte le gioie del successo: «Conosco la carta geografica per esperienza non per studio, mi manca solo l'Australia. Ho attraversato l'Oceano mentre Lindbergh volava verso Parigi. Non so cosa vuol dire un fischio, se non i fischi di giubilo degli americani. So parlare correntemente sei lingue ed ho avuto gli onori più ambiti, ma ho pagato anch'io a caro prezzo la gloria...».
Una bottiglia al giorno
Il consenso del pubblico le venne meno sul finire degli anni Trenta: «Cominciai a bere, la mia religione era la bottiglia di cognac, una bottiglia al giorno e sigarette, tante sigarette. Nel 1949 ebbi il colpo più grave. Mi ammalai, avevo cinquantatré anni e pareva che per me la vita fosse finita. Fu allora che ritrovai Dio. Educata alla religione ortodossa, ne avevo via via abbandonato la pratica, diventai atea, ma in quell'anno qualcosa dentro di me mi spinse ad accostarmi al cattolicesimo. Questa nuova fede mi diede la salute — guarì per incanto — e la serenità che conservo ancora oggi, l’osso dire di piu. mi ha restituito l'allegria che era semine stala una caratteristica di Lydia Johnson... E’ curioso dirlo cosi, ma io che nelle mie canzoni ho continuamente cercato l'amore, l’amore profano, l'ho trovato soltanto ora».
Scatto di fierezza
Sembra una confessione patetica ma il suo tono di voce non si è alterato, seduta sulla panchina parla con la stessa dolcezza che ha messo nel saluto appena l'ho incontrata un'ora fa. «Questa è oggi la mia forza. Come prima ero tenace in teatro, cosi oggi sono tenace nel servire Dio». Ha uno scatto di fierezza: «Ma non sono una bigotta, sia chiaro, ne una di quelle vecchiette che vanno continuamente in chiesa. Mi basta essere utile a tutti per servirlo...».
La giornata di Lydia Johnson rispetta un tranquillo itinerario, ne lei vorrebbe mutarne una sola tappa: la mattina in chiesa poi verso le dieci una passeggiata fino a Colle di Mezzo, un quartiere periferico tutto nuovo, quindi il pranzo («e non non privo di un bicchiere di buon vino»), il riposo nella sua cameretta, il lavoro a maglia, la lettura, il gelatino alle cinque del pomeriggio e la serata in poltrona davanti al televisore. «C'è sempre qualcosa che mi diverte in TV. Seguo, per esempio, tutti gli spettacoli musicali...».
Ecco, che cosa pensa Lydia Johnson delle nostre cantanti? «Mi piace molto Patty Pravo, quella ragazza ha una grande personalità. Però esagera nei movimenti, e troppo teatrale. Milva: una magnifica voce, ma la sfrutta male e in televisione non dovrebbero farle quei primi piani; ha la bocca di pesce. Se scegliesse meglio il repertorio... Mina in certe canzoni è fredda. Non so. Mina non mi tocca il cuore».
E Rita Pavone? «Rita da piccola era mollo brava. Oggi non è ne carne né pesce, sebbene in lei si senta l'artista. E‘ cosi biava nelle imitazioni che io la considero più attrice che cantante. Ma per carità chi le ha consigliato di interpretare Pippo non lo sa?».
Lydia Johnson, 72 anni, ex regina della canzone e del teatro leggero, una stella di ieri l'altro che vuol essere ignorata. Conoscerla — per chi non ha vissuto gli anni Venti — é il piacere di una scoperta.
Antonio Lubrano, «Radiocorriere TV», 28 luglio 1968
Colpita da infarto mentre passeggiava a Napoli con la figlia Lucy D'Albert - Aveva 71 anni
Napoli, 3 aprile.
Lidia Johnson, ramosa canzonettista della belle époque, è morta stasera a Napoli per collasso cardiaco mentre passeggiava in via Posillipo nei pressi del Mausoleo insieme con la figlia, Lucy (la nota soubrette Lucy D'Albert), e con il genero Attila Sallustro, che è stato centravanti -della Nazionale di calcio negli anni Trenta.
Lidia Abramovic — in arte Johnson — era nata a Mosca nel 1898. Dopo aver frequentato le migliori scuole di danza e di canto, nel 1923 venne in Italia con la piccola figlia Lucy per cominciare una brillante carriera di canzonettista del varietà. Rimasero famose le serate all'Eldorado sulla banchina di Santa Lucia, dove si esibì anche, per la prima volta a Napoli, un balletto di girle straniere. Una sua canzone. Sulla scogliera, rimase a lungo tra i motivi più popolari in Italia.
La Johnson aveva poi lanciato sulle scene anche la figlia Lucy, la quale debuttò a 14 armi. Da molti armi viveva in un pensionato a Roma. Recentemente aveva raggiunto a Napoli la figlia ed il genero con i quali voleva trascorrere le feste di Pasqua.
Non appena colpita da collasso è stata soccorsa dai due congiunti, i quali l'hanno subito trasportata all'Ospedale Loreto di via Crispi, dove è giunta morta.
«La Stampa», 4 aprile 1969
Carriera
Nel 1911 i Johnson lavorano nel celebre night di Mosca chiamato "Yar", ma allo scoppio della rivoluzione di Ottobre cercano riparo altrove ed esattamente finiscono a Kiev, dove nel 1917 lei interpreta due film, quindi ad Odessa, a Baku e infine espatriando a Istanbul.
Nel 1920 Lydia Johnson é in Italia da dove parte alla volta dei maggiori teatri di varietà di mezza Europa, ripresentandosi nel nostro paese quattro anni dopo nella veste di cantante fantasista nel genere jazz.
Nel 1926 la ritroviamo al Mayol di Parigi, quindi in Spagna col maestro D'Anzi e infine per otto anni a Chicago.
Poi si esibisce in Egitto e infine in tutta Italia con una sua compagnia fondata nel 1929.
Nel 1931 fa una rivista con la compagnia Molinari , nel 1932 è al Salone Margherita di Roma con "Baracca e Burattini" diretto da Lucio D'Ambra.
Nel 1934 al Cristallo di Milano e nel 1937 a Genova all'Augustus e simultaneamente a Firenze al Nazionale.
Nel 1938 fa compagnia con Tino Scotti e dopo la guerra la ritroviamo a Roma alla Sala Umberto .
Nel Marzo del 1953 prende parte a una rievocazione del vecchio Varietè al Teatro Manzoni di Milano e infine nel 1959 sostiene una parte nel "Tè delle tre" di Gino Negri.
Filmografia
Le due madri, regia di Amleto Palermi (1938)
Nonna Felicita, regia di Mario Mattoli (1938)
Cento lettere d'amore, regia di Max Neufeld (1940)
L'allegro fantasma, regia di Amleto Palermi (1941)
La danza del fuoco, regia di Giorgio Simonelli (1942)
La principessa del sogno, regia di Roberto Savarese (1942)
Paura d'amare, regia di Gaetano Amata (1942)
La signorina, regia di László Kish (1942)
Non mi muovo!, regia di Giorgio Simonelli (1943)
Senza una donna, regia di Alfredo Guarini (1943)
T'amerò sempre, regia di Mario Camerini (1943)
Il fiore sotto gli occhi, regia di Guido Brignone (1944)
Teheran, regia di William Freshman (1946)
French Cancan, regia di Jean Renoir (1954)
Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo, regia di Mauro Bolognini (1956)
Noi siamo le colonne, regia di Luigi Filippo D'Amico (1956)
A qualcuna piace calvo, regia di Mario Amendola (1960)
Note
- ^ a b c La Provincia, 4 aprile 1969
- ^ a b Lucy D'Albert sul Dizionario dello Spettacolo del 900
- ^ Biografia dell'attrice su Ildiscobolo.net
- ^ Adriano Mazzoletti. Il jazz in Italia: dalle origini alle grandi orchestre, EDT, Torino 2004, pgg. 124-127.
Riferimenti e bibliografie:
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «Il Popolo di Roma», 22 e 23 gennaio 1929
- «L'Impero», 10 novembre 1929
- Antonio Lubrano, «Radiocorriere TV», 28 luglio 1968
- «La Stampa», 4 aprile 1969