Musco Angelo
(Catania, 18 ottobre 1871 – Milano, 6 ottobre 1937) è stato un attore italiano di cinema e teatro.
Biografia
Visse la fanciullezza tra i vicoli del quartiere di San Cristoforo provando vari mestieri (ciabattino, sguattero, muratore, barbiere), ma appassionandosi solo all’opera dei pupi. Assiduo frequentatore del teatrino di Carmelo Sapienza in via del Fortino Vecchio, in cambio dell’ingresso aiutava il puparo a preparare le marionette per lo spettacolo e poi a riporle (senza tuttavia arrivare a dar voce ai pupi come un’infondata tradizione vuole). A dodici anni si esibiva al piatto come canzonettista durante gli intervalli e accompagnava alcuni passaggi negli spettacoli. Cominciò così la sua carriera di attore-cantante-ballerino tra gli artisti di varietà popolari impiegati dai pupari, i quali, insidiati dai nuovi spettacoli alla moda, cercavano anch’essi di offrire qualcosa di simile alle attrazioni dei caffè-concerto frequentati dalla borghesia etnea. In questo mondo Musco compì l’apprendistato.
Recitò con vari capocomici, tra cui don Gregorio Grasso, fratellastro di Giovanni, e Michele Insanguine, capocomico napoletano al teatro Sicilia di Catania e poi al Machiavelli, il puparo Giovanni Cantoni di Giarre, il buffo Nelli Lambertini al teatrino del rione Crocefisso della Buona Morte di Catania, donna Nazzarena Crimi, discendente da gloriosa famiglia di pupari, un tal Faggiano, titolare di una compagnia di operette in giro per piccole piazze della provincia, e Giuseppe Santoro, molto caro all’attore, incontrato al teatro Goldoni di Messina. Coltivò le sue doti di canzonettista imitando Pasquariello e soprattutto il repertorio del celebre Nicola Maldacea, diventando un macchiettista-trasformista e un duettista ‘eccentrico’ con Carmelina Lambertini e con Rosina Anselmi. Sviluppò così una grande abilità nella caratterizzazione dei personaggi attraverso le risorse del trucco e della gestualità. Recitò inoltre nella farsa, nei ruoli di ‘buffo barilotto’ e del brillante, ricalcati su modelli napoletani, e impratichendosi nella recitazione concertata. Creò anche un proprio personaggio, Piripicchio, ispirato al Sciosciammocca scarpettiano, con un carattere da ‘servo scaltro’ più confacente alla sua comicità costruita su lazzi furbeschi, battute folgoranti e una pantomima concitatissima che rasentava la danza.
Negli anni Novanta raggiunse una certa agiatezza soprattutto lavorando come macchiettista, tanto da vantare un repertorio appositamente scritto per lui e dirigere, per uno scorcio di stagione, una Compagnia napoletana, tenendo a scrittura le sorelle Aguglia. Consolidata la sua fama, specie nel circuito regionale, strinse una relazione con la vedova Ciccina Algozzino, di condizione borghese, che lo aiutò, insieme ad alcuni amici, a uscire dall’analfabetismo, diventato un impaccio nella carriera. Certo è che gran parte della sua formazione attorica avvenne secondo i canoni della cultura orale, sviluppando una sorta di mentalità situazionale in cui la riproduzione parola per parola della parte era sempre sottomessa alla logica dell’azione. Tale mentalità rimase alla base dell’arte di Musco che assecondava lo sviluppo dell’intreccio secondo le attitudini del personaggio interpretato, per cui le parole potevano, a volte, essere improvvisate grazie a un perfetto dominio dell’impianto delle situazioni drammaturgiche, irrinunciabile riferimento della recitazione concertata. Questa pratica facilitò l’attore quando, nel 1900, entrò a far parte della compagnia di Giovanni Grasso che nel teatro Machiavelli proponeva spettacoli di arte varia: rivista, farsa, commedia, improvvisati drammi sociali. In principio Musco interpretò i ruoli drammatici e Grasso i comici, ma presto le parti di primo tragico furono assunte da Grasso, mentre Musco, pur partecipando ai drammi seri, mieteva i maggiori successi come primo brillante nelle farse finali dove, a richiesta, eseguiva il ballo a solo, chiusura tradizionale degli spettacoli popolari. Rimase con Grasso, tra alterne vicende, per dodici anni durante i quali ebbe modo di stringere amicizia con Nino Martoglio, figura chiave nella sua vita artistica.
Martoglio aveva diretto la compagine di Grasso nella stagione 1903-04 accreditandola presso la critica più autorevole e contribuendo a darle uno statuto di compagnia primaria con un repertorio dialettale d’arte (La lupa, Cavalleria rusticana, Caccia al lupo di Verga; Malia e Lu cavaleri Pidagna di Capuana, Nica e San Giovanni decollato dello stesso Martoglio, la versione siciliana di Borgese della Figlia di Iorio di D’Annunzio, Mastru liberti l’armieri di Marchese), affiancato con drammi sociali di spiccato gusto melodrammatico (Zolfatara di Giusti Sinopoli, I mafiusi della Vicaria di Mosca e Rizzotto, il bozzettistico La festa di Adernò di Grasso, La morte civile di Giacometti, Feudalesimo di Guimerà ecc.) che permisero alla compagnia di affrontare con successo il pubblico dei principali teatri italiani e di compiere trionfali tournées in America Meridionale, Stati Uniti ed Europa (Londra, Parigi, Mosca, Berlino, San Pietroburgo ecc.).
Nella stagione 1907-08 Musco fu scritturato nella Compagnia drammatica siciliana di Martoglio. Qui familiarizzò con un bozzettismo di ambientazione borghese o popolare dai toni giocondi, farciti a tratti di patetico sentimentalismo – emancipandosi dal fosco repertorio di Grasso e dalle farse interpretate alla fine degli spettacoli – e incarnando personaggi la cui comicità si alternava a tratti di dolente umanità.
Nel 1912 divenne capocomico e dopo un incerto inizio creò, nel 1914, un’affiatata compagnia dialettale di circa 36 elementi il cui nucleo, formato da Rosina Anselmi, Turi Pandolfini, Angelo, Jole, Vittorina e Giulia Campagna, Fara e Cesare Libassi, Lindoro e Adele Colombo, lo accompagnò per tutta la sua carriera garantendo una perfetta concertazione della recitazione. La compagnia, confortata da un costante successo di pubblico, grazie a un’avveduta e scaltra gestione (tra 1928 e 1929 si produsse anche in una lunga tournée nelle Americhe), ebbe vita lunghissima e si sciolse solo alla morte del capocomico. Musco seppe conquistare la fiducia dei più potenti trust teatrali, ottenendo vantaggiosi contratti nei principali teatri italiani, e legare a sé importanti personaggi, come Renato Simoni e Marco Praga (critico autorevolissimo del Corriere della Sera l’uno e influente presidente della Società italiana degli autori l’altro). Tuttavia non riuscì a creare un teatro d’arte così come Martoglio sognava.
Nei primi anni di capocomicato (1914-17) Musco cercò di forgiarsi un repertorio vernacolare di qualità; Martoglio compose per lui le sue commedie più riuscite e sollecitò in tal senso l’amico Pirandello, che tra il 1915 e il 1917 affidò all’attore Lumie di Sicilia e scrisse appositamente Pensaci Giacomino!, Liolà, ‘A giarra, ‘A patenti e nel 1922 Ccu i nguanti gialli. Le opere rimasero nel repertorio di Musco, ma le necessità del mercato e una certa concezione del personaggio e della concertazione non permisero lo sviluppo di una reale collaborazione con gli autori.
Galleria fotografica e stampa dell'epoca
Angelo Musco, raccolta di articoli di stampa
Ritratti: Angelo Musco
Angelo Musco, impressioni d'America
Pensaci, Giacomino! di Angelo Musco
Vita di Angelo Musco
Musco e i suoi primi passi
La Casa Editrice «Atpes» di Milano ha pubblicato in questi giorni un interessante volume di Italo Vitaliano e Giuseppe Muratolo, Angelo Musco nella vita e nell'arte, in cui l’avventurosa vita, del celebre attore siciliano è narrata con ricchezza di particolari e abbondanza di aneddoti: per gentile concessione dell'editore e degli, autori, siamo lieti di poter offrire ai nostri lettori un breve capitolo, gustosa primizia, di tale volume.
In piazza degli Studi, a Catania, all'angolo di via Gallinella e precisamente nell'ala del palazzo dei Marchesi di San Giuliano che oggi ospita i magazzini della Rinascente, esisteva sino a pochi anni addietro un modestissimo teatro di marionette il «Machiavelli», gestito dalla vedova di don Angelo Grasso, la signora Francesca, meglio conosciuta da tutta la città per donna Ciccia. Alta, robusta, occhi mobilissimi e espressivi, intelligenza sveglia, carattere fiero e tenace, donna Ciccia aveva saputo per vario tempo condurre da sola l'azienda, imponendo a poco a poco il piccolo teatro e rendendolo popolarissimo, tanto da acquistargli un’assoluta supremazia sui molti altri del genere disseminati alla periferia. Ne si trattava di un locale che offrisse eccessive attrattive; quasi sotterraneo, poco e male illuminato, era lungo all’incirca una cinquantina di metri, tra platea, palcoscenico e abitazione degli affittuari.
E altrettanto modesto era il costo dei biglietti di ingresso che non oltrepassò per molto tempo i dieci centesimi per i posti delle panche di platee e i quindici per quelli nell'unica ala di palchi. Posti riservatissimi e molto ambita quella dei dua palchi di proscenio, ai quali si accedeva pagando ben cinquanta centesimi; gli aristocratici, poi, i signori potevano, spendendo una lira, salire in palcoscenico e assistere allo spettacolo di tra le quinte. E' verissimo che questi ultimi spettatori riuscivano grandemente importuni agli attori; ma guai a lamentarsene! Cera da incorrere nelle collere dell'impiesario, altamente onorato di accogliere nel suo teatro persone di sì elevata condizione che si presumevano senz’altro danarose e influenti e alle quali ci si poteva rivolgere, all'occorrenza, per aiuto e protezione.
Dello stesso genere del «Machiavelli» erano del resto anche gli altri teatri, molto numerosi, di marionette allora esistenti. Sino al 1890 Catania non contava che due soli teatri di tipo, diciamo cosi, normale e moderno, dove si alternavano spettacoli di lirica di prosa e di operetta E il pubblico minuto, un po' per soggezione, un pò per economia, li frequentava poco, affollandone, e non sempre, il solo loggione e preferendo loro l'opera dei pupi. Durante l'estate, poi, uno solo dei due teatri rimaneva aperto, il vecchio e glorioso Politeama Pacini.
li popolo catanese dunque accorreva in massa ad affollare seralmente i piccoli teatri da marionette. E mostrava speciale predilezione appunto per quel Teatro Machiavelli gestito dall'ottima donna Ciccia di cui abbiamo impreso a parlare. In tale teatro, direttore di sottordine e burattinaio, incominciava allora la propria carriera il ventenne Giovanni Grasso, figlio di donna Ciccia, assolvendo da solo, con quella prontezza e ingegnosità che gli son rimaste caratteristiche, alle svariate esigenze e necessità della scena marionettistica.
Giovanni Grasso infatti provvedeva a vestire e armare i suoi «pupi», preparava durante il giorno le scene che dovevano servire per la rappresentazione serale, improvvisandosi pittore e scenografo, immaginando e creando i meccanismi adatti ai numerosi colpi di scena che mandavano in visibilio il pubblico. Poi, alla rappresentazione egli stesso, ingegnandosi alle maggiori varietà di intonazioni di voce por Orlando o per Rinaldo, per Gano dì Magonza o per Astolfo Inglese, e, nei momenti di battaglia, guidava i suoi aiutanti, gli operai dello sgabello, nei movimenti da far eseguire agli eroi. Tutto questo con una abilità sorprendente, una intuizione straordinaria delle necessità del teatro e dei gusti del pubblico: di quel pubblico che imparò presto ad idolatrarlo e ad acclamarlo il maggiore dei varii pupari catanesi allora sulla breccia.
Ma Giovanni Grasso non era uomo da accontentarsi dei facili trionfi: il teatro delle marionette, ch'egli sapeva cosi abilmente manipolare e che gli dava onori e danaro, già non lo soddisfaceva più. Sognava, sin dalla sua prima giovinezza, di trasformare presto i pupi in attori, di sostituire al fantocci di legno uomini di carne ed ossa che riprendendo le tradizioni ancora vive e gloriose del teatro dialettale siciliano, cosi caro al popolo e bene accetto persino all'aristocrazia, alle Corti, continuassero l’opera del Perez e dei Colombo, del Balsamo e del Tomasino. E un primo passo, per quanto embrionale e incompleto, su questa nuova strada Giovanni Grasso fece scritturando per il suo Teatro «Machiavelli» l’allora giovanissimo Angelo Musco.
Ventiquattresimo figlio di Sebastiano Musco e di Francesca Cosenza Angelo aveva esordito appena giovanetto in uno del pia modesti teatri di marionette della città, situato in via Fortino Vecchio nelle vicinanze di Porta Garibaldi, dove, alla fine dello spettacolo, si produceva cantando "gratis et amore Det" una canzonetta intitolata «’A musca» (La mosca), e mandando In visibilio il pubblico che lo adorava. Piccolo di statura, mingherlino di persona, gli occhi vivissimi, irrequieti, la capigliatura morbida folta e straordinariamente ricciuta, il non ancora sedicenne Angelo Musco, meglio conosciuto in tutto il popolare rione per "Angilu 'a musca", non aveva un mestiere ben definito; viveva alla giornata, arrabattandosi nel modi più ingegnosi. E poiché, uniche sue ricchezze, possedeva una fresca voce di di tenore e una sorprendente capacità di contraffare gesti e persone, aveva pensato di lanciarsi in arte, più per giuoco in principio e per passatempo che allo scopo di ritrarne un qualsiasi guadagno. Ma li favore sempre crescente del pubblico aveva ben presto incominciato a solleticare il suo amor proprio, sino a permettergli di considerarsi un «numero» di eccezione, un artista completo degno di stare alla pari con gli altri che in teatri di maggior mole e importanza furoreggiavano.
Fu cosi che, conscio di tale sua qualità il giovanissimo Angelo incominciò ad avvicinarsi al Teatro Machiavelli, prima accontentandosi di ammirare i cartelli multicolori che, all'esterno illustravano le gesta dei Paladini di Francia; poi avventurandosi nella semioscurità della sala deserta, di giorno, sino ad osar di salire in palcoscenico dove Giovanni Grasso apparecchiava pupi e scene per la rappresentazione serale. I due giovani, inutile dirlo, fecero presto amicizia; e dopo breve tempo l'ottima donna Ciccia invitava solennemente Angelo Musco a prodursi nel suo teatro cantando, a fine spettacolo la oramai popolarissima canzonetta "’A musca" che costituiva tutto il repertorio del grande artista in erba.
Angelo, naturalmente, non si fece ripetere l’invito: felicissimo, e già intimamente convinto di essere arrivato, trasportò armi e bagagli nel teatro di piazza degli Studi. Il suo debutto fu un vero trionfo. E per molto e molte sere l’angusto Machiavelli si affollò oltre misura: la fama di "Angilu ’a musca" incominciava oramai a varcare i confini del rione che lo aveva visto nascere por divenir cittadina
Cosi ebbe inizio la carriera artistica, lunga, per gran parte penosa e stranamente avventurosa, di uno dei più caratteristici. personali e geniali attori che vanti il nostro teatro lo contemporaneo.
«L'Impero», 30 giugno 1928 - Disegno di Carretto
Con la commedia sua prediletta « L’aria del continente », Angelo Musco diede ieri sera la sua serata d'onore. L’ormai famosa creazione del grande attore siciliano aveva richiamato al Valle un pubblico enorme, che espresse ancora una volta la sua entusiastica ammirazione tanto alla commedia quanto all interprete insuperabile, li quale fu fatto segno a entusiastiche ovazioni.
Questa sera Angelo Musco darà una importante ripresa; la gaia e applaudita commedia di Filippo Surico: « Io la feci l'Italia », di cui il grande comico è interprete efficacissimo. Domani domenica addio della Compagnia con un’unica recita diurna, alle ore 17, si darà la divertentissima commedia di Nino Martoglio « San Giovanni decollato ».
«L'Impero», 16 giugno 1929
La più degna commemorazione d'un grande attore scomparso è certamente lo spontaneo plebiscito di quanti l'han veduto ed amato dal loro posto di spettatori. Testimonianze e voci di urt tale plebiscito, ‘Cinema’ offre appunto alla memoria di Angelo Musco. Sono di oggi le risposte dei lettori al Concorso: ‘Ma che cosa è questo Cinema?' che con precise ragioni motivano il successo, l’efficacia artistica, l’irresistibile ‘presa’ di Musco. Il mistero della morte, quando scende sugli uomini che hanno chiarito la vita nell’aperta trasparenza del riso e del sorriso, sembra impregnarsi d’angoscia nuova. E forse soltanto lo consola il senso della simpatia, dell’ammirazione solidale da parte di chi rimane.
...i film di Angelo Musco rappresentano in pieno e nel profondo del significato il gioioso e ideale carattere dell’Italiano e in special modo dell’aperto e sincero siciliano. (Dino Coss, studente, Rovereto).
Dei tanti film comici quelli che mi piacciono di più sono quelli di Angelo Musco, non perché egli sia l’unico comico italiano nel suo campo ma perché manifesta una diversa comicità. I suoi gesti sono spontanei e fanno dimenticare che egli si trova davanti all obbiettivo, mentre altri attori comici sembrano marionette che si muovono solo agli ordini del regista. Sono incapaci d’una espressione originale. Musco è invece spontaneo e talvolta la sua comicità raggiunge un alto livello sentimentale e morale. (Bruno Boglioni, Venezia).
Musco ha quel senso di umanità e di poesia che lascia « gli occhi incerti tra il sorriso e il pianto» e che infonde nell’anima una certa amarezza e commozione difficilmente cancellabili. (Alberto Tesi, studente, Firenze).
Musco, Musco, Musco: gesto, mimica, arte, sensibilità - tutte nostre: comprese interamente perciò. (Rag. Giuseppe Cugini, impiegato, Cremona).
Del nostro inesauribile Musco ammiro l’eredità dello zio buonanima, paraninfo e re di denari perché esprimono comicità spontanea, italianissima. (Nello Bandinelli, impiegato, Roma).
. . .preferisco Musco, perché questo è il comico « nostro, ricco di quel lepos inconfondibile, nato forse da Plauto e continuato dal Boccaccio e dal Sacchetti, dal Machiavelli e dal Goldoni; il comico che non ha bisogno di « farsi » una figura, perché ha già in sé tutti gli elementi necessari per essere ciò che deve essere: a lui basta un gesto, una smorfia: egli è il comico naturale». E quanta umanità, quanto sentimento nei suoi personaggi! (Walter Faglioni, insegnante, Udine).
...i film di Angelo Musco, per la loro leggera briosità senza troppe esagerazioni, riescono egualmente a muovere un sincero sorriso di schietta allegria. (Pietro Boccabella, Teramo).
...espressione, mimica e parola, sono chiamate in Musco a collaborare in giuste desi. A volte basta una sola parola, detta al momento giusto, a definire una persona e a risolvere una situazione. (Gino Giuliattini, Segretario presso le Ferrovie dello Stato, Firenze).
Non perdo un film di Musco: la sua arte è tanto sana e nostrale che per me è la sola. (Marcello Leoni, studente, Roma).
Mi piacciono di più i film comici interpretati dal nostro grande attore siciliano per la spigliatezza che chiamerei naturale (vive la parte a lui affidata). (Antonietta Gianfelice, Roma).
Dei film comici quelli che mi piacciono sono quelli di Angelo Musco. Perché il bravo comico siciliano non è un clown, come lo sono molti dei comici che per farci ridere hanno bisogno di cadute fenomenali e inverosimili, di torte lanciate in faccia e di tante altre cose del genere. No, invece la comicità di Musco è spontanea, propria, tutta nostrana. (Ennio Ferrauto, studente. Siracusa).
«Cinema», n.32, 20 ottobre 1937
Angelo Musco è morto improvvisamente
Colpito da un attacco di angina pectoris, per il quale ieri aera era stato sospeso lo spettacolo all'Olimpia, ha cessato di vivere improvvisamente, nel corso della notte, all'albergo Continentale, Angolo Musco. Nulla faceva presagire la fine repentina dell'attore che fino all'altra sera aveva recitato. Egli è stato colto dal primo malessere ieri mattina: ma poi le sue condizioni si sono andate via via aggravando. Nella serata egli ha perduto la conoscenza, e, poco dopo mezzanotte, attorniato dalla cognata, dai due cognati e da tutti gli altri suoi compagni d'arte, è deceduto. Per il pomeriggio di oggi è atteso l'arrivo da Catania della consorte del compianto artista, la quale era stata avvertita ieri telegraficamente dell'improvviso malore del marito.
E' morto un grande attore comico. Aveva spssantatré anni, ed era nato a Catania da povera gente. Da ragazzo fece tutti i mestieri, ma quello che gli piaceva di piu era quello del calzolaio. A dodici anni si seccò del deschetto, e si entusiasmò dell’ «Opera 'i pupi» che don Carmelo Sapienza dava in una stanza dietro un siparietto a brandelli, nella viuzza catanese di Fortino Vecchio. Una sera il monello, mentre un mandolino strimpellava una canzonetta napoletana, balzò sul piccolo palcoscenico a cantarla, con sberleffi e smorfie che fecero sbellicare dalle risa gli spettatori.
Da allora si dà a cantare canzonette. In una specialmente furoreggia: «’a musica », sicché tutti lo chiamano «musca» senza sapere che il suo vero nome è Musco. La sua piccola fama vola, gli si offre una scrittura a pagamento a Cigoli, vicino a Catania, e fa da ballerina e da prima donna nella farsa. Poi passa con un altro impresario, che lo chiama a Giarre, borgo catanese, e gli offre il ruolo di buffo a venticinque soldi al giorno. Musco trionfa dinanzi a quel pubblico di teatrino popolare ma deve tornare a Catania per la morte del padre. Poi riparte come attore e ballerino in una Compagnia di marionette, poi ritorna a Catania ed entra finalmente in una Compagnia Lambertini. Un giorno la pianta, e lascia Catania per Messina in una Compagnia di operette. Ma è un disastro, e Musco riprende la via di casa.
Periodo di dura miseria. Eccolo di nuovo a Messina a offrire i suoi servigi al teatrino Sala Margherita di piazza Annunziata: commedie e varietà, con le sorelle Aguglia. Ma imparare la parte gli riesce difficile, poiché è analfabeta; e si mette a studiare. Poi riprende a cantore canzonette al San Carlino come trasformista, e duetti con lo sorelle Anseimi, una delle quali, Rosina, ha poi sempre fatto parte delle sue Compagnie. Poi va con Giovanni Grasso, e dopo essere stato all’Argentina di Roma giunge al Manzoni di Milano, dove la Compagnia Grasso conferma il suo successo. E con Grasso inizia i suol viaggi per il mondo: Buenos Aires, Nuova York, Londra, Berlino, Budapest, Pietroburgo, Mosca.
Al ritorno tenta la sua prima esperienza di capocomico, e dopo varie vicende, nel marzo del ’14, la Compagnia comica siciliana Angelo Musco inizia le sue recite al Teatro Principe di Napoli di Catania. Quindici sere di trionfi. A Caltagirone gli arriva il copione del «Paraninfo» di Capuana; ma per il momento non gli giova. Passa al Bellini di Napoli, a Pistoia, a Padova, a Verona, a Legnago, recitando anche «La Passione e morte di Nostro Signore» per poter cavare da vivere. Ma è la fame per lui e per i suoi compagni. Il 12 aprile del ‘15 la Compagnia esordisce col «Paraninfu», nuovo a Milano. Il successo è grandissimo. La critica esalta il valore dei Musco, e da quella sera la sua fortuna è segnata. Successo, onori e quattrini, recite dinanzi alla Famiglia Reale, onoreficenze, giri all'estero, la moglie, i figlioli, e, in mezzo a tante gioie, un grande dolore: la perdita della mamma, che muore a novantaquattro anni. Musco corre a Catania, e sollevata egli stesso la cassa della sua diletta: «leggera era, non pesava niente. Che può pesare ’na picciridda?», la porta fino sulla soglia consegnandola ai sacerdoti; e dietro, tra i ceri accesi, si incammina con gli altri; solo. Ora l’ha seguita più in là.
«Corriere della Sera», 7 ottobre 1937
L'omaggio di Roma alla salma di Musco
Roma 13 ottobre.
Il convoglio recante la salma di Angelo Musco è giunto alla stazione di Termini alle 19.40. A rendere omaggio alle spoglie del grande artista scomparso si trovavano i dirigenti della Federazione industriali delio spettacolo e della Federazione lavoratori dello spettacolo con i gagliardetti, i dirigenti di stabilimenti di produzione cinematografica. numerosi artisti e un foltissimo pubblico di amici e ammiratori.
Aperto il carro funebre i rappresentanti sindacali, mentre i gagliardetti venivano inchinati, hanno deposto sulla bara corone di fiori, mentre altri fiori venivano posti dagli amici e ammiratori dello scomparso. Due valletti del Governatorato dell’Urbe con alti funzionari del Governatorato hanno quindi deposto una corona d'alloro omaggio dell'Urbe. I presenti hanno quindi reso omaggio allo scomparso salutando romanamente e sostando un minuto in religioso raccoglimento.
Alla stazione a rendere omaggio alla salma si è anche recato il conte Quirico, medico della Real Casa. Il carro funebre è stato poi nuovamente chiuso. Alle 21.41 il treno recante la salma di Angelo Musco ha lasciato Roma diretto a Napoli, da dove proseguirà per Messina e Catania. Un treno successivo reca due carri ferroviari carichi di corone e di fiori.
«Corriere della Sera», 14 ottobre 1937
Oggi tornando a casa, per via Umberto, e quindi per via Etnea, son passato dietro yina siepe fitta di persone che stavano a guardare, dal marciapiede, i funerali di Angelo Musco. Il corteo s’iniziava con una lunga fila di corone, nelle cui foglie il primo vento d’autunno metteva un rumore di pioggerella. Tutti leggevano a voce alta i nomi dei donatori, che svolazzavano in oro sui nastri neri. Poi veniva la bara, portata a spalla e circondata dalle autorità; dietro la bara, a capo chino, marciavano gli ultimi autori di commedie dialettali, che le due ali di persone, ferme sul marciapiede, riconoscevano a stento, perché nessuno di questi scrittori, all’mfuori di Russo Giusti, ha un nome molto popolare.
Seguiva la folla, con una banda in capo e un’altra in coda... Senza dubbio, un bel corteo. Poche cose riescono bene in Sicilia come quelle improntate al lutto, essendo qui di antica, data il culto della morte. Un’aria nobilmente funebre avvolge e regola la mostra vita sociale : spesso i muri si tappezzano di annunci mortuari, taluni dei quali rimangono appiccati per mesi, e ancora nel 37 annunciano il decesso di una signora avvenuto nel gennaio del '36; la fine delle stagioni, specie del’estate, è celebrata in canzoni monotone e lamentose come trenodie; fino a qualche tempo addietro in tutta l’Isola, e ora solo nei paesi, il vestirsi con eleganza, anche nei giorni caldi, si otteneva col vestirsi di nero.
Ma il corteo, che accompagnava Musco, aveva, nel suo impeccabile stile siciliano, una sua nota particolare : spesso le facce addolorate si avvivavano di un sorriso, e pareva che un raggio sperduto di sole andasse colpendo sbadatamente le persone. Questo particolare non offende Musco. Di tanto in tanto, nel dolore di aver perduto quest’attore, s’intrometteva, cosa molto naturale, un ricordo di lui :
era una battuta, era un salto, era un gesto della mano. E il riso era inevitabile. Ma subito tornava più doloroso il pensiero che quella battuta, quel salto, quel gesto non avrebbero d’ora in poi ricevuto altra vita se non da una memoria sempre meno chiara.
Ho sentito, dietro di me, un vecchio, ben noto per il suo senno pencolante, insultare con molta eloquenza un giovane che lo aveva urtato col gomito, poi raccontare a voce alta un episodio di Musco e riderne fortemente, poi scoppiare a piangere e, agitando la testa, mandare le lacrime sulle mani e le facce dei vicini.
Il pensiero che attorno c’era una ragione in meno per ridere e stare allegri, e il ricordo vivacissimo di quel riso e allegria, erano i due sentimenti fra cui Musco, come fra pioggia e sole, scompariva per sempre.
Finita là cerimonia, tutta la vita di Musco parve spargersi dovunque. Sulla bocca di ogni catanese risuonavano, col tono di chi riferisce e imita, parole di Musco; alcuni, i più arditi, abbozzavano con tutta la persona scene culminanti di Musco. E siccome i catanesi anziani somigliano molto, nella figura, all'attore scomparso, il simulacro di costui parve, la sera, moltiplicarsi diverse volte per mille, circondando e impressionando il forestiero che fosse capitato in questa singolare rifrazione tra il mondo dei morti e quello dei vivi.
Anche negli autobus, che salivano penosamente verso i paesi dell'Etna, si parlava di Musco e riappariva, nelle fugaci imitazioni, la sua figura. Si raccontavano molti episodi, taluni dei quali inediti. Nei primi tempi del suo successo, egli soleva beneficare largamente gli amici rimasti poveri. Un giorno, invitò a pranzo un gruppo di due famiglie. I commensali trovarono la tavola imbandita con piatti capovolti. Rovesciatili dietro invito dell’ospite, trovarono ciascuno due fogli da mille. «Ecco il pranzo!» disse Musco. «Signori, buon giorno!». E scomparve come d’Annunzio al Vittoriale. Parlava benissimo il. siciliano, a stento l’italiano ; le altre lingue le ignorava completamente. A Parigi, preso dalla disperazione di non capir nulla e di non essere inteso da nessuno, cominciò a fermare i passanti con insulti dialettali pronunciati con tanta grazia e un così bel sorriso che i passanti rispondevano : «Merci!», Solo uno, sentitosi chiamare con quei nomi poco onorevoli, rispose con una bestemmia siciliana e alzando le mani. Musco gli fermò i pugni con un abbraccio. «Te cercavo!» gli gridò amorosamente.
È difficile che Catania dia alla luce un altro attore dello stampo di Musco. Il comico, spontaneo e vivace in questa zona della Sicilia, va prendendo altre vie, dietro le indicazioni del tragico Verga. Lo sguardo, che i giovani catanesi (i pochi rimasti a coltivare simili cose) gettano sul loro ambiente, è più critico e ironico. Meno spontaneità e più intelligenza sono le nuove dosi di questo comico. La vita miciliana come materia d’arte, guardata da così alto, rischia di diventare sbiadita e invisibile, ma può anche acquistare pregio. Mi hanno raccontato che, la sera in cui si diede per la prima volta a Catania una commedia di Martoglio, che veniva dai successi di Roma e di Milano, la via che conduce al teatro rigurgitava di folla elegante. Martoglio, amatissimo dai suoi concittadini, e festeggiato come un trionfatore già prima dello spettacolo, si recava a teatro in frac. Ma taluni scrittori catanesi di oggi, allora ragazzacci, nascostisi in un luogo di decenza prossimo al teatro, si misero a gridare a voce alta il nome di Martoglio, facendolo seguire da rumori e da fischi. Questa singolare disapprovazione era incomprensibile in una serata come quella e in una terra tutta di amici. Quali erano le ragioni di tali rumori? Martoglio ignorava che quei ragazzi si esercitavano nel puro e semplice gusto di rompere le uova nel paniere e disturbare quello che non andava disturbato. «Il nuovo comico era nato», direbbe il De Sanctis.
Cordialmente
Vitaliano Brancati, «Omnibus», anno I, n.30, 23 ottobre 1937
Musco autore
Indimenticabile Musco! Egli fu certamente autore prima che un grande attore, seppure la sua opera si limitò al rifacimento delle commedie altrui. Chi, credo, non vi sìa stata commedia da lui rappresentata, ove egli non abbia aggiuntò del suo, tagliando e ritagliando il testo originate, levando personaggi o ag-giungendovene, sviluppando situazioni comiche o drammatiche, e non soltanto alle prove, ma via via che le andava recitando, al punto che una commedia sentita e risentita poi a distanza di tempo appariva zeppa di invenzioni e di battute di pretta marca muschiana, quando non del tutto trasformata.
A questa sua opera di coautore si deve forse la rarità degli insuccessi. Talvolta però egli suggeriva trasformazioni così radi, cali che all'autore non restava altro che pensare ad altro tipo di commedia da scriversi, magari tenendo conto delle sue idee. Eccovene un esempio: Non so come mi trovai coinvolto in un affare di collaborazione teatrale.
Credo che fu per aver raccontato ad un amico un soggetto di commedia.
Questo spunto piacque tanto al mio ascoltatore che senz’altro se ne appropriò e ne fece una commedia che dette a Musco. Al grande attore piacque t'idea ma non come era stata svolta. Totale: messo a parte d'ogni cosa fui costretto a colla, borace con l'amico alla nuova stesura. Questa volta Musco parve soddisfatto.
— Campagna! — Comandi. Commendatore. — Riduca subito questa commedia in siciliano la voglio dare a Milano, a giorni —
Il vecchio attore riduttore Campagna, assicurò che si sarebbe messo subito all'opera. Infatti, quando Musco venne a Milano al Filodrammatici, in quell'inverno siberiano del '28, Campagna aveva «buffato giù» il primo atto. (Direbbe Bovio: «Che peccato! Poteva buttarli giù tutt e tre!»)
— Domani ri prova, disse Musco — Ho cambiato il titolo...
— Benissimo! — dicemmo noi. L'indomani, prova. Prima dell’inizio Musco ci condusse in un angolo e ci avvertì che aveva creduto opportuno suggerire a Campagna alcune modifiche. I due amanti della commedia, erano diventati fratello e torello di latte nella riduzione. E ci guardò con i suoi occhi scrutatori, poi ammiccò, come a dire: «Che?!», e dette il segnale della prova, battendo le mani.
Ora, per capire l'importanza della varietà suggerita da Musco, bisogna sapere che tutta la commedia era giocata intorno a questi due amanti, alla loro fuga, all'inseguimento del marito tradito, che sorprendeva la coppia in un albergo, dove per altro risultava che i fuggiaschi avevano alloggiato in camere separate, sicché tratti dinanzi al Tribunale per adulterio, venivano assolti, presente il genitore del giovanotto, il quale era accorso credendo di trovare il figliuolo in veste d'avvocato in quel processo e viceversa lo trova alla sua prima causa in veste d'imputato.
Rimanemmo di stucco all’avvertimento del cambiamento e curiosi di vedere in che modo si sarebbe potuto reggere una commedia, dove il fatto in essa raccontato era stato soppresso. Infatti, ci parve di ascoltare urialtra cosa che nulla aveva a che fare con la nostra, e che non aveva nemmeno più ragione di esistere.
Musco, si avvide del nostro sbalordimento e ci disse: — Che ve ne pare? Noi azzardammo che ci sembrava di assistere alla prova di un lavoro a noi del tutto sconosciuto. Al che Musco sentenziò: «No, addulterio, niente!» A nulla valsero le nostre spiegazioni che l’adulterio, in definitiva, non veniva provato. Fu irremovibile: «Adulterio, niente!». Sicché, la commedia non si dette più.
Amici più di prima, naturalmente, e sempre che avemmo occasione d’in-contrarci e di parlare di commedie rappresentate e da rappresentare o di soggetti per film, sempre più mi convinsi che in Musco attore, la qualità di autore era preponderante.
L'ultima volta che lo vidi, a Milano, s'era in parecchi intorno a lui. Qualcuno chiese notizie sulla novità che avrebbe data a giorni. Musco pensò un istante, poi disse: — L’ho già data fuori, è piaciuta. Ci ho messo un finale al terzo atto, che il pubblico rimane... Ah! L’autore non lo sa ancora; sarà contento anche di come procede tutta la commedia. Ci ho aggiunto sei personaggi per rimpolparla, ora va. Piacerà certamente. — E, infatti, fu così. La commedia piacque.
«Il Mattino Illustrato», 10 gennaio 1938
L'asino feroce
Tempo già fu — ahi non poco — che un quieto uomo che si occupava di teatro in un giornale assai rinomato, stava mangiando una frugale colazione in una casetta sui monti, presso alla quale, avendo teso alcune reti, stava in attesa, nelle quiete e pallide albe, che qualche fringuello o qualche tordo avessero l’amabilità di lasciarsi prendere. Questo placido tizio stava, un giorno, quietamente mangiando una colazione, non di carni alate incappate nei fili, ma di domestico bove comperato dal macellaio, quando il suono di canti ancora lontani lo incuriosì. Affacciatosi a un parapetto dal quale si vedeva anche il lontano serpeggiare tortuoso e rampicante della strada, scorse, laggiù, insoliti colori che avanzavano; e udì strepiti di cembalo e canzoni che, più si avvicinavano, più si dimostravano siciliane. Seguendo con gli occhi quel lento avanzare (e, intanto, accostandosi di più le voci), la vivacità colorata di quel gruppetto si dimostrava più viva, finché apparve, riconoscibilissimo, un asino gagliardo, con i finimenti ornati di cristalluzzi, con alcune piume sgargianti tra le orecchione, trascinante un carrettino tutto pinto di riquadri, ove apparivano belle dame d’alto lignaggio e le corazze e gli elmi e gli scudi d’oro di Orlando, di Rinaldo, di tutti gli eroi dell’Ariosto. Ai lati del ciuco s’accostavano danzando Angelo Musco e il suo nipote Pandolfini, col cappellone rustico e «un atteggiamento tra di compare Alfio e di Turiddu; tutti due in vena di concordia e di affetto. Affetto per quel signor giornalista che tutto avrebbe potuto aspettarsi dal capriccio della sorte, fuorché l’offerta di un ciuco possente con il più leggiadro dei carretti.
Ma qui cominciarono le dolenti note: quando, cioè, quel giornalista osservò al grandissimo attore comico che era lecito, a tutti, dargli, verbalmente, dell’asino; ma non un asino vivo. Fosse pure un asino ammi-
rabile, un asino da dieci con lode, quello scrittore di cose teatrali, per ragioni ovvie, non lo poteva accettare. A quel punto cominciò la tragedia. Musco era convinto di dovere a quel giornalista un-poco della sua fortuna, dimenticando che quella bella e giusta e clamorosa ammirazione la doveva a se stesso, alla sua potenza e fluenza inimitabili di comicità, a quel suo estro animatore per il quale, dopo aver lanciato un frizzo, modellava un carattere che, con quel frizzo, concordava mirabilmente, e, in più, aveva una originalità solida e colorata. Tutte queste erano ragioni evidenti, ma Angelo Musco non le voleva ascoltare, bene spalleggiato dal nipote Pandolfini. Per fortuna, villeggiava a cento passi di distanza, in una torre che s’era fatta costruire a commemorazione degli eroici soldati della sua Brigata Regina, il generale Biancardi; e il giornalista andò a chiamarlo e lo pregò di essere arbitro in cosi formidabile conflitto: da una parte si affermava che la professione esercitata da questa parte non poteva ammettere doni, nonché di asini, che potevano essere epigrammatici, neppure di candidi cigni, o di struzzi veloci o di vezzosi rinoceronti; dall’altra parte il caro Musco, tanto, sempre, traboccante d’affetto, desideroso di
dimostrare i propri sentimenti con abbondanza, anzi con trascendenza siciliana, affermava che un ciuco non era un dono, ma un ospite tant’è vero che bisognava nutrirlo! Il dibattito fu lungo: ma il generale convinse l’attore, il quale attore, quando il giornalista gli porse il prezzo del ciuco, aveva le lagrime agli occhi. E certo, dal colle ove era salito cantando e facendo quei suoi saltelli intrecciati e scattanti, se ne andò lento e umiliato, forse offeso; addolorato certo.
Caro Musco ! Sento spesso che qualche cosa mi manca. E’ quel suo vigile affetto, quell’allegrezza sinceramente recitata per rallegrarmi; una specie di strana protezione che mi consolava di tante angosce. E se mi dico che ci sono giovani, ora, che non hanno veduto quell’artista, che non si sono trovati di fronte a quell’alto e irruente e scintillante frutto di fantasia umoristica, di psicologia profonda, di potenza d’inventare umanità sempre più vera e sempre più nuova, mi dolgo per essi.
Ma la storia dell’asino non è finita. Quella cara ombrosissima, capricciosissima bestia era in condizione di figliare. Ora essa dava segni di tenerezza non solo quando gli accadeva, ahi, di rado, d’incontrare una ciuchina, ma anche quando le passava vicino una donzella. Aveva poi preso il vezzo di scatenarsi e scappar via dalla staffetta e appiattarsi a una svolta del boschetto ove erano tese le reti molto poco amiche dei tordi, e, appena qualcuno gli era passato davanti, addentargli con i denti una manica, con negli occhi un’espressione bieca e buffa di gioia e di scherno.
E poi, faceva di peggio. Fuggiva di notte dalla staffa, correva sulla cima d’un monte, e di là, con ruggiti e bramiti e urli atterriva le vallate. Quel giornalista ha dovuto venderlo, per non essere, un dì o l’altro, mangiato vivo da lui, o per non veder divorare sotto gli occhi, in vece sua, qualche amico meritevole di migliore ospitalità.
Renato Simoni, «Domenica del Corriere», 29 giugno 1952
Fu Milano per prima a consacrare la grande arte di Musco
Parlare di Angelo Musco nel venticinquesimo anniversario della morte significa ricordare uno dei più originali e brillanti comici che abbia avuto il teatro italiano. E, se questo nome non dice nulla ai giovani che non ebbero modo di vedere sulle scene questo singolare attore in qualcuna delle sue indimenticabili e felici creazioni dall’Aria del continente a San Giovanni decollato, a Ridi pagliaccio del povero Fausto Maria Martini, esso, invece, ancora evoca agli occhi e alla memoria degli uomini maturi e degli anziani un sovrano della scena che dispensò a piene mani il buon umore a gremiti teatri italiani ed anche stranieri, perchè la Compagnia di Musco fu applauditissima a Mosca, nelle due Americhe ed a Parigi.
Fu fatto a Musco un addebito: che per il successo egli puntasse sugli sgambetti, sui lazzi, sui frizzi; ma fu un errato addebito perchè, lungi dall’essere un artificio, quella girandola mimico-vo-cale era spontanea manifestazione di un temperamento esuberante, vivacissimo, istintivamente comico! Fu seminata di molti triboli la via della gloria di Angelo Musco! Egli dovette lottare — ed aspramente per la conquista del suo posto nel nostro teatro; e fu lotta serrata fino alla vittoria che gli arrise allorché Renato Simoni con l'autorevole suo giudizio sul «Corriere della Sera» ne consacrò l’arte dopo la rappresentazione del «Paraninfi!» di Luigi Capuana, la sera del 13 aprile 1915.
Dopo la rappresentazione. Musco non potè andare nè a cena nè a letto: a cena non poteva andare perchè nell’unico ristorante che avrebbe potuto fargli credito aveva lasciato da tre giorni in pegno il cappotto ; e a letto non avrebbe dormito per l’agitazione ! Accompagnato dal suo segretario, vagò — nonostante la piuttosto fresca notte di aprile, che si faceva sentire essendo. egli solo in giacchetta — fin verso le due e andò poi in Via Solferino, ma le rotative del «Corriere» ancora non giravano; e gli toccò di continuare a vagare un’altra ora! Ritornò, ma trovò ancora silenzio! E gli parve che quelle macchine da stampa fossero crudeli, non tenendo conto della sua ambascia!
Finalmente le macchine si misero in movimento; e, regalando cinquanta centesimi al custode notturno degli uffici, egli potè avere una copia del giornale proprio fresca di stampa ! E alla luce di un lampione lesse la Critica: se la lesse col cuore in gola e poi proruppe in un gran pianto! Renato Simoni additava ai milanesi un grande attore! Infatti scriveva: «La commedia ha divertito moltissimo. Ha suscitato continui clamori di risa e continui applausi. Musco non è uscito di scena una sola volta senza che il pubblico lo richiamasse con abbondanti battimani. E alla fine del primo e del secondo atto tre chiamate e quattro alla fine del terzo. Merito della commedia e della esecuzione. La commedia è costruita con agilità e freschezza attorno ad un tipo comicissimo: don Pasquale Minnedda, ex brigadiere delle guardie di finanza, che ha la mania di accoppiar la gente». E, dopo aver narrato l’intreccio del lavoro, Simoni concludeva : «L’interpretazione è stata lodevole sotto ogni rapporto. Ci sono in questa compagnia elementi ottimi come la Libassi, il Pandolfini, la Campagna. Il successo maggiore. come ho detto, fu del Musco: egli è un comico irresistibile. Mostra, è vero, in qualche momento di compiacersi della sua pronta comicità. Ma ha i! segreto di far ridere come pochi sanno. Tutto in lui suscita l’ilarità: il volto pieno di espressione e di mobilità, la voce, il gesto».
Musco se ne tornò a casa come meglio potè; — ebbero a ricordare Italo Vitaliano e Giuseppe Murabito, che del grande attore siciliano scrissero la più fedele e attendibile biografia — si mise a letto: povero senza un soldo in tasca, con la casetta di Catania ipotecata, i pòchi oggetti d’oro al Monte di Pietà, il pastrano lascialo in pegno, debiti da tutte le parti, con gli amici, gli impresari, i suoi stessi comici. E la piccola pistola messa a punto sul tavolino da notte! Quando l’indomani si recò al teatro, trovò Pallore cassiera signora Giani-ni intenta a ostentare, a bella posta, un improvvisato ventaglio di biglietti da cento lire! Le prenotazioni per lo spettacolo fioccavano: alla sera si sali a duemila lire, incasso sbalorditivo a quei tempi: significava il «tutto esaurito» ! Cosi continuò per dodici sere di seguito! E se non vi fosse stato l’impegno con U Teatro Niccolini di Firenze la compagnia sarebbe restata, come avrebbe voluto la Società che gestiva i filodrammatici, che gli aveva concesso, per pietà, quel teatro disertato dal pubblico e ora riconsacrato!
Angelo Musco aveva esordito a Catania in un mode--sto teatro di marionette, dove si produceva cantando u-na canzoncina intitolata «A musca»! H teatrino era della madre di Giovanni Grasso: e, quando questi volle sostituire ai pupi gli attori, chiamò con sé Angelo che tutti chiamavano : «A musca»! E fu con Giovanni Grasso che Musco percorse bitta la sua carriera fino a rhe potè mettere su compagnia da sé. Ma le tribolazioni lo accompagnarono via via fino alla consacrazione milanese, da cui prese avvio !a sua fortuna: il suo nome da allora riempi i teatri e in occasione di nozze reali la compagnia prescelta per spettacoli di gala fu sempre la sua!
Raffaello Biordi, «Gazzetta di Mantova», 24 gennaio 1963
Pirandello dopo l’andata in scena di Liolà scrisse a Martoglio: «L’arte s’è divorziata per sempre da lui. La moglie legittima e naturale è la Farsa. Non gli resta che di foggiarsi e appiccicarsi il nome d’una maschera, come Scarpetta. Questi, Sciosciammocca, e lui Sciosciainculo. Gli andrebbe benone. E credi che il pubblico non vuole altro da lui. Vuole vederlo correre a cacare come nel terzo atto di Paraninfo, e basta, io l’ho capito fin dal primo esito di Liolà, che è vera commedia. Se il pubblico non lo ha voluto nelle vesti di Liolà (che pur gli sta a cappello) è segno che lo vuole proprio Sciosciainculo e basta» (cit. in Muscarà Zappulla - Zappulla, 1987, p. 76). Quello che per Pirandello, privo ancora di un’esperienza diretta del palcoscenico, era recitazione farsesca per Musco era uno stile di concertazione proveniente dal teatro popolare: «Se, per disgrazia […] dovessi ritardare la mia entrata in scena, sono sicuro che il pubblico non se ne accorgerebbe. Da noi la ‘scena vuota’ non esiste. I miei comici non si perderebbero d’animo: inventerebbero lì per lì un dialogo che magari l’autore crederebbe ch’è suo, tanto sarebbe intonato con la commedia. […] ‘eh, si sa; recitano a soggetto...’ Che stupidi! Questo non è recitare a soggetto; è solo la dimostrazione che i comici siciliani sono pronti e intelligenti, e recitano comprendendo lo spirito delle commedie e non ripetendo esclusivamente le battute, come i pappagalli» (A. Musco, Cerca che trovi…, Bologna 1928, p. 198).
La concertazione della recitazione basata sul personaggio e sulla situazione e la recitazione intesa come restituzione del testo non trovarono mai una sintesi sulle scene italiane e Musco rimase per critica e autori – anche se Gordon Craig lo considerò uno dei più grandi comici che avesse mai conosciuto – un «attore d’istinto» (Gramsci, 2010, p. 290) che agisce in «uno stato di bacchica ebrietà» (D’Amico, 1929, p. 82).
Musco affidò inoltre il ricordo della sua arte a una decina di film, di mediocre fattura ma di grande successo: San Giovanni decollato (1917), di Telemaco Ruggeri; Cinque a Zero (1932), di Mario Bonnard; Il paraninfo (1934), L’eredità dello zio buonanima (1934) e Fiat voluntas dei (1935), di Amleto Palermi; L’aria del continente (1935), di Gennaro Righelli; Il re di denari (1936) di Enrico Guazzoni; Lo smemorato (1936) e Pensaci Giacomino! (1936) di Righelli; Il feroce Saladino (1937), di Bonnard; Gatta ci cova (1937), di Righelli.
La sua vita affettiva fu segnata da una lunga relazione con Francesca Sabato Agnetta, che si considerava «un affluente del fiume Musco […] e muscovita» (Muscarà Zappulla - Zappulla, 1987, p. 207) e che fu spiritosa autrice di numerose (e mediocri) commedie portate al successo dall’attore. Dopo una tumultuosa fuga d’amore nel 1922, l’11 gennaio 1923 sposò la giovane e bella figlia d’arte Desdemona Balestrieri. Il 7 maggio nacque la prima figlia, tenuta a battesimo da Vittorio Emanuele Orlando; seguirono due femmine e il desiderato maschio.
Morì a Milano, durante una tournée, il 7 ottobre 1937.
Interpretazioni teatrali
Compagnia Giovanni Grasso
Nino in Malìa di Luigi Capuana (1903)
Cecco in Zolfara di Giuseppe Giusti Sinopoli (1903)
Turi il cieco in Feudalesimo di Angelo Guimerà (1903)
Il mendicante cieco in Nica di Nino Martoglio(1903)
La guardia in Civitoti in pretura di Nino Martoglio(1903)
Il capocomico in Il ratto delle sabine di Franz e Paul Schönthan (1903)
Primo mietitore in La figlia di Iorio di Gabriele D'Annunzio (1904)
Compagnia drammatica siciliana diretta da Nino Martoglio
Nunzio in Sperduti nel buio di Roberto Bracco (1912)
Capitano Senio in Capitan Senio di Nino Martoglio (1912)
Compagnia Musco
Don Pasquali Minedda in Lu paraninfu di Luigi Capuana (1914)
Don Cola Dusciu in L'aria del continente di Nino Martoglio (1915)
Micuccio in Lumie di Sicilia di Luigi Pirandello (1915)
Don Ramunnu in Don Ramunnu di Luigi Capuana (1915)
il riffante in ‘U riffanti di Nino Martoglio (1916)
Pepè Moscardino (Giufà) in L'arte di Giufà di Nino Martoglio (1916)
Don Fofò in L'ultimo naso di Francesca Sabato Agnetta (1916)
professor Toti in Pensaci Giacuminu! di Luigi Pirandello (1916)
Liolà in Liolà di Luigi Pirandello (1916)
don Mario Mannuca in Quacquarà di Luigi Capuana (1916)
Masi Latinu il cieco in Scuru di Nino Martoglio (1917)
don Nociu Pampina in’A birritta cu 'i ciancianeddi, di Luigi Pirandello (1917)
zi Dima in ’A giarra di Luigi Pirandello (1917)
Chiarchiaro in 'A Patenti di Luigi Pirandello (1918)
Giovanni Schiffi in Ridi Pagliaccio! di Fausto Maria Martini (1919)
Cola in U sapiti comm'è di Francesca Sabato Agnetta (1919)
Capitano Mauro Turrisi in Sua Eccellenza di Nino Martoglio (1920)
il marchese in Il marchese di Ruvolito di Nino Martoglio (1920)
don Masinu Teri in Ccu i nguanti gialli di Luigi Pirandello (1921)
padre Attanasio in Fiat voluntas Dei di Giuseppe Macrì (1923)
don ‘Nzuddo Ballarò in Fra Diavolo di Giuseppe Patanè (1923)
don Peppe Smarrano in Capo Raisi di Francesco Macaluso (1925)
Filmografia
Monumento funebre ad Angelo Musco al cimitero di Catania
San Giovanni decollato di Telemaco Ruggeri (1917)
Cinque a zero di Mario Bonnard (1932)
Paraninfo di Amleto Palermi (1934)
L'eredità dello zio buonanima di Amleto Palermi (1934)
Fiat voluntas Dei di Amleto Palermi (1935)
L'aria del continente di Gennaro Righelli (1935)
Pensaci, Giacomino! di Gennaro Righelli (1936)
Lo smemorato di Gennaro Righelli (1936)
Re di denari di Enrico Guazzoni (1936)
Gatta ci cova di Gennaro Righelli (1937)
Il feroce Saladino di Mario Bonnard (1937)
Pubblicazioni
Angelo Musco, Cerca che trovi…, a cura di Domenico Danzuso, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 1988, ISBN 88-7751-018-8.
Onorificenze
Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia
— 1908[3]
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia
— 26 aprile 1917[4]
Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia
— 1922[5] [6]
Grand'Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria Grand'Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
— [5]
Bibliografia
- Francesco De Felice, Storia del teatro siciliano, Catania, Giannotta editore, 1956, SBN IT\ICCU\TO0\0139045.
- Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla, Angelo Musco. Il gesto, la mimica, l'arte, Palermo, Novecento Editrice, 1987, ISBN 8837300727.
- Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla, Musco: immagini di un attore, Catania, Maimone editore, 1987, ISBN 8877510137.
- Enzo Zappulla, Angelo Musco e il teatro del suo tempo, Catania, Maimone editore, 1991, ISBN 8877510471.
- Guido Di Palma, MUSCO, Angelo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 77, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. URL consultato il 15 aprile 2015.
Note
- ^ Roberto Chiti, Musco Angelo, in Enrico Lancia e Roberto Poppi (a cura di), Dizionario del cinema italiano: Gli attori dal 1930 ai giorni nostri, Roma, Gremese Editore, 2003, p. 66. URL consultato il 15 aprile 2015.
- ^ Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, 2005, p. 193.
- ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Roma, n. 75, martedì 30 marzo 1909, p.1405.
- ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Roma, n. 29, giovedì 5 febbraio 1920, p.390.
- ^ Salta a:a b Arturo Lancellotti, Un signore del riso: Angelo Musco, "Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti", Roma, sesta serie, settembre-ottobre 1922, vol. CCXX dalla raccolta CCIV, p.161.
- ^ Ciondoli, "Le opere e i giorni: rassegna mensile di politica, lettere, arti, etc.", Milano, Alpes, n. 1, 1° marzo 1922.
Riferimenti e bibliografie:
- Biografia su Itattori.net, su itattori.net. URL consultato il 28 settembre 2007 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2007).
- (EN) Angelo Musco, su Internet Movie Database, IMDb.com.
- Musco, Angelo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 15 marzo 2011. URL consultato il 15 aprile 2015.
- Angelo Musco, la straripante comicità pirandelliana (Domenico Livigni)
- treccani.it
- C. F., «Il Secolo Illustrato,», anno IX, n.9, 1 maggio 1923
- Angelo Musco, «Comoedia», anno X, 15 giugno 1928
- «Cinema», n.32, 20 ottobre 1937
- Giuseppe Longo, «Tempo», anno IV, n.71, 3 ottobre 1940
- «L'Impero», 30 giugno 1928 - Disegno di Carretto
- «L'Impero», 16 giugno 1929
- «Corriere della Sera», 7 ottobre 1937
- «Corriere della Sera», 14 ottobre 1937
- Vitaliano Brancati, «Omnibus», anno I, n.30, 23 ottobre 1937
- «Il Mattino Illustrato», 10 gennaio 1938