Ripp (Miaglia Luigi) 

(Torino, 7 febbraio 1888 – 7 aprile 1962) è stato un avvocato italiano, meglio noto, sotto lo pseudonimo Ripp, come scrittore e autore di canzoni, riviste musicali in italiano e dialetto piemontese, nonché scenette radiofoniche.

È stato autore insieme a Bel Ami (Anacleto Francini) di alcune delle più importanti riviste di Totò.

Cesare Pavese ha dedicato a questo autore il saggio La poesia di Ripp, rimasto inedito all'epoca e pubblicato oggi nella raccolta Il serpente e la colomba.



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1942 06 17 Stampa Sera Ripp Bel Ami

— Ci sono — annunzia il fattorino — due francesi... — Avanti. Ma chi sono? — Non ho capito bene. Ma due nomi che si sentono spesso. Dicono che vengono da Torino... — Fai entrare.
E vediamoli, questi due francesi che vengono da Torino. Ma è tutto il contrario: sono due torinesi che vengono dalla Francia. Ripp e Bel Ami.

Isa Bluette l'ha scampata...

Giovanni Miaglia ed Anacleto Francini sono, a quei giorni, i superstiti rappresentanti dell'ultimo Ottocento letterario, ultimo in ordine cronologico voglio dire, quello rimasto attaccato alla tradizione dello pseudonimo forestiero: Yorick, Gandolin, Tartarin, Bergenet, Yambo, triplcpattc, Gil Blas... Tutti fior di fiorentini genovesi abruzzesi napoletani illustri, come sapete, nella Repubblica delle lettere e delle arti nostrane. — Ciao, ciao. Sicché venite da Parigi? — Ma già. Vi abbiamo accompagnato la Bluette a misurarsi i costumi che s'è fatti per la nostra rivista. — L'ha scampata bella, sai, povera Isa. — Che le è successo ? — Niente le è successo. Ma poteva capitarle quello che è capitato, proprio l'ultimo giorno della nostra permanenza a Parigi, alla signorina... Mi fanno il nome della celebratissima attrice drammatica italiana, anche lei lassù, per ritirare e portarsi in Italia i costumi che s'era fatti per la Signora dalle Camelie. Questa nostra attrice illustre, per malaugurato consiglio d'un nostro connazionale, vecchio amico patrono guida accompagnatore e prezioso cavalier servente d'attrici ed attori nostri in gita alla città-luce d'un tempo, a chi si era rivolta, la signorina X, per ottenere una facilitazione di ordine doganale, all'atto che avrebbe ripassato i confini per tornare in Italia. Nientemeno che al nostro Ambasciatore. L'Ambasciatore d'Italia s'intende che accolse la nostra primadonna con tutta la diplomazia riservata al suo grado: stette a sentirla, poi le offrì un tè e le consegnò una lettera che l'attrice — lei disse — avrebbe potuto esibire alle autorità italiane di frontiera. Scende le scale dell'Ambasciata, la signorina X, e, colta da compr-ensibile curiosità, vuol leggere che cosa ha scritto Sua Eccellenza. Ha scritto presso a poco: «...per cui sarei grato se le autorità doganali italiane volessero applicare il massimo della tariffa, per la signorina latrice della presente, la quale è venuta in Francia per farsi confezionare il suo vestiario... ». Parigi, maggio 1921.

— Sicché, scrivete una nuova rivista? — Sì, ma del nostro genere: niente politica, niente personalità. — Una rivista fantasia, solito nostro. — Vedo. Titolo? — Le Mille ed una Donna. Fantasia, come vedi subito. Le donne della Compagnia di Achille Maresca saranno si e no un paio di dozzine. Dovresti farci i costumi. Meno quelli della Bluette, che se li fa fare, comie sai, a Parigi. E mono quelli di Totò, che si porta i suoi dal Varietà. — Totò passa in rivista? — Apposta per noi. Saia una rivoluzione. Vedrai che rivista. — Ditemene qualche cosa. — Ecco: il primo quadro deve essere un ambiente di fantasia. Perciò Cuba, oppure il fondo del mare, come meglio credi. Forse starebbe meglio un giardino, dato che vi devono nascerle e crescere delle rose. — Direi anch'io. — Poi si passa ad una gelateria. O un negozio di barbiere. Per noi è indifferente, vero Ripp?, dato che Totò vi canta una macchietta di barbiere-gelatiere, mestiere abbinato, assai comune in Ispagna... — Perchè abbiamo dimenticato di dirti che siamo in Ispagna. —- Piccolezze. L'amaro tè di Margherita Gautier - Quel che c'era di veramente fantastico in certe fantasie - Perchè i cinesi non fischiano a teatro — Ci sono — annunzia il fattorino — due francesi... — Avanti. Ma chi sono ? — Non ho capito bene. Ma due nomi che si sentono spesso. Dicono che vengono da Torino... — Fai entrare. E vediamoli, questi due francesi che vengono da Torino. Ma è tutto il contrario: sono due torinesi che vengono dalla Francia. Ripp e Bel Ami. Isa Bluette l'ha scampata...

Nasce "Creola"

Subito dopo, occorrerebbe un quadro bizzarro assai. Di assoluta fantasia: non ci abbiamo ancora pensato. Vedi tu. Sta qui il bello delle riviste di fantasia, che uno può sbizzarrirsi come crede. Basta solo un po' di fantasia, vero Bel Ami? — Sicuro. Per esempio una scula luminosa. O un Tutto-blu. O una biblioteca. O una spiaggia del I8I1O. Io non ho preferenze. E tu Ripp ? — O per me, fai tu. L'importante è che ci sia questa grande scatola di cipria. — Come, come? — Oppuvs una gran pianta di banane. Sai, è per la nuova canzone nostra che deve lanciare la Isa: il ritornello è una parola sdrucciola. Pensavamo per questo a Cipria. Ma potrebbe essere benissimo Creola. O bumbola. O Forbice. O Briscola. Indifferente. Ma una foresta tropicale non mi dispiacerebbe affatto. Fu proprio così o in circostanze assai somiglianti, che nacque Creola, una delle più indovinate ed aggraziate cannoni di Ripp e Bel Ami, create quasi tutte dalla povera cara Isa Bluette. A parte Ripp e Bel Ami (che di fantasia avrebbero potuto aprire serie di negozi standardizzati) sta di fatto che codeste riviste « a grande spettacolo » succedute dal '24 in poi alle riviste politiche, avevano questo, di fantastico: che la parte fantasia era gentilmente riservala al figurinista ed allo scenografo.

L'autore, o gli autori, si riservavano solamente alcuni diritti: » diritti d'autore. Ecco perchè, mentre fin'allora questi spettacoli sono nati nel cervello dei giornalisti c dei poeti, con l'avvento della fantasia, il luogo di nascita si trasferisce nei laboratori di sartoria teatrale e nei saloni di scenografia. Uno, fra questi, ai proporzioni ciclopiche (in esatta corrispondenza con quelle del suo titolare, il pittore Guido Galli, è a Milano, negli anni che qui si rievocano, il cantiere, l'arsenale, il vulcano non solo di Mille ed una donna ma di mille ed una fantasia. E' qui che nascono le torri babilonesi di Terremoto (Ramo e Rota), gli emisferi rotanti del Mondo e sua moglie (Panconi e Francini), le follie di Madama Follia (Ripp e Bel Ami), la giostre viventi del Pupo Giallo (Mazzucato), le sarabande di Peccati e Virtudi (Rapetti e Marcitesela), le innumeri mirabilia di Straccinaria (Simoni e Fraccaroli). E' in questo salone milanese di Guido Galli che sono nati e cresciuti i sipari di piume, i sipari di specchi, i sipari di fosforo, i sipari, di pietre, i sipari di fiori, di pizzo, di merletto. E' qui che una mattina l'autore Guido di Napoli, il geniale creatore del Teatro della Girandola, papà di tutte le riviste d'avanspettacolo (quando le riviste erano uno spettacolo, sia pure davanti ad un film) è capitato una mattina con gli occhi fuori della testa, e pure con un'idea di sipario, assolutamente inedita. — Il sipario cinese... il sipario cinese... — egli riesce a dire affannosamente. — Che roba è? — Ecco qua. Distribuiremo alla porta, come si usa in parecchi centri della Cina, una pallina di piombo per ogni spettatore che entra. — Beh? — Usanza pratica e di buon gusto. Ogni spettatore, cui non piaccia qualche cosa dello spettacolo, lascia cadere la sua brava pallina in un apparecchio collocato di fronte a lui. — E allora? — Lasciate?!!!' dire. L'apparecchio conduce ad un sistema di leve sotterranee, in comunicazione col sipario, di piombo pure lui. Appena i voti di sfiducia avranno raggiunto un certo peso, il sipario cala automaticamente e non può risollevarsi che all'indomani, dopo la vuotatura del condotto sotterraneo.

Scoperta di Macario

L'annosa questione del fischio o del non fischio a teatro si sarebbe risolta fin d'allora, abbastanza brillantemente, caro Palmieri. Nossignori. Si oppose il Comando dei Pompieri, non s'è mai capito perchè. Sicché, mentre gli autori del tempo sudano mille ed una camicia a far lavorare la fantasia degli scenotecnici (forse risale a quei giorni l'iniziativa di Braguglia, d'offrire a questi poveri scenotecnici almeno un Sindacato, tanto per gradire) non meno fervidamente lavora la fantasia dei capicomici italiani del genere rivista. E' il tempo in cui l operetta inizia la sua parabola discendente, e qualche capomico operettajo pensa d'attaccarsi alla rivista. Sarà primo, come s'è raccontato, Achille Maresca. L'erede del nome illustre, lun bel giorno è percosso da un'idea luminosa. Non bisogna sottilizzare, su questa luminosità d'ùlea venuta ad Achille, industriale a quei giorni dì lampadine elettriche ed altri accessori. L'idea sua si chiama Macario. Illuminarsi (a filamento metallico) di codesta idea felicissima, prendere il treno e piombare a Torino, tutto è fatto elettricamente.

Ma a Torino lo attende una scossa. Non ci fa caso, la premiata ditta in materiali d'illuminazione: la scossa è costituita dagli impegni di Macario, impegnatissimo, fin dalla più tenera infamia. E non è cosa di breve durata, come ogni scossa che si rispetti: un impegno lunghissimo, una specie di impegno a vita, o qualche cosa di simile. — Ma io ti promuovo primo comico grottesco... — Sarebbe? — Ecco: io penso che in una compagnia di rivista occorrano due comici di primo piano: il comico stilè (— scrivo foneticamente, per economia generale) ed il comico grottesco: il comico stilè sarà con me Nato Navarrini: il grottesco sarai tu. Quello deve recitare, cantare, ballare, far V amoroso, il brillante, l'avventuroso... — Ed io allora? — Tu farai invece tutto quello che vuoi. Basterà che ti presenti. Non avrai una parte scritta appositamente: ti si dirà: «A questo punto entri tu...». — Entro io. E faccio quel che mi pare. — Nè più nè meno. — Comodo. E quanto mi dai? — Siccome farai quello che vuoi, io ti darò quel che vorrai tu, si capisóe, — Questo poi è comodissimo. E quando si comincia, quando si comincia? — C'è bisogno di dirlo? Quando vuoi tu. — Oh, per parte mia, faccio conto di aver già cominciato. Fammi un assegno cosi e così. E buon viaggio. Ci vediamo a Milano fra sette giorni. A proposito, la sai la differenza fra Cristoforo Colombo e me? — No. — Nemmeno io. Forse perchè non c'è nessuna differenza.

Luciano Ramo, «Stampa Sera», 17 giugno 1942



Opere

Brani musicali

Creola;
Il passo del cammello;
Nel paese dei Zulù[1]

Riviste e commedie musicali

1932: Il gasista di Hollywood;
1933: La piccola gran via;
1934: Si pranza domani!

in collaborazione con Erminio Macario

1934: La signorina Buttelfly (ovvero Le sette mogli di Barbablù);
1936: Ali e poi Babà (ovvero Le sette mogli di Barbablù);

in collaborazione Bel Ami (Anacleto Francini);

1928: Madama Follia
1928: Il Paradiso delle donne;
1928: Mille e una donna;
1928: Girotondo;
1928: Sì, sì, Susette;

in collaborazione con Fanfulla (Luigi Visconti)

1935: Il treno delle 23 e 79 (ovvero Il paese dei ravanelli, Quell'uom dal fiero aspetto, Viva le donne)

Note

  1. ^ Ripp (Miaglia): Nel paese dei zulù

Riferimenti e bibliografie:

  • Luigi Miaglia, Sul lago di Como / versi e musica di Ripp, Roma : Casa Editrice Musicale Fratelli Franchi, 1921
  • Domenico Seren Gay, Teatro popolare dialettale: indagine-enciclopedia sul teatro piemontese, Priuli & Verlucca, 1977 - 339 pagine
  • Patrizia Ferrara, Censura teatrale e fascismo (1931-1944) - La storia, l'archivio, l'inventario. Archivio Centrale dello Stato, 2004
  • Waldimaro Fiorentino, L'operetta italiana: storia, analisi critica, aneddoti, Catinaccio, 2006 - 348 pagine